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Gruppo VI                        /113.98.11

OGGETTO: Insegnanti Istituti d'arte. Titolo di studio conseguito oltre i termini stabiliti. Effetti giuridici di atto di revoca.

   
   
   
                        Assessorato Regionale dei
                       Beni culturali ed Ambientali
                         e della Pubblica Istruzione
                                           P A L E R M O

   
               1. Con la nota suindicata vien chiesto il parere dello scrivente in ordine a due quesiti relativi, il primo, alla validità di un titolo di studio non conseguito entro i termini previsti nei DD.MM. 13.1.90 e 21.3.90, ai fini del reclutamento del personale docente non di ruolo di arte applicata, e, il secondo, agli effetti giuridici di "atto di revoca" di una supplenza temporanea a personale non docente di un Istituto regionale pareggiato.
               In particolare, con il primo dei quesiti posti si chiede se debba considerarsi valido, ai fini dell'ammissione al concorso per il conferimento di supplenza della classe di concorso 18/D - Arte dell'ebanisteria, dell'intaglio e dell'intarsio - il diploma di maestro d'arte conseguito il 6-9-74, dal momento che i DD.MM. 13 gennaio 1990 e 23 marzo 1990 (rectius: 21 marzo 1990) ammettono tale titolo, purchè "conseguito entro il 6 luglio 1974, data di entrata in vigore del decreto ministeriale 18 giugno 1974".
               Al riguardo codesto Assessorato manifesta un orientamento negativo e chiede, altresì, in subordine, se debba intervenire "con atto di revoca, ai soli fini giuridici, con decorrenza dalla stessa data di conferimento della nomina".
   
               2. Con il Decreto del Ministero della pubblica istruzione del 13 gennaio 1990, recante "Modificazioni e integrazioni al decreto ministeriale 3 settembre 1982 concernente nuove classi di concorso a cattedre, a posti di insegnante tecnico-pratico, a posti di insegnante di arte applicata", si è disposta, tra l'altro, all'art. 4, la rideterminazione della tab. D del D.M. 3 settembre 1982, e successive modificazioni e integrazioni, relativamente alle classi di concorso di arti applicate.
               Con riguardo ai titoli validi per l'ammissione al concorso della classe XVIII - Arte dell'ebanisteria, dell'intaglio e dell'intarsio, la nuova tabella D, allegata al succitato decreto, richiede "Laurea in architettura o diploma di accademia di belle arti o diploma di istituto superiore per le industrie artistiche purchè congiunti a diploma di maturità d'arte applicata o diploma di magistero o diploma di maestro d'arte conseguiti nelle sezioni di: arte del legno; arte del mobile; arte del legno e per il restauro del mobile antico; disegnatori di architettura e arredamento; arredamento".
               Precisa, tuttavia, il decreto ministeriale in questione: "purchè il diploma di maestro d'arte sia stato conseguito entro il 6 luglio 1974, data di entrata in vigore del decreto ministeriale 18 giugno 1974".
               Sembra pertanto allo scrivente che il diploma di maestro d'arte, congiunto all'altro titolo previsto, sia da ritenersi valido per l'ammissione al suddetto concorso, ma solo laddove sia stato conseguito entro il termine espressamente previsto del 6 luglio 1974.
               Infatti, la natura perentoria di tale termine, derivata dall'interpretazione della disposizione riportata, trova riscontro anche nell'art. 5, secondo comma, del medesimo decreto 13 gennaio 1990, il quale dispone che: "I titoli di studio, compreso, ove richiesto, l'avvenuto accertamento del possesso dei requisiti professionali e artistici, validi ai fini del reclutamento del personale di ruolo o non di ruolo nei posti di arte applicata della tabella D annessa al decreto ministeriale 3 settembre 1982, conservano la loro validità per l'accesso alle classi di concorso di cui alla nuova tabella D, allegata al presente decreto, secondo la tavola di corrispondenza, purchè conseguiti prima dell'entrata in vigore del presente decreto".
               Una volta accertata la natura perentoria del termine de quo, va altresì osservato che la nuova classe di concorso XVIII corrisponde alle classi di concorso XII e XXIV di cui al D.M. 3 settembre 1982 (rispettiva- mente: Arte dell'ebanisteria e Arte dell'intaglio e dell'intarsio), in relazione alle quali si disponeva per l'ammissione ai concorsi, "l'accertamento dei titoli professionali e artistici nei modi previsti dalle vigenti disposizioni".
               Di conseguenza, dalle disposizioni esaminate, si evince la volontà di attribuire validità ad un titolo di studio che, ai sensi del D.M. 3 settembre 1982, non era considerato utile per l'ammissione al concorso di personale docente supplente, istituendo, nel contempo, un termine di sbarramento e cioè l'8 luglio 1974, data di entrata in vigore del D.M. 18 giugno 1974, con il quale appunto furono istituite le classi di concorso "Arte dell'ebanisteria" e "Arte dell'intaglio e dell'intarsio", (rispettivamente classe XIII e XXVIII).
               Ne deriva l'impossibilità di considerare valido nel caso di specie il titolo di studio in parola ai fini del conferimento delle supplenze nella classe di concorso "Arte dell'ebanisteria, dell'intarsio e dell'intaglio".
                   Riguardo al quesito posto in subordine va precisato, preliminarmente, che ciò postula una valutazione nel merito della specifica fattispecie e che, pertanto, lo scrivente esprime il proprio avviso in termini generali.
               La questione proposta va esaminata alla stregua dei comuni principi in materia di annullamento e revoca d'ufficio, in forza dei quali l'Amministrazione può in sede di autotutela eliminare i propri atti illegittimi o inopportuni.
               In proposito, si osserva che la revoca è il provvedimento che produce la cessazione dell'efficacia durevole di un atto riconosciuto inopportuno, non conveniente o inadeguato, fermi restando gli effetti da questo già prodotti (efficacia ex nunc), in base ad un diverso apprezzamento della situazione che aveva dato luogo alla sua emanazione.
               Tuttavia, deve altresì ricordarsi che alla revoca di un provvedimento l'Amministrazione potrà procedere soltanto ove sussista un interesse pubblico concreto e attuale all'eliminazione dell'atto; occorre cioè dimostrare quale sarebbe il particolare vantaggio che all'amministrazione deriverebbe dal ritiro dell'atto stesso.
               Infine, non sembra irrilevante rammentare che sono revocabili solo gli atti ancora efficaci. L'eliminazione dell'atto mediante la revoca presuppone, infatti, che esso sia ancora suscettibile di produrre effetti.
               In alternativa all'ipotesi considerata, ove codesta Amministrazione -in luogo di una valutazione di opportunità- ravvisasse nel provvedimento di conferimento della supplenza in questione la sussistenza di un vizio di legittimità, in tal caso potrebbe procedere, ricorrendovi le altre condizioni, all'annullamento d'ufficio.
               Questo trova il suo fondamento nel generale potere di autocontrollo della legittimità dei propri provvedimenti, spettante ad ogni organo amministrativo.
               Tuttavia, le condizioni per l'esercizio del potere di annullamento in autotutela sono, da una parte, l'invalidità originaria dell'atto, ossia, la presenza nello stesso, sin dal momento della sua emanazione, di un vizio di legittimità e, dall'altra, la sussistenza, al tempo in cui si procede, di un interesse pubblico concreto e attuale all'eliminazione dell'atto, ulteriore rispetto al generico interesse al ripristino della legalità.
               La valutazione dell'interesse pubblico all'annullamento dell'atto amministrativo illegittimo non deve riportarsi, dunque, al momento in cui l'atto venne emanato, ma deve riferirsi al momento in cui l'annullamento viene pronunciato. Ne consegue che non può essere adottato l'annullamento, per eliminare situazioni contrarie all'interesse pubblico, che si siano verificate in passato ma che siano cessate, ovvero che potessero presentarsi in futuro, ma che in atto non sussistono.
               Sotto quest'ultimo profilo va qui evidenziato che l'eventuale esercizio del potere di autotutela, nella fattispecie, interverrebbe sull'atto finale (conferimento della supplenza) di un procedimento concluso dal quale derivano, ovviamente, situazioni giuridicamente protette; ciò che, di per sè, rende più pregnante la valutazione discrezionale che, com'è noto, caratterizza l'esercizio del potere in questione.
               Al riguardo, infatti, la giurisprudenza ha chiaramente affermato che "gli atti di autotutela, pur essendo discrezionali, devono essere adottati comparando l'interesse pubblico, che non può essere solo quello del mero ripristino della legalità, con quello privato che si radica in posizioni di vantaggio consolidate con l'aspettativa della loro rispondenza a legittimità, in virtù della presunzione di legittimità che assiste gli atti amministrativi" (T.A.R. Marche Ancona, 12 marzo 1993, n. 140).
   
   
       
               La rilevanza di tale interesse pubblico specifico e l'impossibilità di soddisfarlo altrimenti che con la rimozione dell'atto ed il conseguente sacrificio di posizioni giuridiche, soprattutto se consolidate nel tempo vanno, poi, adeguatamente motivate (Cfr. TAR Calabria-Catanzaro, 26 aprile 1990, n. 290 - TAR Palermo, Sez. II - 26 febbraio 1996, n. 197 - TAR Piemonte 26-5-97 n. 262 - C. Stato Sez. V, 23.8.96, n. 944).
               Il Consiglio di Stato (Sez. VI, n. 124 del 2.3.76) ha avuto, altresì, occasione di precisare che "poichè alla base dei principi che regolano l'annullamento d'ufficio è un sano realismo giuridico in virtù del quale si richiede di adeguare alla realtà consolidatasi il dato giuridico, sacrificando, all'uopo, astratte esigenze di legittimità formale alla necessità di non turbare un ordinamento effettuale, i principi stessi non possono essere applicati in maniera rigida e formalistica, in quanto altrimenti si finirebbe col tradire la loro stessa ratio".
               Alla stregua delle considerazioni sopra svolte, nel precisare che l'efficacia del provvedimento di annullamento (a differenza di quello di revoca) retroagisce al momento dell'emanazione dell'atto viziato (efficacia ex tunc) "con eccezione di quei fatti materiali che si siano verificati e che non è possibile distruggere, quali le prestazioni di fatto di servizio e le correlative corresponsioni di assegni che l'Amministrazione non può ripetere dall'impiegato che li ha percepiti in buona fede" - con la conseguenza che "le attività svolte non possono essere considerate come servizio bensì come prestazione di mero fatto, cui è riconnesso solo il diritto dell'insegnante a ritenere quanto percepito a titolo di retribuzione" (T.A.R. Abruzzo-Pescara 15 febbraio 1985, n. 30) - codesta amministrazione potrà valutare l'opportunità o meno di intervenire nella questione con un nuovo provvedimento in sede di autotutela, nell'ambito dell'ampia potestà discrezionale alla stessa spettante nella materia.
   
       
               3. Con il secondo quesito si chiede se il servizio svolto da un collaboratore tecnico, a seguito di conferimento di supplenza temporanea, successivamente revocata, "possa essere riconosciuto all'interessato soltanto ai fini economici e non già a quelli giuridici, non maturandosi, di conseguenza, la relativa anzianità di servizio a decorrere dalla data della stessa nomina".
               In proposito, sembra allo scrivente che possa condividersi l'orientamento espresso da codesta Amministrazione.
               Tuttavia, si osserva che, nella fattispecie, il provvedimento di rimozione della supplenza conferita non corrisponde all'istituto positivo denominato "revoca d'ufficio" poichè non investe il merito della nomina, bensì mira ad eliminare l'atto per motivi di legittimità (violazione, seppure involontaria, di circolare) e la sua efficacia si estende sin dal momento dell'emanazione dell'atto viziato.
               Pertanto, anche alla stregua delle superiori considerazioni, sembrerebbe che il servizio svolto dal supplente A.T.A. sulla base di un atto di nomina successivamente eliminato mediante "revoca", ma sostanzialmente "annullato" in quanto illegittimo, possa essere considerato soltanto come "prestazione di fatto" cui è riconnesso solo il diritto al trattamento retributivo.


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