POS. V Prot._______________/191.11.04

OGGETTO: Luoghi di lavoro - Prevenzione illeciti - Video-sorveglianza - Tutela della privacy dei lavoratori.



ASSESSORATO REGIONALE DELL'INDUSTRIA
Dipartimento dell'industria
PALERMO





1. Con nota prot. n.2182 del 14 settembre 2004, codesto Dipartimento, rappresentando l'esigenza di prevenire furti (computers ed effetti personali dei dipendenti) -già verificatesi nella vecchia e, di recente, nell'attuale sede di codesta Amministrazione, nonostante l'installazione di video camere negli spazi antistanti gli accessi dell'edificio-, ha chiesto allo Scrivente se sia possibile, alla luce della normativa sulla privacy, predisporre un sistema di videosorveglianza nei corridoi, con esclusione delle singole postazioni di lavoro.
Ad avviso di codesto Dipartimento si tratterebbe dell' "ultimo ed unico deterrente" idoneo ad evitare ulteriori illeciti, dal momento che il sistema di videosorveglianza esterno è risultato facilmente eludibile (mediante lo spostamento della telecamera) e considerato altresì che lo stesso non ritiene di potere adottare efficacemente differenti misure di prevenzione.
Precisa codesto Dipartimento che il sistema che si intende installare rispetterebbe le modalità imposte dal Garante per la protezione dei dati personali, come fissate nel "Provvedimento generale sulla videosorveglianza" ed, in particolare, i principi di proporzionalità e di necessità.



2. Sulla questione suesposta si osserva quanto segue.
L'utilizzazione dei sistemi di videosorveglianza nei luoghi di lavoro rappresenta, in connessione alla più ampia tematica del c.d. controllo a distanza dei lavoratori, uno degli aspetti più critici della tutela della privacy nell'ambiente di lavoro.
Gli aspetti giuridici coinvolti nella materia in oggetto sono molteplici.
In particolare devono essere analizzati due profili.
Il primo è quello correlato alla tutela della riservatezza di cui al c.d. Testo unico sulla privacy, emanato con il D.Lgs. 30 giugno 2000, n.196 (già legge 31 dicembre 1996, n.675), entrato in vigore il 1° gennaio 2004. La videosorveglianza, infatti, raccogliendo immagini, costituisce trattamento di dati riferibile ad una persona identificata o identificabile e rientra nella sfera di applicazione della legge medesima.
La tutela della privacy nel rapporto di lavoro trova però la sua normativa fondamentale e primaria nella legge 20 maggio 1970, n.300, nota come lo "Statuto dei lavoratori" e, segnatamente, nell'art.4 della stessa, che è stato espressamente richiamato e riaffermato dall'art.114 del D.Lgs. n.196/2003 cit. (per il quale "Resta fermo quanto disposto dall'articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n.300").
La predetta disposizione, secondo quanto previsto dalla norma di chiusura di cui all'art.37, L. n.300/1970 cit., si applica anche al rapporto di impiego dei dipendenti della Regione siciliana, non essendo stata la materia diversamente regolata da norme speciali.

L'art.4, l. n.300/1970 cit. testualmente dispone:
"4. Impianti audiovisivi.
E' vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori.
Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l'Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso degli impianti.
Per gli impianti e le apparecchiature esistenti, che rispondano alle caratteristiche di cui al secondo comma del presente articolo, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con le commissione interna, l'Ispettorato del lavoro provvede entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge, dettando all'occorrenza le prescrizioni per l'adeguamento e le modalità di uso degli impianti suddetti.
Contro i provvedimenti dell'Ispettorato del lavoro, di cui ai precedenti secondo e terzo comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo art.19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale".

La disposizione sancisce, al suo primo comma, il divieto di utilizzazione di mezzi di controllo a distanza, tra i quali, in primo luogo, gli impianti audiovisivi, sul presupposto -espressamente precisato nella "Relazione ministeriale"- che la vigilanza sul lavoro, ancorché necessaria nell'organizzazione produttiva, vada mantenuta in una dimensione "umana", e cioè non esasperata dall'uso di tecnologie che possono rendere la vigilanza stessa continua e anelastica, eliminando ogni zona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro (così anche Cass. sez. lav. 17.6.2000, n.8250).
Tale divieto deve intendersi come assoluto, data "l'odiosità delle apparecchiature oggetto della norma, il loro contrasto con i principi della Costituzione ed il danno che possono arrecare alla stessa produttività del lavoratore" (così Cass. sez. lav., 18.2.1983, n.1236).

Tuttavia, lo stesso articolo, al secondo comma, prevede che esigenze organizzative, produttive ovvero di sicurezza del lavoro possano richiedere l'eventuale installazione di impianti ed apparecchiature di controllo, da cui derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori.
L'eccezione è da intendere tuttavia in senso relativo, perché in realtà la norma citata non prevede la possibilità, in particolari casi, di "sorvegliare a distanza" i lavoratori (nel qual caso il divieto rimane assoluto), quanto piuttosto ammette il ricorso ad impianti audiovisivi tali da produrre un controllo incidentale (o preterintenzionale) dei lavoratori, sempre però in presenza di esigenze organizzative, produttive e di sicurezza del lavoro nonché previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali.
Si realizza in tal modo un contemperamento tra tutela del diritto dei lavoratori a non essere controllati a distanza e tutela delle esigenze produttive e organizzative del datore di lavoro, le cui modalità concrete si sono in parte delineate nella casistica giurisprudenziale e nelle pronunce del Garante della privacy.

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Per quanto riguarda l'aspetto relativo alla normativa sulla tutela dei dati personali di cui al D.Lgs. n.196/2003 -che, operando un significativo rinvio ai principi contenuti nello Statuto (art.114), ha una funzione integrativa e non sostitutiva dello stesso-, si osserva in sintesi quanto segue.

Le regole base della disciplina sul trattamento dei dati personali sono applicabili alle immagini ed ai suoni, qualora le apparecchiature che li rilevano permettano di identificare, in modo diretto o indiretto, i soggetti interessati.
I predetti principi sono stati specificati, per il campo che qui ci occupa, nel "Provvedimento generale sulla videosorveglianza" emanato dal Garante per la protezione dei dati personali il 29 aprile 2004.
Il documento, in assenza (e in attesa) di una specifica normativa che disciplini l'utilizzo di sistemi di videosorveglianza, fornisce le prescrizioni generali, aggiornando il precedente "Decalogo" del 29 novembre 2000.
Nell'enucleare i parametri di liceità della video sorveglianza, il Garante, pur attento in primo luogo alla protezione dei dati personali, ha cercato di non pregiudicare l'adozione di misure che si rendano necessarie per garantire la sicurezza dei cittadini e l'accertamento degli illeciti.
Pur tuttavia, la video sorveglianza è lecita solo quando è necessaria ("deve essere escluso ogni uso superfluo ed evitati eccessi e ridondanze"), quando è proporzionale al pericolo che si teme e quando la finalità perseguita è tra quelle attribuite alla competenza di chi installa il sistema.
Nello specifico settore del lavoro, il provvedimento pone in netta evidenza la distinzione tra uso della videosorveglianza per ragioni di controllo dei lavoratori (assolutamente vietato) e uso della videosorveglianza per ragioni di sicurezza, consentito sia pure con forti limitazioni, in modo tale che l'esigenza di sicurezza non debba prevalere sul controllo della persona.

Al riguardo, potrebbe dunque venire in considerazione l'esigenza di codesto Dipartimento di prevenire ulteriori furti di computers e di beni mobili dell'Assessorato mediante l'installazione di un sistema di sorveglianza; installazione che non risulterebbe di contro giustificata dall'esigenza di prevenire furti ai danni dei dipendenti, trattandosi in questo caso di finalità di sicurezza pubblica, prevenzione o accertamento dei reati che invece competono solo ad organi giudiziari o di polizia giudiziaria oppure a forze armate o di polizia (cfr. al riguardo, il provvedimento del Garante cit.).

Per quel che in questa sede interessa, va rilevato che il Garante non esclude margini di liceità alla ripresa finalizzata alla sorveglianza dei beni e detta al riguardo i principi nell'osservanza dei quali dovrebbe realizzarsi il giusto bilanciamento tra la tutela del diritto del lavoratore e l'interesse legittimo del datore di lavoro a tutelare il patrimonio aziendale "rispetto a possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo, o finalità di prevenzione di incendi o di sicurezza del lavoro".
Anche in questi casi, la videosorveglianza è lecita solo quando altre misure ("quali controlli da parte degli addetti, sistemi di allarme, misure di protezione degli ingressi, abilitazioni agli ingressi") siano ponderatamente valutate insufficienti o inattuabili.
In altri termini, la video sorveglianza finalizzata alla protezione dei beni, è ammissibile solo come estrema ratio e non come soluzione primaria sproporzionata: deve essere considerata una scelta dettata dalla constatata insufficienza di altri sistemi di deterrenza.

Va evitata, precisa il Garante, la rilevazione in aree o attività che non sono soggette a concreti pericoli, o per le quali non ricorre un'effettiva esigenza di deterrenza ed, in ogni caso, è inammissibile l'installazione di telecamere in luoghi non destinati all'attività lavorativa (bagni, spogliatoi,, luoghi ricreativi ecc.).
L'eventuale conservazione delle immagini deve essere, poi, limitata nel tempo e devono essere rispettati tutti gli adempimenti di legge (cfr. D.Lgs. n.196/2003), che qui si intendono richiamati.

Già la giurisprudenza aveva chiarito che "Ai fini dell'operatività del divieto di utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori previsto dall'art.4 della legge n.300 del 1970, è necessario che il controllo riguardi (direttamente o indirettamente) l'attività lavorativa, mentre devono ritenersi certamente fuori dell'ambito di applicazione della norma sopra citata i controlli diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore (cosiddetti controlli difensivi)..." (v. Cass. civ. , sez. lav., n.4746 del 3.04.2002). Sono stati ritenuti leciti, per esempio, i sistemi di controllo dell'accesso ad aule riservate (cfr. sent. ult. cit.) o "gli accertamenti operati dall'imprenditore attraverso riproduzioni filmate dirette a tutelare il proprio patrimonio aziendale, al di fuori dell'orario di lavoro e contro possibili atti penalmente illegittimi messi in atto da terzi e quindi anche dai propri dipendenti i quali a questi non possono non essere in tutto equiparati allorquando agiscano al di fuori dell'orario di lavoro" (V. Cass. civ., sez. lav. N. 8998 del 3.07.2001).

Al di là delle singole decisioni, tuttavia, dalla casistica esaminata emerge con evidenza che, poiché non è possibile fissare in maniera puntuale i margini di liceità della videosorveglianza, quali risultano dal bilanciamento degli opposti interessi del datore di lavoro e dei lavoratori, la giurisprudenza e la dottrina pongono l'accento sull'accordo con le RSA ex art.4, l.n.300/1970 (o sull'intervento dell'Ispettorato del lavoro) come presupposto di liceità del comportamento dell'imprenditore e garanzia procedurale per i lavoratori.

L'accordo con le RSA deve essere costruito in modo tale da rispondere completamente al dettato normativo: devono essere specificati i motivi organizzativi e di sicurezza che impongono l'utilizzo degli strumenti di videosorveglianza, evidenziando l'assenza di altre soluzioni che potrebbero essere meno "invasive" per il lavoratore; devono essere indicati gli strumenti e le modalità di utilizzazione. Il coinvolgimento delle Rappresentanze sindacali, invero, non si esaurisce nella condivisione del contenuto dell'accordo, ma si estende anche al controllo, successivo, della verifica della corretta osservanza delle regole pattuite.

Sarà pertanto codesto Dipartimento a dovere valutare nella predetta sede la necessità dell'installazione dell'impianto di videosorveglianza nei corridoi rispetto ad altre soluzioni (servizio di portierato anche nell'ingresso retrostante; più efficace e protetta sistemazione delle telecamere già installate negli ingressi stessi ecc.), fermo restando che, com'è noto, l'eventuale installazione comporterà l'osservanza di tutti gli adempimenti previsti dal D.Lgs. n.196/2003 e dal provvedimento del Garante.

Con riferimento anche agli impianti già esistenti, vale la pena sottolineare, infine, che qualunque installazione di telecamere da cui derivi anche una mera possibilità di controllo a distanza sull'attività lavorativa dei dipendenti "deve essere preceduta da un vero e proprio accordo con le RSA, non essendo sufficiente a legittimare l'installazione né il fatto che le maestranze fossero a conoscenza degli impianti potenzialmente idonei al controllo né la circostanza che gli impianti stessi abbiano funzionato per un determinato periodo di tempo senza contestazioni da parte dei lavoratori" (v. Cass. civ. 18.2.1983, n.1236).
Nelle superiori considerazioni è il parere dello Scrivente.

A termini dell'art. 15 del regolamento approvato con D.P.Reg. 16 giugno 1998, n. 12, lo Scrivente acconsente alla diffusione del presente parere in relazione ad eventuali domande di accesso inerenti il medesimo.
Codesta Amministrazione vorrà comunicare, entro novanta giorni dalla ricezione, l'eventuale possibilità che il parere stesso inerisca una lite, ovvero se intende differirne la pubblicazione sino all'adozione di eventuali provvedimenti amministrativi. Decorso tale termine senza alcuna comunicazione in tal senso si consentirà la diffusione sulla banca dati "FoNS", giusta delibera di Giunta regionale n. 229 dell'8 luglio 1998.



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