Pos. 6
  Prot. N. /140.11.03 


Oggetto: Rilascio attestato di idoneità legge 264/91 signora A.A. e sig. O.G.




Allegati n...........................


Assessorato Regionale
Turismo, Comunicazioni e Trasporti
Dipartimento Trasporti e
Comunicazioni - Area 4
(rif. fgl. 23.5.03 n. 549)
P A L E R M O



1. Con il foglio in riferimento codesto Dipartimento ha chiesto l'avviso dello Scrivente sulla possibilità di rilasciare gli attestati di idoneità professionale previsti dalla legge 8.8.1991 n. 264 per l'esercizio dell'attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto a due soggetti le cui dichiarazioni sostitutive, per la parte concernente la posizione nei confronti del casellario giudiziario, non sono conformi a quanto accertato successivamente dall'Ufficio.
In particolare codesto Dipartimento riferisce che per il primo soggetto risulta annotata una sentenza del G.I.P., irrevocabile il 6.11.1998, ex art. 444 e 445 c.p.p. per furto in concorso mentre dal certificato del casellario successivamente prodotto dall'interessata non risulta alcunché. Al riguardo la stessa parte privata ha precisato a codesto Dipartimento "che la comunicazione della pena ex art. 444 non assume i connotati di una vera e propria sentenza di condanna e la statuizione non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi" ai sensi dell'art. 445 c.p.p.
L'Amministrazione in indirizzo ritiene non pertinente il richiamo all'applicazione della pena in quanto il giudizio ex art. 444 c.p.p. comporta, ai sensi dell'art. 445 c.p.p., una pronuncia di condanna a tutti gli effetti.
Per la seconda fattispecie, anch'essa concernente una sentenza di patteggiamento, il legale dell'interessato sostiene che, trascorsi 5 anni "con l'estinzione del reato si è anche estinto ogni effetto penale della condanna, ai sensi dell'art. 445, co. 2, c.p.p., venendo così ad equipararsi alla riabilitazione che estingue parimenti ogni effetto penale della condanna, ai sensi dell'art. 178 c.p.".
Anche su tale prospettazione della parte privata l'Amministrazione non concorda per le ragioni compiutamente esternate nel foglio in riferimento che si possono riassumere nella disparità di trattamento tra chi, a seguito di una condanna dopo un processo ordinario, deve ricorrere alla procedura prescritta per la riabilitazione ex art. 178 c.p. e chi può avvalersi del disposto dell'art. 445, co. 2 c.p.p.

2. Le questioni sottoposte all'esame dello Scrivente vengono esaminate separatamente.
Quanto alla prima si osserva che la norma dell'art. 3 della L. 264/91 subordina la possibilità del rilascio dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto al possesso di una serie di requisiti. Tra questi, al co. 1, lett. c), è previsto che il richiedente non debba aver riportato condanne per determinati delitti tra i quali quello di cui all'art. 624 c.p. per il quale, come risulta dal certificato generale del casellario giudiziario presso la Procura, richiesto da codesta Amministrazione e versato in atti, la richiedente è stata condanna con la procedura del "patteggiamento".
Tale certificato ha un contenuto difforme da quelli richiesti dall'interessata in data antecedente e successiva in quanto l'art. 688 c.p.p., vigente alla data di presentazione della domanda (24.9.02), prevedeva il diritto delle pubbliche amministrazioni di ottenere "il certificato di tutte le iscrizioni esistenti al nome di una determinata persona ... quando il certificato è necessario per provvedere ad un atto delle loro funzioni, in relazione alla persona cui il certificato stesso si riferisce". Ed invero "qualora un ente pubblico, per compiere un atto d'ufficio, richieda il certificato del casellario giudiziale relativo alla persona interessata all'atto, in detto certificato debbono risultare menzionate anche le iscrizioni che, se il certificato fosse stato richiesto dal privato, non sarebbero risultate" (Trib. Roma, 13.7.90, G. Merito 90, 1041).
Il successivo art. 689 c.p.p., co. 2, lett. a), n. 5 e b) prevedeva, per i certificati richiesti dall'interessato, che nel certificato generale del casellario giudiziario e nel certificato penale fossero riportate tutte le iscrizioni esistenti ad eccezione "delle sentenze previste dall'art. 445". Entrambe le norme sono state abrogate dall'art. 52 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti di cui al D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313. Tale abrogazione decorre dal quarantacinquesimo giorno dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale avvenuta il 13 febbraio 2003, ai sensi di quanto disposto dall'art. 55 dello stesso decreto.
Le previsioni relative al contenuto dei certificati del casellario giudiziale sono ora disciplinate, per le pubbliche amministrazioni, dall'art. 28 del citato testo unico, il cui dispositivo, di maggior favore per il privato, è inapplicabile al caso in esame in ossequio al principio dell'irretroattività della legge (art. 11 delle preleggi) (cfr. voce: irretroattività della legge su: Enciclopedia del diritto).
Tanto premesso in ordine alla difformità tra il certificato richiesto dalla parte privata e quello richiesto da codesta amministrazione, si formulano di seguito le seguenti considerazioni quanto alla valenza della sentenza di cui all'art. 444, co. 2 c.p.p.
La Cassazione ricostruisce prevalentemente il patteggiamento come una forma di ammissione di responsabilità da parte dell'imputato e come implicita rinunzia ad avvalersi della presunzione di non colpevolezza, ma non manca di sottolineare i caratteri atipici dell'istituto, tra i quali sottolinea in particolare la carenza della dichiarazione di colpevolezza e dell'accertamento positivo della responsabilità, concludendo quindi per una natura sui generis di presa d'atto dell'accordo intervenuto e di esclusione della prova dell'innocenza (cfr. Treccani giuridica, voce: Sentenza III - natura giuridica della sentenza ex artt. 444-445 c.p.p.). Sulla scorta di tali elementi la giurisprudenza penale si è divisa in due filoni interpretativi.
Così, mentre alcune pronunce hanno escluso che la decisione dell'ex art. 444 abbia natura di sentenza di condanna, perché qui non ci sarebbe alcun accertamento di responsabilità dell'imputato (Cass. pen., sez. V, 1 ottobre 1992, in Mass. cass. pen., 1993, fasc. 7, 26; id., 24 gennaio 1994, in Cass. pen., 1995, 1941; id., sez. VI, 26 giugno 1995, in Foro it., 1996, II, 359 ecc. ecc.), altre hanno invece affermato che la sentenza di patteggiamento, presupponendo comunque un accertamento di responsabilità dell'imputato, ha natura di sentenza di condanna (Cass. pen., sez. I, 26 marzo 1991, in Cass. pen., 1992, 375; id., 3 aprile 1991, in Giur. it., 1991, II, 315) o vada equiparata ad essa (Cass. pen., sez. I, 28 giugno 1991, Del Sorbo, in Cass. pen., 1992, 237).
Altre, addirittura, l'hanno considerata come una decisione sui generis, atipica, né di condanna, né di proscioglimento (Cass. pen., sez. I, 6 settembre 1990, in Giur. it., 1991, II, 218; id., 8 luglio 1991, in Riv. pen., 1992, 492).
Anche per la giurisprudenza amministrativa la questione è controversa.
Secondo un primo orientamento giurisprudenziale amministrativo, la sentenza di patteggiamento equivarrebbe a quella di condanna, per l'espressa equiparazione sancita dall'art. 445 c.p.p. (Cons. Stato, sez. I, 27 maggio 1992, n. 1647, in Foro amm., 1994, 849; Tar Campania, Napoli, sez. III, 11 ottobre 1996, n. 646, in Tar, 1996, I, 4641).
Altri giudici amministrativi (Tar Piemonte, sez. I, 10 febbraio 1993, n. 73, in TAR, 1993, I, 1258; Tar Friuli-Venezia Giulia, 22 gennaio 1996, n. 13, ivi, 1996, I, 907), invece, partendo dal dato di fatto che la sentenza di condanna è pronunciata a seguito di dibattimento, dove c'è sempre un accertamento positivo e costitutivo della responsabilità dell'imputato, affermano che tale situazione difficilmente può ravvisarsi nella sentenza di patteggiamento, in cui manca un completo accertamento dei fatti, dovendo il giudice limitarsi qui a valutare se - allo stato degli atti - sussista o meno l'evidenza dell'innocenza ex art. 129 c.p.p. e negando, quindi, la natura di sentenza di condanna a quella ex art. 444.
Sulla stessa scia si è mossa anche la Corte dei conti, che nega la natura di sentenza di condanna a quella pronunciata su accordo delle parti, in quanto tale accordo non può essere sostitutivo dell'accertamento dei fatti, che è proprio del giudice e da questi a nessun altro delegabile (v. sez. II, 27 febbraio 1990, n. 70, in Cons. Stato, 1990, II, 355; id., 7 ottobre 1991, n. 308, in Foro amm., 1992, 1520, per la quale "la cognizione imperfetta che è propria della sentenza penale pronunciata su accordo delle parti ex art. 444 comma 1 c.p.p., comporta l'esclusione di ogni efficacia della stessa nei giudizi civili ed amministrativi, a nulla rilevando in contrario la circostanza che l'art. 445 c.p.p. dà alla equiparata pronuncia di condanna, in quanto tale equiparazione significa solo che della sentenza va tenuto conto ai fini della contestazione della recidiva, dell'abitualità e della professionalità di reato"). E proprio nell'ambito di quest'ultimo orientamento si iscrivono due sentenze rese dal T.A.R. Friuli-Venezia Giulia (cfr. T.A.R. Friuli-Venezia Giulia 29.7.1998, n. 1003; id., 30 agosto 2001, n. 563).
Con entrambe le decisioni il Tribunale - aderendo ad un preciso filone giurisprudenziale amministrativo - nega alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti il valore di sentenza di condanna, accogliendo i ricorsi dei privati ed annullando i provvedimenti impugnati. In particolare si segnala che la prima sentenza riguarda una fattispecie in cui la Provincia, in applicazione dell'art. 3 L. 264/91, ha negato l'autorizzazione al ricorrente condannato in base a decreto penale non opposto.
Si evidenzia infine che il legislatore ha equiparato espressamente la sentenza ex art. 444 c.p.p. ad una sentenza di condanna soltanto in taluni casi. (Così con l'art. 1, co. 3 della L. 475/99 - ai fini dell'ineleggibilità per i reati di cui all'art. 15 L. 55/90 - nella misura in cui fa venir meno l'onorabilità del candidato a ricoprire determinate cariche pubbliche elettive (C.S., Sez. V, 13.9.99, n. 1052) ed in materia di lavori pubblici (art. 17, lett. c) D.P.R. n. 34/2000).
Sulla scorta delle osservazioni che precedono e considerato che non sussiste alcuna norma analoga a quelle suindicate nel settore dell'autorizzazione amministrativa al cui rilascio è preposto codesto Dipartimento, non sembra condivisibile l'orientamento espresso da codesta Amministrazione in ordine al primo quesito.

3. Il secondo dei quesiti prospettati si esamina per mera completezza ritenendosi la problematica assorbita dalla trattazione di cui al precedente punto 2).
Si osserva al riguardo che l'art. 445, co. 2, c.p.p. - nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della L. 12 giugno 2003, n.134 - così disponeva: "2. Il reato è estinto se nel termine di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l'imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale, e se è stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l'applicazione non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena.". Di tale formulazione il Ministero dell'interno, con la circolare 25 novembre 1998, n. 4/98 (Gazz. Uff. 7 dicembre 1998, n. 286), aveva fornito l'interpretazione in relazione all'art. 1, comma 1, lett. c), L. 19 marzo 1990, n. 55.
Con la suindicata circolare il Ministero ha precisato, con riguardo alla problematica dell'ineleggibilità, che la sentenza in questione è equiparata a sentenza di condanna (in forza dell'espressa previsione dell'art. 1, co. 3 della L. 13.12.1999 e successive modificazioni) e integra, pertanto, una causa di ineleggibilità.
Tuttavia, in ordine al limite temporale di efficacia della suddetta misura inibitoria il Ministero predetto ha precisato che "l'effetto estintivo proprio del decorso del termine di cinque anni, quale è disciplinto dall'art. 445, co. 2 c.p.p., è più ampio di quello previsto dalla riabilitazione". Sembra infatti che tale effetto venga meno al decorrere del summenzionato termine, qualora non siano intervenute medio tempore pronunce ostative e senza necessità di una pronuncia giudiziale sul punto in quanto derivante direttamente dalla legge.
Nel caso sottoposto all'esame di chi scrive risulta che il richiedente è stato sottoposto a due distinti procedimenti penali per delitti della medesima natura. Il primo si è concluso con sentenza ex art. 445 c.p.p., irrevocabile il 15.11.1993, ed anche il secondo si è concluso con sentenza della medesima tipologia, irrevocabile il 26.11.1997. Considerato che da tale ultima data è trascorso un quinquennio sembra essersi verificato l'effetto estintivo previsto dalla norma processuale suindicata, secondo quanto ritenuto con la citata circolare ministeriale n. 4 del 25.11.1998.
Sembrerebbe pertanto possibile rilasciare gli attestati in questione.
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A termini dell'art. 15, del "Regolamento approvato con D.P. Reg. 16 giugno 1998, n. 18", lo Scrivente acconsente alla diffusione del presente parere in relazione ad eventuali domande di accesso inerenti il medesimo.
Codesta Amministrazione vorrà comunicare, entro novanta giorni dalla ricezione, l'eventuale possibilità che il parere stesso inerisca una lite, ovvero se intende differirne la pubblicazione sino all'adozione di eventuali provvedimenti amministrativi. Decorso tale termine senza alcuna comunicazione in tal senso si consentirà la diffusione sulla banca dati "FONS" giusta delibera di Giunta regionale n.229 dell'8 luglio 1998.


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