Repubblica Italiana
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Gruppo    II                          /143.00.11

OGGETTO: Sospensione cautelare facoltativa ex art. 91 T.U. 3/57 a seguito di procedimento penale.

   
   
   
                                                Assessorato regionale
                                                 Lavori pubblici
                                                 P A L E R M O
   
                             e, p.c.     Direzione regionale del
                                                 personale e dei SS.GG.
                                                 S E D E
   
   
                 1.- Con la nota n. 4260 del 15 maggio 2000 codesto Assessorato, premesso di avere ricevuto due note della Procura della Repubblica presso il Tribunale di XXXX del 20.12.1999 con le quali è stato informato che nei confronti dell'............ e di un dirigente tecnico era stata esercitata l'azione penale per i reati di cui:
   1. agli artt. 81 cpv, 110, 323 pI e cpv, 61 n. 7 cp.;
   2. agli artt. 81 cpv, 110, 479 cp.;
   3. agli artt. 81 cpv, 110, 640 pI e cpv n. 1, 61 n. 7 cp., commessi, rispettivamente, dal primo nella sua qualità di ingegnere capo nell'appalto  di costruzione del porto di XXXX, dal secondo nella qualità di componente della relativa Commissione di collaudo e che in data 23.03.2000 la predetta Procura ha comunicato che il GUP aveva disposto il rinvio a giudizio nei confronti dei due accusati, ha chiesto allo Scrivente di esprimere il proprio parere "in merito ai reati contestati ai dipendenti in questione se possano qualificarsi come particolarmente gravi".
                 Ritiene al riguardo codesto Assessorato che, "secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente, la particolare gravità del reato si pone, ai fini dell'adozione eventuale, da parte dell'Amministrazione, del provvedimento di sospensione cautelare facoltativa ex art. 91 primo comma prima parte T.U. n. 3/57 come presupposto imprescindibile della sospensione medesima e non già come presupposto specifico della obbligatorietà della stessa".
                 "Infatti, qualora il reato non sia di natura particolarmente grave, tale tipo di sospensione non può essere adottata neppure nell'esercizio del potere discrezionale dell'Amministrazione (ex plurimis: Consiglio di Stato, VI, 2 giugno 1988, n. 777)".
                 Inoltre, con la successiva lettera n. 6057 del 14 luglio s., nel trasmettere, su richiesta dello Scrivente copie delle due note della Procura sopra citate, chiede di conoscere se nella fattispecie di cui trattasi ricorrano i presupposti previsti dall'art. 21 della l.r. 10/2000.
   
                 2.- L'art. 91 del T.U. 10 gennaio 1957, n. 3, prescrive che "L'impiegato sottoposto al procedimento penale può essere, quando la natura del reato sia particolarmente grave sospeso dal servizio".... (c. 1, prima parte).
                 Stabilire quando un reato sia particolarmente grave è un compito assai arduo in mancanza di univoci argomenti ermeneutici rinvenibili nella vigente legislazione penale e attesa la molteplicità degli elementi presi in considerazione a tal fine dalla dottrina (interesse o bene giuridico tutelato, allarme sociale, momento soggettivo del reato etc.) e la loro variabilità nel tempo (cfr. F. Antolisei, Manuale di diritto penale, Milano 1997, p. 177 e segg.).
                 Ciò stante, una prima linea di discriminazione rilevante è ovviamente quella tra delitti e contravvenzioni, le quali sono, per comune principio, reati meno gravi essendo soggette a specie di pena diversa da quelle previste per i delitti.
                 Ma, restando nell'ambito dei delitti, il criterio più concreto per individuare la maggiore gravità del fatto criminoso sembra quello dell'entità della pena.
                 Tale criterio nel caso di specie va coniugato con quelli dell'allarme sociale e del disdoro per la pubblica Amministrazione di appartenenza degli imputati.
                 Ora nella fattispecie in esame, il rinvio a giudizio dei due "imputati" è stato disposto per i capi di imputazione indicati nelle note della Procura della Repubblica presso il Tribunale di XXXX.
                 Dall'esame di dette note si rileva in primis la contestazione del reato di truffa, di cui al capo II del codice penale, "Dei delitti contro il patrimonio mediante frode", previsto dall'art. 476, che così dispone:
                 "Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sè o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con  la reclusione da sei mesi a tre anni e con una multa da lire centomila a due milioni.
                 La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da lire seicentomila a tre milioni:
                 1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico"
   O M I S S I S


                 In secondo luogo viene contestato il reato di abuso d'ufficio inserito nel titolo II, "Dei delitti contro la pubblica Amministrazione" previsto dall'art. 323, il quale dispone testualmente:
                 "Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
                 La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità".
                 In fine vi è l'imputazione per il reato di "falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici", previsto dal capo III, "della falsità in atti", di cui all'art. 479 C.P., ove è previsto che:
                 "Il pubblico ufficiale, che, ricevendo o formando un atto nell'esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell'articolo 476", ossia la reclusione da uno a sei anni, ovvero se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a 10 anni.
                 Dalla superiore rassegna si evince che le pene previste per i reati contestati ai funzionari regionali di cui sopra sono di entità non inferiore (abuso d'ufficio) o addirittura superiore (truffa ai danni di un ente pubblico, falso ideologico) a quelle previste per alcuni dei reati elencati alla lett. b) del comma 1 dell'art. 15 L. 19 marzo 1990, n. 55 e succ. modif. (peculato mediante profitto dell'errore altrui, malversazione ai danni dello Stato, corruzione propria) la cui commissione, accertata con condanna definitiva (cfr. art. 1, c. 1, L. 13 dicembre 1999, n. 475) comporta la sospensione obbligatoria "dalla funzione o dall'ufficio ricoperti".
                 A ciò va aggiunto che sulla gravità oggettiva del reato influiscono le circostanze aggravanti come, nella fattispecie esaminata, quella generica prevista nel n. 7 dell'art. 61, C.P.; ricorrente in due delle imputazioni (abuso aggravato continuato in atti d'ufficio e truffa aggravata continuata) comuni ai due impiegati (lettere A e C delle note della Procura presso il Tribunale di XXXX sopra menzionate).
                 Sotto i profili, poi, dell'allarme sociale (e del conseguente danno d'immagine per l'Amministrazione di appartenenza degli imputati) non pare che quello destato dalla truffa ai danni della P.A. o dal falso ideologico sia inferiore, ad esempio, a quello creato dalla malversazione a danno dello Stato o dal peculato mediante profitto dell'errore altrui.
   
                 Il quesito formulato con la lettera n. 6057 del 14 luglio s. è di soluzione più semplice.
                 Il trasferimento previsto dall'art. 21, c. 10, della l.r. 15 maggio 2000, n. 16, infatti, scatta in caso di rinvio a giudizio del dipendente dell'Amministrazione regionale per qualsiasi "delitto contro la pubblica amministrazione" indipendentemente dalla gravità del reato e non sembra rivestire carattere discrezionale ("l'organo competente provvede"), a differenza della sospensione facoltativa dal servizio, la cui adozione comunque comporta un apprezzamento di merito di codesta Amministrazione sulla scorta dei criteri di massima forniti dallo Scrivente.
   
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                 Ai sensi dell'art. 15, co. 2, del D.P.Reg. 16 giugno 1998, n. 12, lo scrivente acconsente sin d'ora all'accesso presso codesto Assessorato al presente parere da parte di eventuali soggetti richiedenti.
                 Si ricorda poi che, in conformità alla circolare presidenziale dell'8 settembre 1998, n. 16586/66.98.12, trascorsi 90 giorni dalla data di ricevimento del presente parere senza che codesta Amministrazione ne comunichi la riservatezza, lo stesso potrà essere inserito nella banca dati "FONS".

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