POS. I Prot._______________/126.11.2009

OGGETTO: Ente pubblico e privato - Riduzione costi apparati pubblici regionali e tutela della concorrenza - Art.7, l.r. n.6/2009 - Applicabilità alle partecipazioni istituzionali dei Consorzi.





ASSESSORATO REGIONALE DELL'INDUSTRIA
Dipartimento Industria e Miniere
PALERMO




e, p.c.  ASSESSORATO REGIONALE DEL  
  BILANCIO E DELLE FINANZE 
  Dipartimento Bilancio e Tesoro 
      PALERMO 







1. Con nota prot. n.30352 del 24 luglio 2009 codesto Dipartimento ha chiesto l'avviso dello Scrivente in ordine all'interpretazione dell'art. 7, l.r. 14 maggio 2009, n.6 che, dopo avere introdotto il divieto per società a capitale interamente o a maggioranza pubblico, nonchè per aziende, istituti, agenzie, consorzi, organismi ed enti regionali comunque denominati di procedere alla costituzione o partecipazione a società od organismi vari (primo comma), dispone che i predetti enti, entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge, devono procedere alla liquidazione delle società od organismi partecipati (secondo comma).
In particolare codesta Amministrazione, premesso di avere sollecitato i Consorzi per le Aree di Sviluppo Industriale a liquidare le proprie partecipazioni, rappresenta che taluni Consorzi hanno avanzato perplessità fondate sulle seguenti considerazioni: 1) la citata disposizione non sarebbe applicabile laddove gli Enti consortili detengano una quota minoritaria del capitale sociale; 2) ove si dovesse ritenere prevalente la finalità espressa dalla rubrica della norma (e cioè la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali), "si incorrerebbe nel paradosso di dover ... sostenere inderogabilmente cospicui oneri di consulenza da corrispondere ad un advisor per la valutazione della medesima partecipazione detenuta dall'Ente"; 3) alla luce della finalità di tutela della concorrenza (v. primo comma), invero, la norma viene ritenuta derogabile nei casi in cui, in considerazione della peculiare natura degli enti o dell'attività in concreto svolta, non vi sia il rischio di alterazione delle condizioni del libero mercato.


2. Sulla questione suesposta si osserva quanto segue.
L'art.7 della legge regionale 15 maggio 2009, n.6, recante "Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali.", dispone testualmente che:
"1. Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori, è fatto divieto alle società, a capitale interamente o a maggioranza pubblico non quotate in borsa, costituite o partecipate dall'Amministrazione regionale nonché alle aziende regionali, agli istituti, alle agenzie, ai consorzi, agli organismi ed enti regionali comunque denominati, di procedere alla costituzione o partecipazione ad altre società od organismi vari.
2. Gli enti di cui al comma 1 procedono, entro 90 giorni dall'entrata in vigore della presente legge, alla liquidazione delle società od organismi partecipati, comunicando l'avvio delle procedure ed i tempi di liquidazione agli organi tutori e alla Ragioneria generale della Regione.
3. Il mancato avvio delle procedure previste dal presente articolo comporta l'immediata decadenza di tutti gli organi d'amministrazione degli enti di cui al comma 1 o la revoca dei rappresentanti della Regione nelle società.".

La norma regionale ripropone -parzialmente e con qualche sostanziale modifica- due norme statali, una concernente le società a capitale interamente pubblico o misto, e l'altra gli enti pubblici, che qui è bene richiamare.
In particolare, l'art.13 del decreto legge 4 luglio 2006, n.223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n.248, e successive modifiche e integrazioni, impone alcune limitazioni alle società partecipate da regioni ed enti locali per lo svolgimento di funzioni amministrative o attività strumentali alle stesse, disponendo che:
"1. Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali e dei servizi di committenza o delle centrali di committenza apprestati a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonchè, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, nè in affidamento diretto nè con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale. Le società che svolgono l'attività di intermediazione finanziaria prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre società o enti.
2. Le società di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1.
3. Al fine di assicurare l'effettività delle precedenti disposizioni, le società di cui al comma 1 cessano entro quarantadue mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto le attività non consentite. A tale fine possono cedere, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, le attività non consentite a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata società. I contratti relativi alle attività non cedute o scorporate ai sensi del periodo precedente perdono efficacia alla scadenza del termine indicato nel primo periodo del presente comma.
4. I contratti conclusi, dopo la data di entrata in vigore del presente decreto, in violazione delle prescrizioni dei commi 1 e 2 sono nulli. Restano validi, fatte salve le prescrizioni di cui al comma 3, i contratti conclusi dopo la data di entrata in vigore del presente decreto, ma in esito a procedure di aggiudicazione bandite prima della predetta data".

L'art.3, L. 24 dicembre 2007, n.244, ai commi 27-32 bis, impone una serie di limitazioni alle amministrazioni pubbliche, segnatamente, disponendo, in particolare, ai commi 27 e 29 che:
"27. Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. È sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi di committenza o di centrali di committenza a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e l'assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell'ambito dei rispettivi livelli di competenza.
.............................
29. Entro trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, cedono a terzi le società e le partecipazioni vietate ai sensi del comma 27. Per le società partecipate dallo Stato, restano ferme le disposizioni di legge in materia di alienazione di partecipazioni".


3. Prima di entrare nel merito della problematica sottoposta allo Scrivente, non si può prescindere dal richiamare le pronunce della Corte costituzionale nei giudizi di legittimità costituzionale delle disposizioni statali citate.

La Corte costituzionale, nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art.13, D.L. n.223/2006 cit. (promosso, tra le altre, anche dalla Regione siciliana) ha ricondotto le disposizioni impugnate, sotto il profilo del contenuto, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di "ordinamento civile", in quanto volte a definire i confini tra l'attività amministrativa e l'attività d'impresa, soggetta alle regole del mercato e, sotto il profilo delle finalità, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di "tutela della concorrenza", in quanto volte a eliminare distorsioni della concorrenza stessa.
A tale ultimo riguardo, la Corte ha precisato che "l'obiettivo delle disposizioni impugnate è quello di evitare che soggetti dotati di privilegi operino in mercati concorrenziali. Dunque, la disciplina delle società con partecipazione pubblica dettata dalla norma statale è rivolta ad impedire che dette società costituiscano fattori di distorsione della concorrenza. Essa rientra, quindi, nella materia - definita prevalentemente in base al fine - della "tutela della concorrenza"" (v. Corte cost., sentenza n.326 del 2008).

Nell'analizzare, poi, le singole previsioni, la Corte ha affermato che "il divieto di detenere partecipazioni in altre società o enti ... è complementare rispetto alle altre disposizioni considerate. É volto, infatti, a evitare che le società in questione svolgano indirettamente, attraverso proprie partecipazioni o articolazioni, le attività loro precluse. La disposizione impugnata vieta loro non di detenere qualsiasi partecipazione o di aderire a qualsiasi ente, ma solo di detenere partecipazioni in società o enti che operino in settori preclusi alle società stesse".

Parimenti, nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art.3, commi 27 e segg., L.n.244/2007 cit., la Corte costituzionale nel ribadire la competenza esclusiva dello Stato nella materia de qua, ha affermato segnatamente che, anche alla luce della Relazione al disegno di legge, "lo scopo delle norme censurate, le quali, in considerazione del loro contenuto, sono appunto dirette ad evitare che soggetti dotati di privilegi svolgano attività economica al di fuori dei casi nei quali ciò è imprescindibile per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ovvero per la produzione di servizi di interesse generale (casi compiutamente identificati dal citato art. 3, comma 27), al fine di eliminare eventuali distorsioni della concorrenza, quindi sono preordinate a scongiurare una commistione che il legislatore statale ha reputato pregiudizievole della concorrenza (sentenza n. 326 del 2008). Inoltre, esse mirano a realizzare detta finalità con modalità non irragionevoli, siccome il divieto stabilito dalle disposizioni censurate e l'obbligo di dismettere le partecipazioni possedute in violazione del medesimo non hanno carattere di generalità, ma riguardano esclusivamente i casi nei quali non sussista una relazione necessaria tra società, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche, e perseguimento delle finalità istituzionali.".

Alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale, che ha dichiarato non fondate le suesposte questioni di legittimità costituzionale, le norme statali devono trovare applicazione nell'intero territorio nazionale, in quanto rientranti, come visto, nella competenza esclusiva dello Stato.
D'altronde, la circolare n.13 del 18 agosto 2009 dell'Assessorato regionale per il bilancio e le finanze, nel dettare una serie di "indicazioni esplicative" relative all'art.7, l.r. n.6/2009 cit., ha correttamente chiarito che "la norma in argomento (l'art.7, l.r. n.6/2009) richiama le disposizioni nazionali in materia, che hanno per l'appunto introdotto taluni limiti alle società a capitale interamente pubblico o misto, ad enti ed altri organismi. ......", e che "pertanto ai soggetti specificati nella normativa regionale in argomento... si applicano altresì le prescrizioni della richiamata normativa nazionale".


4. Tutto ciò premesso, in ordine agli specifici quesiti sottoposti allo Scrivente, si osserva quanto segue.
Innanzitutto, per quanto la norma regionale sia poco chiara con riferimento alle partecipazioni societarie (al secondo comma si fa riferimento soltanto alla liquidazione della società), è chiaro da quanto sopra detto che, nel caso di partecipazione, anche minoritaria dell'ente in società a capitale misto, è sufficiente cedere le quote societarie.

In secondo luogo, occorre partire dalla premessa che la finalità precipua delle norme esaminate, anche alla luce della pronunzie della Corte costituzionale, è quella di evitare distorsioni della concorrenza.

L'individuazione in concreto dei casi in cui vi può essere distorsione della concorrenza, come sopra visto, è stata ancorata dal legislatore (statale) ad un criterio ben preciso e non è rimessa alla valutazione (arbitraria) dell'interprete.
La normativa statale consente, infatti, di mantenere le partecipazioni in società che hanno ad oggetto attività di produzione di beni e di servizi strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali.
Per converso, devono essere cedute tutte le partecipazioni, anche di minoranza, in società aventi ad oggetto attività di produzione di beni e servizi non strumentali all'attività istituzionale dell'ente.
Analogamente, per i casi di società a capitale interamente pubblico, le stesse dovranno essere liquidate dagli enti, allorchè l'oggetto sociale non rientri tra le finalità istituzionali dell'ente.

Ora, i consorzi A.S.I. sono enti di diritto pubblico non economici, secondo l'espressa qualificazione datane dal legislatore all'art.2, l.r. 4 gennaio 1984, n.1. I medesimi sono, pertanto, tenuti agli obblighi di liquidazione e/o dismissione previsti dalle disposizioni esaminate.

I consorzi in oggetto si configurano come enti strumentali della Regione come ben si evince dall'art. 1, comma 1, della l.r. n. 1/1984 ult. cit., che espressamente statuisce, tra l'altro, che "la Regione siciliana svolge la propria attività di intervento nell'ambito delle aree destinate ad insediamenti industriali attraverso i consorzi per le aree di sviluppo industriale".
Ne deriva che i Consorzi ASI sono, nell'impianto normativo, titolari di attribuzioni che attengono a funzioni pubblicistiche di interesse generale.
In particolare, come specificato all'art.3, l.r. ult. cit.:
"I consorzi mirano a favorire l'insediamento di piccole e medie imprese nelle aree attrezzate secondo gli indirizzi stabiliti dagli organi regionali all'uopo preposti.
Per il conseguimento di tale scopo i consorzi provvedono a:
a) predisporre i piani regolatori delle aree e dei nuclei;
b) acquisire e cedere terreni per la costruzione di stabilimenti industriali;
c) progettare, eseguire e gestire le opere infrastrutturali, i servizi sociali e tecnologici, i rustici industriali da cedere anche in locazione finanziaria alle imprese e tutte le altre opere di interesse generale al servizio dell'industria ovvero atte a favorirne la localizzazione;
d) svolgere tutti gli altri compiti loro assegnati da particolari leggi regionali e dalle leggi nazionali.".

Occorrerà, pertanto, verificare, caso per caso, se le società costituite e/o partecipate dai consorzi abbiano ad oggetto attività che attengono alle finalità istituzionali assegnate dalla legge ai consorzi. In caso negativo, i consorzi saranno tenuti a liquidare le società dagli stessi costituite o alienare le partecipazioni societarie detenute secondo le indicazioni contenute dal complessivo quadro normativo (statale e regionale) sopra esaminato.

Il presente parere viene inviato, per una dovuta conoscenza in considerazione delle competenze ascritte in materia, ed al fine di renderlo partecipe della problematica in discorso e delle soluzioni proposte, al Dipartimento regionale del bilancio e delle finanze.
Nelle superiori considerazioni è il parere dello Scrivente.



A termini dell'art. 15 del regolamento approvato con D.P.Reg. 16 giugno 1998, n. 12, lo Scrivente acconsente alla diffusione del presente parere in relazione ad eventuali domande di accesso inerenti il medesimo.
Codesta Amministrazione vorrà comunicare, entro novanta giorni dalla ricezione, l'eventuale possibilità che il parere stesso inerisca una lite, ovvero se intende differirne la pubblicazione sino all'adozione di eventuali provvedimenti amministrativi. Decorso tale termine senza alcuna comunicazione in tal senso si consentirà la diffusione sulla banca dati "FoNS", giusta delibera di Giunta regionale n. 229 dell'8 luglio 1998.



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