Pos. 1   Prot. N. /80.11.2009 


Oggetto: Istituto reg.le della Vite e del Vino - Conferimento incarico di collaborazione coordinata e continuativa - Divieto di assunzioni ex delibera di Giunta Regionale n. 221 del 30/09/2008 e l.r. 25/2008.




Allegati n...........................



ASSESSORATO REGIONALE AGRICOLTURA E FORESTE
DIPARTIMENTO INTERVENTI INFRASTRUTTURALI
PALERMO




1. Con nota n. 44225 dell'11 maggio c.a., codesto Dipartimento formula una richiesta di parere con la quale chiede l'avviso dello scrivente Ufficio sulla legittimità della deliberazione con la quale il C.d.A. dell'Istituto regionale della Vite e del Vino. ente vigilato, ha approvato lo schema di avviso di gara per il conferimento di un incarico di collaborazione coordinata e continuativa.
Codesto Dipartimento riferisce di aver proceduto all'annullamento dell'atto deliberativo ritenendo l'adozione dello stesso in contrasto con quanto previsto dalla deliberazione della Giunta Regionale n. 221 del 30/09/2008.

L'Istituto, con proprie deduzioni, ha evidenziato che l'incarico in questione rientra nella tipologia dei contratti di lavoro autonomo disciplinati dall'art. 7 del d.l.vo 162/2001, nel testo vigente; mentre dalla delibera dell'Istituto e dagli atti prodromici -per quanto allegato in copia alla richiesta di consultazione- risulta che l'incarico da attribuire è quello di responsabile del servizio prevenzione e protezione ai sensi degli articoli 31-35 del d.l.vo 9 aprile 2008, n. 81, il cui art. 31, comma 4, sancisce che "Il ricorso a persone o servizi esterni è obbligatorio in assenza di dipendenti che, all'interno dell'azienda ovvero dell'unità produttiva, siano in possesso dei requisiti di cui all'articolo 32" e che l'Istituto stesso attesta che, allo stato, nessun dipendente dell'Ente è in possesso dei prescritti requisiti.



2. Sulla suesposta questione si osserva quanto segue.

La citata deliberazione della Giunta Regionale n. 221 del 30/09/08 ha previsto il "divieto per gli enti pubblici sottoposti a vigilanza e/o controllo della Regione siciliana di cui all'articolo 1, commi 1 e 3, della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10 ......... di bandire concorsi , effettuare selezioni di personale, indipendentemente dalla qualifica o funzioni da ricoprire, nonché di procedere all'assunzione di personale a tempo determinato o indeterminato ovvero a promozioni".

Successivamente la legge regionale 29 dicembre 2008, n. 25 all'art. 1, comma 10, ha stabilito il "divieto alle Amministrazioni regionali, istituti, aziende, agenzie, consorzi, esclusi quelli costituiti unicamente tra enti locali, organismi ed enti regionali comunque denominati, che usufruiscono di trasferimenti diretti da parte della Regione, di procedere ad assunzioni di nuovo personale sia a tempo indeterminato che a tempo determinato".

Tale divieto, oggi è espressamente sancito da tale norma di rango primario, alla quale occorre quindi far riferimento particolarmente per gli enti dotati di autonomia, ed è espressione della decisione di contenere la spesa pubblica impedendo nuove assunzioni, qualunque sia la forma, e cioè di non procedere alla instaurazione di nuovi rapporti di lavoro che comportino nuovi oneri.


Ciò premesso, in ordine alla riconducibilità dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa al citato divieto recato dalle prescrizioni dell'art. 1, c. 10, della l.r. 25/08 si osserva quanto segue.


La fattispecie delle collaborazioni è regolata dall' art. 7, comma 6, del D.L.vo 165/01, così come novellato dalle normative sopravvenute, norma cui dottrina e giurisprudenza riconducono la fattispecie, escludendosi che il solo nomen iuris attribuito al rapporto di lavoro instaurato sia sufficiente a giustificare e legittimare i presupposti e la natura della prestazione.
In tal senso si evidenzia che il ricorso sempre maggiore da parte delle pubbliche amministrazioni all'affidamento di incarichi di collaborazione è stato accompagnato da ripetuti interventi sulla materia da parte della Corte dei Conti e della Corte di Cassazione, che hanno prodotto la progressiva formazione di un uniforme e, ormai, consolidato indirizzo giurisprudenziale recepito, dapprima, dal Dipartimento della Funzione Pubblica in diverse circolari applicative e, successivamente, dal legislatore nazionale che, modificando il citato art. 7, comma 6, ha operato una rigorosa circoscrizione dei presupposti e delle esigenze che possono giustificare, e legittimare, il ricorso a collaborazioni di carattere autonomo.
Ciò con il preciso obiettivo di delimitare le ipotesi di ricorso all'istituto entro i confini ed i principi di sana e corretta gestione che presiedono all'attività della pubblica amministrazione.
In primo luogo, il ricorso a tali forme contrattuali è stato limitato ad ipotesi ed esigenze della P.A. di carattere straordinario ed eccezionale, per l'espletamento di prestazioni di elevata professionalità, e collegato all'impossibilità da parte della P.A. medesima di provvedere con professionalità già presenti al proprio interno.
Ne consegue che l'attivazione di rapporti di tale natura configura un obbligo di motivazione in capo alla P.A. che è chiamata ad illustrare e dimostrare preliminarmente e formalmente la straordinarietà dell'esigenza, ma anche l'assoluta impossibilità di provvedervi tramite personale interno, rectius l'assenza in organico di personale dotato di professionalità analoga a quella di cui si intende avvalersi con ricorso all'esterno.
Inoltre, quale ulteriore e fondante carattere distintivo, il rapporto di lavoro da instaurare deve essere connotato dall' autonomia del lavoratore nello svolgimento delle prestazioni, tale da renderle quali prestazioni di lavoro autonomo.
Diversamente si concretizzerebbe, una elusione delle norme e dei principi costituzionali sull'accesso alla P.A. tramite pubblico concorso, delle norme sul buon andamento e sulla imparzialità dell'azione amministrativa.
I principi guida elaborati dalla Corte dei Conti, (vedi, tra le altre, Corte dei Conti Sez. Giurisd. per il Veneto 3 novembre n. 1124/2003) fatti propri dal citato art. 7, comma 6, del D.L.vo 165/01, hanno individuato, infine, relativamente all'eventualità di danno erariale, i presupposti essenziali per il ricorso alle collaborazioni i quali possono essere così riassunti:
- l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'Amministrazione conferente e, altresì, corrispondere ad obiettivi e progetti specifici e determinati;
- l'Amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare risorse umane disponibili al suo interno da verificare attraverso una reale ricognizione;
- l'esigenza deve essere di natura temporanea eccezionale, non ordinariamente inseribile in una fisiologica attività di pianificazione di peculiare gestione efficace efficiente ed economica e richiedere prestazioni connotate da una alta e peculiare qualificazione;
- infine devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.
È evidente che in assenza di tali presupposti il dirigente che ha provveduto al conferimento incorre in ipotesi di responsabilità per danno erariale.
Peraltro l'ultima novità introdotta nel testo del più volte citato art. 7, comma 6, sancisce che ogni amministrazione deve disciplinare e rendere pubbliche, secondo i propri ordinamenti, le procedure comparative per il conferimento di incarichi di collaborazione.
Il che comporta che la preventiva regolamentazione e una adeguata pubblicità delle procedure comparative costituisce presupposto - anch'esso essenziale - per un legittimo conferimento di un incarico di collaborazione.

Alla luce di quanto precede, appare evidente che se nella categoria di rapporti di lavoro di pubblico impiego non possono essere ricompresi i rapporti instaurati a seguito di stipula di un contratto di conferimento di un incarico di collaborazione coordinata e continuativa, di contro il ricorso a tali forme di collaborazione con soggetti esterni alla P.A. sia da considerarsi assolutamente eccezionale non solo per mera enunciazione ma, in concreto, per l'esistenza di una documentata esigenza attuale, eccezionale e temporanea.
Peraltro, anche nella ipotesi della sussistenza di tali requisiti la temporaneità va correlata con le specifiche esigenze di carattere continuativo che ne giustificano la stessa attivazione e, quindi, con l'immediata e contemporanea attivazione di procedure per la definitiva e stabile copertura dell'esigenza attraverso, ad esempio, specifica formazione del personale in servizio.

Pertanto, non pare, ad avviso dello scrivente, che i divieti di cui all'art. 1, comma 10, della legge regionale 29 dicembre 2008, n. 25 possano ritenersi indirizzati anche nei confronti di siffatti rapporti di lavoro, semprechè, come detto, sussistano tutti i presupposti perchè si possa correttamente inquadrarli in rapporti di collaborazione autonoma di cui all'art. 7 del d. l.vo 165/2001.

Con riferimento alla fattispecie sottoposta, quindi, nella considerazione che si tratta di svolgere un'attività necessaria a termini del richiamato d.l.vo 9 aprile 2008, n. 81, il cui art. 31, come detto impone "Il ricorso a persone o servizi esterni ..... in assenza di dipendenti che, all'interno dell'azienda ovvero dell'unità produttiva, siano in possesso dei requisiti di cui all'articolo 32" e che l'Istituto stesso attesta che, allo stato, nessun dipendente è in possesso dei prescritti requisiti, sembra che possano considerarsi ricorrenti i presupposti individuati dall'art. 7 del d.l.vo 165/2001 per il ricorso a collaborazioni esterne, pur rilevando che, essendo il ricorso a tali forme da considerarsi assolutamente eccezionale per l'esistenza di una documentata esigenza attuale, eccezionale e temporanea, appare necessario che, in contemporanea, vengano attivate le necessarie procedure per consentire l'idonea formazione di personale interno da destinare al servizio di prevenzione e protezione.


Nei termini il reso parere.
A termini dell'art. 15 del regolamento approvato con D.P.Reg. 16 giugno 1998, n. 12, lo Scrivente acconsente alla diffusione del presente parere in relazione ad eventuali domande di accesso inerenti il medesimo.
Codesta Amministrazione vorrà comunicare, entro novanta giorni dalla ricezione, l'eventuale possibilità che il parere stesso inerisca una lite, ovvero se intende differirne la pubblicazione sino all'adozione di eventuali provvedimenti amministrativi. Decorso tale termine senza alcuna comunicazione in tal senso si consentirà la diffusione sulla banca dati dell'Ufficio, giusta delibera di Giunta regionale n. 229 dell'8 luglio 1998.


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