Pos. I Prot. _______ /194.07.11


OGGETTO: Impiego pubblico - Procedimento disciplinare - Rinnovabilità.


ASSESSORATO REGIONALE
DELLA FAMIGLIA, DELLE POLITICHE SOCIALI E DELLE AUTONOMIE LOCALI
Dipartimento regionale della famiglia, delle politiche sociali e delle autonomie locali.
(rif. nota 2 agosto 2007, n. 1108)

PALERMO

1. Con la lettera in riferimento codesto Assessorato sottopone all'Ufficio una questione, sollevata dal Comune di xxxxxxxx, concernente i rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare.
Al riguardo codesto Dipartimento rappresenta quanto segue.
Con provvedimento del 3 febbraio 2000, adottato a seguito di regolare procedimento disciplinare, il competente dirigente di settore del Comune sopra indicato irrogava la sanzione del licenziamento con preavviso nei confronti di un dipendente comunale per aver abusivamente utilizzato l'utenza telefonica dell'ufficio dove prestava servizio.
Detto licenziamento veniva impugnato dal dipendente innanzi al giudice del lavoro e la controversia instaurata si concludeva con una conciliazione giudiziale in forza della quale il medesimo dipendente era riammesso in servizio per essere destinato a mansioni diverse da quelle prima espletate, fermo restando l'obbligo dello stesso di rimborsare le spese indebitamente sostenute dall'amministrazione comunale per l'uso a scopi personali del telefono dell'ufficio.
Successivamente, con sentenza del tribunale di Palermo, sez. III penale, n. 4300/2004 del 14 dicembre 2004, il dipendente de quo veniva condannato per il reato di peculato (art. 314, primo comma, c.p.), in relazione ai fatti sopra rappresentati, nonché per il reato di truffa (art. 640 c.p.) con riferimento ad altri fatti relativi alla concessione illegittima di un loculo cimiteriale; tale sentenza è stata confermata dalla Corte di appello di Palermo, sez. III penale, con sentenza n. 579/2006 del 22 febbraio 2006, nonché dalla Corte di Cassazione con sentenza del 26 febbraio 2007.
Divenuta dunque irrevocabile la sentenza di condanna, il Comune interessato acquisiva parere pro-veritate sulla questione concernente gli effetti disciplinari del giudicato penale; poiché in tale parere si "suggeriva" la "riapertura del procedimento disciplinare anche per la condotta sanzionata dall'Art. 314 c.p.", con nota n. 43398 del 1 giugno 2007, a firma del segretario generale del predetto Comune, è stata data al dipendente interessato comunicazione della riapertura del procedimento disciplinare.
Ciò premesso, considerato che i fatti che hanno dato luogo alla condanna per il reato di peculato sono già stati oggetto di precedente apprezzamento e determinazione da parte del Comune in questione e tenuto conto altresì che il primo procedimento disciplinare potrebbe aver consumato la potestà sanzionatoria dell'amministrazione comunale per il medesimo fatto, vien chiesto il parere dello scrivente "in ordine alla obbligatorietà, o meglio, alla stessa possibilità per l'Amministrazione di rinnovare, a seguito dell'intervenuta condanna del dipendente, il procedimento disciplinare anche in relazione all'ipotesi di peculato".

2. La questione prospettata richiede in via preliminare l'esame della problematica concernente l'applicabilità, nell'ambito del procedimento disciplinare, del principio di tipica matrice processuale penale del "ne bis in idem".
Tale principio, in particolare, trova espressione nell'art. 649 c.p.p. che statuisce il divieto di un secondo giudizio ed impedisce al giudice di procedere contro lo stesso imputato per il medesimo fatto già giudicato con sentenza irrevocabile; il principio in esame è dunque finalizzato ad evitare che per lo stesso fatto-reato si svolgano più procedimenti e si adottino più provvedimenti anche non irrevocabili, l'uno indipendentemente dall'altro.
Ciò detto, si fa presente ora, in via generale, che la questione della applicabilità del principio del "ne bis in idem" al giudizio disciplinare è risolta positivamente sia in giurisprudenza che in dottrina.
Ed invero, premesso che secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente "il principio del ne bis in idem costituisce un principio generale del nostro ordinamento applicabile a qualsiasi procedura coinvolgente, sotto qualche aspetto affittivo, la posizione del cittadino, come singolo o appartenente ad ordinamenti speciali, quali quelli del pubblico impiego ..." (C. d. S., sez. IV, 30 maggio 2005, n. 2816), in particolare, la Corte di Cassazione ha sottolineato che "in base al principio del ne bis in idem l'avvenuto esercizio dell'azione disciplinare, ancorché il relativo procedimento si sia chiuso senza l'adozione di alcuna sanzione ... , preclude la riproponibilità della medesima azione (ormai consumata) anche ai fini dell'adozione di misure più gravi di quelle prospettate in precedenza" (Cass., sez. lav. 17-01-1992, n. 565); ed anche il giudice amministrativo si è espresso, con riferimento alla problematica de qua nel senso della impossibilità per l'Amministrazione di iniziare due volte l'azione disciplinare per il medesimo fatto, sottolineando il principio di non reiterabilità, per gli stessi fatti, dell'azione disciplinare esercitata (Tar Veneto, sent. n. 4250/01).
Il riportato orientamento giurisprudenziale, del resto, risulta conforme a quello della Commissione centrale per gli esercenti professioni sanitarie formulato con decisione n. 41 del 1 luglio 1999, laddove si legge che "qualora per lo stesso fatto il sanitario sia stato già assoggettato a sanzione disciplinare, non è ammissibile un secondo giudizio per il medesimo fatto ... in virtù del principio di diritto processuale penale del ne bis in idem applicabile anche nei procedimenti disciplinari".
L'applicabilità del principio del ne bis in idem in sede disciplinare trova conferma anche in dottrina (cfr. De Braco, Napolitano, Pennoni, De Braco, "Le responsabilità del pubblico impiegato", Cedam, 2003, 260 e ss.); al riguardo infatti si è precisato che anche nel procedimento disciplinare vige la regola secondo cui per gli stessi fatti non possono essere inflitte due distinte sanzioni disciplinari, sebbene -così come in ambito penale- pure in sede disciplinare si ponga il problema di definire il contenuto della locuzione "medesimo fatto", e, cioè, in particolare, se la stessa vada intesa come "mero fatto materiale" ovvero nella sua accezione giuridica.
Ed invero, in ambito penale, ai fini della preclusione derivante dal ne bis in idem,per medesimo fatto deve intendersi identità degli elementi costitutivi del reato e cioè condotta, evento e nesso di causalità, considerati non solo nella loro dimensione storico-naturalisica, ma anche in quella giuridica, potendo una medesima condotta violare contemporaneamente diverse disposizioni di legge; in altri termini, il principio de quo pur impedendo al giudice di procedere contro la stessa persona per il medesimo fatto cui si è formato il giudicato, non vieta di prendere in esame lo stesso fatto storico e di valutarlo in riferimento ad una diversa tipologia di reato.
Nel settore disciplinare, l'orientamento dottrinale sopra richiamato ritiene invece maggiormente sostenibile la posizione secondo cui il fatto deve essere inteso quale fatto storico ovvero quale fatto materiale, individuandosi tale identità ogni volta che si tratti della medesima condotta tenuta dalla medesima persona nel medesimo contesto temporale; per quanto attiene alla determinazione dell'identità del fatto, in sede disciplinare deve dunque prescindersi dalla definizione giuridica dello stesso, non rilevando quello che è il nomen iuris dell'eventuale illecito ravvisato. Tale posizione risulta giustificabile qualora si consideri che la nozione "giuridica" di "medesimo fatto" risulta idoneamente perseguibile solo nell'ordinamento penale, laddove vi è assoluta certezza e individuabilità della contestazione giuridica operata, atteso il principio della tassatività della fattispecie penali; laddove invece, come nell'ordinamento disciplinare, l'infrazione, lungi dall'essere specificamente predeterminata, viene "plasmata" in sede di contestazione degli addebiti, una stessa ed unica condotta materiale, essendo possibile oggetto di diverse connotazioni giuridiche, renderebbe il suo autore potenzialmente oggetto di vari provvedimenti sanzionatori.
Acclarata dunque, in via generale, l'applicabilità in ambito disciplinare del principio del ne bis in idem, che preclude il legittimo esercizio, per più di una volta, del potere disciplinare a fronte della riscontrata identità della condotta, può ora passarsi a considerare la fattispecie di che trattasi.
Risulta dal provvedimento disciplinare del 3 febbraio 2000 che la sanzione del licenziamento disciplinare è stata irrogata nei confronti del dipendente in questione per aver abusivamente utilizzato l'utenza telefonica dell'ufficio "nel periodo che va da dicembre 98 a marzo 99"
Risulta poi dalla sentenza del tribunale di Palermo, sez. III penale, n. 4300/04 del 14 dicembre 2004, che il medesimo dipendente è stato riconosciuto penalmente responsabile, tra l'altro, del reato di peculato (art. 314, comma 1, c.p.: peculato per appropriazione) in relazione alla condotta di uso abusivo dell'utenza telefonica dell'ufficio dove prestava servizio e che tale reato è stato commesso "fino al mese di marzo 1999".
Appare dunque evidente che entrambi i provvedimenti richiamati hanno ad oggetto il medesimo fatto inteso in senso naturalistico quale stesso fatto storico; pertanto, alla stregua delle posizioni dottrinarie sopra esposte, deve concludersi che anche nella fattispecie in esame trova applicazione il principio del ne bis in idem; conseguentemente, in tale ipotesi, l'avvenuto esercizio dell'azione disciplinare in un procedimento già estintosi prima della sentenza irrevocabile di condanna penale, preclude la riproponibilità della medesima azione per lo stesso fatto già assoggettato a sanzione disciplinare.
Tale soluzione, del resto, trova conferma anche nella transazione giudiziale intervenuta tra il dipendente di che trattasi e l'amministrazione comunale (trasmessa in allegato alla richiesta di parere) laddove si prevede, tra l'altro, che "resta salva la potestà punitiva dell'Amministrazione per eventuali fatti e contestazioni diversi da quelli posti ad oggetto del procedimento disciplinare in questione": ciò che implicitamente evidenzia la consumazione della potestà punitiva e sanzionatoria dall'amministrazione in relazione allo stesso fatto storico (uso abusivo del telefono dell'ufficio) già punito in sede disciplinare.
Appare poi superfluo precisare che il principio del ne bis in idem non pregiudica l'esercizio dell'azione disciplinare per quei fatti che siano stati valutati ed eventualmente sanzionati, a tutela di interessi giuridici diversi (penali, civili, amministrativi), da parte di autorità differenti dall'amministrazione; in altri termini, nella fattispecie in esame, non risulta preclusa all'amministrazione comunale l'esercizio della potestà sanzionatoria in relazione ai fatti che integrano il reato di truffa di cui pure è stato dichiarato colpevole il dipendente di che trattasi nella richiamata sentenza del tribunale di Palermo n. 4300/04, confermata in appello e in Cassazione, trattandosi di fatti che non sono stati oggetto di precedente giudizio disciplinare.
Si ricorda infine che i rapporti tra giudicato penale e procedimento disciplinare sono regolati dall'art. 653 c.p.p. e, in particolare, per quello che qui rileva, dal comma 1 bis del predetto art. 653 c.p.p., introdotto dall'art. 1 della legge 27 marzo 2001, n. 97, ai sensi del quale "la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso"; e pur tuttavia, secondo la giurisprudenza prevalente, il principio di autonomia che permea l'accertamento e la valutazione, in sede disciplinare, dei fatti accertati in sede penale non preclude all'amministrazione di procedere ad una autonoma valutazione della rilevanza disciplinare dei fatti posti a base della pronuncia penale (cfr. C.d.S., sez. IV, 30 giugno 2005, n. 3546). Pertanto, per affermare la responsabilità disciplinare del dipendente non è sufficiente la circostanza che nei confronti dello stesso sia stata pronunciata una sentenza penale di condanna dovendo l'organo disciplinare procedere ad una autonoma valutazione della rilevanza dei fatti.

Ai sensi dell'art. 15, comma 2, del "Regolamento del diritto di accesso ai documenti dell'Amministrazione regionale", approvato con D.P.Reg. 16 giugno 1998, n. 12, lo scrivente comunica preventivamente di acconsentire all'accesso presso codesta Amministrazione al presente parere da parte di eventuali soggetti richiedenti.
Codesta Amministrazione vorrà a sua volta comunicare, entro novanta giorni dalla ricezione, l'eventuale possibilità che il parere stesso inerisca ad una lite, ovvero se intenda differirne l'accesso fino all'adozione di eventuali provvedimenti amministrativi cui la richiesta consulenza fosse preordinata. Decorso detto termine senza che sia pervenuta alcuna comunicazione in tal senso, si procederà, giusta delibera della Giunta regionale n. 229 dell'8 luglio 1998, all'inserimento del presente parere nella banca-dati "FoNS", ed alla conseguente diffusione.



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