Pos.4   Prot. N. /97.2007.11 



Oggetto: Rimborso spese legali - Problematiche varie concernenti amministratori e dipendenti comunali.




Allegati n...........................



Assessorato regionale
della Famiglia, delle Politiche sociali
e delle Autonomie locali
Dipartimento regionale
della Famiglia, delle Politiche sociali
e delle Autonomie locali
Servizio 8 - Vigilanza e controllo
sugli organi e sui servizi locali


P A L E R M O




1. Con la nota cui si risponde codesto Dipartimento ha chiesto l'avviso dello Scrivente in ordine alle diverse problematiche, prospettate dagli enti locali, legate all'applicazione dell'art. 39 della legge regionale n. 145 del 1980, come interpretato dall'art. 24 della l.r. 23 dicembre 2000, n. 30, in materia di rimborsabilità delle spese legali sostenute in ragione di procedimenti penali subiti da amministratori o dipendenti.
In particolare si chiede di conoscere se sia accoglibile la richiesta di rimborso avanzata a conclusione del procedimento penale, piuttosto che prima all'inizio dello stesso; altra problematica riguarda l'ipotesi di giudizio conclusosi con sentenza d'appello di assoluzione ai sensi dell'art. 530 , comma 2 c.p.p. e, specificatamente, nel caso in cui risulti insufficiente la prova della sussistenza di uno degli elementi costitutivi del reato (elemento soggettivo); altra questione riguarda la rimborsabilità nel caso di procedimento penale conclusosi con decreto di archiviazione; infine si chiede se ai fini della suddetta rimborsabilità sia necessario il ricorso alla procedura per il riconoscimento di debiti fuori bilancio ex art. 194 del D.lgs. 267/2000.
Codesto Dipartimento, richiamando taluni orientamenti giurisprudenziali in materia, nonché alcuni pareri resi dallo Scrivente su analoghe questioni, ritiene possibile il rimborso delle spese richiesto ex post; di dover escludere tale ammissibilità nel caso di assoluzione ex art. 530, comma 2, con riferimento alla motivazione della sentenza.; per l'ipotesi archiviazione reputa necessario fare rinvio alla motivazione del decreto di archiviazione; perplessità maggiori sembrano, invece permanere in ordine alla procedura del riconoscimento del debito fuori bilancio, quale presupposto necessario per la rimborsabilità delle spese legali, anche in riferimento al caso di decreto di archiviazione, stante un'eventuale equiparazione di quest'ultimo alle "sentenze esecutive", di cui all'art. 194 del D.lgs. 267/2000.
A fronte di quanto rappresentato codesta Amministrazione chiede di conoscere l'avviso di quest'Ufficio sulle questioni evidenziate.


2. Per una migliore intelligenza della questione non appare superfluo - in via preliminare - ricostruire il quadro normativo che regola la materia.
La norma regionale che disciplina la possibilità di rimborso delle spese legali è prioritariamente l'art. 39 della l.r. 29.12.1980, n. 145, che espressamente dispone: "Ai dipendenti che in conseguenza di fatti ed atti connessi all'espletamento del servizio e dei compiti d'ufficio, siano soggetti a procedimenti di responsabilità civile, penale o amministrativa, è assicurata l'assistenza legale in ogni stato e grado del giudizio, mediante rimborso, secondo le tariffe ufficiali di tutte le spese sostenute, sempre che gli interessati siano stati dichiarati esenti da responsabilità".
La norma suindicata è stata autenticamente interpretata dall'art. 24 della l.r. 23.12.2000, n. 30 che prevede:
"1. L'art. 39 della legge regionale 29 dicembre 1980, n. 145, si interpreta nel senso che la norma si applica a tutti i soggetti, ivi inclusi i pubblici amministratori, che in conseguenza di fatti ed atti connessi all'espletamento del servizio e dei compiti d'ufficio siano stati sottoposti a procedimenti di responsabilità civile, penale ed amministrativa e siano stati dichiarati esenti da responsabilità".
La ratio delle citate disposizioni sembra abbastanza chiara: il pubblico funzionario o pubblico amministratore deve essere tenuto esente dalle spese giudiziarie sostenute per azioni legali ingiuste ed infondate poste in essere nei suoi confronti in conseguenza della pubblica funzione ricoperta.
In altri termini le norme in esame costituiscono espressione di un principio generalissimo e fondamentale in base al quale l'Amministrazione interviene a contribuire alle spese di difesa dei soggetti che operano per realizzare i suoi fini, purché sussista un suo diretto interesse in proposito.
Tale diretto interesse è da ravvisare in tutti i casi in cui l'imputazione riguardi un'attività svolta in diretta connessione con i fini dell'ente e sia in definitiva imputabile all'ente stesso. È necessario, altresì, che venga accertata la totale assenza di responsabilità del dipendente o amministratore. In relazione al primo presupposto va sottolineato che la magistratura amministrativa ha precisato che è consentito all'Amministrazione di intervenire a difesa del proprio dipendente o amministratore quando sussista un suo diretto interesse in proposito, cioè tutte le volte in cui l'imputazione riguardi un'attività svolta in diretta connessione con i fini dell'Ente e sia in definitiva imputabile all'Ente stesso ( C.S. sez V, 22 dicembre 1993, n.1392 in Consiglio di Stato, 1993, I, 1631; C.S.. Comm. spec., 6 maggio 1996, n. 4, id., 1996, II, 960; C.S., sez.V, 14 aprile 2000, n. 2242, id., 2000, I, 968).
Il sopracitato orientamento, confermato dalla magistratura contabile (C.d.C., sez. Reg. Puglia, 17 dicembre 1993, n. 95) ha, altresì, ribadito, per quanto attiene al secondo dei due presupposti - totale assenza di responsabilità - la necessità che "l'imputato sia prosciolto con la formula più liberatoria" e, cioè, con quelle di cui all'art. 530, co. 1° c.p.p.
La corrispondente disciplina dettata specificatamente per gli Enti locali è quella della disposizione di cui all'art. 67 del D.P.r. 13 maggio 1987, n. 268, ai sensi del quale l'ente locale, nel caso in cui "si verifichi l'apertura di un procedimento di responsabilta' civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi con l'espletamento del servizio e all'adempimento dei compiti d'ufficio, assumera' a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall'apertura del procedimento, facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento".


3. Ai fini della soluzione della questione prospettata da codesto Dipartimento si osserva quanto segue.

3.1. In ordine al primo dei quesiti posti, la disposizione legislativa di cui all'art. 67 del D.P.R. 13 maggio 1987, n. 268 è stata finora interpretata in modo estensivo e, pertanto, ritenuta applicabile anche nell'ipotesi di richiesta di rimborso "ex post" delle spese legali eventualmente sostenute autonomamente dal dipendente ed avanzate, cioè, a procedimento concluso (cfr.: Cons. Stato, Sez. V°, 22 dicembre 1993 n.1392; T.A.R. Marche, Pescara, 7 marzo 1997 n.108 e T.A.R. Sicilia, Catania, 14 dicembre 2001, n. 318).
Secondo questa interpretazione l'art.67 del D.P.R. n.268/87, dunque, consente l'assunzione delle spese legali a carico dell'Ente locale, sostenute da un dipendente sottoposto a procedimento di responsabilità civile o penale, soltanto se sussistono i seguenti presupposti: a) l'esistenza di un interesse diretto dell'Amministrazione riconoscibile solo nell'ipotesi in cui il fatto addebitato al dipendente riguardi un'attività svolta in diretta connessione con i fini dell'Amministrazione e ad essa imputabile; b) la mancanza di un qualsivoglia conflitto di interessi o di una contrapposizione giudiziale.
In definitiva la giurisprudenza interpretava la normativa relativa al rimborso delle spese anticipate dal pubblico dipendente per difendersi in giudizi instaurati a suo carico per vicende attinenti al suo ufficio (art. 67 D.P.R. n. 268/1987 per i dipendenti degli enti locali) in modo estensivo, sì da ricomprendervi il rimborso, richiesto ex post, delle spese anticipate dal dipendente.
Non può tuttavia sottacersi il più recente orientamento espresso in materia dal Consiglio di Stato, sez V, nella sentenza n. 552 del 12 febbraio 2007, secondo cui l' art. 67 D.P.R. n. 268/1987 "rimette alla valutazione discrezionale ex ante dell'ente locale, con specifico riferimento all'assenza di conflitto di interessi, la scelta di far assistere il dipendente da un legale di comune gradimento, per cui non è in alcun modo riconducibile al contenuto precettivo della citata norma la pretesa di ottenere il rimborso delle spese del patrocinio legale a seguito di una scelta del tutto autonoma e personale nella nomina del proprio difensore".
A ciò si aggiunga che il principio del preventivo coinvolgimento attivo dell'ente è contenuto anche nell'attuale disciplina che, per i dipendenti degli Enti locali,è dettata dalle disposizioni di cui alle cosiddette code contrattuali del Ccnl 14 settembre 2000 che, all'art. 28, rubricato "Patrocinio legale", così dispongono:
"1. L'ente, anche a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l'apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all'espletamento del servizio e all'adempimento dei compiti d'ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall'apertura del procedimento, facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento. 2. In caso di sentenza di condanna esecutiva per fatti commessi con dolo o colpa grave, l'ente ripeterà dal dipendente tutti gli oneri sostenuti per la sua difesa in ogni stato e grado del giudizio. 3. La disciplina del presente articolo non si applica ai dipendenti assicurati ai sensi dell'art. 43, comma 1".
Alla luce delle suesposte considerazioni sembrerebbe opportuno rendere noto agli enti locali l'emergente orientamento giurisprudenziale.

3.2. Per quanto attiene alle ipotesi in cui venga adottata la formula assolutoria "perché il fatto non sussiste, ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p.", si osserva quanto segue.
Ai sensi dell'art. 530, primo comma, c.p.p. "se il fatto non sussiste, se l'imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato e non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un'altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo".
La predetta norma presenta subito una elencazione completa delle diverse cause di assoluzione che dovranno essere indicate nel dispositivo del provvedimento. Al riguardo, si rileva che con l'art. 530, primo comma, c.p.p. viene riproposto integralmente il catalogo in precedenza previsto nell'art. 479, primo comma, c.p.p. abrogato (codice Rocco) con l'unica aggiunta della formula "il fatto non è previsto dalla legge come reato".
Il secondo comma del suindicato articolo 530 c.p.p. dispone che "il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile".
Le ipotesi suindicate sono quelle che, vigente il codice Rocco, avrebbero comportato una assoluzione per insufficienza di prove. Malgrado l'abolizione di tale formula dal nuovo codice penale il legislatore non ha potuto ignorare l'esistenza del dubbio che ha preso in considerazione sia rispetto alla prova che ad altri elementi elencati al co. 3 della suindicata norma.
In tali casi, in attuazione del principio del favor rei, il dubbio gioca a favore dell'imputato che va assolto con formula ampia.
E' infatti principio indiscusso quello dell'equipollenza dalla prova negativa di un fatto alla totale assenza della prova positiva dello stesso fatto.
Atteso quindi che a norma dell'art. 530 c.p.p. il giudice deve adottare la stessa formula di assoluzione sia quando abbia accertato l'insussistenza del fatto o l'impossibilità di attribuirlo all'accusato sia quando abbia riconosciuto soltanto carente ovvero insufficiente o contraddittoria la prova, in entrambe le ipotesi per delineare l'ambito di operatività della sentenza anche ai fini del rimborso delle spese legali è necessario far riferimento, oltre che al dispositivo, anche alla motivazione.
Ciò premesso è possibile formulare le seguenti considerazioni.
La formula assolutoria secondo cui "il fatto non sussiste" ai sensi dell'art. 530, comma 2, lascia dei margini di dubbio sull'effettivo esonero totale dalla responsabilità, prescritto per darsi luogo al rimborso; come si è in precedenza affermato, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la sentenza debba essere ampiamente assolutoria (cfr., giurisprudenza citata sul punto), tuttavia nel caso di formula assolutoria accompagnata dall'indicazione del secondo comma dell'art. 530 c.p.p il giudizio di bilanciamento tra elementi di accusa ed elementi contrari, pur potendo riguardare solo una parte delle circostanze sulle quali si manifesta il dubbio, non può prescindere da valutazione approfondita ed articolata degli elementi che hanno determinato il dubbio medesimo.
E tale valutazione non può che dedursi dalle argomentazioni contenute nella sentenza che consentono di verificare se sia possibile concludere o meno per una totale assenza di responsabilità.

3.3. Con riferimento all'ipotesi di procedimento penale conclusosi con decreto di archiviazione non è possibile fornire una risposta valida per tutti i casi di archiviazione, ma occorre indagare la singola fattispecie.
Il Consiglio di Stato ha assunto, in merito, una posizione possibilista, ritenendo che i provvedimenti meramente processuali precludono l'ammissibilità del rimborso solo quando intervengano a definire un vero e proprio giudizio dibattimentale, e non già quando intervengano nella fase istruttoria.
In altri termini il provvedimento di archiviazione potrebbe consentire il rimborso spese, pur non corrispondendo in senso stretto ad una sentenza di assoluzione con formula piena, proprio perchè definisce la fase delle indagini preliminari, che si colloca al di fuori del processo penale vero e proprio (cfr., Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 2000, n. 2242).
Dunque occorrerà valutare attentamente la richiesta del P.M. ed il decreto di archiviazione del GIP: se per ipotesi il decreto abbia sostanzialmente voluto dire che il fatto non costituisce reato e che sia stata dimostrata la mancanza di colpevolezza dell'indagato (non ravvisandosi la presenza di elementi penalmente rilevanti, tali da giustificare una richiesta di rinvio a giudizio) saremmo in presenza di una formula di archiviazione ampiamente liberatoria, alla luce della sua motivazione, tale da non precludere la possibilità di rimborso; il rimborso sarebbe stato invece precluso qualora il GIP avesse accolto la richiesta di archiviazione rilevando la prescrizione del reato, poiché in questa eventualità non sarebbe stato possibile escludere la sussistenza del conflitto di interessi con l'ente.
La giurisprudenza sovente accosta , ai fini dell'applicazione del principio in esame, la sentenza di proscioglimento al decreto di archiviazione (cfr., App. L'Aquila, 25.9.2000; Corte Cost., 21.01.2000, n. 18; Corte Cost. (ord.), 11 .6.1999, n. 233; Cons. Stato 20.5.1994, n. 498, Cons. Stato, Sez.VI, 14 .4.2000, n. 2242).
In tal senso è anche il parere della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica con nota prot. 3235/11/2001, secondo cui "affinchè sorga il diritto del dipendente o dell'amministratore dell'ente pubblico all'assistenza processuale debbono ricorrere l'assoluzione o l'archiviazione da parte del GIP dell'amministratore dell'ente pubblico, che si trovi implicato, in conseguenza di atti o fatti connessi all'espletamento del servizio o all'adempimento di compiti d'ufficio, in un procedimento penale".
In definitiva - ferma restando la necessità di un'attenta valutazione di tutti i requisiti per accordare il rimborso - la circostanza che il procedimento penale si sia chiusa con un decreto di archiviazione non osta in quanto tale all'ammissibilità del rimborso.

3.4. La soluzione dell'ultimo dei quesiti posti, circa il procedimento amministrativo da seguire per il relativo pagamento, non è riconducibile alle disposizioni vigenti in materia di "debiti fuori bilancio" derivanti da sentenze esecutive.
La normativa citata da codesta Amministrazione, contenuta nel disposto di cui all'art 194 (rubricato Riconoscimento di legittimità di debiti fuori bilancio) del T.U.E.L. (D.Lgs. 18.8.2000, n.267), richiamando il precedente art. 193, stabilisce, al comma 1, che gli enti locali, "almeno una volta entro il 30 settembre di ciascun anno", ovvero con periodicità stabilita dai regolamenti di contabilità degli enti medesimi, "riconoscono la legittimità dei debiti fuori bilancio" derivanti da cinque ipotesi espressamente indicate, la prima delle quali è costituita, appunto, dalle "sentenze esecutive".
Il riconoscimento del debito fuori bilancio derivante da un provvedimento giurisdizionale esecutivo non lascia, dunque, alcun margine di apprezzamento discrezionale al Consiglio Comunale.
In altre parole, di fronte ad un titolo esecutivo, l'organo assembleare dell'ente locale non deve compiere alcuna valutazione, non potendo, in ogni caso, impedire il pagamento del relativo debito.
Diversa è l'ipotesi degli oneri derivanti dal rimborso delle spese legali, espressamente disciplinato da altre disposizioni di legge (già citate): il diritto del dipendente o dell'amministratore al rimborso sorge a seguito di sentenza ampiamente assolutoria e sempre che ricorrano gli altri presupposti enunciati, che costituiscono oggetto di valutazione da parte del Comune, circa la rispondenza alle previsioni normative. Solamente l'esito positivo di tale valutazione consente agli organi amministrativi comunali di procedere al relativo pagamento, imputandolo a quelle voci di spese di gestione che saranno ritenute le più idonee.
Analogo ragionamento concerne, ovviamente, il procedimento per il rimborso delle spese legali relative ad un procedimento penale conclusosi con decreto di archiviazione, ciò alla luce delle suesposte considerazioni in ordine alla natura giuridica dello stesso ai fini dell'ammissibilità del rimborso e ferma restando quell'analisi preventiva di tutti i requisiti necessari per accordare il rimborso medesimo.
Nelle superiori considerazioni è l'avviso dello Scrivente.

* * * *
Si ricorda che, in conformità alla circolare presidenziale 8 settembre 1988, n.16586/66.98.12, trascorsi 90 giorni dalla data di ricevimento del presente parere senza che codesta Amministrazione ne comunichi la riservatezza, lo stesso potrà essere inserito nella banca dati "FONS".




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