POS. I Prot._______________/239.2006.11

OGGETTO: CONTRATTI ED OBBLIGAZIONI DELLA P.A. - APPALTI DI SERVIZI - MULTISERVIZI S.P.A. - BENI CULTURALI S.P.A. - AFFIDAMENTO IN HOUSE.


ASSESSORATO REGIONALE INDUSTRIA
DIPARTIMENTO REGIONALE INDUSTRIA


ASSESSORATO REGIONALE BENI CULTURALI ED AMBIENTALI E DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
UFFICIO DIRETTA COLLABORAZIONE DELL'ASSESSORE


UFFICIO DI GABINETTO DELL'ON. LE
e, p.c. PRESIDENTE DELLA REGIONE
LORO SEDI



1. Con nota 29 settembre 2006, n. 3121, il Dipartimento in indirizzo chiede se la convenzione quinquennale - in scadenza al 19.12.2006, stipulata con Multiservizi S.p.a (società partecipata al 51% dalla Regione siciliana e al 49% da Investire Partecipazioni S.p.a, società controllata da Sviluppo Italia S.p.a.) - concernente l'erogazione di servizi pubblici di competenza dell'amministrazione regionale, sia riconducibile all'alveo degli affidamenti in house, permettendo il rinnovo dell'affidamento diretto dei servizi, ovvero se il rinnovo confligga con le regole sulla concorrenza e con i principi comunitari in materia.
Si chiede inoltre se - qualora non si ritenesse legittima la prosecuzione dell'affidamento diretto - sia necessario darne comunicazione formale alla Multiservizi al fine di impedire il rinnovo tacito della convenzione.
Il Dipartimento in indirizzo chiede, infine, se l'eventuale rinnovo della convenzione sia di competenza dello stesso, quale mandatario degli altri rami dell'amministrazione regionale interessati, ovvero se questi ultimi debbano procedere singolarmente al rinnovo secondo le rispettive esigenze.


2. Con nota 6 novembre 2006, n. 2256, anche l'Assessorato regionale per i beni culturali ed ambientali e della pubblica istruzione - Ufficio diretta collaborazione dell'Assessore - ha richiesto l'avviso dello scrivente - su problematica del tutto analoga a quella sottoposta dall'Assessorato regionale per l'industria - con riferimento alla scadenza, al 31/12/2006, del contratto avente ad oggetto la gestione di servizi relativi alla custodia, conservazione e fruizione dei beni culturali nelle aree archeologiche, nei siti museali, nelle gallerie, nelle biblioteche ed altri servizi pubblici di competenza dell'Amministrazione regionale, stipulato con la società Beni Culturali S.p.a., anch'essa partecipata al 51% dall'Assessorato regionale industria e al 49% da Investire Partecipazioni S.p.a. (controllata da Sviluppo Italia S.p.a).
Quest'ultima richiesta di parere è pervenuta senza nessun allegato, per tale ragione la disamina delle questioni poste sarà riferita alla società Multiservizi S.p.a. per comodità espositiva, seppur la trattazione della problematica è da intendersi estesa alla società Beni Culturali S.p.a., società anch'essa costituita ai sensi della l.r. 26/1995.


3. L'art. 3, comma 1, della l.r. 4 aprile 1995, n. 26, ha così disposto: "La Regione, d'intesa con la GEPI, anche per il tramite della Nova s.p.a., nel quadro degli interventi previsti dall'articolo 3 della legge regionale 23 maggio 1994, n. 14, e successive modifiche, è autorizzata ad adottare iniziative volte a favorire la costituzione di società a partecipazione pubblica che, per l'espletamento dei servizi pubblici loro affidati, procedano prioritariamente all'assunzione di lavoratori in possesso delle professionalità richieste i quali:
a) anche anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge siano stati alle dipendenze della GEPI, o di società non operative costituite dalla GEPI, e fruiscano o abbiano fruito dei trattamenti straordinari di integrazione salariale di cui ai commi 3 e 4 dell'articolo 4 del decreto legge 29 marzo 1991, n. 108, convertito dalla legge 1° giugno 1991, n. 169, ed ai commi 1 e 4 dell'articolo 2 del decreto legge 4 settembre 1987, n. 366, convertito dalla legge 3 novembre 1987, n. 452;
b) partecipino, alla data di entrata in vigore della presente legge o successivamente a tale data, alla realizzazione di progetti di pubblica utilità disciplinati dall'articolo 4 della legge regionale 5 gennaio 1993, n. 3, e successive modifiche e integrazioni, e, qualora vengano adottate le iniziative di cui al comma 4 dell'articolo 1, abbiano partecipato alle attività oggetto delle medesime iniziative".
Il fine della norma, per espresso richiamo dell'art. 3 della l.r. 14/1994 è, in armonia con la coeva legislazione regionale e nazionale, quello di promuovere e realizzare iniziative volte al reimpiego produttivo di particolari categorie di lavoratori, come individuati dalle stesse norme. In tale contesto, la Regione è stata autorizzata a stipulare convenzioni con la (ex) GEPI (o con le altre società in cui la stessa si è trasformata).
Nel quadro della legislazione nazionale, al fine del perseguimento di analoghi obiettivi, anche gli enti locali, ai sensi dei commi 6, 7 e 8 dell'art. 4 del D.L. 31 gennaio 1995, n. 26 - convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 29 marzo 1995, n. 95, sono stati autorizzati al fine di favorire l'occupazione o la rioccupazione di lavoratori, a costituire società miste con la (ex) GEPI S.p.a., con la previsione della cessione delle quote azionarie, detenute dalla indicata Società, entro il termine di cinque anni mediante gara pubblica, con l'ingresso, dunque, di soci privati, dando vita a società miste, cioè a partenariato pubblico-privato. Ai sensi poi del comma 21 dell'art. 1 del D.L. 1 ottobre 1996, n. 510 - convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, si è disposto che "...........i soggetti promotori di cui al comma 1 dell'articolo 14 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451 (cioè le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29) possono costituire società miste ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge 31 gennaio 1995, n.26, convertito................ . Con tali società, in via straordinaria e limitatamente alla fase di avvio, i predetti soggetti promotori possono stipulare, anche in deroga a norme di legge o di statuto, convenzioni o contratti, di durata non superiore a sessanta mesi...........".
Come si evince anche dalla normativa nazionale le deroghe sono temporalmente limitate e trovano giustificazione nell'assunzione prioritaria e nel reinserimento di specifiche categorie di lavoratori e nell'avvio degli stessi all'interno di un tessuto produttivo che, con le società, si è inteso costituire.
Nel senso che la deroga alla normativa degli appalti va restrittivamente limitata all'obbligo di utilizzazione di lavoratori appartenenti a particolari categorie si è poi, in particolare, espresso il Consiglio di Stato con decisione 30 febbraio 2002, n. 2294, con riferimento all'art. 10, "Occupazione di soggetti già impegnati nei lavori socialmente utili" del D.Lgs. 1 dicembre 1997, n. 468, concernente "Revisione della disciplina sui lavori socialmente utili, a norma dell'articolo 22 della L. 24 giugno 1997, n. 196".
La finalità di stabilizzare individuate tipologie di lavoratori, per favorire la fuoriuscita dal bacino del precariato, analogamente alle norme nazionali, contenuta anche all'art. 3 della l.r. 26/1995, costituisce pregiudiziale legittimante la promozione e l'avvio di società miste, anche con partecipazione di minoranza, per l'espletamento di una serie di servizi, come quelli socio-sanitari e "altri servizi pubblici di competenza dell'Amministrazione regionale", riportati quale oggetto sociale della Multiservizi s.p.a (già Servizi Sanità S.p.a.).
Accertato dunque che la necessità di consentire il reimpiego produttivo di determinate categorie di lavoratori attraverso la loro collocazione prioritaria in società a partecipazione pubblica giustifica, nella fase di avvio del processo, la deroga ai principi dell'evidenza pubblica, occorre verificare la possibilità di continuare ad affidare l'espletamento di servizi pubblici in convenzione senza ricorrere al libero mercato.
La problematica degli affidamenti in house, come è noto, è stata oggetto negli ultimi anni di importanti interventi della giurisprudenza comunitaria (sin dalla sentenza 18.11.1999, in causa C-107/98, nota come sentenza "Teckal") che hanno invero sempre più circoscritto i margini di deroga agli affidamenti diretti, individuando i presupposti per la legittimità dell'appalto in house, succintamente, nei seguenti:
a) il capitale della società affidataria deve essere interamente pubblico;
b) l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale devono esercitare sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;
c) la società deve realizzare la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano.
In ordine al primo criterio la Corte di Giustizia con la sentenza 11gennaio 2005, in causa C-26/03, nota come sentenza "Stadt Halle", ha concluso che la presenza di capitale privato in un modulo societario misto, anche se di minoranza, è in grado di sviare l'agire della pubblica amministrazione affidataria dai tradizionali fini pubblicistici.
Con la successiva sentenza 13 ottobre 2005, in causa C-458/03, nota come caso "Parking Brixen" la Corte di Giustizia è andata oltre e, approfondendo il concetto di "controllo analogo", ha precisato che tale requisito non è da ritenere soddisfatto con la totale partecipazione pubblica alla società, ma va effettuata un'indagine caso per caso, onde verificare l'effettiva sussistenza del controllo analogo, negato dalla stessa Corte nel caso "Parking Brixen" perché nello statuto della società affidataria il Consiglio di amministrazione della stessa poteva agire in piena autonomia rispetti all'Assemblea dei soci, disponendo di ampi poteri di ordinaria amministrazione.
Secondo le indicazioni della Corte di Giustizia è da ritenere sussistente un "controllo analogo" che legittima l'affidamento in house allorquando tra società affidataria e amministrazione affidante il rapporto di terzietà sia solo formale, giacchè la seconda esercita sulla prima un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione riguardo i più importanti atti di gestione del soggetto controllato.
Il Consiglio di Stato, con la recente, sentenza n. 4440 del 13 luglio 2006, partendo proprio dalle considerazioni svolte dalla Corte di Giustizia nel caso "Parking Brixen" ha ritenuto sussistere il contrasto dell'operato amministrativo coi principi comunitari dell'evidenza pubblica nella semplice previsione, contenuta nello statuto di una società a totale partecipazione pubblica, della possibilità che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, potesse essere ceduta a terzi . Il Consiglio di Stato ha inoltre concluso che i poteri attribuiti dal diritto societario alla maggioranza dei soci non sono sufficienti a garantire all'ente un "controllo analogo" a quello esercitato sui propri servizi.
E posto che si rinviene nello statuto della Multiservizi la possibilità di cedere a terzi quote del capitale sociale, si concretizza, nella specie, quell'elemento che ha condotto il Consiglio di Stato a negare la possibilità di affidamento diretto dei servizi pubblici.
In ordine poi ai poteri riservati all'Amministrazione regionale nella società di che trattasi, non può non rilevarsi che trattasi delle tipiche prerogative scaturenti dal diritto societario e, oltre a ciò, si rileva che le direttive, richiamate nello statuto e nella convenzione - emanate con i decreti del Presidente della Regione 5 ottobre 1996, n. 236 e 7 febbraio 1996, n. 13, sostituito quest'ultimo dal D.P.Reg. 12 settembre 2005, n. 13 - non contengono elementi di pregnanza tale da condurre l'Amministrazione regionale ad esercitare sulle società miste un "controllo analogo" a quello svolto sui propri servizi.
In particolare, il D.P.Reg. 13/2005 riporta, per la costituzione delle società miste, una serie di modalità procedurali a carattere interno dell'Amministrazione regionale, come la redazione di progetti contenenti l'esatta esplicitazione dei bisogni della stessa Amministrazione, limitandosi poi, all'art. 5 del Regolamento, a rinviare alle norme del diritto societario per la rappresentanza della Regione negli organi deliberativi e di controllo delle società, mentre al successivo art. 6 in tema di "misura delle partecipazioni azionarie", viene stabilito il limite della partecipazione pubblica al capitale sociale, che può essere maggioritaria (nel limite del 51%) o minoritaria "al fine di assicurare la presenza nella compagine societaria, attraverso una adeguata partecipazione al capitale sociale, di soggetti privati i quali presentino la necessaria esperienza ed affidabilità, oltre che disporre di tecnologie acquisibili unicamente sul mercato". L'art. 7 del D.P.Reg. 13/2005 - in aderenza alle previsioni del precedente art. 6 che esclude la possibilità di una partecipazione totalmente pubblica della Regione al capitale sociale - espressamente rinvia alla normativa comunitaria per la scelta dei soci privati, imponendo, dunque, un modulo di intervento misto, pubblico-privato.
Anche il D.P.Reg. 236/1996, emanato ai sensi dell'art. 3, comma 8, della l.r. 26/1995, e concernente le forme di controllo sulle società miste partecipate dalla Regione, non disciplina puntuali e penetranti forme di controllo, limitandosi a prevedere attività mirate ad accertare l'adeguatezza del servizio e la congruità del rapporto costi-benefici, la presentazione da parte delle società miste di un programma operativo di gestione che permetta all'Amministrazione di richiedere alle società di apportare correttivi nell'ipotesi in cui si rilevino discostamenti rispetto a quanto stabilito. Infine il controllo di gestione è attuato attraverso la richiesta di dati e informazioni, visite ed ispezioni presso i luoghi (dell'amministrazione) dove si svolgono i servizi, "al fine di accertare il pieno rispetto delle condizioni previste nella convenzione di affidamento", facoltà di svolgere indagini di mercato o sondaggi, obbligo della società di trasmettere copia del bilancio annuale e della relazione del Consiglio di amministrazione.
Dalla sopra riportata elencazione delle forme di controllo è agevole rilevare che trattasi di metodologie e strumenti di cui può disporre qualunque parte contrattuale o socio (per di più di maggioranza) a tutela e controllo dei propri interessi, ben lontano dal "controllo analogo" cui si riferisce la recente giurisprudenza comunitaria e nazionale, inteso come fattispecie "che determina, da parte dell'amministrazione controllante, un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell'attività del soggetto partecipato, e che riguarda l'insieme dei più importanti atti di gestione del medesimo. In virtù di tale rapporto il soggetto partecipato, non possedendo alcuna autonomia decisionale in relazione ai più importanti atti di gestione, si configura come un'entità distinta solo formalmente dall'amministrazione, ma che in concreto continua a costituire parte della stessa. Solo a tali condizioni si può ritenere che fra amministrazione ed aggiudicatario non sussista, agli effetti pratici, un rapporto di terzietà rilevante ai fini dell'applicazione delle regole comunitarie in materia di appalti pubblici" (cfr. nota della Commissione europea C(2002)2329 del 26 giugno 2002 nel procedimento di messa in mora del Governo italiano in relazione alla disciplina dei servizi pubblici).
Si ritiene ancora utile segnalare le considerazioni svolte dal Consiglio di Stato nella sentenza 28 giugno 2004, n.4771, trattandosi di fattispecie analoga a quella oggetto della presente trattazione. In quel caso, infatti, al Supremo Collegio è stato richiesto di giudicare la legittimità della scelta fatta da un comune di affidare direttamente l'espletamento di un servizio pubblico ad una società costituita tra il comune stesso e la GEPI S.p.a. (ora Italia lavoro), individuato come partner societario di minoranza, nell'ambito della disciplina speciale dettata dall'art. 4 del D.L. 26/1995. Il Consiglio di Stato ha giudicato legittimo l'affidamento diretto del servizio in capo alla società costituita inizialmente con GEPI, considerando che nella fase iniziale (di costituzione della società con un partner priviligiato come l'ex GEPI) l'evidenza pubblica è differita dalla norma allo scadere del quinquennio, decorso il quale la partecipazione detenuta dalla (ex) GEPI deve obbligatoriamente essere immessa sul mercato mediante procedure ad evidenza pubblica.
La mancanza di un momento concorrenziale nella scelta iniziale del socio sarebbe giustificabile con l'esigenza di favorire l'occupazione o la rioccupazione dei lavoratori, conseguentemente, le regole dell'evidenza pubblica verrebbero postergate dalla fase di scelta del socio al termine del quinquennio, per rispondere alle anzidette esigenze occupazionali.
In conclusione, in virtù di quanto finora rappresentato, non si rinvengono gli elementi indicati dalla giurisprudenza per affermare l'esistenza di un controllo sulla Multiservizi "analogo" a quello che l'Amministrazione regionale svolge istituzionalmente sui propri servizi. A contrario argomentando, sarebbe invece possibile rinvenire un "controllo analogo" sulla società in oggetto qualora le direttive emanate dall'Amministrazione regionale contenessero elementi ed indicazioni più puntuali e stringenti, tali da concretizzare un "penetrante" potere di incisione su tutti gli atti di gestione della società, con la previsione, inoltre, dell'eliminazione dallo statuto della previsione di partecipazione di soci privati e della possibilità di cedere in futuro quote di partecipazione agli stessi, oltre alla previsione - invero già riportata nello statuto delle società di che trattasi - di un oggetto sociale teso a realizzare, in via esclusiva, la propria attività con l'amministrazione controllante, secondo quanto ora previsto dall'art. 13 - "Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e locali e a tutela della concorrenza" - del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, c.d. "decreto Bersani"- come modificato dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248.
Vero è che quest'ultimo si riferisce indifferentemente a società "a capitale interamente pubblico o misto", ma il riferimento al c.d. "Public-Private-Partnership" riportato nella disposizione suindicata - norma, peraltro, impugnata dalla Regione siciliana dinnanzi la Corte costituzionale - non può condurre ad una estrapolazione della previsione avulsa dall'intero panorama normativo e giuriprudenziale nazionale e comunitario, ritenendosi, invero, che la lettura della norma vada condotta in modo armonicamente coordinato, giacchè in più occasioni la Corte costituzionale (cfr. sent. n.486/2005; n. 286/2005; n. 166/2004 e 7/2004) ha richiamato l'attenzione del legislatore, statale e regionale, a considerare le norme comunitarie utilizzabili come parametro di legittimità, stante la modifica dell'art. 117 della Costituzione che impone il rispetto dei vincoli derivanti dal dettato costituzionale "nonchè di vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". Ne consegue che la disposizione statale, con riferimento alla possibilità di affidare direttamente la produzione di beni e servizi alle società miste, non permette di superare gli ostacoli derivanti dal diritto comunitario (artt. 43 e 49 CE) che conducono la giurisprudenza comunitaria, a ritenere "a priori" che la presenza del privato impedisce all'ente pubblico di svolgere sulle società miste un controllo analogo a quello svolto sui propri servizi, così argomentando: "La partecipazione, anche minoritaria, di un'impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche l'amministrazione aggiudicatrice in questione,esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi.........Al riguardo, occorre anzitutto rilevare che il rapporto tra un'autorità pubblica, che sia un'amministrazione aggiudicatrice, ed i suoi servizi sottostà a considerazioni e ad esigenze proprie del perseguimento di obiettivi di interesse pubblico. Per contro, qualunque investimento di capitale privato in un'impresa obbedisce a considerazioni proprie degli interessi privati e persegue obiettivi di natura differente. In secondo luogo, l'attribuzione di un appalto pubblico ad una società mista pubblico-privata senza far appello alla concorrenza pregiudicherebbe l'obiettivo di una concorrenza libera e non falsata ed il principio della parità di trattamento degli interessati contemplato dalla direttive 92/50, in particolare nella misura in cui una procedura siffatta offrirebbe ad un'impresa privata presente nel capitale della detta società un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti. Pertanto.....nell'ipotesi in cui un'amministrazione aggiudicatrice intenda concludere un contratto a titolo oneroso relativo a servizi rientranti nell'ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 92/50 con una società da essa giuridicamente distinta, nella quale la detta amministrazione detiene una partecipazione insieme con una o più imprese private, le procedure di affidamento degli appalti pubblici previste dalla citata direttiva debbono essere sempre applicate" (Sentenza Corte di Giustizia Comunità europee 11-01-2005, C- 26/03 "Stadt Halle", punti 49, 50, 51 e 52). L'incompatibilità tra controllo analogo e società mista è stato ribadito ai punti 47 e 48 della sentenza, nota come "Modling", 10-11-2005, C-29/04, in cui la Corte di Giustizia, nel condannare la Repubblica d'Austria , richiama i punti 50 e 51 della sentenza Stadt Halle, considerando che "Il rapporto tra un'autorità pubblica, che è un'autorità aggiudicatrice, e i suoi propri servizi è disciplinato da considerazioni ed esigenze proprie al perseguimento di obiettivi di interesse pubblico. Al contrario, qualsiasi piazzamento di capitale privato in un'impresa obbedisce a considerazioni relative agli interessi privati e persegue obiettivi di natura diversa. L'aggiudicazione di un appalto pubblico ad un'impresa ad economia mista senza appello alla concorrenza comprometterebbe l'obiettivo di concorrenza libera e non falsata e il principio di parità di trattamento degli interessati previsto dalla direttiva 92/50, in quanto tale procedura offrirebbe ad un'impresa privata presente nel capitale di tale impresa un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti". Stesso orientamento sull'incompatibilità la Corte europea ha ancor più recentemente confermato con la sentenza 6-4-2006 - C-410/04. Sull'incompatibilità tra controllo analogo e società mista, in riferimento all'art. 13 del "decreto Bersani" anche la dottrina (Cfr. Bruno G. Fuoco, "Le società in house abbandonano il mercato? Riflessioni sull'art 13 del D.L. n. 223/2006" in rivista online Lexitalia, e la dottrina, a sua volta richiamata, "L'appalto di opere pubbliche" S. Baccarini, a cura di R. Villata, cedam, pag. 143).


4. Quanto sopra detto assorbe gli altri quesiti formulati; si precisa soltanto, quanto alla preoccupazione di evitare il tacito rinnovo della convenzione, che la stessa appare infondata in virtù di quanto sopradetto e in considerazione, altresì, del fatto che la convenzione non ne prevede (né avrebbe potuto prevederne) il rinnovo.
Giova infine osservare che una eventuale breve proroga della convenzione in scadenza, nelle more di addivenire alla formale assegnazione dei servizi, dovrà essere sottoposta all'organo politico che ha autorizzato la convenzione.
Nei termini il reso parere.


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Ai sensi dell'art. 15,co.2 del D.P. Reg. 16 giugno 1998,n.12, lo Scrivente acconsente sin d'ora all'accesso presso codesta Amministrazione al presente parere da parte di eventuali richiedenti.
Si ricorda poi che in conformità alla circolare presidenziale dell'8 settembre 1998,n.16586/66.98.12, trascorsi 90 giorni dalla data di ricevimento del presente parere senza che codesta Amministrazione ne comunichi la riservatezza, lo stesso potrà essere inserito nella banca dati "FONS".



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