REPUBBLICA ITALIANA
GAZZETTA UFFICIALE
DELLA REGIONE SICILIANA

PARTE PRIMA
PALERMO - SABATO 7 FEBBRAIO 1998 N. 7
SI PUBBLICA DI REGOLA IL SABATO

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Programmi di trasposizione e grafica realizzati da :
Avv.Michele Arcadipane

SUPPLEMENTO ORDINARIO

SOMMARIO
ASSESSORATO DELL'AGRICOLTURA E DELLE FORESTE

DECRETO 26 gennaio 1998.
Programma regionale pluriennale applicativo del Regolamento CEE n. 2078/92.



ASSESSORATO
DELL'AGRICOLTURA E DELLE FORESTE

DECRETO 26 gennaio 1998.
Programma regionale pluriennale applicativo del Regolamento CEE n. 2078/92.
L'ASSESSORE
PER L'AGRICOLTURA E LE FORESTE

Visto lo Statuto della Regione;
Visto il Regolamento CEE n. 2078 del 30 giugno 1992, relativo a metodi di produzione agricola compatibili con l'esigenza di protezione dell'ambiente;
Visto il Regolamento CEE n. 746 del 24 aprile 1996, relativo alle modalità di applicazione del Reg. CEE n. 2078/92;
Vista la nota assessoriale n. 7643 del 6 giugno 1997, con la quale è stata trasmessa la nota di modifica al programma regionale applicativo del Reg. CEE n. 2078/92, già approvato con decisione n. C(94) 2494 del 10 ottobre 1994 e con delibera della Giunta regionale n. 524 del 29 novembre 1994;
Vista la nota della Segreteria della Giunta regionale n. 4313 del 19 novembre 1997, con la quale si comunica che nella seduta del 18 novembre 1997 la Giunta regionale ha preso atto del testo della proposta di modifica suddetta;
Vista la nota ministeriale n. 8523 del 15 dicembre 1997, con la quale viene trasmessa la decisione della Commissione europea n. C(97) 3089 del 14 novembre 1997, di approvazione delle modifiche al programma agroalimentare della Regione siciliana;
Vista la comunicazione della Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea n. 7860 del 20 novembre 1997, con la quale viene precisato che la suddetta decisione è stata notificata alla Repubblica italiana in data 18 novembre 1997;
Considerato che gli effetti della decisione della Commissione devono decorrere dal 18 novembre 1997, data di notifica della medesima decisione;
Ritenuto, pertanto, che le nuove procedure concernenti il regime sanzionatorio previste dal programma agroalimentare modificato devono applicarsi alle irregolarità accertate a partire dalla data del 18 novembre 1997;
A' termini delle vigenti disposizioni;
Decreta:


Art. 1

In relazione alle premesse ed in osservanza alla decisione della Commissione europea n. C(97) 3089 del 14 novembre 1997, viene reso operativo, a decorrere dal 18 novembre 1997, il nuovo testo del programma regionale applicativo del Reg. CEE n. 2078/92, che fa parte integrante del presente decreto.
Il presente decreto sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana.
Palermo, 26 gennaio 1998.
CUFFARO

Allegato

Programma pluriennale Regolamento CEE n. 2078/92

Testo approvato con decisione
della Commissione europea n. C(97) 3089 del 14 novembre 1997

PREMESSA
Il Regolamento CEE n. 2078 del 30 giugno 1992 (in appresso denominato Regolamento), relativo a metodi di produzione agricola compatibili con le esigenze di protezione dell'ambiente e con la cura dello spazio naturale, prevede all'art. 3 la redazione di programmi zonali finalizzati all'applicazione del regime di aiuti dallo stesso istituito.
Per quel che concerne la Sicilia, si è ritenuto di operare sulla base di un unico programma a valenza regionale in quanto le differenziazioni strutturali del tessuto produttivo agricolo, seppur di notevole rilevanza, non giustificano un'applicazione diversificata nel territorio del regime d'aiuti.
Si è reputato, infatti, controproducente ipotizzare una suddivisione per aree omogenee, preferendo l'utilizzo di una strategia d'intervento unitaria a carattere integrato.
ARTICOLAZIONE DEL PROGRAMMA
Il programma, di durata quinquennale, è stato articolato nei seguenti punti:
- caratteristiche fisiche e geografiche;
- connotazioni ambientali;
- problematiche agroambientali;
- caratteristiche pedo-agronomiche;
- elementi socio-economici;
- analisi delle problematiche di comparto;
- obiettivi;
- criteri per la concessione degli aiuti;
- dichiarazione d'impegno per la concessione degli aiuti e importo massimo erogabile;
- azioni formative;
- stima delle spese annuali per la realizzazione del programma;
- criteri specifici per l'attuazione finanziaria;
- informazione e pubblicità;
- sistemi di controllo;
- disposizioni per inadempienze.
CARATTERISTICHE FISICHE E GEOGRAFICHE
L'area oggetto d'intervento coincide con l'intero territorio della Regione siciliana: 25.706 Kmq. di superficie complessiva e oltre cinque milioni di abitanti.
L'assetto amministrativo si articola in nove province regionali: Palermo, Messina, Catania, Siracusa, Ragusa, Enna, Caltanissetta, Agrigento e Trapani.
Dalla penisola italiana la Regione è separata dallo Stretto di Messina, mentre dal continente africano è divisa dal Canale di Sicilia.
La superficie geografica può essere distinta in tre versanti:
a) settentrionale, da Capo Peloro a Capo Boeo e Lilibeo (Mar Tirreno);
b) meridionale, da Capo Boeo a Capo Passero (Mar Mediterraneo);
c) orientale da Capo Passero a Capo Peloro (Mar Jonio).
Per ciò che riguarda la giacitura, il 28% dell'intera superficie presenta una pendenza inferiore al 5%, il 40% dal 5 al 20%, il 24% dal 20 al 40% e l'8% superiore al 40%.
La provincia con più elevata incidenza di aree pianeggianti è Ragusa in cui l'86% del territorio ha una pendenza inferiore al 20%, mentre in provincia di Messina l'82% della superficie ha una pendenza superiore al 20%.
In sintesi, l'intero territorio regionale può essere classificato per circa il 15% pianeggiante, il 61% collinare e per il 24% montano.
Oltre l'imponente cono vulcanico dell'Etna, si possono distinguere in Sicilia quattro regioni orografiche.
La prima, l'Appennino Siculo, è caratterizzata da un andamento generale di catena. Il tratto iniziale, partendo dallo Stretto di Messina, presenta notevoli assonanze con l'Appennino Calabro sia per la costituzione cristallina, che per le profonde fiumare; le creste, però, appaiono sottili e non superano i 1000-1300 mt. di altitudine.
A questo primo tratto (Monti Peloritani) seguono i Monti Nebrodi, di struttura geolitologica arenacea-argillosa, che si caratterizzano per un'altitudine maggiore. Proseguendo verso ovest, si erge il gruppo delle Madonie dove, nella parte centrale calcarea, si trovano alcune cime che sfiorano i 2.000 metri.
La seconda regione orografica comprende la Sicilia occidentale a ponente dei fiumi Torto e Platani, in cui è assente qualsiasi continuità di catena.
In genere, trattasi di vari rilievi isolati ed emergenti da una successione di colline e pianori di altitudine oscillante fra 500-600 metri, che si presentano con fianchi ripidi e brulli, spesso dirupati.
Una parte di questi rilievi raggiunge la costa tirrenica (Monte S. Calogero, M. Pellegrino, M. Sparagio, M. S. Giuliano), mentre una serie più raccolta ed elevata, all'interno, prende il nome di Monti Sicani comprendenti le vette del Monte Cammarata (1.580 mt.) e della Rocca Busambra (1.613 mt.).
La terza regione comprende il centro dell'isola, delimitato a sud-ovest dal canale di Sicilia e ad oriente dall'Etna. Tale area comprende i monti Erei, dove prevalgono i terreni pliocenici e in cui l'aspetto tabulare è frequente.
Infine, l'angolo sud-orientale è ben differenziato nella sua morfologia. Esso è occupato dai monti Iblei che formano un'estesa piattaforma sollevata costituita da calcari del pliocene e del miocene, intagliata da torrenti che spesso formano gole profonde.
Tra le pendici degli Iblei, degli Erei e quelle meridionali dei Nebrodi si determina un'ampia conca aperta verso lo Jonio, occupata in parte dall'Etna e dalla Piana di Catania, di natura alluvionale.
Il clima siciliano può essere definito mediterraneo sub-tropicale, semi-asciutto, a causa della lunghezza del periodo estivo siccitoso.
Gli ambienti termici fondamentali sono classificabili in tre categorie: litorali, aree interne, ossatura montana di nord-est.
La stagione piovosa, concentrata nel periodo autunno-vernino, apporta in media circa 700 mm. annui, cosicché l'indice di aridità, espresso dal rapporto fra temperatura e precipitazioni, oscilla da 10 a 30 nelle diverse zone climatiche.
L'idrografia è irregolare, dispersiva e caratterizzata dalla diffusa presenza di fiumare asciutte in estate.
CONNOTAZIONI AMBIENTALI
Rilevanti sono le valenze ambientali della Regione, che si caratterizza per la presenza di tre parchi regionali (Etna, Madonie e Nebrodi) e di numerose riserve, la cui incidenza territoriale complessiva di Ha 273.754 è pari al 11% della superficie territoriale totale.
In tali luoghi, è necessario attivare tipologie di sviluppo pienamente compatibili con la salvaguardia e la riqualificazione dell'ecosistema, basate prevalentemente sulla valorizzazione e l'utilizzo produttivo della risorsa "ambiente".
Più in particolare, ai fini dell'applicazione del Regolamento, le principali sottozone di rilevante interesse ambientale (vedi tavola allegata) possono essere individuate in quelle delimitate, secondo il disposto della legge regionale n. 98/81, della legge regionale n. 14/88, del piano regionale dei parchi e delle riserve naturali (cosiddette aree protette) e della legge regionale n. 37/81, art. 5 (oasi di protezione e rifugio della fauna selvatica).
In tali aree la normativa vigente vieta, fra l'altro, la cattura, l'uccisione, il danneggiamento o il disturbo delle specie animali. La delimitazione delle aree protette si sostanzia nell'individuazione di zone a riserva integrale, generale, di protezione e di controllo.
Ulteriori aree di protezione sono localizzate nelle zone di pre-parco o pre-riserva, nelle quali è permesso uno sviluppo controllato delle attività umane, allo scopo d'integrare il territorio circostante nel sistema di tutela ambientale.
Di seguito, si riporta una sintetica descrizione delle aree protette nel cui ambito territoriale ricadono vasti comprensori destinati all'utilizzazione agricola.
1. Parco delle Madonie (sup. protetta Ha 39.941)
Il sistema delle Madonie, con i suoi 2000 metri di altitudine massima, costituisce il più importante massiccio montuoso della Sicilia occidentale.
Trattasi di un'area che annovera un patrimonio naturale ed umano ricchissimo e vario.
A tutela di un ecosistema di così rilevante valore, nel 1989 è stato istituito il Parco regionale delle Madonie.
Le caratteristiche geo-morfologiche (tipicamente carsiche) e climatiche del territorio consentono l'identificazione di tre zone distinte: la fascia costiera del versante settentrionale, il massiccio centrale, il versante meridionale connesso con l'altopiano gessoso solfifero dell'interno.
Nei versanti costieri sono presenti numerose essenze arboree: olivo, sughera, castagno, frassino da manna, roverella, agrifoglio gigante.
La vasta catena montuosa conserva, invece, un manto boschivo di leccio e faggio, annoverando inoltre numerosissime specie endemiche fra cui gli ultimi esemplari esistenti al mondo di Abies Nebrodensis.
La fauna, un tempo abbondante, oggi è costituita dalla volpe, istrice, martora, gatto selvatico, ghiro, capovaccaio, falco pellegrino, picchio rosso, gracchio corallino.
L'allevamento bovino ed ovicaprino rappresenta l'attività agricola più diffusa, insieme alla coltivazione dell'olivo.
2. Parco regionale dei Nebrodi (sup. protetta Ha 85.587)
Il Parco dei Nebrodi, istituito con la legge regionale n. 98/81, si estende su una vasta area di recentissima delimitazione.
Si segnalano all'interno del Parco, oltre ad una serie di piccoli centri agricoli la cui economia è basata sulle attività silvopastorali, la presenza di alcune aree di notevolissima rilevanza ambientale, come Monte Soro e il Lago Trearie. Con i suoi 1.847 m. di altitudine s.l.m., Monte Soro è la vetta più elevata dei Nebrodi e rappresenta la seconda cima del territorio regionale, dopo l'Etna.
Il suo territorio ricade nei Comuni di Cesarò e di Alcara Li Fusi. L'area protetta di monte Soro presenta fitte faggete, cerri, aceri, frassini ed esemplari di notevoli dimensioni di una conifera sempreverde: il tasso baccato.
Il faggio raggiunse tali latitudini in epoche successive alle glaciazioni; nel sottobosco della faggeta sono presenti arbusti come l'agrifoglio, l'acero campestre e specie erbacee come la rosa selvatica, il rovo, il biancospino, ecc.
Il tasso, vive spesso in associazione con l'agrifoglio, con cui doveva costituire, in passato, estese formazioni.
Tra la fauna vanno ricordati molti mammiferi che popolano la zona, come il gatto selvatico in via di estinzione, la martora, la volpe, l'istrice, il ghiro.
Numerosissime le specie di uccelli nidificanti, legate alla faggeta ed al suo sottobosco.
3. Parco regionale dell'Etna (sup. protetta Ha 54.095)
Tra i più estesi parchi regionali d'Italia, si caratterizza per la presenza del più grande vulcano attivo d'Europa (3.300 m.s.l.m.).
Il paesaggio etneo si identifica per la presenza di alcune centinaia di bocche avventizie, sparse sui fianchi del vulcano, e di vaste aree di accumulo di lava, fra cui la nota Valle del Bove.
Dai punti di emissione di prodotti esplosivi e della lava, hanno origine colate di varia forma in cui si sviluppano frequentemente complessi sistemi di grotte.
L'ambiente, fino a 1300 metri, è caratterizzato, oltre che dalle colate laviche, da castagneti e colture agrarie, interrotti da aree di vegetazione naturale.
I boschi sono costituiti da leccio, roverella, castagno, pino laricio, cerro, faggio e betulla.
Quest'ultima, a causa delle particolari caratteristiche ambientali, si è differenziata in forma endemica.
Oltre i 2000 metri sopravvivono esigue popolazioni di faggio, betulle, pioppi, nonché lo spino santo, in forma di pulvini.
La fauna, nonostante la scomparsa di numerose specie di rilevante interesse, annovera ancora esemplari degni di tutela.
4. Riserva Bosco Ficuzza, Rocca Busambra, Cappelliere, Gorgo Drago (sup. protetta Ha 7.397)
Trattasi di un'area costituita recentemente in riserva naturale, per la notevole importanza ambientale e paesaggistica. La massima elevazione è raggiunta dai 1613 metri della Rocca Busambra, sovrastante il bosco della Ficuzza.
Il territorio circostante è caratterizzato da colture estensive asciutte su dossi collinari, interrotti da rilievi calcarei e speroni di roccia. La riserva rappresenta per la Sicilia occidentale un unico esempio di eccezionale distesa verde, costituita da 4000 ettari di bosco ceduo, composto in prevalenza da roverella.
Tuttavia, l'equilibrio dell'ecosistema è minacciato da un'eccessiva pressione antropica, favorita dall'inutile proliferare di vie d'accesso all'interno del bosco, e dal pascolo bovino, che sta causando il progressivo impoverimento del sottobosco.
5. Riserva Monti Palazzo Adriano-Valle del Sosio (sup. protetta Ha 5.862)
E' un'area recentemente istituita in riserva naturale, come previsto dallo specifico piano regionale. Interessa i territori comunali di Palazzo Adriano, Chiusa Sclafani, Burgio e Bivona.
Trattasi di un'oasi in cui sopravvive un ambiente tipico delle aree montuose interne della Sicilia, non ancora intaccato dagli effetti devastanti di un'antropizzazione selvaggia.
In particolare, la Valle del fiume Sosio costituisce un ecosistema di rara bellezza, sia per la presenza di blocchi calcarei riccamente fossiliferi del periodo permiano, che per l'esistenza di estesi boschi di leccio, roverella e corbezzolo.
La fauna è rappresentata da vari uccelli quali il Rampichino, il Fringuello, la Beccaccia, il Picchio rosso, nonché dal coniglio selvatico, dalla volpe e dal riccio.
6. Riserva Bosco S. Pietro (sup. protetta Ha 6.559)
Costituito quasi interamente da grandi sughere e lecci, rappresenta il più importante ambiente boschivo della Val di Noto.
Nei tratti ove il bosco è più rado, sopravvive una caratteristica gariga ricca di essenze aromatiche, come il rosmarino, il timo capitato, il lentisco, il cisto marino e l'erica.
Di una certa rilevanza la fauna, che ha risentito del degrado subito per decenni dal bosco, soppiantato dal pascolo e dai coltivi e sottoposto, a volte, ad opere di rimboschimento con specie di discutibile pregio come il pino e l'eucalipto.
7. Riserva Isole Egadi (sup. protetta Ha 1960)
Istituito in riserva naturale con decreto assessoriale n. n. 970 del 10 giugno 1991, l'intero arcipelago riveste un grande interesse naturalistico e paesaggistico.
Dal punto di vista vegetazionale, oltre alla gariga e alla macchia mediterranea, sono presenti numerosi endemismi.
Soprattutto nell'isola di Marettimo sono localizzate entità botaniche estremamente rare e totalmente assenti in Sicilia, nonché paleoendemismi e consociazioni vegetali uniche al mondo.
Per quel che concerne la fauna, è da riscontrare la presenza di una notevole avifauna sia migratoria che stanziale come il biancone, il grifone, il cormorano e l'uccello delle tempeste.
8. Riserva Isola di Pantelleria (sup. protetta Ha 2627)
Isola di rilevante estensione, costituita da un grande blocco di natura vulcanica.
La morfologia è caratterizzata dagli 836 metri di altitudine della Montagna Grande, da numerose grotte e insenature a strapiombo.
Il suolo, discretamente fertile, ospita capperi, olivi e soprattutto viti, dalle quali si ottiene il pregiato vino moscato tipico.
Gli aspetti floristici e faunistici di particolare rilevanza, hanno giustificato l'inclusione dell'isola fra le aree comprese nel piano regionale delle riserve naturali.
9. Riserve delle Isole Pelagie (sup. protetta Ha 620)
Il gruppo delle isole Pelagie è caratterizzato dalle formazioni vulcaniche di Linosa, di origini recenti, e dalla struttura calcarea di Lampedusa e Lampione.
L'isolamento e la difficile accessibilità, hanno condizionato negativamente le possibilità di sviluppo economico delle Pelagie.
Ciò, tuttavia, ha inciso positivamente nella conservazione dell'am-biente naturale.
Nel territorio della maggiore delle isole, Lampedusa, si ritrovano tracce di civiltà fenicia, greca, normanna ed araba.
Lampedusa dista solo 113 Km. dalla Tunisia e 150 Km. da Malta, ha la forma di un grande tavolato triangolare con alte pareti a picco sul mare e piuttosto frastagliate a nord; a sud in particolare si insinuano alcune cale degradanti sul mare. L'isola di Lampedusa è una delle ultime oasi del mediterraneo, ove risulta ancora presente la tartaruga marina. La scarsa vegetazione dell'isola è costituita da vari fruttiferi come il fico, il ficodindia, il carrubo, ed una serie di colture minori come patata, lentichia ecc..
La fauna delle Pelagie annovera il coniglio selvatico e molte specie di uccelli, fra cui la Berta maggiore e il Gabbiano reale.
10. Riserve delle Isole Eolie-Lipari (sup. protetta Ha 6.811)
Al largo della costa tirrenica messinese sono localizzate le isole dell'arcipelago delle Eolie, di natura vulcanica.
Esse ospitano la caratteristica vegetazione della macchia mediterranea, dove abbondanti si ritrovano la vite, il fico d'india, vari fruttiferi, il carrubo ed altre colture molto importanti per l'economia locale, basata fondamentalmente sul turismo.
Le Eolie sono inoltre, specie nel periodo autunnale e primaverile, luogo di sosta per diverse specie di uccelli migratori. Non di rado, infatti, si possono osservare l'airone rosso e cinerino, il cormorano, il pellicano, gru, fenicotteri ecc.
Tra le specie stanziali più interessanti si ricordano la berta maggiore e minore, il gabbiano reale, la poiana, il gheppio ed il falco.
L'importanza naturalistica di queste isole ed il suo paesaggio sono stati per anni messi in pericolo da interessi speculativi: a Vulcano e Lipari, ad esempio, la pressione antropica ha lasciato pesanti tracce con una serie di costruzioni private di tipo abusivo e ad alto impatto con l'ambiente circostante.
In tale contesto, constatata la necessità di salvaguardare l'arcipelago, con la legge regionale n. 98/81 è stata istituita la riserva del monte Fossa delle Felci e Monte dei Porri nell'Isola di Salina. Con successivo decreto assessoriale n. 970 del 10 giugno 1991, sono state recentemente istituite le seguenti riserve: isola di Panarea e scogli viciniori, isola di Stromboli e Strombolicchio, isole di Alicudi, Filicudi, Lipari e Vulcano.
Aree protette di limitato interesse per l'attività agricola
Fra le restanti riserve naturali si possono evidenziare le seguenti, caratterizzate da aree di ridotta estensione localizzate in molti casi presso foci di fiumi, o in microambienti significativi dal punto di vista naturalistico e paesaggistico, ma interessati marginalmente dall'attività agricola.
11. Riserve dello Zingaro e Monte Cofano;
12. Riserva Isole dello Stagnone di Marsala;
13. Riserva Foce del fiume Belice;
14. Riserva Lago Preola e Gorghi Tondi;
15. Riserva Valle dell'Alcantara
16. Riserve Rocche di Alcara Li Fusi e vallone Calagna sopra Tortorici
17. Riserva Bosco di Malabotta
18. Riserva Fiumedinisi e Monte Scuderi
19. Riserve Lagune di Oliveri-Tindari e di Capo Peloro
20. Riserva del Simeto;
21. Riserva di Vendicari;
22. Riserva Cava Grande del Cassibile;
23. Riserva di Pantalica, Valle Anapo, Torrente Cavagrande.
24. Riserva dei Pantani della Sicilia sud-orientale
25. Riserva della foce del Fiume Platani
26. Riserva di Monte Cammarata
27. Riserva del Bosco di Sperlinga e dell'Alto Salso
28. Riserva Monte Capodarso e Valle dell'Imera Settentrionale
29. Riserva della Sughereta di Niscemi
30. Riserve di Sambuchetti-Campanito e di Rossomanno-Bellia
31. Riserva del Lago di Pergusa
PROBLEMATICHE AGROAMBIENTALI
Il degrado dei territori agricoli e forestali o fortemente antropizzati come quelli urbani e costieri, si esprime in Sicilia con modalità specifiche e differenziate.
Le principali emergenze ambientali nelle aree agro-silvo-pastorali, sono dovute sostanzialmente all'uso spesso irrazionale del territorio.
Le cause hanno origine in epoche remote, ma registrano ulteriori aggravamenti nell'ultimo cinquantennio, a causa della mancanza di un'adeguata e coordinata politica di pianificazione territoriale finalizzata alla salvaguardia e tutela delle condizioni ambientali.
In particolare, la problematica connessa all'instaurazione di fenomeni di erosione e dissesto idrogeologico del territorio è senza dubbio complessa, a causa delle numerose interrelazioni con fattori di diversa natura non sempre agevolmente individuabili.
Fra le cause maggiormente responsabili del peggioramento delle caratteristiche agroambientali e paesaggistiche del territorio, si possono ricordare le seguenti:
- insufficiente copertura boschiva con ottimali caratteristiche strutturali e tipologiche;
- impiego di essenze forestali non autoctone negli interventi di rimboschimento;
- elevata incidenza degli incendi boschivi;
- eccessiva pressione del pascolo sulle aree boscate;
- abbandono delle aree marginali a bassa redditività;
- sfavorevoli caratteristiche pedologiche ed orografiche (zone collinari a matrice fondamentalmente argillosa);
- scarsa diffusione delle opere di sistemazione dei terreni a funzione regimante;
- adozione di tecniche di lavorazione "a rittochino" orientate lungo le linee di massima pendenza;
- progressiva cementificazione degli alvei dei fiumi;
- prosciugamento di corsi d'acqua per la realizzazione d'invasi artificiali e opere di presa a volte di discutibile utilità;
- irregolare andamento delle precipitazioni;
- eccessiva incidenza della rete viaria, anche in zoneparticolarmente predisposte a fenomeni erosivi o ad elevata valenza paesaggistica;
- utilizzo irrazionale delle superfici destinate a pascolo;
- scomparsa delle tradizionali connotazioni del paesaggio agrario;
- pessima gestione di gran parte delle aree protette;
- assenza di una cultura rispettosa dei valori ambientali.
Ulteriori aspetti meritevoli di attenzione riguardano, inoltre, la progressiva diminuzione della fauna selvatica, lo smaltimento dei residui di lavorazione dell'industria agroalimentare, lo sfruttamento delle acque reflue nella pratica irrigua, l'impoverimento e l'inquinamento delle falde acquifere e il progressivo aggravamento dei fenomeni di speculazione edilizia anche in numerose aree tradizionalmente vocate all'utilizzazione agricola.
Per quanto concerne in maniera più specifica l'impatto dell'attività agricola sull'ecosistema, è necessario operare alcune differenziazioni.
Agli ordinamenti colturali a carattere tradizionale quali il seminativo in rotazione, la viticoltura e l'orticoltura di pieno campo in asciutto, in linea generale non sono riconducibili danni rilevanti per l'equilibrio degli agroecosistemi.
Tuttavia tali processi produttivi sono suscettibili di ulteriori affinamenti, in grado di ridurne ulteriormente l'impatto.
Di contro, gli ordinamenti colturali e gli allevamenti zootecnici a carattere intensivo senza dubbio alterano pesantemente l'equilibrio ambientale e gli elementi costitutivi del paesaggio.
Tali connotazioni di potenziale rischio ambientale assumono la massima espressione nelle colture protette o semiprotette, caratterizzate da massicci utilizzi di pesticidi, fitoregolatori, di sterilizzanti del substrato a lunga persistenza, nonché dalla produzione di residui di film plastici.
CARATTERISTICHE PEDO-AGRONOMICHE*
La pedogenesi siciliana è profondamente influenzata dalle differenti formazioni litologiche da cui i suoli hanno ereditato gran parte dei loro caratteri ma anche, dalle condizioni climatiche con elevate temperature estive, accompagnate da eccentuata aridità che si contrappongono alle elevate precipitazioni e alle miti temperature invernali. Il quadro pedologico dell'Isola risulta pertanto costituito da una varietà di suoli che ricoprono tutta una vasta gamma, che va dai tipi pedologici meno evoluti a quelli più evoluti.
Le formazioni litologiche maggiormente caratterizzanti l'area occidentale dell'Isola, nelle province di Palermo e Trapani, sono prevalentemente di tipo argilloso.
L'associazione pedologica prevalente è costituita da regosuoli e suoli bruni che, in corrispondenza dei fondovalli, spesso danno origine ai suoli bruni vertici e talvolta ai vertisuoli.
In questo tipo di associazione, che mostra una potenzialità agronomica da discreta a buona, l'utilizzazione principale del suolo è la coltura cerealicola, che nella pluralità dei casi non ammette alternative, anche se a volte sono presenti il vigneto e l'arboreto.
Le formazioni carbonatiche e calcaree danno luogo ai rilievi montani più considerevoli: Monti Madonie, Monti Sicani, le montagne prospicienti il golfo di Palermo e quelle che vanno dalla parte occidentale del golfo di Castellammare fino al Monte Erice.
A tali formazioni corrispondono le rocce affioranti e i litosuoli, quest'ultimi associati ai suoli bruni e alle terre rosse.
Una particolare attenzione meritano le terre rosse, che si sviluppano sulle formazioni calcarenitico-sabbiose localizzate nella fascia costiera del palermitano e del trapanese fino a Mazara del Vallo.
Le terre rosse sono suoli dall'elevata aridità pedologica che, accompagnata da modesta profondità, determina una fertilità agronomica piuttosto bassa; tuttavia in presenza dell'acqua d'irrigazione, tali terreni acquistano un'accettabile capacità produttiva.
La morfologia ed il paesaggio cambiano a seconda che si tratti di suoli insistenti su calcari o su tufi; i massicci calcarei presentano quasi sempre forme aspre e accidentate, la vegetazione è caratterizzata da forme degradate di macchia mediterranea, cespugli ed erbe rade, che consentono il pascolo di ovini e caprini, raramente di bovini.
Il paesaggio si ravviva sui più fertili suoli dei ripiani costieri e terrazzati trasformati in agrumeti frutteti e orti dove si dispone di acqua d'irrigazione (Conca d'oro di Palermo), e in vigneti asciutti (area del trapanese). Nella Piana di Marsala e in alcune zone a sud di Castelvetrano, dove l'azione antropica ha esercitato attraverso la triturazione del crostone calcarenitico-sabbioso una radicale trasformazione del suolo, si sono prodotte le cosiddette "sciare" o "terre aride".
Nelle sciare i terreni riscattati a fini agricoli sono stati utilizzati prevalentemente per la coltura del vigneto, in parte soppiantata negli ultimi anni dalle colture in serra.
La litologia dell'area centrale dell'Isola, interessata dalle province di Enna, Caltanissetta e Agrigento, mostra una fascia centrale caratterizzata da formazioni prevalentemente argillose, con consistenti frange della serie gessoso-solfifera che, spostandosi verso est, nell'ennese si mischiano con formazioni prevalentemente sabbiose e argilloso-sabbiose, che assumono una certa rilevanza nelle aree sud-orientali.
Queste province comprendono, quasi interamente, le plaghe interne estensive di coltivazione dei seminativi della Sicilia.
Tali colture insistono prevalentemente su associazioni pedologiche rappresentate da regosuoli e suoli bruni, che occupano complessivamente una superficie superiore al 30% del comprensorio.
I suoli che la compongono formano la tipica struttura dell'entroterra collinare argilloso siciliano, caratterizzata da una morfologia ondulata con pendii variamente inclinati che, alla base della collina, lasciano il posto a spianate più o meno ampie.
Particolare attenzione meritano i regosuoli: privi di struttura stabile risultano esposti ai fenomeni erosivi che, in virt× dello scarso spessore dei suoli, danno origine a smottamenti, a frane e a calanchi che interessano il substrato argilloso, costituendo l'espressione più evidente del dissesto e della instabilità dei sistemi collinari siciliani.
In questi terreni le concimazioni minerali, in sostituzione degli apporti naturali, le lavorazioni intensive, l'adozione di avvicendamenti colturali spiccatamente cerealicoli e scarsamente organogeni, come pure il pascolo disordinato, favoriscono i fenomeni di degradazione del suolo.
Infine, nelle aree più pianeggianti o nei fondovalle, dove accanto ai seminativi si trovano ottimi esempi di frutteti e di vigneti sovente in asciutto, compare l'ultimo anello della catena rappresentato da altri suoli argillosi: quelli alluvionali e/o i vertisuoli, in cui prevalgono i fattori di accumulo su quelli erosivi.
Sempre nelle aree interne, dai substrati della serie gessoso-solfifera proviene l'associazione regosuoli-litosuoli-suoli bruni e/o suoli bruni vertici, che trova la sua massima espansione nelle provincie di Agrigento, Caltanissetta ed Enna.
Tali suoli, prevalentemente confinati tra i 500 e gli 800 m.s.l.m., sono di scarsa potenzialità produttiva e solo quando raggiungono un sufficiente spessore, come nelle doline di accumulo o nei fondovalle, consentono l'esercizio della cerealicoltura e delle foraggere. Nei casi in cui lo spessore del suolo si assottiglia o affiora la roccia, il seminativo cede il posto a magri pascoli o a colture arboree tipicamente mediterranee ed arido-resistenti, come il mandorlo e l'olivo.
A partire dalla zona meridionale della provincia di Agrigento progressivamente i regosuoli lasciano il posto, in corrispondenza delle zone sabbiose e argilloso-sabbiose, ai suoli bruni e ai suoli bruni lisciviati.
I suoli bruni formatisi su rocce sabbiose e conglomeratiche manifestano una spiccata vocazione per le colture arboree. Si trovano soprattutto nell'area tra Caltagirone (CT) e Niscemi (CL) e tra Sciacca e Ribera (AG); su questi terreni sono rappresentati tutti i fruttiferi e la vite, quasi sempre a forte specializzazione, con netta affermazione degli agrumi nelle aree irrigue.
Sulla parte più alta della catena dei Nebrodi, dai 700 mt. sino a Monte Soro (1800 mt), è invece presente un'associazione tra suoli bruni lisciviati, suoli bruni e suoli bruni leggermente acidi.
Sui Nebrodi, grazia alla prevalenza di substrati fliscioidi, la morfologia si presenta più dolce rispetto ai Peloritani, con sommità arrotondate e minore incidenza, lungo i pendii, della attività erosiva.
Nella fasce più basse prevale l'utilizzazione a pascolo e frutteto (nocciolo, castagno). L'alta montagna è occupata da fustaie di conifere, con ceduo di faggio, castagno e cerro, con diminuizione delle areee destinate al pascolo, relegate in zone molto ristrette, sulle cime più alte.
Globalmente, la suddetta associazione, presenta una discreta potenzialità agronomica, valorizzata da bosco e pascolo.
I monti Peloritani, specie nalla fascia sud-occidentale, sono interessati da una associazione tra litosuoli, suoli bruni acidi e roccia affiorante che ne caratterizza notevolmente il paesaggio. Tale associazione è presente da quote minime di 100 m.s.l.m. a quote di 900 m.s.l.m. prevalendo tuttavia tra i 400 e gli 800 mt.
La morfologia sub-montana è dominata da ripidi pendii che favoriscono la formazione di litosuoli.
In presenza di ristrette aree di copertura vegetale, si ha la formazione di suoli acidi, favorita dalla notevole piovosità annua, superiore in genere agli 800 mm.
A causa della bassa potenzialità produttiva di tale associazione, l'unica destinazione agronomica possibile è quella a pascolo e bosco.
Dal punto di vista litologico la provincia di Catania presenta una suddivisione territoriale piuttosto netta in due sottozone che, in direzione nord-sud, sono rappresentate dalle vulcaniti e dall'area dei depositi alluvionali e litorali.
Dalle vulcaniti a nord emerge il Monte Etna (3.242 m.s.m.), che dal punto di vista pedologico possiede una conformazione a cerchi quasi concentrici che, dal centro del vulcano costituito da roccia affiorante per un raggio di diversi chilometri, in direzione della periferia evolve in litosuoli e regosuoli per passare, in corrispondenza delle falde, ai suoli bruni andici ed infine, in prossimità del mare, all'associazione suoli bruni-suoli alluvionali.
Quest'ultimi suoli mostrano una potenzialità tendenzialmente buona: il loro uso prevalente è rappresentato dal vigneto, dall'arboreto e dall'agrumeto.
Subito a sud della città di Catania, per tutta la lunghezza del golfo omonimo e nell'entroterra fino alla cittadina di Ramacca, si estendono i suoli alluvionali i quali formano grande parte della Piana di Catania e degli alvei degli affluenti del Fiume Simeto.
Su tali suoli insiste la grande fascia agrumetata del catanese.
Verso sud, nelle provincie di Siracusa e Ragusa, sulle formazioni calcarenitico-sabbiose costiere e prevalentemente sulle formazioni carbonatiche, si sono formati suoli bruni e suoli bruni calcarei. Sono terreni ben dotati di sostanza organica e con buona potenzialità agronomica.
L'associazione suoli bruni lisciviati-terra rossa, tipica della zona di Vittoria, trova il suo uso prevalente nel vigneto, nella serricoltura, nell'agrumeto, nell'oliveto ed infine nel mandorlo. Anche se nel complesso mostra caratteri di scarsa fertilità, in presenza dell'irrigazione manifesta un'ottima capacità produttiva.
L'area orientale, infine, si chiude a sud nel ragusano con i suoli bruni e bruni-calcarei derivanti dalle formazioni di rocce calcaree caratterizzanti i terreni a pascolo dell'Altopiano Ragusano, riscattati all'allevamento attraverso lo spietramento e la costruzione di chiudende con muretti a secco per proteggere il suolo dall'erosione e assicurare lo sviluppo della cotica pabulare. Si tratta di veri e propri pascoli naturali avvicendati col frumento, considerato, in questa occasione pianta miglioratrice.
ELEMENTI SOCIO-ECONOMICI
Popolazione e forze lavoro
Secondo quanto emerge dai dati ISTAT, relativamente al 1991, la popolazione residente nell'intero territorio della Sicilia ammonta a circa 4.961.383 unità, ripartita in 390 Comuni, di cui 50 con popolazione superiore a 20.000 abitanti che, nel complesso, totalizzano il 62% della popolazione.
Sul mercato del lavoro, caratterizzato dalla persistente eccedenza dell'offerta sulla domanda, i dati, riferiti sempre al 1991, valutano un numero di persone in cerca di occupazione pari al 23% delle forze di lavoro totali.
Gli occupati, risultano pari a 1.478.000 unità, di cui 209.000 in agricoltura, 309.000 nell'industria e 960.000 in altre attività.
Ripartizione della SAU
Secondo i più recenti dati ISTAT (Censimento dell'Agricoltura 1991), la superficie agricola totale, relativa a 404.204 aziende, ammonta a 1.913.841 ettari, di cui la S.A.U. rappresenta circa l'84% pari a Ha 1.598.901. Essa è costituita per il 50% da seminativi, per il 20% da prati e pascoli permanenti, mentre la restante superficie (30%) è occupata da coltivazioni legnose quali vite, olivo, agrumi ed altri fruttiferi.
Nel 1982, in base ai dati ISTAT, risultava che la superficie agricola totale, relativa a 433.926 aziende, era pari a 1.992.480 ettari, di cui S.A.U. 85% pari ad ettari 1.694.905, costituita per il 51% da seminativi, per il 19% da prati e pascoli permanenti, per il 30% da coltivazioni legnose.
Se ne deduce una leggera contrazione della SAU e del numero di aziende.
Per quanto attiene in particolare ai seminativi, questi attualmente sono rappresentati in maggior misura (59%) dai cereali che occupano una superficie di ha 476.601. Dal censimento dell'agricoltura 1982, risultava una superficie investita a cereali pari a ha 566.922 (64%). Incidenza percentuale inferiore hanno, in ordine, le colture foraggere, le ortive, le leguminose da granella e le coltivazioni floricole.
La coltura legnosa maggiormente diffusa (circa il 36%) risulta essere la vite con ha 174.279, mentre nel precedente censimento l'estensione risultava pari a ettari 187.432 (38%). Seguono gli impianti olivicoli (23% nel 1982 e 25% nel 1991), gli agrumeti (21% sia nel 1982 che nel 1991), mentre il restante 18% è interessato da altre coltivazioni legnose.
La superficie boscata è diminuita, essendo passata dai 190.090 Ha del 1982 ai 184.350 Ha attuali.

SICILIA

Superf. terr. Montagna Collina Pianura
Totale Ha
2.570.631 628.617 1.577.950 364.064

Dati statistici - Censimenti dell'agricoltura 1982-1991

Aziende e superfice totale e agricola utilizzata - SICILIA

ANNI 1982 1991
N. N.
Aziende totali 433.926 404.204
Ha Ha
S.A.U. Totale 1.694.906 1.598.901
Colture erbacee 881.336 801.576
Colture arboree 496.981 480.513
Prati pascoli permanenti 316.589 316.812
ANNI 1982 1991
Boschi 190.090 184.350
Altre superfici 107.484 130.590
Superficie totale 1.992.480 1.913.842

S.A.U. (Ha) per coltura - SICILIA

ANNI 1982 1991
Cereali 556.922 476.602
Frumento duro 547.859 443.620
Altri cereali 9.063 32.982
Leguminose/granella nr 15.377
Foraggere 112.381 130.214
Ortive 30.147 37.378
ørtive in serra 3.740 4.802
Fiori e ornamentali 546 757
Altri seminativi 171.140 141.248
Vite 187.433 174.280
Uva da vino D.O.C. 9.625 6.015
Altra uva da vino 157.432 146.714
Uva da tavola 20.084 20.589
Olivo 118.597 120.883
Olive da mensa nr 7.758
Olive da olio nr 113.125
Agrumi 105.926 101.847
Arancio 60.001 60.713
Limone 31.045 26.158
Fruttiferi 81.397 79.154
Pesco 4.528 4.444
Mandorlo 43.370 39.414
Nocciolo 16.881 16.722
Altre colt. arboree 3.629 4.349

P.L.V. e valore aggiunto del settore agricolo
La produzione lorda vendibile ottenuta in Sicilia è passata dai 4.012.352 milioni di lire del 1982, ai 5.062.905 milioni del 1991 (valori costanti 1985); di questi il 35% circa è relativo alle produzioni erbacee e foraggere, il 50% ai prodotti delle colture legnose ed il restante 15% ai prodotti zootecnici.
Il valore aggiunto, nel 1991, si è attestato in £ 4.192.850 milioni (circa 20 milioni per addetto), contro i 3.337.549 milioni di lire del 1982 (11,4 milioni di lire per addetto).
Produzione lorda vendibile e valore aggiunto - Sicilia

Valori costanti (1985): milioni di lire

ANNI 1982 1991 Indice 1982=100
Erbacee e foraggere 1.431.830 1.778.028 124
Coltivazioni arboree 1.924.867 2.521.847 131
Allevamenti zootecnici 655.655 763.030 116
P.L.V. totale 4.012.352 5.062.905 126
Valore aggiunto 3.337.549 4.192.850 126


Produzione lorda vendibile - Sicilia

Valori costanti (1985): milioni di lire

ANNI 1982 1991 Indice 1982=100
Cereali 332.917 348.604 105
Frumento duro 324.104 333.684 103
Altri cereali 8.813 14.956 170
Leguminose da gran. 5.441 33.749 620
Foraggere 7.192 3.459 48


ANNI 1982 1991 Indice 1982=100
Ortive 990.766 1.182.566 119
Fiori e ornamentali 93.909 208.857 222
Altri seminativi 1.605 793 49
Vite 507.894 644.286 127
Uva da vino 398.634 456.359 114
Uva da tavola 101.331 180.938 179
Olivo 195.977 339.240 173
Olive da mensa 43.507 84.094 193
Olive da olio 152.470 255.146 167
Agrumi 1.005.561 1.262.488 126
Arance 462.899 590.352 128
Limoni 470.751 579.519 123
Altri agrumi 71.911 92.617 129
Fruttiferi 189.143 248.804 132
Pesche 18.852 21.905 116
Mandorlo 60.925 94.809 156
Nocciole 26.280 29.565 113
Altre colt. arboree 83.086 102.525 123

ANALISI DELLE PROBLEMATICHE DI COMPARTO
Cereali
La coltivazioni dei cereali è rappresentata quasi esclusivamente dal frumento duro, che viene coltivato prevalentemente nelle aree interne o svantaggiate, dove, in relazione alla sua intrinseca capacità di pervenire ad una produzione più o meno significativa in assenza di investimenti stabili o di rilievo, ha sempre avuto il merito di valorizzarne le potenzialità ambientali.
La coltivazione del frumento si è andata consolidando nei terreni più o meno argillosi della fascia collinare interna, la quale per natura del suolo, caratteristiche del clima ed, in particolare, per la spiccata carenza idrica a partire dalla stagione primaverile, presenta notevoli limiti all'inserimento di colture più redditizie.
La superficie destinata a grano duro in Sicilia ha subito nell'ultimo decennio una notevole contrazione, passando dai 547.859 ha del 1982 ai 443.620 ha del 1991. La PLV, di contro, per effetto dell'aumento delle rese unitarie, si è incrementata, nello stesso arco di tempo, da 324.104 a 333.684 milioni di lire.
E' opportuno sottolineare che la riduzione della superficie, rappresenta un indice dello sforzo di contenere la coltivazione nelle aree maggiormente vocate alla coltura granaria e suscettibili di più efficaci risposte agli interventi tecnici.
Le suddette riduzioni, inoltre, sono da imputarsi agli effetti del set-aside e a problemi di mercato, oltre alla mancanza di un adeguato ammasso selettivo del prodotto, in grado di consentire la valorizzazione delle caratteristiche merceologiche.
Ai fini di una riqualificazione del settore sarebbe opportuno indirizzare ulteriormente, attraverso un'adeguato rapporto tra ricerca e realtà aziendale, la scelta varietale da parte degli imprenditori verso il grano duro di qualità e di forza.
In particolare, un obiettivo di notevole rilevanza consiste nell'assicurare un ruolo significativo alla granicoltura siciliana, esaltandone le caratteristiche qualitative, anche con una razionalizzazione della filiera grano duro industria di trasformazione.
Foraggere
Nel particolare contesto ambientale regionale, caratterizzato da limiti relativi all'orografia, alla natura dei suoli e ad alcuni elementi del clima, il ruolo svolto dalle colture foraggere travalica di gran lunga l'aspetto strettamente produttivo, assumendo vitale importanza la funzione ecologica che queste colture esercitano nella conservazione del suolo, nella salvaguardia degli equilibri ambientali e nella difesa del territorio.
Tali funzioni si esplicano sia nelle situazioni economicamente più avanzate, dove il rischio della degradazione deriva dall'eccesso di specializzazione, sia in quelle più povere dove il rischio proviene dall'abbandono delle terre da parte dell'uomo.
La cronica crisi che attualmente attraversa la foraggicoltura si riflette, dunque, negativamente anche sullo stato di salute degli agro-ecosistemi.
Con riferimento ai dati del censimento 1991 la superficie investita a foraggere in Sicilia è risultata pari a 447.026 Ha, il 28% della SAU, di cui 130.214 Ha investiti a foraggere avvicendate e 316.812 Ha interessati dai pascoli permanenti.
Rispetto al 1982, si è registrato un incremento delle foraggere avvicendate di 17.833 ha e una stasi dei pascoli permanenti.
Nella collocazione territoriale i pascoli permanenti occupano essenzialmente le aree classificate montane e, in minor misura, le aree marginali della collina, dove si riscontrano anche pascoli naturali temporanei avvicendati con colture cerealicole.
I prati avvicendati e gli erbai trovano prevalente localizzazione nella più vasta area collinare interna, dove è dominante l'indirizzo colturale cerealicolo e cerealicolo-zootecnico.
Nelle zone di pianura, ormai in maggioranza irrigua, le colture foraggere s'inseriscono raramente in modo rappresentativo. In ogni caso, nelle suddette zone prevalgono gli erbai annuali a ciclo autunno-primaverile in coltura asciutta, nonché gli erbai intercalari primaverili-estivi in coltura irrigua.
Le zone dove ricorrono le formazioni più rappresentative si riscontrano sui Peloritani, presso le cime più alte delle Caronie e delle Madonie, nella catena montana che dal Golfo di Termini si estende fino alla provincia di Trapani, con qualche propaggine verso l'agro di Godrano; sui terreni assai poveri appartenenti a quei rilievi che si estendono da Partanna (TP) a Cammarata (AG) sino a Corleone e Maazzarino (PA) e, infine, sull'altopiano di Ragusa dove si riscontrano le ben note e caratteristiche formazioni a pascolo.
Alcune stime rivelano come l'attuale produzione foraggera isolana, attribuibile per circa il 40% ai prati avvicendati, per il 44% agli erbai e per il 16% ai pascoli, sia nettamente insufficiente; appena il 50%, rispetto al fabbisogno dell'attuale consistenza del bestiame.
Per comprendere i problemi della foraggicoltura siciliana, occorre ricordare che i limiti allo sviluppo degli allevamenti zootecnici in Sicilia sono da sempre scaturiti dai limiti posti alla produzione foraggera dalle condizioni ambientali e particolarmente, da quelle afferenti al clima.
E' notorio che nell'ambiente mediterraneo tipico un lungo periodo siccitoso primaverile-estivo seguee ad una stagione autunno-vernina aleatoriamente piovosa caratterizzata, soprattutto nelle zone più elevate, da un deficit termico che comporta una stasi vegetativa non meno grave di quella dovuta alla siccità estiva. Dunque, in correlazione, si può affermare che la produzione foraggera risulta caratterizzata da:
- discontinuità produttiva nel corso dell'anno, sia durante i rigidi mesi invernali, che durante la più o meno lunga stagione asciutta;
- elevata concentrazione primaverile della produzione, peraltro aleatoria come le precipitazioni che la sostengono;
- basse rese e scadente qualità dei foraggi;
- scarsa diversificazione delle specie coltivate;
- pascoli poveri, prevalentemente costituiti da specie annuali, negativamente influenzati dal pascolamento a carico elevato e comunque mai razionalmente governato.
Ortofloricole
Il comparto, nel suo insieme, intercetta in larga prevalenza i contesti climatici e pedologici più favorevoli, nei quali risultano maggiormente disponibile l'irrigazione.
La destinazione prevalente dei prodotti è quella del consumo allo stato fresco e, solo marginalmente, all'industria di trasformazione.
E' da sottolineare che l'ortofloricoltura è il comparto che ha la più ampia articolazione a livello di specie, di varietà (per le antiche tradizioni colturali e per effetto del miglioramento genetico), e di sistemi e tecniche di produzione (coltivazioni in pien'aria, difese, forzate, protette, ecc...).
In Sicilia, la superficie investita a colture ortive da pieno campo è passata dai 30.147 ha del 1982 ai 37.378 ha del 1991, mentre quella relativa alle ortive in serra si è incrementata dai 3.740 ha del 1982 ai 4.802 ha del 1991; anche la floricoltura e le piante ornamentali hanno visto ampliare le superfici investite, che sono passate dai 546 ha del 1982 ai 757 ha del 1991.
Le aree dove maggiormente è praticata l'orticoltura di pieno campo sono coì individuabili: Buonfornello (PA), principalmente per il carciofo; l'interno collinare del trapanese, dove si è diffusa la coltivazione del melone e del pomodoro da industria; la fascia litorale tirrenica del messinese, in prossimità dei territori circostanti il comune di Milazzo, interessata dalla coltivazione della patata novella cv. Spunta, con una produzione destinata principalmente al mercato estero; alcune zone della piana di Catania, dove sono coltivati con ben definiti calendari di coltivazione il carciofo, l'anguria e le leguminose; le zone litoranee della provincia di Siracusa, dove le colture ortive sono proiettate verso i grandi mercati nazionali ed esteri, con alcune produzioni tipiche quali la carota e la patata precoce; le zone irrigue lungo la costa meridionale dell'Isola, nonché alcune fasce alluvionali risalenti gli alvei dei fiumi; e, infine, talune aree interne nelle quali l'orticoltura viene praticata in asciutto e dove, spesso, si riscontrano oasi di coltivazione di varietà che, dotate di particolare pregio per le specifiche caratteristiche organolettiche e quindi di potenzialità per una buona collocazione nel mercato, rischiano la scomparsa in mancanza di adeguate iniziative di salvaguardia e valorizzazione.
Particolare importanza assume nel territorio siciliano la produzione orticola in serra, sviluppatasi negli ultimi anni lungo le aree costiere pianeggianti a maggiore potenzialità agronomica.
L'esempio più significativo è quello della provincia ragusana e, in particolare, la pianura di Vittoria dove vengono coltivate diverse specie orticole, che trovano una buona collocazione sui mercati nazionali.
Nel territorio di Marsala (TP), altro importante nucleo dell'orticoltura in serra isolana, soprattutto nell'ultimo decennio si è insediata una serricoltura che presenta, in particolar modo per gli aspetti agronomici e biologici, numerosi elementi di diversificazione rispetto alla tradizionale serricoltura.
Nelle province di Agrigento e Caltanissetta la produzione in serra si trova diffusa prevalentemente in due distinte zone: nella fascia costiera che si estende da Licata e Gela ed in quella del riberese.
In generale, va ricordato che negli ambienti serricoli l'uso continuo e indiscriminato di prodotti di sintesi poco degradabili ad ampio spettro di azione (clororganici, esteri fosforici e carbammati) rischia di produrre una serie di conseguenze negative, in termini d'impatto ambientale.
Per quanto riguarda il settore floricolo, esso insiste sulle stesse aree vocate per l'orticoltura e prevalentemente in prossimità dei grossi centri urbani, che costituiscono ancora oggi i principali mercati di assorbimento.
La destinazione più diffusa è rappresentata dalla coltivazione di piante per fiore reciso e piante ornamentali, sia in pien'aria che in serra; fra le prime hanno maggiore diffusione i garofani, le rose, i gladioli e i crisantemi, mentre per le piante da vaso primeggiano le palme (Kentie), le piante grasse, le gardenie, etc..
Si può affermare che, nel complesso, la floricoltura è attualmente un settore in forte espansione; la domanda di mercato, infatti, risulta attiva e molto articolata.
Vite
In Sicilia la produzione viticola interessa prevalentemente l'uva da vino, con un'estensione di 152.729 ha (1991), in decremento rispetto ai 167.057 del 1982. Un leggero incremento, invece, si registra nella coltivazione dell'uva da tavola, la cui superficie è passata dai 20.084 ha del 1982, ai 20.589 ha del 1991.
La PLV di uva da vino è passata da 398.634 milioni di lire (1982) a 456.359 milioni di lire (1991), quella di uva da tavola da 101.331 milioni di lire (1982) a 180.938 milioni di lire (1992).
Da circa un decennio il settore vive una progressiva crisi di mercato, che coinvolge non solo l'assetto strutturale dell'agricoltura, ma anche il vasto sistema economico dell'indotto.
Nonostante che negli ultimi trent'anni la struttura produttiva ed enologica si sia modificata profondamente, la tipologia della produzione, in termini di fase finale di sbocco di mercato, sostanzialmente non è cambiata.
Infatti, una minima parte della materia prima dà origine a vini di qualità, mentre la restante è destinata alla trasformazione in vino di massa e, in parte, alla distillazione.
Al riguardo, è opportuno evidenziare l'elevata presenza di strutture cooperative di ammasso e trasformazione dell'uva, che tuttavia non riescono a qualificare in maniera idonea il prodotto finale.
In questo contesto occorre modificare l'attuale assetto produttivo, diversificando la produzione al fine di dare personalità alla vitivinicoltura siciliana, in modo particolare recuperando il patrimonio di cultura, di tecnologia e di professionalità che nel passato, con il Marsala, aveva fatto conoscere nel mondo una precisa immagine del vino siciliano.
E' necessario intervenire sulle produzioni utilizzando varietà, tecniche di allevamento e operazioni colturali finalizzate all'ottenimento di produzioni qualitativamente migliori. Tutto ciò anche a discapito delle rese.
In un tale contesto non certo ottimale e carente soprattutto per gli aspetti qualitativi sussistono, tuttavia in talune zone, produzioni vinicole tipiche di particolare pregio, derivanti da condizioni ambientali e colturali favorevoli.
Complessivamente, la Sicilia produce 10 vini D.O.C. e 15 vini da tavola ad indicazione geografica.
In provincia di Catania la produzione del vino DOC "Etna" interessa 21 comuni, dove vengono utilizzati i vitigni Carricante e Catarratto per il bianco, Nerello Mascalese e Mantellato per i rossi ed i rosati.
Il Moscato di Noto DOC, ottenuto dalle Uve Moscato bianco, è prodotto sia a Noto, sia nei comuni limitrofi di Avola, Pachino e Rosolini. Tuttavia questo vino, insieme al Moscato di Siracusa DOC, risulta di difficile reperimento sul mercato.
Nella provincia di Ragusa viene prodotto il Cerasuolo di Vittoria: un rosso secco la cui cultura tende a regredire per cedere il passo ad altre piantagioni più remunerative.
Nelle Isole Eolie va segnalato il tipico vino "Malvasia" di Lipari e di Salina, di notevole importanza nella realtà ampelografica regionale e per l'economia locale. Un altro vino D.O.C. della provincia di Messina è il "Faro", caratterizzato però da esigui quantitativi commercializzati.
Nel trapanese è da rilevare la produzione del "Moscato di Pantelleria" costituito dall'uva Zibibbo e del tipico "Marsala", vino prodotto con i vitigni Grillo e Cataratto noto in tutto il mondo da oltre due secoli ed, inoltre, uno dei pochi vini italiani realmente distribuito in ogni continente.
Da segnalare, inoltre, il "Bianco d'Alcamo" prodotto nelle province di Trapani, Agrigento e Palermo, notevolmente diffuso nell'Isola, ed, infine, il "Contessa Entellina", DOC di recente costituzione.
Con riferimento alla viticoltura da mensa, essa riveste carattere di grande importanza socio-economica in diverse aree dell'Isola.
La varietà maggiormente coltivata è l'"Italia" che, peraltro, rappresenta il 90% della produzione regionale, seguita dalla "Cardinal".
Specificatamente per l'uva Italia di Canicattì, esiste già un marchio di qualità comprendente territori delle province di Agrigento e di Caltanissetta.
La produzione è, tuttavia, caratterizzata da una forte polverizzazione dell'offerta, anche a causa della scarsa funzionalità degli organismi associativi.
E' da aggiungere, inoltre, che particolare attenzione deve essere rivolta alle esigenze qualitative del consumatore finale, considerato che l'incremento dei redditi e la modifica dei gusti e delle abitudini ha dato origine ad una evoluzione positiva della domanda, unitamente ad una crescente esigenza di qualità e sanità del prodotto.
Il miglioramento qualitativo non può, quindi, prescindere dall'aspetto fitosanitario, realizzando il giusto compromesso tra la conservabilità e la sicurezza del consumatore.
Agrumi
La produzione agrumicola occupa principalmente alcune superfici pianeggianti in prossimità delle zone costiere, laddove insistono condizioni ambientali favorevoli in ordine agli aspetti pedo-climatici, alla disponibilità di acqua irrigua e alle caratteristiche socio-economiche. Più raramente è possibile riscontrare gli agrumi in alcune aree terrazzate della bassa collina, sempre in prossimità degli ambienti costieri.
La maggiore presenza di superfici agrumetate si riscontra nella zona orientale, con una particolare concentrazione nella fertile piana di Catania. In tali ambienti le cultivar maggiormente utilizzate sono le pigmentate (Moro, Tarocco, e Sanguinello), che attraverso la selezione clonale, l'ibridazione e l'acclimatazione, hanno subito un progressivo miglioramento, tale da consentire la costituzione delle cosiddette "nuove linee".
Inoltre, con l'attuazione del regolamento CEE n. 1204/82, si è potuto favorire la diffusione di varietà esenti da virus, più rispondenti alle caratteristiche di base.
Per quanto riguarda le varietà a polpa bionda, sono state introdotte la Navelina (precoce) e il Valencia (tardiva), che hanno in parte sostituito il Moro precoce e il Sanguinello tardivo.
Nel siracusano le zone di maggiore diffusione dell'arancio si riscontrano nei territori dei comuni di Lentini, Carlentini e Francofonte, dove viene coltivata prevalentemente la varietà Tarocco dal Muso.
L'azienda limonicola assume connotazioni differenti, a seconda delle zone di diffusione. Nella fascia costiera del catanese la coltura risente di problemi fitosanitari, nonché di condizioni strutturali negative come la localizzazione su terreni terrazzati, la limitata ampiezza dei sesti e la pressione speculativa sui suoli.
Nella zona di Siracusa, invece, è presente una limonicoltura razionale, con varietà qualitativamente pregiate come il Femminello Siracusano, sesti regolari e una diffusione prevalentemente su terreni di pianura. Tuttavia, è da rilevare l'elevata incidenza del malsecco, che frequentemente costituisce un problema di notevole rilevanza.
In linea generale, si riscontrano nella fase distributiva gravi carenze che si ripercuotono negativamente sulla formazione del prezzo.
Nei territori di Acate, Vittoria e Comiso, una certa diffusione hanno gli impianti di "Moro", "Tarocco" e "Sanguinello", la cui produzione non raggiunge, però, caratteristiche qualitative ottimali e dove, invece, presenterebbero una maggiore adattabilità, oltre all'arancio "Navelina", il Clementine o il mandarino "Tardivo di Ciaculli".
Una notevole importanza ha assunto, negli ultimi decenni, l'agrumicoltura nella zona centro-meridionale, sopratutto per quello che riguarda la coltivazione dell'arancio. In particolare nel comprensorio interno dell'ennese (Centuripe, Regalbuto, Troina, Assoro, ecc.), ove buona adattabilità presentano i "Sanguinelli", e la Valle del Verdura-Magazzolo (Ribera, Sciacca, Menfi e Caltabellotta, ma anche Bivona, Villafranca Sicula ecc.), in cui da un trentennio ad oggi è andata affermandosi la cultivar di arancio "Washington Navel" (denominazione locale "Brasiliano").
Si stanno diffondendo, inoltre, le cv. "Navelina" e "Valencia Late", che consentono, con le loro produzioni anticipate e ritardate, di estendere l'attuale campagna di commercializzazione.
E' da rilevare, infine, la tradizionale presenza degli agrumi nelle pianure in prossimità della città di Palermo, dove maggiore importanza assume la coltivazione del limone.
L'agrumicoltura siciliana ha avuto la sua maggiore diffusione nel decennio 1960-70, sia per l'incremento delle superfici irrigate che per la capacità di assorbimento del mercato interno, peraltro protetto attraverso la barriera fitosanitaria dalla concorrenza di altri Paesi produttori.
Successivamente, sono venute alla luce le carenze che hanno caratterizzato la fase produttiva e distributiva, nonché le insufficienze e le contraddittorietà delle politiche messe in atto per regolamentare il mercato interno ed assicurare, almeno, il mantenimento delle tradizionali quote di esportazione. In tale contesto, si è registrata nell'ultimo decennio, una lieve flessione delle superfici agrumetate, che sono passate da 105.926 (1982) a 101.847 ha (1991).
Le carenze del settore produttivo hanno, in parte, cause strutturali: la modesta ampiezza aziendale, non favorisce la diffusione del progresso tecnico; la morfologia del terreno, in alcune aree sistemato a strette terrazze e con sesti d'impianto troppo ravvicinati, rende costosa la meccanizzazione; in alcuni territori l'insufficienza della rete stradale poderale ed interpoderale innalza i costi del trasporto; nei limoneti le infestazioni di malsecco e la sostituzione delle piante morte hanno creato disordine nei sesti e disetaneità della piantagione; si sono introdotte varietà di limone con scarsi pregi qualitativi e diffuse cultivar di arancio in zone poco vocate; permangono varietà obsolete non richieste dal mercato, specie per quanto riguarda i mandarini.
I costi di produzione risultano comparativamente elevati, in parte per le cause prima richiamate, ma anche per l'elevato valore fondiario, innalzato spesso nelle zone agrumicole dagli usi alternativi della terra. Si riscontrano, inoltre, notevoli costi dell'acqua irrigua nelle zone servite da falde freatiche profonde, o dove esiste un mercato dell'acqua.
Le carenze della struttura produttiva si ripercuotono sulla fase di commercializzazione del prodotto, che di per sé presenta diversi aspetti negativi per la numerosità delle ditte operanti, la scarsa professionalità degli operatori e l'occasionalità dei rapporti tra produzione e distribuzione. A tutto ciò si aggiungono gli elevati costi del trasporto, determinati dalla perifericità della produzione rispetto ai centri di consumo.
L'intervento comunitario ha indubbiamente fornito impulso all'associazionismo, sostenendo la costituzione di organismi autogestiti dai produttori (Reg. CEE n.1360/78), che tuttavia non hanno ottenuto i risultati attesi, nonostante siano stati creati ulteriori sbocchi commerciali come la trasformazione industriale.
La coltivazione degli agrumi è suscettibile di essere eseguita con tecniche agronomiche a ridotto uso di fitofarmaci, ad esempio per quanto concerne la difesa fitosanitaria, si ricorda che in Sicilia è stato già attivato un progetto regionale di lotta fitosanitaria integrata (Circolare assessoriale n. 76/Dr. del 9 ottobre 1993 e circolare assessoriale n. 110 del 26 febbraio 1993).
Olivo
L'olivo caratterizza in modo rilevante l'economia rurale e il paesaggio agrario di tutta la Sicilia. E' infatti una coltura particolarmente diffusa nelle zone interne collinari dell'Isola, dove insiste una olivicoltura prevalentemente da olio, mentre quella da mensa risulta principalmente concentrata negli ambienti pianeggianti.
Predomina, in generale, la coltivazione dell'olivo da olio con una superficie investita, nel 1991, di 113.125 ha, a fronte dei 7.758 ha di superficie coltivata con olive da mensa.
La PLV è passata dai 152.470 milioni di lire del 1982 ai 255.146 milioni di lire del 1991 per le olive da olio, e dai 43.507 milioni del 1982 agli 84.094 milioni del 1991 per le olive da mensa, manifestando quindi, per entrambi i settori, un notevole incremento; l'incidenza percentuale sulla PLV delle coltivazioni legnose risulta nel 1991 pari al 19%.
Oltre a quella produttiva, l'olivo svolge un'importantissima funzione nella difesa del suolo contro l'erosione, specie nelle aree marginali più degradate ove consente la presenza dell'uomo.
Anche le piantagioni abbandonate o sottoutilizzate assolvono a importanti funzioni, riferibili alla difesa del suolo ed alla salvaguardia del territorio e dell'ambiente.
L'olivicoltura da olio presenta alcune problematiche tra cui: modesta specializzazione, polverizzazione aziendale, elevata età degli impianti, disetaneità all'interno degli stessi appezzamenti, sesti irrazionali, indisponibilità di acqua irrigua, incuria per talune operazioni colturali come la potatura, la lavorazione del suolo e la lotta fitosanitaria.
Nelle zone più difficili, inoltre, risulta impossibile meccanizzare le operazioni di raccolta a causa dei vincoli connessi alla notevole pendenza.
Le rese unitarie risultano, pertanto, piuttosto basse e non sempre soddisfacente è la qualità del prodotto a causa delle non ottimali tecniche di lavorazione adottate da numerosi frantoi.
E' ancora insoddisfacente, inoltre, la caratterizzazione del prodotto destinato, per la maggior parte, al consumo familiare o nel contesto di un ristretto mercato locale.
Migliore è la situazione dell'olivicoltura da mensa, la cui produzione è molto apprezzata dal mercato.
In riferimento all'aspetto varietale è opportuno precisare che, nel complesso, le cultivars utilizzate rispondono bene agli usi a cui sono destinate e alle caratteristiche microambientali dei siti.
Pertanto il prodotto, nonostante le carenze suesposte, può considerarsi di buona qualità.
Frutticole
La coltivazione dei fruttiferi in Sicilia interessa Ha 79.154 di cui, in particolare, 4.444 Ha di pesco, 39.414 Ha di mandorlo e 16.722 Ha di nocciolo, che rappresentano complessivamente il 77% delle superfici investite a fruttiferi.
Le produzioni precoci interessano maggiormente le fasce costiere, mentre quelle di media epoca e tardive alcune aree dell'interno collinare. Gli investimenti in pereti, pescheti, meleti ed altre specie minori interessano una superficie limitata, ma le produzioni presentano specificità tali, per caratteristiche organolettiche, precocità o tardività, da occupare nicchie di mercato (sia a livello locale che extraregionale ed estero) suscettibili di ampliamento, in seguito all'adozione di idonee iniziative.
La peschicoltura ha già raggiunto una certa importanza economica in alcune zone ben circoscritte dell'interno collinare, come ad esempio quella di Leonforte e di Bivona (pesca bianca di Bivona), dove tale coltura ha acquisito, nell'ultimo ventennio, ambienti nuovi su terreni alluvionali e fertili .
La produzione tipica di suddette zone, tardiva e di buona qualità, assume talvolta connotazioni simili al prodotto biologico, grazie alla pratica dell'insacchettamento dei frutti all'albero diffusa in molte aziende.
Notevole interesse riveste anche, a livello regionale, la coltivazione della frutta secca (mandorlo, nocciolo e pistacchio).
Particolarmente importante è la presenza nella provincia di Messina del nocciolo che, come l'olivo, svolge una rilevante funzione nella difesa del territorio contro il dissesto idro-geologico, rappresentando un elemento fondamentale a garanzia del reddito agricolo, nelle difficili aree marginali della collina e della montagna dei monti Nebrodi e Peloritani.
Il comparto sta attraversando alcune difficoltà connesse alla forte concorrenza del prodotto proveniente dal vicino oriente (Turchia in particolare), al ridotto dimensionamento aziendale e alla scarsa propensione alla meccanizzazione degli impianti, spesso ubicati in zone difficili da raggiungere.
Si sottolineano, inoltre, la disomogeneità varietale, la disetaneità, i sesti irrrazionali, l'elevata incidenza di alcune fitopatie fra cui il "cimiciato", l'uso non ottimale della pratica irrigua, la frammentazione nelle fasi di raccolta, stoccaggio, confezionamento e commercializzazione del prodotto. Quest'ultimo, fra l'altro, è caratterizzato da basse rese unitarie, pezzatura non uniforme e dall'assenza di adeguate azioni promozionali e di marketing.
Tra le cultivar di nocciolo più diffuse, si possono ricordare la "Carrello", la "Racinante" e alcune cultivar locali.
Il mandorlo caratterizza fortemente il paesaggio agrario siciliano, grazie alla capacità di adattamento alle diverse condizioni pedoclimatiche. Esso assolve così, a una preziosa funzione antierosiva e paesaggistica specie nelle zone collinari, ove è presente spesso in coltura promiscua.
Il territorio di Siracusa costituisce una delle zone di maggiore localizzazione della coltura, presente sia nella fascia costiera comprendente i territori dei Comuni di Noto e Avola, che in un'area più interna con terreni generalmente acclivi.
Le varietà più diffuse risultano: Pizzuta d'Avola, Fascionello (entrambe molto pregiate in confetteria), e Romana (Avola Corrente).
E' possibile rilevare la presenza di alcune superfici con varietà diverse dalle precedenti, quali la Tuono in consociazione con la Ferragnes, che mostrano una elevata produttività e buone caratteristiche qualitative.
Altra importante zona mandorlicola è quella gravitante intorno ai territori di Agrigento, Caltanissetta ed Enna dove la coltura è dispersa su una vasta superficie di natura piuttosto varia con prevalenza, tuttavia, di terreni compatti e a giacitura spesso fortemente acclive.
Il tipo commerciale di mandorla più diffuso è il "Palma-Girgenti".
Nell'ultimo decennio si è rilevato, tuttavia, una contrazione delle superfici ed una consistente diminuzione del volume di produzione con gravi ripercussioni sulla organizzazione distributiva, nonché la cessazione di attività di alcune imprese commerciali ed una notevole caduta delle esportazioni.
In tale contesto, fra l'altro, non si è assistito ad un adeguato inserimento sostitutivo di organismi associativi dei produttori.
La coltura del pistacchio è, infine, particolarmente diffusa nel catanese e in particolare nei territori del comune di Bronte, dove si è così sviluppata da rappresentare il maggior reddito derivante dal comparto agricolo del territorio comunale.
L'importanza del nocciolo del mandorlo, del pistacchio e di altri fruttiferi come il carrubo, è del resto evidenziata dall'emanazione di apposite leggi atte a valorizzare il comparto, fra cui si ricordano le leggi regionali nn. 23/90 e 32/91.
Tale normativa, sottolinea la funzione protettiva della coltura ed il suo ruolo nel mantenimento degli equilibri idro-geologici.
Con riferimento ad altre specie frutticole in questi ultimi anni si è registrata una forte espansione della coltura del ficodindia, in particolar modo nei territori di Santa Margherita Belice e San Cono. Tali impianti sono stati realizzati su terreni sciolti nei quali la coltura trova un ambiente favorevole, che consente di ottenere ottime produzioni dal punto di vista qualitativo e quantitativo.
Un cenno particolare va fatto anche alla coltivazione del nespolo e del kaki, concentrati rispettivamente nei territori dei comuni di Trabia e di Misilmeri. Queste colture, infatti, si sono insediate in particolari ambienti pedoclimatici, nei quali hanno trovato le condizioni ottimali.
Un certo interesse, infine, rivestono le coltivazioni di piccoli frutti quali: la fragolina estiva dei Nebrodi, il ribes, il mirtillo e la mora. Queste colture ad oggi occupano delle nicchie ristrette di coltivazione, anche se le stesse posseggono buone prospettive di sviluppo, in relazione alle potenziali capacità di assorbimento del mercato.
Zootecnia
Il comparto presenta alcune difficoltà legate all'irregolari disponibilità delle fonti alimentari, all'isufficiente base aziendale nonché ai problemi idrici ed alle notevoli carenze infrastrutturali.
In termini economici, gli allevamenti zootecnici contribuiscono per il 17% alla composizione della produzione lorda vendibile agricola isolana. Oltre ad un significato economico preciso, il comparto possiede anche una funzione sociale e di salvaguardia del territorio. Infatti, la zootecnia siciliana dà occupazione a circa 60.000 addetti, a tempo pieno e parziale, concentrati soprattutto nelle aree svantaggiate, dove tale è la destinazione produttiva prevalente.
L'allevamento del bestiame rappresenta, in molte di tali aree, la sola valida alternativa all'esodo rurale che, com'è a tutti noto, ha effetti deleteri, oltre che sull'economia locale, anche sulle aree circostanti per i numerosi risvolti sociali e ambientali.
Relativamente alla funzione di salvaguardia del territorio, è ormai accertata l'importanza che assume la cotica erbosa dei pascoli e dei prati per il governo delle acque e nel contrastare i fenomeni di erosione, dovuti alla conformazione orografica delle aree interne collinari siciliane.
In base ai dati ISTAT, il numero di bovini allevati è passato da 423.987 capi nel 1982, a 466.402 capi nel 1991; la consistenza del settore ovino è più che raddoppiata nello stesso arco di tempo passando da 532.265 capi a 1.294.298; anche il settore caprino ha raddoppiato la consistenza passando da 93.831 capi del 1982 a 197.930 nel 1991.
Una certa rilevanza possiede il settore suinicolo, la cui consistenza ha registrato una lieve flessione (100.108 capi nel 1991 contro i 114.893 del 1982).
La composizione percentuale della PLV da allevamenti zootecnici, nel 1991 era così articolata: 55% prodotti bovini (carne, latte), 18% ovi-caprini (carne e latte), 21% avicoli (carne uova) e 6% suini.
Il patrimonio bovino è costituito prevalentemente da razze indigene (Modicana e derivati, Cinisara), secondo un sistema di allevamento legato all'ormai classico schema "vacca-vitello" ma che, in verità, nella maggior parte dei casi persegue anche l'indirizzo della trasformazione del latte in prodotti caseari. L'allevamento nelle aree più favorevoli è quasi sempre stanziale, realizzato con l'utilizzo di apposite strutture. Le aziende situate nelle zone svantaggiate, che detengono la quasi totalità del patrimonio bovino regionale, adottano invece un allevamento di tipo brado o semibrado, ricorrendo in certi casi alla transumanza (Monti Madonie, Nebrodi e Sicani), con utilizzo di pascoli montani in affitto.
In tali condizioni ed in considerazione dei vincoli connessi al ridotto dimensionamento aziendale, permane uno stato di scarsa innovazione tecnologica: basti considerare che il 75% circa delle aziende adotta la mungitura manuale, nonché l'elevata diffusione dell'ipofertilità, della mortalità neonatale, nonché d'infezioni come mastiti, brucellosi, leucosi, ecc...
Il 60% circa del latte prodotto è utilizzato per l'ottenimento di formaggi tipici, semplici e misti, con latte di pecora o capra; la parte rimanente è impiegata come latte fresco per consumo familiare e locale, nonché per l'alimentazione dei vitelli.
Per la produzione della carne prevale. l'allevamento del vitellone sul vitello a carne bianca.
L'ormai superata politica della produttività tout court, ha causato una proliferazione di meticci derivati da incroci con razze altamente produttive, che però spesso mal si adattano alle condizioni pedoclimatiche e aziendali. Tutto ciò ha contribuito alla progressiva riduzione delle razze pure autoctone (Modicana e Cinisara). Infatti nell'ultimo ventennio, il numero delle fattrici di razza Modicana iscritte al Libro Genealogico è notevolmente diminuito, attestandosi in circa 4.800 capi.
Laddove sussistono condizioni ambientali più favorevoli e, in particolare, nelle zone sud-orientali dell'Isola, trova diffusione l'allevamento della bovina da latte di razza Frisona e Bruna Italiana, con esempi di allevamenti di Modicana, nonché di vitelloni da ristallo di razze estere o meticci. Nel caso di allevamenti estensivi, viene allevata prevalentemente la popolazione indigena (Modicana e derivati, incroci industriali).
L'allevamento ovi-caprino è anch'esso diffuso e, come sistema, si discosta poco da quello bovino. Gli ovini e i caprini, del resto, vengono molto spesso allevati unitamente ai bovini con i quali condividono numerose problematiche.
Le razze allevate sono prevalentemente la Comisana, che trova la sua culla d'origine nel territorio di Ragusa, e l'Indigena.
Attualmente è in atto un processo selettivo mirante alla definizione di una terza razza, la cosiddetta Pinzirita, suscettibile di adattarsi alle difficili condizioni climatiche delle zone interne.
La maggior parte del patrimonio ovino è però costituito dai cosiddetti "derivati", cioé soggetti riconducibili ad una di queste tre razze. Pertanto, sarebbe necessario riuscire a disporre di allevamenti in selezione, al fine di conservare il patrimonio genetico delle razze pure autoctone.
I sistemi di allevamento più diffusi sono il semistabulato e brado con ricorso, spesso, alla piccola ansumanza.
Le produzioni tipiche sono costituite dal pecorino e dai formaggi misti (ovi-caprino, bovino-ovino, ecc.), nonché dalla ricotta.
Per quanto attiene alla carne, viene prodotto essenzialmente l'agnello da latte di 7-8 Kg di peso vivo e, secondariamente, l'agnellone cosiddetto "castragnello".
Limitatamente in alcune aziende zootecniche, è stato intrapreso l'allevamento degli ovini da carne (razze francesi quali la "Berrichon du cher" e la "Ile de France").
L'allevamento caprino è sviluppato essenzialmente nella provincia di Palermo, con le razze Maltese e Girgentana e con tutta una serie di popolazioni meticce fortemente eterogenee, mentre nell'area circostante il Parco regionale dell'Etna, viene allevata allo stato brado e semibrado la capra Argentata dell'Etna, attualmente in progressiva diminuzione.
Il sistema di allevamento più diffuso che vede la capra quasi sempre allevata in promiscuità con le pecore e con i bovini, è l'estensivo completamente brado, localizzato nelle aree del sottobosco di zone ove è possibile il pascolo.
Negli ultimi anni, le aree vocate all'utilizzazione del pascolo hanno subito una forte contrazione, anche a causa delle recenti norme in materia di parchi, riserve naturali e gestione delle aree boscate. Di conseguenza, il carico di bestiame insistente sulle aree residue ha raggiunto limiti di guardia, causando un eccessivo sfruttamento del cotico erboso e provocando considerevoli danni di natura idrogeologica.
L'allevamento dei suini e dei conigli riveste una notevole valenza economica e sociale in alcune aree, consentendo a tutte le aziende, anche non specializzate, d'integrare il reddito utilizzando il lavoro familiare.
L'allevamento suinicolo, in generale, è basato su una consistenza media di sole 2-4 scrofe ad azienda.
Oltre alle razze Large White e Landrace, sono allevati meticci ed ibridi vari, per un prodotto finale costituito dal suino di circa 80 100 Kg. di peso, destinato al consumo diretto.
Un cenno a parte va fatto sull'allevamento del "Suino Nero dei Nebrodi e delle Madonie", che grufola allo stato brado nelle zone montane. Questa razza, nell'ultimo decennio, ha subito una notevole contrazione del numero di capi, tanto da metterne in pericolo la sopravvivenza stessa. Ciò costituirebbe una grave perdita dal punto di vista del patrimonio genetico, considerata anche l'elevata qualità delle carni prodotte.
In provincia di Messina, è allevata una popolazione di questo suino con notevole capacità di adattamento alle difficili situazioni ambientali, ma sulla cui reale consistenza numerica, tuttavia, non si possiedono ancora dati certi. La produzione ottenuta, fra l'altro, risulta ormai particolarmente importante nel contesto delle attività agri-turistiche e culinarie della zona, .
Il settore cunicolo è basato su allevamenti familiari, con ridotto numero di capi, attraverso l'uso di strutture di ricovero di tipo artigianale; quasi tutta la produzione è destinata all'autoconsumo o ad attività agri-turistiche.
Il patrimonio equino, la cui consistenza ha subito un forte decremento passando da 30.439 capi del 1982 a 13.222 unità nel 1991, si caratterizza per l'allevamento di tipiche razze isolane come il Sanfratellano e il Siciliano, oltre che di popolazioni indigene a sangue misto, adatte per attività agri-turistiche.
Fra le razze asinine allevate in Sicilia è da ricordare il Ragusano (circa 1.000 capi), oltre l'Asino di Pantelleria ormai quasi estinto.
E' da considerare l'opportunità di salvaguardare la purezza genetica di alcune razze autoctone quali il Cavallo Sanfratellano e l'Asino Ragusano.
I settori avicolo e di allevamento faunistico venatorio, infine, come quello apistico, forniscono discrete integrazioni di reddito, contribuendo anche all'ottenimento di prodotti tipici locali di elevato pregio.

Dati statistici - Censimenti dell'agricoltura 1982-1991

Allevamenti: numero di capi - SICILIA

ANNI 1982 1991
Bovini 423.987 466.402
Suini 114.893 100.108
Ovini 532.265 1.294.298
Caprini 93.831 197.930
Equini 30.439 13.222
Avicoli 3.140.287 2.809.004
Conigli nr 96.781

Allevamenti: produzione lorda vendibile - SICILIA

Valori costanti (1985): milioni di lire

ANNI 1982 1991 Indici 1982=100
Bovini 271.483 416.487 153
Suini 85.820 43.645 51
Ovi-caprini 122.493 141.199 115
Avicoli 173.349 157.330 91
Altra plv 2.510 4.369 174


OBIETTIVI DEL PROGRAMMA
Le principali finalità del programma sono le seguenti:
- promuovere l'impiego di metodi di produzione a basso impatto ambientale, contribuendo anche all'equilibrio dei mercati con la riduzione quantitativa delle produzioni prive di sbocchi di mercato;
- incentivare l'estensivizzazione secondo diverse modalità;
- incoraggiare forme di utilizzo dei terreni compatibili con la tutela e il miglioramento dell'ambiente, delle risorse naturali e della diversità genetica;
- incentivare l'allevamento di specie o razze locali in pericolo di estinzione;
- incentivare la cura dei terreni agricoli e forestali abbandonati;
- incoraggiare un ritiro di lunga durata dei seminativi per scopi di carattere ambientale;
- promuovere la gestione dei terreni per l'accesso al pubblico e le attività ricreative.
- promuovere la formazione degli agricoltori per l'adozione di metodi di produzione compatibili con l'esigenze dell'ambiente.
Più in particolare, gli incentivi finalizzati alla riduzione dei livelli produttivi unitari dovranno nel contempo assicurare un rilevante incremento qualitativo delle produzioni regionali.
Tale obiettivo trova fondamento nell'opportunità di migliorare le condizioni di commercializzazione di quest'ultime, nonché di salvaguardare la salute degli agricoltori e dei consumatori finali.
Un ulteriore aspetto di notevole importanza attiene, inoltre, alla duplice esigenza di assicurare un livello accettabile di reddito ai produttori e di porre un freno ai fenomeni di dissesto del territorio e d'inquinamento ambientale.
In prima applicazione del regime di aiuti previsto dall'art. 2 del Regolamento si è programmata l'attivazione delle misure di seguito precisate, tuttavia nel corso della realizzazione del programma potranno essere attuati ulteriori interventi, in accordo con la Commissione Europea.
In rapporto ai singoli comparti produttivi previsti dall'art. 4 comma 2 del Regolamento, si è ritenuto opportuno precisare le tipologie d'intervento ammissibili.
Le problematiche specifiche di settore, infatti, richiedono un'applicazione del regime d'aiuti coerente con le linee d'intervento di politica agricola regionale.
Quest'ultime sono definite in maniera approfondita nei Piani Regionali per i settori vitivinicolo, olivicolo, agrumicolo, florovivaistico, ovicaprino e per l'apicoltura, approvati dalla Giunta Regionale.
Per una più corretta finalizzazione degli aiuti, inoltre, verrà data priorità di finanziamento alle aziende localizzate all'interno del perimetro di delimitazione esterna delle sottozone di rilevante interesse ambientale (comprese le aree di preparco e preriserva).
Tuttavia, in tali aree il regime sarà attivato nel rispetto dei regolamenti interni già operanti e senza sovrapposizione con gli aiuti concessi dall'Amministrazione regionale, secondo il disposto dell'art. 29 della legge regionale n. 14 del 9 agosto 1988.
Sono equiparate alle sottozone di rilevante interesse ambientale, le aree di rispetto comprese in fasce di larghezza massima pari a 500 metri circostanti i bacini artificiali con capacità d'invaso superiore a 100.000 mc, i terreni sottoposti a vincolo paesaggistico e idrogeologico.
Nelle aree protette, verranno incentivati soprattutto il ritiro di lunga durata dei seminativi e le azioni di tutela dell'ambiente e del paesaggio.
Tali indirizzi traggono fondamento dall'esigenza di alleggerire l'eccessiva pressione antropica, su comprensori caratterizzati da ecosistemi residuali di elevati valore e vulnerabilità.
CRITERI PER LA CONCESSIONE DEGLI AIUTI
Come disposto dall'art. 4 del Regolamento, gli aiuti sono concessi agli imprenditori agricoli che assumono uno o più degli impegni previsti dal presente programma per almeno un quinquennio. Per la misura F tale periodo è elevato a 20 anni.
Possono accedere agli aiuti anche gli imprenditori agricoli, che gestiscono direttamente in qualsiasi forma associata la conduzione delle superfici oggetto d'impegno. Sono escluse altre tipologie di forme associative.
Le misure che comportano l'adozione o il mantenimento di specifiche tecniche di produzione non sono attuabili in colture perenni caratterizzate da condizioni di abbandono, sia in pieno campo che in coltura protetta.
Per quanto riguarda gli uliveti potranno essere ammessi agli aiuti esclusivamente gli impianti specializzati, fatte salve le deroghe previste per alcune misure. A tal proposito, il requisito della specializzazione degli uliveti si deve intendere soddisfatto alle seguenti condizioni:
- negli impianti di età superiore ai 15 anni presenza di almeno 100 piante ad ettaro;
- negli altri casi presenza di almeno 150 piante ad ettaro;
- in entrambi i casi sopra indicati, presenza di altre colture perenni in misura non superiore al 20% della superficie olivetata assoggettata all'impegno.
Con riferimento alle altre colture perenni l'Amministrazione determinerà i parametri tecnici di specializzazione.
Per quanto concerne le colture consociate il calcolo dell'aiuto verrà effettuato adottando il criterio delle superfici ragguagliate.
Il regime di aiuti non è cumulabile, per le colture interessate, con i contributi previsti dall'art. 4 della legge regionale n. 23/90.
L'unità minima d'intervento, relativa all'impegno iniziale, è fissata in 1 Ha di superficie agricola utilizzata accorpata per i soggetti singoli e in 10 Ha per i soggetti in forma associata, ad eccezione che per alcune misure nel cui ambito è prevista una superficie minima di estensione maggiore.
In linea generale, soddisfatto il requisito dell'unità minima d'intervento potranno essere assoggettati all'impegno anche ulteriori appezzamenti di estensioni inferiori.
Nelle sottozone di rilevante interesse ambientale, l'unità minima d'intervento è fissata in 0,5 Ha di superficie agricola utilizzata. Tale deroga è applicabile anche nelle isole minori nelle quali la superficie minima d'intervento potrà essere conseguita con singoli corpi di estensione non inferiore a 2.000 mq.
Gli aiuti sono concessi sulla base della superficie o dei capi di bestiame, effettivamente sottoposti alle prescrizioni previste dalle singole misure.
Per alcuni impegni, unitamente alla domanda, dovrà essere prodotto un piano aziendale predisposto da un tecnico agricolo.
Successivamente sono indicati gli impegni che dovranno essere rispettati dagli agricoltori per la concessione degli aiuti, con riferimento alle misure riportate nel prospetto seguente.
Misura Tipologia d'impegno
A1 Sensibile riduzione dei fitofarmaci.
A2 Introduzione o mantenimento dell'agricoltura biologica.
B1 Introduzione-mantenimento delle produzioni vegetali estensive e riconversione dei seminativi in pascoli estensivi.
B2 Mantenimento della produzione estensiva.
C Riduzione della densità del patrimonio bovino od ovino per unità di superficie foraggera.
D1 Impiego di altri metodi di produzione compatibili con le esigenze dell'ambiente e la cura del paesaggio.
D2 Allevamento di specie animali locali in pericolo di estinzione.
E Cura dei terreni agricoli e forestali abbandonati.
F Ritiro dei seminativi dalla produzione per 20 anni.
G Gestione dei terreni per l'accesso al pubblico e le attività ricreative.

A1) Sensibile riduzione dei fitofarmaci
La misura è applicabile limitatamente alle colture comprese nel disciplinare degli interventi di difesa, riportato nell'allegato tecnico.
Per quanto concerne le colture perenni, le stesse dovranno risultare in produzione sin dal primo anno d'impegno. Tuttavia le eventuali quote di superfici aziendali non ancora in produzione dovranno essere assoggettate alla misura e potranno beneficiare del premio solo a partire dall'inizio della fase produttiva.
Si prevede che l'adozione della misura comporterà una diminuzione dell'uso di fitofarmaci e diserbanti di circa il 20% rispetto alle tecniche di difesa fitosanitaria tradizionali, nonché la diffusione di strategie e prodotti rispettosi per l'ambiente.
Sulle stesse superfici, in associazione alla misura A1, potrà essere attivata la misura D1.
I produttori che aderiscono alla misura sono tenuti all'osservanza delle seguenti prescrizioni:
- compilazione di un registro aziendale, concernente l'intera azienda, dal quale si possano evincere quantità e tipologia di fitofarmaci acquistati, in giacenza e il loro utilizzo sulle singole colture nel corso dell'annata agraria, nonché i mezzi di difesa adottati;
- rigida osservanza del disciplinare degli interventi di difesa riportato nell'allegato tecnico;
- rinuncia alla pratica del diserbo effettuata con prodotti chimici, ad eccezione dei casi previsti dal disciplinare suddetto;
- presentazione di un piano aziendale riguardante l'intera azienda nel quale siano evidenziate le metodologie di difesa delle colture e la programmazione degli interventi sulla base delle specifiche connotazioni fitopatologiche e ambientali. Il suddetto piano dovrà essere vistato da un'unità di zona o sezione operativa o periferica di assistenza tecnica competente per territorio;
- adozione nel corso del quinquennio, di un programma di rotazione che garantisca il mantenimento dell'impegno su una superficie non inferiore a quella inizialmente assoggettata. La rotazione dovrà essere prevista nel piano aziendale di cui al punto precedente, con esclusione della pratica del ringrano. E' ammessa nell'ambito della rotazione agraria la pratica del maggese senza corresponsione di alcun aiuto.
- qualora vengono effettuate colture intercalari, scelta tra quelle ammissibili e rispetto delle prescrizione di misura anche per tali colture;
- divieto di espianto delle colture perenni assoggettate alla misura, ad esclusione dei casi autorizzati dall'Amministrazione;
- divieto d'impianto delle colture perenni, nelle superfici assoggettate, per tutto il periodo d'impegno ad esclusione di casi di ripristino di fallanze che dovranno essere preventivamente autorizzati dall'Amministrazione;
- applicazione della misura sull'intera superficie aziendale, destinata alle colture comprese nel disciplinare degli interventi di difesa, ad eccezione delle quote di terreno eventualmente assoggettate a una delle seguenti misure: A2, B1 (solamente per la conversione del seminativo in pascolo), E ed F.
Qualora nella stessa azienda vengano contemporaneamente attuate la misura A2 e A1 dovranno essere preferibilmente applicate le metodologie di coltivazione biologica in tutta l'azienda, prima della conclusione del periodo d'impegno.
Se parte della superficie aziendale è destinata ad uliveti non specializzati e quindi non ammissibili agli aiuti, negli stessi dovranno essere osservate egualmente le prescrizioni della misura, senza il beneficio di alcun premio.
Si evidenzia, inoltre che la misura potrà non essere applicata negli orti familiari, identificabili nelle piccole superfici utilizzate essenzialmente per il consumo della famiglia del conduttore o di altre persone che lavorano nell'azienda.
Tale deroga è applicabile, in ogni caso, per superfici non eccedenti il 2% della superficie aziendale totale, fino a un massimo di 5.000 mq.
Nel corso della realizzazione del programma, l'Amministrazione potrà provvedere ad aggiornare il disciplinare in base alle indicazioni fornite dal Comitato fitopatologico regionale e/o dagli Osservatori di Palermo e Acireale, secondo quanto previsto dalla Decisione comunitaria n. C/96 3864 del 30 dicembre 1996.
In ogni caso le aziende, per l'effettuazione degli interventi di difesa fitosanitaria, dovranno avvalersi dell'assistenza tecnica fornita nei territori di competenza dalle Unità di zona, dalle Sezioni operative di assistenza tecnica e divulgazione agricola dell'Assessorato e dalle Sezioni operative periferiche dell'E.S.A..
Ai suddetti uffici, ulteriori elementi relativi all'individuazione delle soglie d'intervento e ai metodi di lotta integrata adottabili, verranno forniti dall'Assessorato Agricoltura su indicazioni del Comitato fitopatologico regionale e/o degli Osservatori per le malattie delle piante di Palermo e Acireale.
Per quanto concerne, invece, particolari infezioni o infestazioni, successivamente ad apposito accertamento, gli uffici tecnici competenti potranno autorizzare l'azienda ad effettuare trattamenti che si discostino da quanto previsto dal disciplinare.
I beneficiari che godono dell'aiuto previsto per la misura non possono usufruire dei contributi concessi ai sensi della legge n. 910/66, art. 7, legge regionale n. 8/85 e di qualsiasi altro contributo previsto per la difesa fitosanitaria, salvo che dei lanci d'insetti effettuati da soggetti pubblici.
Per quanto riguarda le pratiche di concimazione e in particolare i livelli di somministrazione degli azotati si dovrà fare riferimento al codice di buona pratica agricola predisposto dal Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali.
Inoltre, gli agricoltori che applicano la misura dovranno attenersi alle indicazioni fornite dai tecnici delle sezioni operative in termini di formulati, di quantità e modalità di distribuzione.
A2) Introduzione o mantenimento dei metodi dell'agricoltura biologica
L'adesione alla misura comporta l'obbligo al rispetto delle prescrizioni stabilite dal Reg. CEE n. 2092/91 e successive modifiche.
Le colture ammesse sono così individuate: cereali, foraggere, prati pascoli, leguminose da granella, ortive, olivo, agrumi, vite, fruttiferi, ficodindia, mandorlo, pistacchio, nocciolo, noce, carrubo, cappero, piccoli frutti, aromatiche e officinali.
In linea generale, si prevede che l'adozione della misura comporterà una diminuzione delle rese unitarie rispetto a quelle ottenute con le tecniche convenzionali.
Si precisa che, nel corso dell'impegno, non è consentito l'impianto di colture perenni (arboree e vite) nelle superfici assoggettate, a meno che l'impianto stesso non sia stato preventivamente programmato al momento della presentazione della domanda iniziale di aiuto.
E', invece, consentito l'espianto delle colture perenni in seguito a verifica in loco effettuata dall'Amministrazione, a condizione che venga continuata la coltivazione con metodo biologico.
Potranno usufruire del regime di aiuti, le aziende sottoposte al sistema di controllo di cui agli art. 8 e 9 del Reg. CEE n. 2092/91. L'attestazione che certifica l'assoggettamento di una determinata azienda al sistema di controllo comunitario è rilasciata dagli organismi riconosciuti nel rispetto della legislazione vigente.
Al fine di consentire l'attività di vigilanza da parte dell'Amministrazione regionale, così come previsto dalla specifica normativa, gli organismi di controllo dovranno produrre la seguente documentazione, curandone l'aggiornamento, all'Assessorato regionale dell'agricoltura e delle foreste:
- piano tipo di controllo riferito alla Regione siciliana elaborato in conformità all'art. 9, par. 5, del Reg. Cee n. 2092/91 e contenente, tra l'altro, l'elenco analitico dei professionisti, nonché dei laboratori di analisi di cui l'organismo di controllo si avvale per lo svolgimento della propria attività;
- atto d'obbligo, a firma del legale rappresentante, con il quale lo stesso s'impegna a comunicare all'Amministrazione le violazioni commesse, da parte dei produttori controllati, ai sensi dell'art. 9, paragrafo 9, lettere a) e b) del Reg. CEE n. 2092/91;
- sottoscrizione e/o reiterazione dell'impegno sottoscritto dal legale rappresentante a conformarsi alle disposizioni emanate dall'Amministrazione in materia di controlli, per l'attuazione della presente misura. La sottoscrizione del suddetto impegno abilita l'organismo di controllo a partecipare al presente programma agroambientale, quale ente attestante la conformità al metodo dell'agricoltura biologica.
La mancata sottoscrizione e/o reiterazione di detto impegno entro i termini richiesti dall'Amministrazione può comportare l'esclusione, di detto organismo di controllo, dalla possibilità di attestare la conformità al metodo dell'agricoltura biologica, ai fini del presente programma.
L'Amministrazione si riserva di richiedere ogni ulteriore documentazione ritenuta necessaria.
Per quanto concerne le aziende o le unità di produzione ove si introducano i metodi di produzione biologici, alla domanda di aiuto dovrà essere allegato un piano di conversione sottoscritto dall'imprenditore agricolo e vistato, per approvazione, dall'organismo di controllo.
Il piano di conversione deve includere:
- la raccolta dei dati concernenti le colture e gli allevamenti precedenti (tipo di colture, fertilizzazione, fitofarmaci usati, caratteristiche degli eventuali allevamenti animali);
- la situazione esistente e la deviazione dagli standard del metodo di produzione biologico;
- modalità della progressiva conversione dell'unità produttiva o dell'intera azienda;
- modifiche programmate durante il periodo di conversione (per esempio: rotazioni colturali, gestione appropriata della fertilizzazione, piani di foraggiamento, programma di gestione fitosanitaria, condizioni ambientali), inclusi i limiti di tempo entro i quali è presumibile debbano essere realizzate.
Nei casi di appezzamenti confinanti con terreni coltivati secondo metodi non biologici, dovranno essere adottati i necessari accorgimenti onde evitare gli effetti di deriva.
A riguardo, qualora vengano costituite delle specifiche fasce di rispetto, le stesse dovranno rispondere ai criteri tecnici fissati dall'Amministrazione.
Le superfici destinate a funzioni di barriera o a fasce di rispetto non sono ammissibili agli aiuti.
Le superfici oggetto degli aiuti previsti per la misura non possono usufruire dei contributi concessi ai sensi dell'art. 7 della legge n. 910/66 e della legge regionale n. 8/85.
B1) Introduzione-mantenimento delle produzioni vegetali estensive e riconversione dei seminativi in pascoli estensivi
Al momento della sottoscrizione dell'impegno, le superfici aziendali ammissibili dovranno avere una delle seguenti destinazioni: seminativi (limitatamente per la riconversione in quanto per tali colture non è prevista l'introduzione del metodo di produzione estensivo); vigneti per uva da vino specializzati con forme di allevamento espanso in irriguo (spalliera e tendone), preferibilmente costituiti da vitigni ad elevata resa unitaria e mediocri caratteristiche qualitative (es. trebbiano toscano); vigneti ad alberello e controspalliera in asciutto, localizzati in specifiche aree produttive (per il solo mantenimento della produzione estensiva).
Per quanto concerne i vigneti, la misura è attuabile negli impianti in produzione di età non inferiore a 10 anni.
L'impegno, limitatamente per la coltura della vite, dovrà riguardare l'intera superficie aziendale assoggettabile alla misura, compresi i vigneti di cui sia preventivato l'espianto nel corso d'impegno. Per quest'ultimi, tuttavia, non verrà corrisposto alcun premio.
Nelle aziende viticole ad indirizzo misto (asciutto ed irriguo), localizzate al di fuori delle zone di applicabilità di seguito precisate per gli impianti ad alberello e controspalliera in asciutto, per l'intero periodo d'impegno dovrà essere mantenuto l'ordinamento asciutto in tutta la superficie vitata, compresa quella non assoggettabile ad estensivazione. In quest'ultima, per la quale non verrà corrisposto alcun premio, non dovrà essere superato il livello di resa delle campagne di riferimento.
L'introduzione dell'estensivazione non connessa all'impiego ridotto di concimi e/o fitofarmaci, dovrà comportare una riduzione delle rese unitarie medie ottenute nelle cinque campagne precedenti a quella del primo anno d'impegno con esclusione delle annate nelle quali si sono verificate calamità naturali o avversità atmosferiche di carattere eccezionale.
Per il calcolo della media produttiva, non si dovrà tenere conto dei due valori di resa minimi e massimi del quinquennio di riferimento.
In particolare, nei vigneti irrigui la riduzione dovrà raggiungere almeno il 25%.
I beneficiari degli aiuti previsti per la misura dovranno osservare le seguenti prescrizioni.
VIGNETI SPECIALIZZATI IN IRRIGUO
Rinuncia all'irrigazione e conseguente adozione dell'ordinamento asciutto, unitamente all'utilizzo della tecnica di potatura corta e all'esclusione delle pratiche di forzatura.
In particolare, l'apporto di azoto con la fertilizzazione non dovrà superare 60 Kg/ha di unità azotate totali.
Rinuncia all'utilizzo di diserbanti chimici.
Presentazione di un piano aziendale specifico, contenente le modalità applicative della misura.
Esclusivamente nel caso di andamento climatico particolarmente siccitoso, in seguito a specifica autorizzazione dell'Ispettorato provinciale Agricoltura riferita al territorio di competenza, potrà essere effettuato non più di un intervento irriguo di soccorso.
L'accertamento della riduzione della resa, verrà operato sulla base della dichiarazione di produzione. A riguardo, specifici controlli verranno effettuati anche dal Servizio regionale repressione frodi vinicole.
VIGNETI AD ALBERELLO E CONTROSPALLIERA IN ASCIUTTO
Mantenimento della destinazione colturale presente al momento della sottoscrizione dell'impegno, nonché dell'ordinamento asciutto e del ridotto impiego di azoto totale (non oltre 60 Kg/ha).
Rinuncia all'utilizzo di diserbanti chimici.
L'accertamento del mantenimento dei livelli produttivi, avverrà con le medesime modalità già precisate per i vigneti specializzati in irriguo.
Le zone di applicabilità dell'intervento sono le seguenti:
Province di: Agrigento, Caltanissetta, Enna, Ragusa, Trapani, Palermo ad eccezione dei territori comunali di Palermo, Isola delle Femmine, Cinisi, Capaci, Terrasini, Torretta, Villabate, Ficarazzi, Bagheria, Termini Imerese, Campofelice di Roccella, Cefal× e Lascari.
Territori comunali di: Bronte, Castiglione di Sicilia, Linguaglossa, Mascali, Milo, Nicolosi, Piedimonte Etneo, Pedara, S. Alfio, Trecastagni, Viagrande, Zafferana Etnea, Randazzo, Noto, Pachino e Rosolini.
CONVERSIONE DEI SEMINATIVI IN PASCOLO ESTENSIVO
La conversione dovrà riguardare superfici in produzione, nelle quali dovranno essere adottate tecniche di produzione estensive.
La misura è attivabile nei seguenti casi:
- superfici destinate, in una delle due campagne immediatamente precedenti a quella oggetto di richiesta degli aiuti previsti dalla misura, a una delle colture di cui all'allegato 1 del Reg. CE 1765/92 e successivi. Tale requisito dovrà essere accertato sulla base della domanda di compensazione presentata dal beneficiario.
- superfici destinate, nella campagna immediatamente precedente a quella oggetto di richiesta degli aiuti previsti dalla misura, a una delle colture comprese nell'allegato n. 1 del Reg. CE 1765/92 e successivi. In tal caso, la presenza della coltura dovrà essere accertata per mezzo di apposito sopralluogo aziendale, da effettuarsi nella campagna immediatamente precedente a quella d'inizio impegno.
Potranno essere ammesse alla misura anche le superfici interessate da un regime di ritiro dei seminativi dalla produzione con scadenza in una delle due campagne immediatamente precedenti a quella d'inizio d'impegno.
L'adesione alla presente misura comporta i seguenti obblighi:
- al primo anno lavorazione superficiale su tutta la superficie interessata, per la preparazione del letto di semina;
- concimazione minerale d'impianto e di mantenimento, con somministrazione non superiore a 70 Kg/ha di unità di azoto totali (organico più minerale) ammissibile esclusivamente in assenza di pascolo e di leguminose fra l'essenze utilizzate alla semina;
- nel caso di pascolamento carico massimo, calcolato in un periodo di 12 mesi, non superiore a 1,4 UBA/Ha di superficie riconvertita;
- semina di essenze pabulari adatte al contesto agro-ambientale interessato, da effettuarsi entro il primo anno d'impegno al verificarsi delle condizioni ambientali favorevoli; trasemine di rinfoltimento o eventuale reimpianto del pascolo negli anni successivi. Esclusivamente nelle aree ricadenti all'interno dei parchi naturali delle Madonie e dei Nebrodi, nonché nei territori della provincia di Ragusa caratterizzati dalla presenza di flora pabulare spontanea di elevato pregio, potrà prescindersi dalla semina in fase d'impianto. A tal fine, dovrà essere prodotta idonea documentazione tecnica;
- utilizzo di specie con spiccata capacità autoseminante;
- adozione di una razionale tecnica di gestione del pascolo, che preveda anche un'interruzione dello sfruttamento durante la fase riproduttiva, allo scopo di assicurare la persistenza del pascolo negli anni;
- realizzazione di scoline con funzione regimante dell'acqua piovana;
- presentazione di un piano aziendale specifico, contenente le modalità applicative della misura.
La produzione foraggera potrà essere utilizzata anche per mezzo di uno sfalcio annuale. Fermo restando l'obbligo dell'adozione delle tecniche di gestione del pascolo sopra precisate, dopo il periodo estivo è ammissibile il reimpianto dell'essenze foraggere.
In via indicativa, si riporta l'elenco delle specie cui si potrà fare riferimento nella scelta del miscuglio, che dovrà comprendere almeno tre specie:
SPECIE ANNUALI SPECIE POLIENNALI
Vicia sativa Hedysarum coronarium (sulla)
Vicia villosa Onobrychis viciaefolia (lupinella)
Trigonella fenum grecum Lolium perenne
Trifolium subterraneum Medicago sativa (erba medica)
Trifolium alexandrinum Dactylis glomerata (erba mazzolina)
Trifolium incarnatum Festuca arundinacea
Trifolium resupinatum Festuca pratensis
Trifolium squarrosum Festuca rubra
SPECIE ANNUALI SPECIE POLIENNALI
Medicago polimorfa Festuca ovina
Medicago rugosa Bromus willdenowii (bromo catartico)
Medicago trunculata Lolium multiflorum, vr. italicum (loiessa)
Lolium rigidum Lotus corniculata (ginestrino)
Lolium multiflorum Antillis vulneraria (trifoglio giallo delle sabbie)
(vr. westerworldicum) Phalaris tuberosa
Poa pratensis (erba fienarola)

B2) Mantenimento della produzione estensiva
La misura è attivabile in aziende caratterizzate da metodi di produzione tradizionali estensivi a bassa resa.
In tale ambito, il premio potrà essere erogato per il mantenimento di produzioni tradizionali tipiche a carattere estensivo e specifica localizzazione, esclusivamente per le seguenti colture ad ordinamento asciutto: cappero, nocciolo, pistacchio, mandorlo, carrubo, olivo (con riferimento esclusivo alle tipologie d'impianto di seguito precisate), frassino da manna e pascoli estensivi.
Le zone di applicabilità della misura sono così definite, in rapporto alle colture ammissibili.
Cappero: Isole Eolie, Ustica, Pantelleria, Favignana, Linosa, Lampedusa.
Nocciolo: provincia di Messina, territori comunali di Castiglione di Sicilia, Linguaglossa, Mascali, Milo, S. Alfio, Randazzo, Piazza Armerina, Aidone, Polizzi Generosa, Contessa Entellina.
Pistacchio: provincie di Agrigento e Caltanisetta, territori comunali di Adrano, Bronte, Polizzi Generosa, San Cipirello.
Mandorlo: provincie di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Palermo, Ragusa e territori comunali di Adrano, Belpasso, Bronte, Caltagirone, Santa Maria di Licodia, Avola, Noto, Rosolini, Siracusa, Melilli, Augusta, Solarino, Floridia, Canicattini bagni, Erice, Custonaci, Valderice, San Vito Lo Capo, Castellammare del Golfo.
Carrubo: provincia di Ragusa, territori comunali di Gela, Niscemi, Butera, Rosolini, Noto, Canicattini Bagni, Erice, Custo-naci, Valderice, San Vito Lo Capo, Castellamare del Golfo.
Olivo: provincie di Messina, Caltanissetta, Ragusa e Siracusa, interi territori dei comuni ricadenti nei Parchi Regionali delle Madonie e dell'Etna.

Gli oliveti ammissibili all'aiuto dovranno avere le seguenti caratteristiche:
- sistemazione a terrazze o a ciglioni o, in alternativa, giacitura con pendenza media superiore al 20%;
- densità minima di 70 piante adulte per ettaro, anche se in coltura promiscua;
- età superiore ai 15 anni;
- buono stato vegetativo.
Frassino da manna: territori comunali di Pollina e Castelbuono.
Pascoli estensivi: terreni sottoposti a vincolo idrogeologico.
In generale l'adesione alla misura comporta l'obbligo dell'osservanza delle seguenti prescrizioni:
- mantenimento della destinazione colturale presente al momento della sottoscrizione dell'impegno e del ridotto impiego di fertilizzanti;
- mantenimento dell'ordinamento asciutto, ad esclusione di eventuali interventi irrigui di soccorso nel periodo siccitoso;
- somministrazione di unità di azoto totali, non eccedente le seguenti quantità: cappero 70 Kg/Ha, nocciolo 90 Kg/Ha, pistacchio 80 Kg/ha, mandorlo 80 Kg/Ha, carrubo 40 Kg/Ha, olivo 100 Kg/ha, pascoli estensivi 70 Kg/ha;
- per il frassino da manna concimazione esclusivamente con la tecnica del sovescio, effettuazione delle operazioni di spollonatura, nettatura del tronco e intaccatura delle piante destinate alla produzione dell'anno;
- adozione di tutte le pratiche necessarie alla prevenzione degli incendi, ivi compresa l'asportazione dei residui;
- rinuncia all'utilizzo dei diserbanti di sintesi;
- per i pascoli estensivi decespugliamento meccanico con raccolta e asportazione del materiale di risulta nel periodo primaverile, apertura di canalette superficiali di sgrondo dell'acqua piovana, trasemina su cotico nel periodo autunnale con essenze autoctone, pascolamento con carico massimo annuale di 1,4 UBA/ha.
Esclusivamente nei noccioleti e nei pistacchieti siti in terreni non accessibili ai mezzi meccanici, al fine di consentire la raccolta a terra del prodotto e per prevenire lo sviluppo d'incendi, è ammesso un intervento di diserbo con l'utilizzo di principi attivi non residuali a basso impatto ambientale.
C) Riduzione della densità del patrimonio bovino od ovino per unità di superficie foraggera
Per densità dovrà intendersi il rapporto tra numero di UBA ed ettari di superficie foraggera; di conseguenza l'impegno potrà essere assolto sia mediante una riduzione dei capi allevati da effettuare con la macellazione, che per mezzo di un'aumento della superficie foraggera, ottenibile con l'acquisto o l'affitto di durata almeno quinquennale e/o la destinazione di altre superfici aziendali a foraggere.
L'acquisto o l'affitto dovranno essere comprovati con atto scritto regolarmente registrato, secondo la normativa vigente.
La riduzione della densità dovrà essere effettuata fin dal primo anno d'impegno.
Il beneficiario è tenuto a compilare e ad aggiornare un registro stalla, dal quale risulti la consistenza del bestiame allevato.
L'eliminazione dei capi bovini verrà accertata per mezzo del certificato di macellazione.
Non saranno ammesse ai benefici della misura le aziende, con densità di bestiame allevato superiore a 4,5 UBA/ettaro di superficie foraggera.
La determinazione del grado di densità aziendale, dovrà essere effettuata secondo le modalità indicate al comma 3, dell'articolo 4g, del Reg. CEE n. 2066/92 ed eventuali modifiche, tenuto conto della tabella di conversione riportata dall'allegato I del Reg CEE n. 2328/91.
A riguardo, dovrà essere rapportato il numero di unità bovine adulte allevate con le superfici foraggere aziendali utilizzabili durante l'intera annata agraria per l'allevamento, al netto delle tare e delle superfici sottoposte a regime di ritiro in cui non è ammesso il pascolo.
Il calcolo del premio dovrà effettuarsi come nel seguente esempio, nel caso di aumento di superficie foraggera:
Situazione iniziale: superficie foraggera 5 Ha, numero di UBA 15, densità 3 UBA/Ha.
Situazione finale: superficie foraggera 10 Ha, numero di UBA 15, densità 1,5 UBA/Ha.
Calcolo del premio: 5 x (3 - 1,5) = 7.5 x 210 ECU = 1575 ECU

L'eventuale superficie foraggera aggiuntiva dovrà essere destinata a colture foraggere estensive, quali prato e prato-pascolo.
In quest'ultimi, gli apporti di azoto non dovranno superare 70 Kg/ha di unità azotate annuali.
Il carico di bestiame dovrà essere ripartito nell'azienda in modo da interessare tutta la superficie foraggera, al fine di evitare il pascolamento eccessivo e la sottoutilizzazione.
L'aumento della superficie foraggera dovrà riguardare terreni siti in prossimità dell'allevamento e non dovrà comportare un'intensificazione del carico animale, in una o più aziende localizzate nei pressi dell'azienda beneficiaria dell'aiuto.
I terreni demaniali e di uso pubblico non possono essere considerati ai fini dell'incremento della superficie foraggera.
La riduzione della densità, se conseguita con la diminuzione del numero dei capi allevati, dovrà essere attuata e verificata secondo il disposto dell'art. 7 del Reg. CEE n. 4115/88 e successive disposizioni applicative.
A tal fine, i beneficiari dovranno produrre apposita documentazione attestante l'avvenuta diminuzione del numero di unità di bestiame, così come precisato nel paragrafo "Sistemi di controllo".
Inoltre, la suddetta riduzione dovrà comportare un carico finale massimo non superiore a 1,5 UBA/Ha e non inferiore a 0,5 UBA/Ha. La densità finale non dovrà essere incrementata per l'intero periodo d'impegno.
Nel caso degli allevamenti ovini, la riduzione dei capi ad ettaro potrà essere conseguita esclusivamente con l'aumento della superficie foraggera.
L'incremento del numero complessivo di UBA allevate sarà ammesso solo nei casi di fusione, mediante acquisto od affitto, con altra azienda zootecnica, purché ne derivi una diminuzione complessiva di densità per unità di superficie foraggera.
In tali casi, non sarà consentita la fusione effettuata con terreni di proprietà dei componenti del nucleo familiare del richiedente.
E' esclusa l'erogazione del premio per la macellazione di capi appartenenti alle specie e razze in pericolo di estinzione.
Le superfici foraggere di riferimento utilizzate per la concessione dell'aiuto, non possono beneficiare dei premi derivanti dall'applicazione delle misure A1, A2, B1 e B2.
Per le medesime superfici, l'importo del premio concesso per l'attivazione della misura D1 è ridotto del 50%.
D1) Impiego di altri metodi di produzione compatibili con