REPUBBLICA ITALIANA
GAZZETTA UFFICIALE
DELLA REGIONE SICILIANA

PARTE PRIMA
PALERMO - VENERDÌ 7 SETTEMBRE 2007 - N. 42
SI PUBBLICA DI REGOLA IL VENERDI'

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DISPOSIZIONI E COMUNICATI

CORTE COSTITUZIONALE


Ordinanza del 28 febbraio 2007 emessa dalla Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione siciliana - Palermo, sul ricorso proposto da Giglio Leopoldo contro Regione siciliana.

(Pubblicazione disposta dal Presidente della Corte costituzionale a norma dell'art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87).
N. 559 Reg. ordinanze 2007
La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, il giudice unico delle pensioni consigliere dott. Pino Zingale ha pronunciato la seguente
ORDINANZA n. 76/2007

nel giudizio di pensione civile iscritto al n. 30899 del registro di segreteria promosso ad istanza di Giglio Leopoldo, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Gruppuso, nei confronti della Regione siciliana.
Visto l'atto introduttivo del giudizio depositato il 5 agosto 2003.
Visti gli atti e documenti tutti del fascicolo processuale.
Uditi alla pubblica udienza del 31 gennaio 2007 l'avv. Giuseppe Gruppuso per il ricorrente e l'avv. Vincenzo Farina per la Regione siciliana.

Fatto

L'odierno ricorrente, dipendente della Regione siciliana, con istanza prodotta nei termini di legge ha chiesto di essere collocato a riposo anticipatamente ai sensi dell'art. 39 della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10.
La predetta norma, contenuta nel titolo VII della citata legge, concernente il riordino del sistema pensionistico della Regione siciliana, dopo avere disposto, nelle more del riordino del sistema pensionistico regionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2003, la sospensione dell'applicazione delle norme che consentivano i pensionamenti di anzianità, faceva, però, salva l'applicazione dell'art. 3 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, per i dipendenti che avessero maturato l'anzianità di servizio utile ivi prevista o che tale anzianità maturassero entro la predetta data, nonché l'applicazione dell'art. 18 della legge regionale 3 maggio 1979, n. 73.
Pertanto, al fine dichiarato di creare condizioni favorevoli all'avvio della riforma burocratica e al completo decentramento di funzioni, veniva stabilito che, in deroga a quanto disposto dal comma 1 del citato art. 39, i dipendenti regionali in possesso dei requisiti di cui all'art. 2 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, potessero comunque conseguire l'anticipato collocamento a riposo, entro il limite del 45% dei dipendenti in servizio in ciascuna qualifica, al 31 dicembre 1993.
A far data dall'1 gennaio 2004, inoltre, veniva stabilito che il sistema pensionistico regionale si dovesse adeguare ai principi fondamentali del sistema pensionistico vigente per i dipendenti dello Stato, facendo salvi comunque i diritti quesiti.
Il collocamento a riposo di cui alla predetta normativa veniva disposto, infine, a partire dalla data di entrata in vigore della legge per contingenti semestrali pari ad un sesto degli aventi diritto.
Con circolare n. 29511 del 21 novembre 2000 sono state stabilite le decorrenze dei sei contingenti in uscita, l'ultimo dei quali al 31 dicembre 2003.
Con decreto n. 2800 del 20 giugno 2001 la Presidenza della Regione siciliana approvava i contingenti di uscita del personale nei quali risulta inserito l'attore della presente azione giudiziaria.
Per effetto dell'art. 5, comma 4, della legge regionale n. 2/2002, poi, veniva stabilito che i dipendenti inclusi nei contingenti previsti dalla predetta legge fossero collocati a riposo con periodicità annuale, anziché semestrale, e con decorrenza dall'1 gennaio 2004.
L'odierno ricorrente con atto depositato il 5 agosto 2003, ha ritenuto che tale ultima disposizione non fosse a lui applicabile, avendo maturato il diritto in data antecedente alla sua entrata in vigore ed ha chiesto la dichiarazione del suo diritto ad essere posto in quiescenza secondo quanto previsto dalla legge regionale n. 10/2000, essendo stato già, con decreto cancellato dal ruolo dei dipendenti regionali.
A seguito, poi, dell'entrata in vigore dell'art. 29 della legge regionale n. 21/2003, il quale ha abrogato i commi 2, 3, 4, 5, 6 ed 8 dell'art. 39 della legge regionale n. 10/2000, la Regione siciliana, comunque, ha ritenuto di non potere più dare corso al pensionamento ed ha mantenuto in servizio l'interessato.
Con memoria depositata il 18 giugno 2004 il ricorrente ha ulteriormente illustrato e confermato la domanda introduttiva del giudizio, chiedendo, in via subordinata, che fosse sollevata questione di legittimità costituzionale della normativa regionale che aveva bloccato la procedura del loro pensionamento.
Con memoria depositata il 15 gennaio 2007 si è costituita la Regione siciliana, eccependo in via preliminare il difetto di giurisdizione di questa Corte e, nel merito, chiedendo il rigetto del ricorso.
Alla pubblica udienza del 31 gennaio 2007 le parti presenti hanno insistito nelle rispettive richieste riportandosi agli atti scritti.

Diritto

Occorre preliminarmente scrutinare l'eccezione di difetto di giurisdizione formulata dalla difesa della Regione siciliana.
L'eccezione è infondata.
Ai sensi dell'art. 62 del regio decreto n. 1214/1934, alla Corte dei conti sono devolute anche le istanze dirette ad ottenere la sentenza che tenga luogo del decreto di collocamento a riposo o in riforma e dichiari essersi verificate nell'impiegato le condizioni dalle quali, secondo le leggi vigenti, sorge il diritto a pensione, assegno o indennità (cfr. Corte dei conti Friuli-V. Giulia, sezione giurisdizionale, 20 gennaio 2004, n. 17): e tale è, con lapalissiana evidenza, la fattispecie oggetto del presente giudizio.
Ciò anche laddove si volesse aderire ad un più restrittivo indirizzo giurisprudenziale (invero alquanto datato, sostanzialmente privo di reale motivazione e, comunque, non condiviso da questo giudicante) secondo il quale il potere della Corte dei conti, a norma dell'art. 62, regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, di emanare una sentenza che tenga luogo, a fini pensionistici, del decreto di collocamento a riposo resterebbe circoscritto alla diversa ipotesi in cui la cessazione dal servizio sia conseguenza inopinabile ed obiettivamente verificabile di previste scadenze temporali (Cass. civ., 5 gennaio 1981, n. 5), evenienza che, per l'appunto, ricorre nel caso di specie.
La giurisdizione della Corte dei conti, peraltro, si configura come giurisdizione piena ed esclusiva sul rapporto (e non come giurisdizione di mero annullamento), che conosce in materia di "diritti", interveniente in un rapporto paritetico, ad instar di un accertamento costitutivo del diritto a pensione che funge da presupposto meramente processuale ex art. 62 del regio decreto n. 1214 del 1934 affinché il giudice, indipendentemente dai motivi d'impugnativa del ricorrente, abbia a pronunciarsi sull' "an" e sul "quantum" del diritto a pensione, conoscendo in siffatto modo dell'intero rapporto controverso (Corte dei conti Lombardia, sezione giurisdizionale, 18 giugno 2002, n. 719).
Sulla domanda, pertanto, va affermata la giurisdizione di questa Corte. Nel merito va osservato quanto segue.
L'art. 39, contenuto nel titolo VII della legge regionale n. 10/2000, concernente il riordino del sistema pensionistico della Regione siciliana, dopo avere disposto, nelle more del citato riordino e comunque non oltre il 31 dicembre 2003, la sospensione dell'applicazione delle norme che consentivano i pensionamenti di anzianità, abbia fatto, però, salva l'applicazione dell'art. 3 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, per i dipendenti che avessero maturato l'anzianità di servizio utile ivi prevista o che tale anzianità maturassero entro la predetta data, nonché l'applicazione dell'art. 18 della legge regionale 3 maggio 1979, n. 73.
Il ricorrente, dipendente della Regione siciliana, con istanza prodotta nei termini di legge ha chiesto di essere collocato a riposo anticipatamente ai sensi dell'art. 39 della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10 (con riferimento al disposto di cui all'art. 2 della legge regionale n. 2/62) ed in esito a tale istanza, riconosciuta la sussistenza dei requisiti di legge, è stato collocato nei contingenti di fuoriuscita.
Su tali circostanze non sussiste contestazione tra le parti ed il dato, pertanto, può ritenersi non controverso nel presente giudizio ed acquisito come necessario elemento presupposto di ogni ulteriore argomentazione che sarà qui di seguito sviluppata.
Il legislatore regionale, nelle more della definizione dei relativi procedimenti, è, però, intervenuto con l'art. 5, comma 5, della legge regionale n. 2/2002, disponendo che, ferme le disposizioni di cui all'art. 39 della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10, i dipendenti inclusi nei contingenti previsti dal comma 8 del medesimo articolo fossero collocati a riposo con periodicità annuale, anziché semestrale e con decorrenza dall'1 gennaio 2004.
Si è trattato, in sostanza, di un intervento parzialmente correttivo, ispirato da motivazioni di compatibilità finanziaria con il bilancio regionale per il quale erano state intraviste non indifferenti difficoltà nell'affrontare l'onere del pagamento dei trattamenti di fine rapporto ad un così consistente numero di dipendenti, avente come risultato solo quello di determinare la data di decorrenza della pensione al 1° gennaio 2004, per tutti i contingenti non ancora esitati.
Tale intervento normativo non modificava, però, i requisiti già fissati e le modalità per l'accesso alla pensione c.d. di anzianità.
Nelle more di tale procedimento l'art. 20 della legge regionale 30 dicembre 2003, n. 21, ha stabilito, però, che a decorrere dal 31 dicembre 2003 fossero abrogati i commi 2, 3, 4, 5, 6 ed 8 dell'art. 39 delle citata legge regionale n. 10/2000 e successive modifiche ed integrazioni ed ogni altra norma regionale incompatibile, e che a decorrere dall'1 gennaio 2004 i requisiti per l'accesso alle prestazioni pensionistiche, per tutti i dipendenti della Regione siciliana, fossero regolati dalle norme relative agli impiegati civili dello Stato.
A seguito di tali ultimi due interventi legislativi, pertanto, mentre l'art. 39 citato dispone, a tutt'oggi, che nelle more del riordino del sistema pensionistico regionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2003 sia sospesa l'applicazione delle norme che consentono pensionamenti di anzianità ma che sia fatta salva l'applicazione dell'art. 3 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2 per i dipendenti che abbiano maturato l'anzianità di servizio utile ivi prevista o che tale anzianità maturino entro la predetta data, nonché l'applicazione dell'art. 18 della legge regionale 3 maggio 1979, n. 73, l'art. 20 della legge regionale 30 dicembre 2003, n. 21, invece, stabilisce che a decorrere dal 1° gennaio 2004 i requisiti per l'accesso alle prestazioni pensionistiche, per tutti i dipendenti della Regione siciliana, siano regolati dalle norme relative agli impiegati civili dello Stato.
Tale ultima disposizione, ancorché la legge sia entrata in vigore il 30 dicembre 2003, come tutte quelle contenute nella legge n. 21/2003, si applica solo a decorrere dall'1 gennaio 2004, per espressa volontà del legislatore ai sensi dell'art. 32 della stessa legge.
Il quadro legislativo al 31 dicembre 2003 - giorno in cui i ricorrenti avrebbero dovuto essere posti a riposo con trattamento di quiescenza dal 1° gennaio 2004 - pertanto può sintetizzarsi nei seguenti termini:
1)  l'intero art. 39 della legge regionale n. 10/2000 era in vigore ad eccezione dei commi 2, 3, 4, 5, 6 ed 8, abrogati il 1° gennaio 2004 con effetto retroattivo al 31 dicembre 2003;
2)  dal 1° gennaio 2004, sempre con effetto retroattivo al 31 dicembre 2003, deve ritenersi abrogato anche l'art. 5, comma 4, legge regionale n. 2/2002, funzionalmente collegato ai citati commi espressamente abrogati;
3)  l'art. 2 della legge regionale n. 2/62 deve ritenersi tacitamente abrogato per incompatibilità sistematica solo dal 1° gennaio 2004, data dalla quale, ai sensi degli artt. 20 e 32 della legge regionale 30 dicembre 2003, n. 21, ai dipendenti regionali sono state estese le norme statali sulle pensioni di anzianità.
Sulla base di tale contesto normativo la domanda proposta dal ricorrente è stata già scrutinata in altri giudizi già decisi da questa Corte con esiti, però, contrastanti.
Un primo orientamento giurisprudenziale (cfr. Corte dei conti, sez. giur. Sicilia 25-31 ottobre 2006, n. 3120) ha osservato come i ricorrenti di tale fattispecie, al 31 dicembre 2003, fossero tutti in possesso (e la circostanza, in questo giudizio, è pacifica tra le parti, essendo stato il ricorrente medesimo inserito dall'Amministrazione regionale negli scaglioni di esodo) dei requisiti di accesso alla pensione di anzianità ai sensi dell'art. 2 della legge regionale n. 2/62.
La predetta giurisprudenza ha rilevato che la possibilità di accesso a tale forma di pensionamento è stata espressamente fatta salva dall'art. 39, comma 1, della legge regionale n. 10/2000 per coloro che maturavano i requisiti al 31 dicembre 2003, data quest'ultima di cessazione del blocco temporaneo dei predetti pensionamenti, ciò in quanto l'art. 39, comma 1, della citata legge regionale n. 10/2000 faceva espresso richiamo all'art. 3 della legge regionale n. 2/62, e quest'ultima norma non può che essere accolta nella sua globalità e tale ultima disposizione recita che l'impiegato ha diritto di essere collocato a riposo su domanda al compimento del 35° anno di servizio utile, e negli altri casi previsti dalle vigenti disposizioni, e tra queste, ovviamente, anche quelle di cui al precedente art. 2 della stessa legge, relativo ai pensionamenti di anzianità, con i requisiti di anzianità ivi previsti.
Pertanto avrebbero diritto all'applicazione dell'art. 3 della legge regionale n. 2/62 tutti i dipendenti che al 31 dicembre 2003 abbiano compiuto 35 anni di servizio utile e coloro i quali, alla stessa data, abbiano raggiunto il 60° anno di età con almeno 15 anni di servizio effettivo oppure qualunque età con almeno 25 anni di servizio effettivo.
La fattispecie relativa ai 35 anni permarrebbe nell'attuale sistema, mentre quelle ulteriori, solo sospese negli effetti (così dovendosi interpretare l'espressione legislativa "sospesa l'applicazione delle norme che consentono pensionamenti di anzianità") fino al 31 dicembre 2003, sono invece definitivamente espunte dall'ordinamento, per incompatibilità, dal 1° gennaio 2004.
Difatti la legge regionale n. 21/2003 ha disposto l'estensione, dal 1° gennaio 2004, dei meccanismi di accesso alle pensioni c.d. di anzianità previsti dallo Stato a tutti i dipendenti regionali, abrogando contemporaneamente, dal 31 dicembre 2003, gli altri commi del citato art. 39 che disciplinavano l'uscita per scaglioni dei relativi beneficiari.
Osserva, ancora, tale giurisprudenza, che gli interessati, quindi, avrebbero visto abrogare il complesso sistema di fuoriuscita per scaglioni previsto dal citato art. 39, con decorrenza dal 31 dicembre 2003 (e con esso la norma che ne aveva postergato gli effetti al 1° gennaio 2004), con contestuale cessazione degli effetti sospensivi del diritto di accesso al trattamento di quiescenza di anzianità, ai sensi dell'art. 39, comma 1, della legge regionale n. 10/2000, al 31 dicembre 2003 (con collocamento a riposo da tale data), e con fruizione del relativo trattamento di quiescenza dal 1° gennaio 2004, primo giorno utile dopo la cessazione del predetto blocco, non ostando a ciò la circostanza che il legislatore regionale, proprio con decorrenza dal 1° gennaio 2004 abbia disposto l'estensione a tutti i dipendenti regionali, per le pensioni di anzianità, dei meccanismi statali.
Quest'ultima estensione non potrebbe che riguardare, però, solo i dipendenti che non avessero maturato il diritto (ancorché sospeso nella sua fruizione) al 31 dicembre 2003, essendo il 1° gennaio 2004 solo il primo giorno di godimento del trattamento di quiescenza, cioè di un diritto già perfezionatosi il giorno precedente, e la circostanza che il diritto si fosse già perfezionato il giorno precedente a quello dell'efficacia della modifica legislativa sarebbe dirimente in ordine all'intangibilità del medesimo.
A ciò è stato aggiunto che l'effetto abrogativo degli altri commi del citato art. 39 sarebbe stato introdotto nell'ordinamento il 1° gennaio 2004, ma con effetto retroattivo al 31 dicembre 2003, con ciò consolidando - per il venir meno del sistema dei blocchi e della fuoriuscita per scaglioni già prevista a decorrere dal 1° gennaio 2004 - il diritto a pensione di quanti al 31 dicembre avevano maturato i requisiti di anzianità, circostanza che avrebbe dimostrato come il legislatore abbia inteso abrogare il meccanismo di fuoriuscita per scaglioni, intrinsecamente connesso al blocco delle pensioni di anzianità scadente al 31 dicembre 2003 (la cui permanenza al 1° gennaio 2004 avrebbe determinato l'applicabilità del nuovo sistema indistintamente a tutti i dipendenti regionali in servizio a quella data), ma senza incidere sui diritti già maturati al 31 dicembre 2003 (e, pertanto, ne ha disposto la rimozione da pari data), disponendo l'estensione delle regole statali ai dipendenti regionali solo dal giorno successivo (1° gennaio 2004).
Su tale modo legislativo di procedere, secondo la citata giurisprudenza, avrebbe influito la consapevolezza che quello del collocamento a riposo è un vero e proprio diritto (potestativo), in quanto così qualificato dagli stessi artt. 2 e 3 della legge regionale n. 2/62, ed è noto come un diritto potestativo si consumi con il suo esercizio per cui, una volta che sia intervenuto il provvedimento che ad esso si conforma e che siano prodotti gli effetti cui esso tende (nella fattispecie entrambi rappresentati dall'inserimento nei contingenti di uscita), gli stessi non possono essere rimessi in discussione (Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2002, n. 2596).
E mentre nello schema privatistico il recesso costituisce esercizio di un diritto potestativo e non deve essere accettato, in quanto costituisce atto non ricettizio che determina immediatamente la dismissione del diritto e quindi la conseguenza giuridica nella sfera del datore di lavoro, che non può se non subire l'esercizio del diritto potestativo, nello schema pubblicistico le dimissioni intanto inducono l'esaurirsi del rapporto in quanto siano accettate: in altri termini, il dipendente propone le proprie dimissioni che producono effetto per il destinatario, la P.A., solo con l'accettazione (che nella fattispecie si identifica con l'inserimento nei contingenti di uscita), che, proprio per la sua stessa natura, è l'atto che conclude la fattispecie e da tale momento determina l'efficacia del recesso (Cons. Stato, sez. VI, 18 giugno 2002, n. 3316).
E' ovvio che un'eventuale modifica che avesse inciso su di un diritto (e non di una semplice aspettativa) già conclamato, avrebbe determinato notevoli problemi esegetici di costituzionalità della norma, specialmente se si consideri che altri soggetti, in identica posizione degli odierni ricorrenti, sol perché collocati in scaglioni antecedenti - ma con pari requisiti - erano già stati posti da tempo in quiescenza.
Tutto ciò determina, secondo tale giurisprudenza, che, non essendo mutato il quadro normativo di riferimento al 31 dicembre 2003, per quel che riguarda il diritto a fruire del pensionamento anticipato di anzianità, a quella data gli interessati avevano diritto di concludere il proprio rapporto di servizio con la P.A. e di godere, attesa la cessazione a quella data dei pregressi effetti sospensivi, con decorrenza dal 1° gennaio 2004, del relativo trattamento di quiescenza maturato.
A tali argomentazioni favorevoli alla domanda della ricorrente si contrappongono, però, quelle fatte proprie da altra giurisprudenza (cfr. Corte dei conti, sez. giur. Sicilia 19 dicembre 2006 - 26 gennaio 2007, n. 223).
Tale giurisprudenza rammenta, anzitutto, che l'art. 20, comma 3, della legge regionale n. 21/2003 ha stabilito, a decorrere dall'1 gennaio 2004, che i requisiti per l'accesso alle prestazioni relative al trattamento di quiescenza del personale dipendente della Regione siciliana siano regolati dalle norme relative agli impiegati civili dello Stato, e ripercorre ed analizza, nel contempo, il previgente ordinamento che disciplinava il trattamento di quiescenza del personale della Regione (legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2 e successive modifiche ed integrazioni).
Ritiene tale giurisprudenza che il diritto al trattamento pensionistico anticipato, di cui si chiede il riconoscimento ai sensi dell'art. 39, comma 2, della legge regionale n. 10 del 2000, ricaduto, poi, nell'abrogazione di cui alla legge regionale n. 11/2003, non risulterebbe essere stato mai concretamente acquisito in applicazione dello speciale procedimento previsto dallo stesso art. 39 (commi 2, 3, 4, 5, 6 ed 8) della legge regionale n. 10/2000 durante la sua vigenza nella formulazione originaria non essendo mai formalmente e definitivamente cessato il rapporto di servizio attivo dell'interessato con l'Amministrazione regionale.
Secondo tale giurisprudenza il conseguimento del trattamento pensionistico in parola, per coloro che, come l'odierno ricorrente, sebbene inseriti nei contingenti di uscita non sono mai stati, però, collocati a riposo, sarebbe rimasto in fase potenziale non essendosi verificate tutte le condizioni di legge, previste per la formazione e la piena insorgenza del sottostante diritto a pensione, prima che l'art. 5, comma 5, della legge regionale 26 marzo 2002, n. 2, nelle more sopravvenuta, stabilisse la nuova decorrenza giuridica con periodicità annuale ad iniziare dall'1 gennaio 2004 dei collocamenti a riposo anticipato del personale inserito nei contingenti d'uscita predisposti a termini del comma 8 dell'art. 39 della legge regionale n. 10/2000.
Ciò consentirebbe di affermare che le norme contenute nell'art. 39 (commi 2, 3, 4, 5, 6 ed 8) si riferissero nel loro insieme a trattamenti pensionistici in divenire, che avrebbero potuto realizzarsi solo al momento in cui fosse avvenuto il formale e definitivo collocamento a riposo a domanda con conseguente riconoscimento del diritto alla liquidazione della pensione e, comunque, a decorrere dall'1 gennaio 2004 con periodicità annuale (vedi art. 5, comma 5, della legge regionale 26 marzo 2002, n. 2).
Prima della scadenza di quest'ultima data con l'art. 20, comma 4, della legge regionale 29 dicembre 2003, n. 21, è stata, però, disposta in via definitiva l'abrogazione, a decorrere dal 31 dicembre 2003, dei commi 2, 3, 4, 5, 6 ed 8 del ripetuto art. 39 sul collocamento a riposo anticipato e delle sue successive modifiche ed integrazioni, quali contenute nell'art. 5 della legge regionale n. 2/2002 e nella legge regionale n. 11/2003 e di ogni altra norma regionale incompatibile con l'intervenuta abrogazione. In tale contesto, secondo tale giurisprudenza, sarebbe stata cancellata definitivamente, secondo il senso fatto palese dalla legge abrogativa, la decorrenza dall'1 gennaio 2004 e la connessa periodicità annuale di tali pensionamenti anticipati, già stabilita dall'art. 5 della legge regionale n. 2/2002.
Tanto porterebbe a ritenere che il diritto alla liquidazione della pensione anticipata, che il ricorrente richiede gli sia riconosciuto, non sia stato affatto acquisito e perciò immodificabile. Si tratterebbe, in realtà, come sostenuto da tale orientamento giurisprudenziale, di un diritto in fieri inevitabilmente soggetto agli effetti innovativi di mutamenti legislativi, nella specie sopravvenuti, che, avendo abrogato le norme che avevano istituito lo speciale procedimento, ancora in atto, di collocamento a riposo anticipato, hanno fatto venir meno una condizione di legge fondamentale per l'insorgenza del diritto a pensione, ovverosia la sua decorrenza giuridica per ogni conseguente effetto, che è stata soppressa definitivamente per abrogazione. Non sarebbe stato sufficiente, per acquisire il diritto a pensione, essere in possesso dei requisiti di anzianità indicati nell'art. 2 della legge regionale n. 2/1962 che avevano consentito l'inclusione dei ricorrenti in uno dei contingenti di cui all'abrogato art. 8 della legge regionale n. 10/2000, ma sarebbe occorso, ancora, come condizione di legge ineliminabile, che il procedimento per giungere al collocamento a riposo con trattamento di pensione, prescritto, dai poi abrogati commi 2, 3, 4, 5, 6 ed 8 dell'art. 39 della legge regionale n. 10/2000, andasse a buon fine con il venire in essere della sua decorrenza giuridica ed economica da cui sarebbe derivato poi ogni altro conseguente effetto.
Secondo tale giurisprudenza l'interpretazione logico-sistematica dei diversi passaggi legislativi sfociati, in ultimo, nell'abrogazione disposta con il menzionato art. 20, comma 4, della legge regionale n. 21/2003, con i conseguenti effetti che ne sono derivati, farebbero emergere, conclusivamente in modo abbastanza chiaro ed univoco che non si siano verificate nella fattispecie le condizioni di legge per l'insorgenza di un diritto soggettivo pieno del ricorrente al conseguimento della pensione anticipata, risultando abrogato dal 31 dicembre 2003 l'intero sistema normativo che aveva dato origine al procedimento di collocamento a riposo che sarebbe dovuto avvenire in modo graduale in base ai contingenti predisposti con periodicità annuale ad iniziare dall'1 gennaio 2004 come disposto dall'art. 5, comma 5, della legge regionale n. 2/2002 pure abrogato.
Tale orientamento, poi, espressamente contesta di potere accedere all'interpretazione di segno opposto che avvalora la tesi secondo cui il diritto al trattamento anticipato di pensione fosse pienamente sorto già al momento dell'inserimento dei dipendenti regionali, tra cui il ricorrente medesimo, nei contingenti previsti dall'art. 39, comma 8, della legge regionale n. 10/2000, sostenendo che, in tale ottica, ove l'assunto fosse fondato, la disposizione che ha abrogato i commi 2, 3, 4, 5, 6 ed 8 dell'art. 39 della legge regionale n. 10/2000 non potrebbe avere altra sorte che quella di essere considerata una norma di legge inutiliter data e, nei fatti, superflua.
Questa è un'ipotesi che si ritiene non verosimile e, al tempo stesso non praticabile, poiché si porrebbe in netto contrasto con la chiara voluntas legis, resa palese nel comma 4 dell'art. 20 della legge regionale n. 21/2003, di bloccare in via definitiva il procedimento in itinere di esodo del personale secondo il meccanismo delineato nel ripetuto art. 39, commi 2, 3, 4, 5, 6 ed 8, e non avrebbe avuto alcun senso disporre l'abrogazione esplicita di norme che già avessero esaurito tutta la loro efficacia per essere giunto a compimento il procedimento legislativamente previsto per l'attuazione di una forma di collocamento anticipato a riposo temporalmente definita con periodicità annuale.
Né, tanto meno, secondo quei giudici, il diritto al conseguimento del collocamento a riposo anticipato nelle forme previste da tale normativa potrebbe essere ricollegato al comma 1, mai abrogato, dello stesso art. 39, nella parte in cui è stata fatta salva l'applicazione dell'art. 3 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, in quanto la riserva di applicazione di quest'ultima norma di legge sarebbe stata inserita nel comma 1 dell'art. 39 esclusivamente per salvaguardare il diritto al collocamento a riposo a domanda con trattamento di pensione dei dipendenti che, senza alcun vincolo di inserimento in contingenti, avessero maturato l'anzianità di servizio utile a pensione ivi prevista o che la maturassero in ogni caso entro la data del 31 dicembre 2003. Si tratterebbe, in definitiva, di quei dipendenti che avessero raggiunto il limite massimo di servizio per il collocamento a riposo fissato per i dipendenti della Regione siciliana dall'art. 3 della legge regionale n. 2/62 al compimento del 35° anno di servizio utile a pensione. In altri termini nel comma 1 dell'art. 39 sarebbe stato fatto salvo, fino al 31 dicembre 2003, il diritto di essere collocati a riposo soltanto per quei dipendenti regionali che lo avessero richiesto avendo maturato 35 anni di servizio utile a pensione. Che ciò fosse il vero ed effettivo intendimento del legislatore regionale lo si dedurrebbe dall'interpretazione letterale e logica del comma 1, non abrogato, dell'art. 39 della legge regionale n. 10/2000 in cui, con concisa formulazione, è sancito testualmente: "E' fatta salva l'applicazione dell'art. 3 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2 per i dipendenti che abbiano maturato l'anzianità di servizio utile ivi prevista o che tale anzianità maturino entro la predetta data (31 dicembre 2003)".
Il non verificato perfezionamento del diritto al conseguimento della pensione anticipata del personale incluso nei contingenti previsti dal comma 8 dell'art. 39 della legge regionale n. 10/2000 emergerebbe pure, ad avviso di tale giurisprudenza, anche da un'altra disposizione contenuta nell'art. 20 della legge regionale n. 21/2003 e, cioè, quella di cui al comma 5, ove è statuito testualmente che "i dipendenti inseriti nei contingenti ex art. 39, comma 8, della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10, possono rinunciare ai riscatti, riconoscimenti o ricongiunzioni richiesti dopo l'entrata in vigore della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10 e relativi a periodi non coperti da contribuzione, con possibilità di chiedere il rimborso delle quote eventualmente versate. Per i periodi coperti da contribuzione, la rinuncia ed il relativo rimborso sono subordinati all'assenso da parte delle gestioni previdenziali al ripristino della precedente posizione assicurativa. La rinuncia di cui al presente comma può essere esercitata entro 60 giorni dall'entrata in vigore della presente legge", statuizioni che si riferirebbero soltanto ai dipendenti regionali in servizio che erano stati già inseriti nei contingenti ex art. 39, comma 8, e che rivelerebbero come il legislatore regionale abbia inteso, con riferimento a detto personale, come definitivamente accantonata, per abrogazione espressa delle norme che l'avevano introdotta, la speciale forma di pensionamento anticipato di cui all'art. 39, comma 2 della legge regionale n. 10/2000. In conseguenza sarebbero state individuate, con la medesima disposizione, le modalità esecutive necessarie per consentire agli interessati di esercitare la facoltà di rinuncia a riscatti, ricongiunzioni e riconoscimenti richiesti dopo l'entrata in vigore della legge regionale 15 maggio 2000, relativi a periodi non coperti da contribuzione con possibilità di richiedere il rimborso delle quote eventualmente versate.
Nelle more è intervenuta sulla materia anche la Sezione d'appello di questa Corte per la Regione siciliana, la quale, in sede cautelare, con ordinanza n. 80/A/2006/ORD del 7 dicembre 2006, ha manifestato un chiaro orientamento di adesione al secondo indirizzo giurisprudenziale.
Anche questo giudice, melius re perpensa, ritiene di dovere ora aderire alle argomentazioni sopra esposte, che appaiono convincenti e degne di condivisione, le quali condurrebbero ad un rigetto del ricorso.
Tale interpretazione, tuttavia, determina l'insorgere di dubbi di legittimità costituzionale dell'art. 20, comma 4, della legge regionale 29 dicembre 2003, n. 21, con riferimento all'art. 3 della Costituzione.
La predetta norma, a decorrere dal 31 dicembre 2003, ha abrogato i commi 2, 3, 4, 5, 6 ed 8 dell'art. 39 della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10 e successive modifiche ed integrazioni di cui all'art. 5 della legge regionale 26 marzo 2002, n. 2 ed alla legge regionale 8 agosto 2003, n. 11 ed ogni altra norma regionale incompatibile con la presente disposizione; da tale abrogazione è scaturito il diniego di collocamento a riposo dell'odierno ricorrente.
Tale disposizione, però, sembra incidere su quello che può qualificarsi come un diritto soggettivo perfetto al collocamento a riposo già acquisito dall'interessato e che, pertanto, sarebbe stato indebitamente ed irragionevolmente compresso con norma ad effetto retroattivo.
In linea generale, l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica - essenziale elemento dello stato di diritto - non può essere leso da disposizioni retroattive, che trasmodino in regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori (Corte costituzionale, sentenza n. 525 del 2000 e ordinanze n. 319 e n. 327 del 2001; sentenze n. 416 del 1999, n. 211 del 1997 e n. 390 del 1995).
Da tale principio discende che solo in questi limiti - in presenza di una legge avente, in settori estranei alla previsione dell'art. 25, comma 2, della Costituzione, portata ragionevolmente retroattiva - l'affidamento sulla stabilità della normativa previgente è coperto da garanzia costituzionale.
In materia previdenziale poi deve tenersi anche conto del principio, parimenti affermato dalla Corte costituzionale, secondo cui il legislatore può - al fine (ricorrente nella specie) di salvaguardare equilibri di bilancio e contenere la spesa previdenziale - ridurre trattamenti pensionistici già in atto (Corte costituzionale, sentenze n. 417 e n. 361 del 1996, n. 240 del 1994, n. 822 del 1988).
Perciò, il diritto ad una pensione legittimamente attribuita (in concreto e non potenzialmente) - se non può essere eliminato del tutto da una regolamentazione retroattiva che renda indebita l'erogazione della prestazione (Corte costituzionale, sentenze n. 211 del 1997 e n. 419 del 1999) - ben può subire gli effetti di discipline più restrittive introdotte non irragionevolmente da leggi sopravvenute.
In sintesi, come ha affermato la Corte costituzionale, se - in via di principio - deve ritenersi ammissibile un intervento legislativo che modifichi l'ordinamento pubblicistico delle pensioni, non può però ammettersi che tale intervento sia assolutamente discrezionale. In particolare non potrebbe dirsi consentita una modificazione legislativa che, intervenendo in una fase avanzata del rapporto di lavoro, ovvero quando addirittura è subentrato lo stato di quiescenza, peggiorasse senza un'inderogabile esigenza, in misura notevole e in maniera definitiva un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente, irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività (Corte costituzionale, sentenza n. 349 del 1985).
Orbene, dalle affermazioni sin qui richiamate del giudice delle leggi, emerge con chiarezza che il discrimine tra l'ammissibilità (rectius: costituzionalità) e l'inammissibilità di un intervento legislativo menomante il diritto a pensione deve parametrarsi per un verso sulla possibilità di qualificare come diritto quesito la posizione giuridica incisa dalla norma e, per altro verso, dalla ragionevolezza dell'intervento che deve essere sempre supportato dall'esigenza di tutela di valori costituzionalmente rilevanti ed ispirato a criteri di oggettiva eguaglianza.
Nella fattispecie sussiste più di un dubbio sulla sussistenza di tali requisiti.
Il ricorrente, in forza dell'art. 39 della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10 aveva chiesto di essere collocato a riposo.
Con circolare n. 29511 del 21 novembre 2000 l'Amministrazione regionale aveva stabilito le decorrenze dei sei contingenti in uscita, l'ultimo dei quali al 31 dicembre 2003.
Con decreto n. 2800 del 20 giugno 2001 la Presidenza della Regione siciliana approvava i contingenti di uscita del personale nei quali risulta inserito l'attore della presente azione giudiziaria il quale, con decreto è stato pure cancellato dal ruolo dei dipendenti regionali.
L'iter procedurale previsto dalla legge, peraltro, induce a ritenere che nel caso di specie sia stato configurato un vero e proprio diritto potestativo assoluto del dipendente, atteso che all'Amministrazione non residuava alcun margine di apprezzamento discrezionale in ordine all'accoglimento della domanda, al di là della mera verifica della sussistenza delle condizioni soggettive richieste dalla legge.
Infatti l'art. 39 della legge regionale n. 10/2000 qualifica espressamente come diritto quello dei dipendenti regionali in possesso dei requisiti di cui all'art. 2 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, a conseguire l'anticipato collocamento a riposo entro il limite del 45% dei dipendenti in servizio, in ciascuna qualifica, al 31 dicembre 1993, stabilendo che la domanda per accedere al pensionamento dovesse essere presentata nel termine perentorio di 6 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
La stessa norma prevedeva, poi, che il collocamento a riposo fosse disposto a partire dalla data di entrata in vigore della legge per contingenti semestrali pari ad 1/6 degli aventi diritto.
Tale diritto si è consolidato in termini di attualità e concretezza non solo a seguito dell'opzione legittimamente manifestata ma, anche e soprattutto, a seguito dell'emanazione del provvedimento di cancellazione dai ruoli dei dipendenti dell'Amministrazione regionale, con la data di decorrenza ivi indicata, a prescindere dalla circostanza che il dipendente sia stato temporaneamente trattenuto in servizio per il sopravvenire dell'art. 5, comma 4, della legge regionale n. 2/2002.
E' appena il caso di ricordare come la giurisprudenza abbia sempre sottolineato che un diritto potestativo si consuma con il suo esercizio per cui, una volta che sia intervenuto il provvedimento che ad esso si conforma e che siano prodotti gli effetti cui esso tende (nella fattispecie entrambi rappresentati dall'inserimento nei contingenti di uscita e dal provvedimento di cancellazione dai ruoli), gli stessi non possono essere più rimessi in discussione (Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2002, n. 2596).
E mentre nello schema privatistico il recesso costituisce esercizio di un diritto potestativo e non deve essere accettato, in quanto costituisce atto non ricettizio che determina immediatamente la dismissione del diritto e quindi la conseguenza giuridica nella sfera del datore di lavoro, che non può se non subire l'esercizio del diritto potestativo, nello schema pubblicistico le dimissioni intanto inducono l'esaurirsi del rapporto in quanto siano accettate: in altri termini, il dipendente propone le proprie dimissioni che producono effetto per il destinatario, la P.A., solo con l'accettazione (che nella fattispecie si identifica con l'inserimento nei contingenti di uscita), che, proprio per la sua stessa natura, è l'atto che conclude la fattispecie e da tale momento determina l'efficacia del recesso (Cons. Stato, sez. VI, 18 giugno 2002, n. 3316).
Nel caso di specie, però, non di dimissioni si trattava ma di esercizio di un diritto potestativo di collocamento a riposo che, in quanto tale, non necessitava di alcuna accettazione e che, inoltre, ha trovato formale cristallizzazione nei due provvedimenti della P.A. di inserimento nei contingenti di uscita e di cancellazione dai ruoli.
Appare evidente, quindi, che la norma abrogativa della cui costituzionale qui si dubita, sia intervenuta con effetto retroattivo elidendo un diritto soggettivo perfetto che una precedente norma aveva attribuito (2000) ed una ulteriore (2002) aveva confermato, sia pure con diversa scansione temporale.
Sostenere che, in questo caso, si tratti di semplice aspettativa o di diritto potenziale o, ancora, teorico, appare eccessivamente (e gratuitamente) riduttivo e non tiene conto della reale natura (diritto potestativo assoluto) della posizione giuridica acquisita e fatta valere dall'interessato.
A ciò si aggiunga che la norma abrogativa ha creato una grave disparità di trattamento tra i destinatari dell'originaria disposizione, alcuni dei quali, quelli appartenenti ai primi contingenti, sono stati effettivamente collocati a riposo.
E non può sostenersi che le situazioni tra i primi collocati realmente a riposo e gli altri, bloccati dalla norma della cui costituzionalità qui si dubita, non fossero identiche o comparabili.
Infatti l'art. 39 già citato non pone e non giustifica alcuna differenziazione tra tutti gli aventi diritto, dei quali si limita a disporre solo un esodo graduale (peraltro senza indicare i criteri di scaglionamento e, quindi, rimarcando la sostanziale eguaglianza delle loro posizioni) per evidenti motivi di tutela della struttura amministrativa e del bilancio regionale che doveva farsi carico dei trattamenti di fine servizio.
Pertanto, l'avere travolto - mediante l'abrogazione, con evidente effetto retroattivo, della norma che ne consentiva il collocamento a riposo - il diritto degli uni e non quello degli altri, giustifica l'insorgere di fondati dubbi in ordine ad una irragionevole disparità di trattamento che non può trovare legittimazione alcuna nel pur lodevole intendimento di tutela degli equilibri di bilancio, atteso che un analogo risultato lo si sarebbe potuto raggiungere attraverso l'attivazione di diversi meccanismi quale quello di una maggiore - rispetto a quella prevista nel 2000 e, poi, rimodulata nel 2002 - diluizione nel tempo degli scaglioni di uscita o di riquantificazione delle ritenute previdenziali a carico dei soggetti che intendevano avvalersi di tale facoltà, o, ancora, mediante una diluizione nel tempo dell'erogazione dei trattamenti di fine rapporto che, come è notorio dal dibattito pubblico seguito sulla stampa, ha costituito il punto critico e determinante della presunta insostenibilità per il bilancio regionale dell'esodo programmato.
Resta il dato incontrovertibile che, pur nella limitatezza numerica dei destinatari, la fattispecie qui osservata ha, di fatto, arrecato un grave vulnus all'immagine della Regione come legislatore, inducendo una percezione di inaffidabilità connessa ad modus legiferandi che nell'arco di un solo quinquennio ha concesso, modificato e poi eliso un diritto, in termini palesemente incoerenti e contraddittori.
La questione sollevata è rilevante, in quanto solo alla sua fondatezza potrebbe conseguire l'accoglimento dell'odierno ricorso.
Il processo deve, pertanto, essere sospeso ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e gli atti rimessi alla Corte costituzionale per il giudizio di competenza.

P. Q. M.

La Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, comma 4, della legge regionale (Sicilia) 29 dicembre 2003, n. 21, in relazione all'art. 3 della Costituzione.
Ordina la sospensione del giudizio in corso e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Dispone che la presente ordinanza sia, a cura della segreteria, notificata alle parti in causa, nonché al Presidente della Regione siciliana e comunicata al Presidente dell'Assemblea regionale siciliana.
Così deciso in Palermo, nella Camera di consiglio del 31 gennaio 2007.
  Il giudice unico: ZINGALE 

Depositata in segreteria nei modi di legge.
Palermo, 28 febbraio 2007.
(2007.31.2283)
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MICHELE ARCADIPANE, direttore responsabile
FRANCESCO CATALANO, condirettoreMELANIA LA COGNATA, redattore

Ufficio legislativo e legale della Regione Siciliana
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