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DISPOSIZIONI E COMUNICATI
CORTE COSTITUZIONALE
Ordinanza del 13 febbraio 2006 emessa dal tribunale di Marsala nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Domingo Maria Rita ed altra n.q. di eredi di Culicchia Antonino ed altri c/comune di Marsala.
(Pubblicazione disposta dal Presidente della Corte costituzionale a norma dell'art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87) N. 111 reg. ordinanze 2006
IL GIUDICE
letti gli atti e sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 27 gennaio 2006;
Premesso che, con ricorso depositato il 19 maggio 2005, iscritto al n. 516/2005 R.G., Domingo Maria Rita e C. F., n.q. di eredi di Culicchia Antonino, hanno convenuto in giudizio il comune di Marsala, in persona del legale rappresentante pro-tempore, per fare accertare il diritto del proprio dante causa, dipendente dell'ente territoriale convenuto con la qualifica di istruttore direttivo, inquadrato nella categoria D ed addetto all'ufficio stampa, all'applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico a decorrere dall'1 luglio 1998, con conseguente diritto all'inquadramento ed all'attribuzione delle qualifiche in esso contemplate, nonché al trattamento contrattuale ed alle differenze retributive rispetto al trattamento economico erogatogli in forza del contratto collettivo nazionale di lavoro degli enti locali;
Ritenuto che, a fondamento della domanda, i ricorrenti hanno dedotto che il diritto alle differenze retributive si fonderebbe sul combinato disposto di cui all'art. 38 della legge regionale n. 33 del 18 maggio 1996, in forza del quale ai dipendenti comunali addetti agli uffici stampa e iscritti all'albo giornalistico si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico nella sua interezza; all'art. 16 della legge regionale n. 8 del 17 marzo 2000, che ha stabilito di applicare ai componenti degli uffici stampa la qualifica e la retribuzione del "capo servizio"; all'art. 127 della legge regionale n. 2 del 26 marzo 2002, che, recependo le previsioni di cui alla legge 7 giugno 2000, n. 150, ha stabilito di applicare ai componenti degli uffici stampa la qualifica e la retribuzione del "redattore capo";
Infine, all'art. 111, comma 1, della legge regionale n. 17 del 28 dicembre 2004, in forza del quale gli enti locali devono prevedere nelle rispettive piante organiche l'istituzione degli uffici stampa, di cui fanno parte i giornalisti ai quali si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del settore;
Rilevato che, con distinti ricorsi, entrambi depositati in data 27 maggio 2005 ed iscritti, rispettivamente, ai nn. 547/2005 e 548/2005 R.G., Tarantino Alessandro e Guercio Antonino hanno proposto ricorso di tenore del tutto identico a quello introdotto dagli eredi del Culicchia, e volto a conseguire il medesimo trattamento economico e giuridico, con le correlate differenze retributive;
Considerato che nei tre procedimenti il comune convenuto si è costituito, non contestando il fatto storico dedotto dai ricorrenti a sostegno del loro diritto, cioè il contenuto delle mansioni esercitate dai lavoratori, ma deducendo la mancanza in capo alle Regioni del potere di legiferare in merito al trattamento economico dei pubblici dipendenti, con impossibilità di estendere loro un contratto collettivo nazionale di lavoro diverso da quello di appartenenza;
Rilevato che, all'udienza del 16 settembre 2005, questo decidente ha rilevato la sussistenza di una possibile questione di costituzionalità delle norme regionali invocate dai pubblici dipendenti ed ha assegnato alle parti termine per il deposito di note difensive per dedurre in merito;
Considerato che la questione prospettata è rilevante ai fini della decisione, dal momento che dall'applicazione delle disposizioni di legge invocate può dipendere l'accoglimento del ricorso, determinando, in particolare, non soltanto l'estensione di un contratto collettivo di diritto comune ai dipendenti degli enti locali addetti agli uffici stampa, con le correlate complessive conseguenze economiche e giuridiche, ma anche, specificamente, un incremento del loro trattamento retributivo, come risulta, specificamente, dai conteggi depositati in giudizio dai lavoratori senza contestazione da parte dell'ente territoriale;
Ritenuto che la definizione dei tre procedimenti dipende dalla medesima questione di diritto, sicché va disposta la riunione degli stessi, ai sensi dell'art. 274 c.p.c. e dell'art. 151 disp. att. c.p.c.,
Osserva
Dubita questo decidente della legittimità costituzionale dell'art. 58 della legge regionale 18 maggio 1996, n. 33 - come, da ultimo, modificato dall'art. 111, comma 1, della legge regionale n. 17 del 28 dicembre 2004 - dell'art. 16 della legge regionale 17 marzo 2000, n. 8 e dell'art. 127 della legge regionale 26 marzo 2002, n. 2, per violazione di un duplice parametro costituzionale.
Anzitutto, di quello derivante dal combinato disposto dell'art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 165/2001 e dell'art. 2, comma 1, lett. a), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 - dalla prima richiamata - in forza del quale il metodo di disciplina del rapporto di lavoro e di impiego nel settore pubblico mediante la contrattazione collettiva costituisce norma fondamentale di riforma economico-sociale della Repubblica.
Inoltre, di quello derivante dal combinato disposto dell'art. 9, comma 5 e dell'art. 10 della legge 7 giugno 2000, n. 150, secondo cui l'individuazione e la regolamentazione dei profili professionali negli uffici stampa mediante contrattazione collettiva nell'ambito di una speciale area di contrattazione, con l'intervento delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti, ed il correlato obbligo di non fare derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica dall'attuazione di tale previsione, costituiscono, insieme alle altre disposizioni di quel capo, principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, sicché si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, nei limiti e nel rispetto degli statuti e delle relative norme di attuazione.
Precisamente, contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, le previsioni normative oggetto di censura, estendendo l'applicazione di un contratto collettivo nazionale di lavoro di diritto comune ad alcune categorie di pubblici dipendenti, non soltanto violerebbero il sistema delle fonti costituzionalmente previsto per la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, superando i limiti della potestà legislativa regionale, ma inciderebbero, quanto meno in parte, in maniera parimenti illegittima, sul bilancio pubblico.
Di tal che, in definitiva, profili gestionali e retributivi del rapporto d'impiego sarebbero stati disciplinati non mediante la fonte normativa a ciò legittimamente deputata, cioè la contrattazione collettiva, bensì attraverso un provvedimento di natura normativa.
La questione non sembra manifestamente infondata.
Occorre preliminarmente osservare che, diversamente da quanto asserito dai ricorrenti, la contrattazione collettiva nel pubblico impiego opera per aree e categorie, individuando all'interno di ciascuna di esse i profili professionali dei dipendenti ed il relativo trattamento economico e giuridico complessivo.
L'oggetto dei giudizi instaurati dinanzi al remittente, invero, non riguarda il diritto al riconoscimento di mansioni superiori a quelle di appartenenza - o, più esattamente, al relativo trattamento retributivo - nell'ambito dell'area e della categoria attribuita ai ricorrenti all'interno della struttura pubblica, ma la possibilità di estendere loro le previsioni, di carattere retributivo e non, contenute in un contratto collettivo di diritto comune, ritenuto dal legislatore regionale più aderente al contenuto della prestazione lavorativa, piuttosto che applicare quello generale previsto per i dipendenti degli enti locali.
In altri termini, non è in discussione il diritto al trattamento economico derivante dall'espletamento fattuale di particolari mansioni, reputate superiori, alla luce del contratto collettivo nazionale di lavoro degli enti locali, rispetto a quelle formalmente attribuite al lavoratore all'atto di inquadramento, bensì l'estensione dell'ambito applicativo di un contratto collettivo nazionale di lavoro di diritto comune ai pubblici impiegati in forza di un atto normativo regionale.
Ora, non pare revocabile in dubbio che, come corollario della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, il sistema ordinamentale abbia subito una rivoluzione anche sul piano delle fonti regolatrici del rapporto.
Ai sensi dell'art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 165/2001, che ha sostituito il previgente art. 1 del decreto legislativo n. 29/1993, "Le disposizioni del presente decreto costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. Le Regioni a statuto ordinario si attengono ad esse tenendo conto delle peculiarità dei rispettivi ordinamenti. I principi desumibili dall'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e successive modificazioni, e dall'art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni ed integrazioni, costituiscono altresì, per le Regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano, norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica".
Per quanto, poi, specificamente attinente al caso di specie, l'art. 2, comma 1, lett. a), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, prevede che "...salvi i limiti collegati al perseguimento degli interessi generali cui l'organizzazione e l'azione delle pubbliche amministrazioni sono indirizzate, che i rapporti di lavoro e di impiego dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato e degli altri enti di cui agli artt. 1, primo comma, e 26, primo comma, della legge 29 marzo 1983, n. 93, siano ricondotti sotto la disciplina del diritto civile e siano regolati mediante contratti individuali e collettivi".
Il complesso normativo sopra indicato testimonia come il passaggio del rapporto di lavoro pubblico da un modello autoritativo ad uno paritetico, improntato alle norme che regolano il lavoro privato, abbia contestualmente segnato una modifica delle stesse fonti deputate a regolare lo svolgimento della prestazione lavorativa nel suo complesso, demandando alla contrattazione, colletti-va ed individuale, un ruolo assolutamente primario, reputato talmente importante nel nuovo sistema del pubblico impiego da ricevere copertura costituzionale.
In questa angolazione prospettica, peraltro, si è mossa la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale, che nella pronuncia n. 314 del 13-21 ottobre 2003 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il disegno di legge n. 1147, approvato dall'Assemblea regionale siciliana il 20 aprile 2001, dal titolo "Norme per il riconoscimento del periodo pre ruolo per il restante personale inquadrato a norma della legge regionale 25 ottobre 1985, n. 39", in base all'argomento che "ciò che in ogni caso rileva è che la disciplina dei rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche - come definite, queste ultime, dall'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) -, disciplina alla quale intende concorrere per le fattispecie particolari previste la normativa impugnata, è attualmente oggetto di contrattazione collettiva. Questo metodo di disciplina costituisce norma fondamentale di riforma economico-sociale della Repubblica, alla stregua dell'art 1, comma 3, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001, il quale rinvia in proposito ai principi desumibili dall'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), che, al comma 1, lett. a), stabilisce per l'appunto come principio la regolazione mediante contratti individuali e collettivi dei rapporti di lavoro e di impiego nel settore pubblico".
In forza del sistema delle fonti disegnato dal legislatore in materia di trattamento economico e giuridico dei pubblici dipendenti, come costantemente interpretato dagli stessi giudici della Consulta, emerge, a parere del decidente, un evidente profilo di illegittimità dell'art. 58 della legge regionale 18 maggio 1996, n. 33 - e successive modificazioni -, nella parte in cui prevede l'applicazione ai giornalisti impiegati negli uffici stampa del contratto nazionale di lavoro giornalistico nella sua interezza; dell'art. 16 della legge regionale n. 8 del 17 marzo 2000, nella parte in cui stabilisce che "ai componenti degli uffici stampa si attribuisce la qualifica ed il trattamento contrattuale di capo servizio"; nonché dell'art. 127 della legge regionale 26 marzo 2002, n. 2, nella parte in cui prevede che "in sede di prima applicazione ai giornalisti componenti gli uffici stampa già esistenti presso gli enti di cui all'art. 1 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 10, è attribuita le qualifica ed il trattamento contrattuale di redattore capo, in applicazione del contratto nazionale di lavoro giornalistico ed in sintonia con l'art. 72 della legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41".
Peraltro, anche nel peculiare ambito e settore di attività degli enti territoriali relativo alla comunicazione, l'art. 9, comma 5, della legge n. 150/2000 ribadisce che la contrattazione collettiva sia la fonte del trattamento economico e giuridico nel rapporto di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, demandando l'individuazione e la regolazione dei profili professionali dei dipendenti addetti - o da assegnare - agli uffici stampa ad un'apposita area speciale.
Anche tale previsione normativa è dotata di copertura costituzionale nei confronti del legislatore regionale, in forza dell'art. 10 della stessa legge n. 150/2000.
Con specifico riferimento all'operazione normativa compiuta dal legislatore regionale con la legge n. 33/96, poi, occorre svolgere un'ulteriore precisazione.
Nella chiosa finale del 5° comma dell'art. 9 della legge n. 150/2000, il legislatore (statale) ha imposto alle parti sociali anche un preciso limite economico, stabilendo che, dalla individuazione e regolazione dei profili professionali dei dipendenti addetti agli uffici stampa, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Siffatto limite di bilancio, individuato esclusivamente in relazione a questo aspetto, implica che il trattamento retributivo dei lavoratori impiegati negli uffici stampa non possa essere superiore a quello già spettante in relazione alla categoria in cui gli stessi erano inquadrati prima dell'assegnazione, senza comunque incidere, per il resto, sulla potestà normativa dell'ente territoriale di rideterminare la propria dotazione organica e sopportare, per effetto delle modifiche all'apparato organizzativo, un eventuale onere finanziario aggiuntivo.
Viceversa, l'art. 58 della legge n. 33/96, già nella sua formulazione originaria, conferisce agli enti territoriali l'autorizzazione "a modificare le piante organiche del personale riconvertendo i posti vacanti e disponibili, e senza ulteriori oneri per le amministrazioni, al fine di prevedere l'istituzione di uffici stampa di cui faranno parte giornalisti a cui si applica il contratto nazionale di lavoro giornalistico nella sua interezza".
Ciò significa che, pur nell'impossibilità di prevedere nuovi oneri finanziari per effetto delle modificazioni delle piante organiche, da operare esclusivamente mediante una riconversione dei posti vacanti e disponibili, l'applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico nella sua interezza possa consentire l'incremento del trattamento retributivo previsto per i singoli dipendenti assegnati agli uffici stampa.
Sul piano dell'interpretazione letterale del testo delle due norme di legge, in forza del criterio ermeneutico basilare sancito dall'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, emerge una evidente differenza tra le due formulazioni normative, costruite sintatticamente e semanticamente in modo strutturalmente diverso, di guisa da potere condurre a risultati applicativi difformi.
Anche sotto tale angolazione, pertanto, emerge un contrasto della norma regionale con la previsione contenuta nell'art. 9, comma 5, della legge n. 150/2000, fermo restando, comunque, la già dedotta violazione del sistema delle fonti sulla disciplina del rapporto di impiego costituzionalmente garantito.
Analoghi rilievi possono essere riproposti anche a seguito della modifica introdotta all'art. 58 della legge regionale n. 33/96 dall'art. 111 della legge regionale n. 17/2004.
Tale ultima disposizione normativa, infatti, pur nel prevedere che gli enti territoriali procedano, entro il 31 maggio 2005, ad adeguare le rispettive piante organiche alle previsioni della legge 7 giugno 2000, n. 150, non ha minimamente innovato il profilo relativo all'applicazione, nella sua interezza, del contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico, sicché la dedotta censura di illegittimità, comunque sussistente per il periodo precedente, non sembra essere venuta meno.
Conclusivamente, alla luce delle considerazioni che precedono, va sollevata la questione di legittimità costituzionale nei termini di cui in dispositivo, cui si rinvia anche per i provvedimenti ulteriori.
P.Q.M.
Dispone la riunione al presente procedimento di quelli portanti i nn. 547/2005 e 548/2005 R.G.;
Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 165/2001 ed all'art. 2, comma 1, lett. a), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, nonché in relazione all'art. 9, commi 5 e 10 della legge n. 150/2000, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 58, comma 1, della legge regionale siciliana 18 maggio 1996, n. 33, come modificato dall'art. 28 della legge regionale siciliana 15 gennaio 1999, n. 4, e dall'art. 111 della legge regionale siciliana 28 dicembre 2004, n. 17, nella parte in cui prevede "l'istituzione di uffici stampa di cui faranno parte giornalisti a cui si applica il contratto nazionale di lavoro giornalistico nella sua interezza";
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 165/2001 ed all'art. 2, comma 1, lett. a), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, nonché in relazione all'art. 9, commi 5 e 10 della legge n. 150/2000, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge regionale siciliana n. 8 del 17 marzo 2000, nella parte in cui stabilisce che "ai componenti degli uffici stampa si attribuisce la qualifica ed il trattamento contrattuale di capo servizio";
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 165/2001 ed all'art. 2, comma 1, lett. a), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, nonché in relazione all'art. 9, commi 5 e 10 della legge n. 150/2000, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 127 della legge regionale siciliana 26 marzo 2002, n. 2, nella parte in cui prevede che "in sede di prima applicazione ai giornalisti componenti gli uffici stampa già esistenti presso gli enti di cui all'art. 1 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 10, è attribuita la qualifica ed il trattamento contrattuale di redattore capo, in applicazione del contratto nazionale di lavoro giornalistico ed in sintonia con l'art. 72 della legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41";
Solleva la predetta questione di legittimità costituzionale, sospende il giudizio in corso e dispone trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale;
Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente della Giunta regionale siciliana, e comunicata al Presidente del Consiglio regionale della Regione Sicilia.
Così deciso in Marsala, il 13 febbraio 2006.
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