REPUBBLICA ITALIANA
GAZZETTA UFFICIALE
DELLA REGIONE SICILIANA

PARTE PRIMA
PALERMO - VENERDÌ 24 MARZO 2006 - N. 15
SI PUBBLICA DI REGOLA IL VENERDI'

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CIRCOLARI

ASSESSORATO DEI BENI CULTURALI ED AMBIENTALI E DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE


CIRCOLARE 9 marzo 2006, n. 7.
Codice dei beni culturali e del paesaggio, parte prima e seconda: beni culturali - modalità di applicazione da parte della Regione siciliana.

AI SOPRINTENDENTI PER I BENI CULTURALI ED AMBIENTALI
AI DIRETTORI DEI MUSEI E DELLE GALLERIE REGIONALI
AL DIRETTORE DELLA BIBLIOTECA CENTRALE DELLA REGIONE SICILIANA
AI DIRETTORI DELLE BIBLIOTECHE REGIONALI
AI DIRETTORI DEI CENTRI REGIONALI
AI DIRETTORI DEGLI UFFICI SPECIALI
AL DIRETTORE DEL PARCO ARCHEOLOGICO E PAESAGGISTICO DELLA VALLE DEI TEMPLI
AL DIRETTORE DELLA RAGIONERIA CENTRALE PRESSO L'ASSESSORATO REGIONALE BENI CULTURALI ED AMBIENTALI
AI DIRIGENTI DEI SERVIZI DEL DIPARTIMENTO REGIONALE BENI CULTURALI E AMBIENTALI
e, p.c.  AL MINISTRO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI, UFFICIO DI GABINETTO
AL PRESIDENTE DELLA REGIONE SICILIANA
AGLI ASSESSORI REGIONALI
AI DIRIGENTI GENERALI DEI DIPARTIMENTI REGIONALI
AI PRESIDENTI DELLE PROVINCIE REGIONALI
AI SINDACI DEI COMUNI DELLA REGIONE SICILIANA
CODICE DEI BENI CULTURALI E DEL PAESAGGIO - APPLICABILITÀ NELLA REGIONE SICILIANA.
L'1 maggio 2004 è entrato in vigore il Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in esecuzione della delega contenuta nell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137.
La prima attuazione della riforma ha suggerito al Governo di apportare alcune modifiche al testo normativo, di prossima emanazione, per meglio chiarire la portata di alcune disposizioni allo scopo di agevolarne l'attuazione.
Esse peraltro non alterano l'impianto e la funzione complessiva del Codice, nato dall'esigenza di risolvere le incertezze interpretative e i conflitti di attribuzione sorti a seguito della riforma del titolo V della Costituzione, nonché di individuare profili organizzativi coerenti ai nuovi istituti normativi, segnatamente nel settore della valorizzazione, problematica questa lasciata sostanzialmente irrisolta dal testo unico del 1999, ed affrontata invece dall'attuale Governo in termini di razionalizzazione e di innovazione, mediante un testo legislativo le cui soluzioni sono state ampiamente apprezzate sotto il profilo dell'equilibrio e della qualità.
La Regione siciliana, cui appartiene una parte significativa del patrimonio culturale italiano, non può che riconoscersi in questa nuova normativa, che costituisce pertanto la legge sostanziale cui deve fare riferimento questo Assessorato regionale, il quale, a mente delle norme di attuazione emanate con il D.P.R. n. 637/75 e della legge regionale n. 80/77, applica in Sicilia il disposto delle leggi n. 1089/39 e 1497/39, nonché delle altre norme nazionali in materia di beni culturali ed ambientali.
Com'è noto, le norme riportate nelle suddette leggi del 1939, note anche come "leggi Bottai", erano state espressamente abrogate dall'articolo 166 del testo unico dei beni culturali, approvato con decreto legislativo n. 490/99, che le ha sostituite integralmente; a sua volta, il "testo unico" è stato espressamente abrogato dall'art. 184 del nuovo Codice, che costituisce quindi la gründnorm dei beni culturali in tutta Italia.
Queste ragioni hanno portato l'Ufficio legislativo e legale della Presidenza della Regione, con proprio parere n. 7231 del 27 aprile 2004, a ritenere che il Codice dei beni culturali ed ambientali è di immediata applicazione anche in Sicilia, giudicando privi di fondamento alcuni rilievi che erano stati inopinatamente sollevati al recepimento dinamico del Codice da parte dell'ordinamento della Regione siciliana.
Ciò premesso, non vi è dubbio che l'applicazione in ambito siciliano del Codice dei beni culturali ed ambientali necessita di qualche momento di chiarimento e di precisazione, alla luce della produzione legislativa siciliana (da ultimo, articolo 24 della legge regionale 22 dicembre 2005, n. 19), frutto della potestà normativa esclusiva della Regione in materia di beni culturali, costituzionalmente garantita (articolo 14, lett. n, Statuto regionale), e, soprattutto, alla stregua dei profili organizzativi, stante che a questo Assessorato regionale si attesta in via esclusiva l'amministrazione del settore in Sicilia ai sensi della legge regionale n. 80/77 e della legge regionale n. 116/80, come modificate dalla legge regionale n. 10/2000.
Al riguardo, si ritiene perciò utile procedere ad una ricognizione del quadro normativo oggi applicabile in Sicilia, illustrandone i contenuti maggiormente innovativi e in taluni casi impartendo specifiche direttive al fine di assicurare la corretta applicazione del Codice.
Tanto con particolare riferimento al settore dei beni culturali (parte prima e seconda del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42), mentre, per quanto attiene i beni paesaggistici, si rinvia l'emanazione di una specifica direttiva a momento successivo all'emanazione delle disposizioni correttive del testo vigente da parte del Governo, che già appaiono di forte impatto riformatore.
1) Parte prima - Disposizioni generali
Ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137, che ha delegato l'Esecutivo ad adottare il Codice e le sue successive integrazioni, tra i principi fondamentali della riforma rilevano lo snellimento e abbreviazione dei procedimenti e, fermi restando gli attuali strumenti di tutela, evitare ulteriori restrizioni alla proprietà privata. Dal che originano le significative innovazioni che il Codice dei beni culturali e del paesaggio ha apportato al previgente ordinamento, anche sotto il profilo terminologico. Da questo punto di vista, va sottolineato il concetto di patrimonio culturale, termine introdotto all'articolo 1 del Codice, che ingloba tanto i beni culturali quanto i beni paesaggistici (art. 2), entrambi soggetti ad azioni di tutela (art. 3) e di valorizzazione (art. 6). Nel disegno del Codice, infatti, il momento della tutela e quello della valorizzazione - se pure posti su piani diversi, corrispondenti ai ruoli istituzionali attribuiti dall'art. 117 della Costituzione rispettivamente allo Stato e alle Regioni a statuto ordinario - debbono operare necessariamente insieme: entrambe le funzioni concorrono infatti a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura (art. 1, comma 2).
Tutelare il patrimonio culturale significa creare le condizioni per la sua pubblica fruizione: ciò soprattutto in Sicilia, dove, in forza della potestà normativa esclusiva e dell'autonomia organizzativa della Regione, confermate dal Codice (art. 8), l'Assessorato regionale dei beni culturali ed ambientali provvede istituzionalmente sia alla tutela che alla valorizzazione.
E' per questo motivo che tutti gli organi di questa Amministrazione debbono dare pronta ed esatta attuazione a questo chiaro indirizzo legislativo, creando le condizioni per cui la tutela del patrimonio sia la premessa per la migliore conoscenza e utilizzazione del patrimonio stesso e stimoli la partecipazione dei privati, in forma singola o associata, alla gestione dei beni (art. 6, comma 3).
Il che significa arricchimento sociale, in termini culturali e economici: obiettivo questo al cui raggiungimento l'Amministrazione si deve intendere impegnata a tutti i livelli.
2.1) Parte seconda, titolo primo - I beni culturali: la tutela
Il Codice reca una decisa estensione oggettiva e soggettiva del campo della tutela dei beni culturali: e ciò anche se la legge si muove nel solco della tradizione, sia nella parte in cui conferma la necessità che i beni sottoposti a tutela abbiano comunque natura giuridica reale, sia laddove prevede l'esistenza di un certo grado di interesse culturale per sottoporre a salvaguardia i singoli beni, sia, infine, quando dispone una diversa configurazione del regime di tutela a seconda che il titolare del bene di interesse pubblico sia pubblico ovvero privato.
A questo riguardo, vengono introdotte norme di particolare rigore a salvaguardia del patrimonio culturale degli enti pubblici, territoriali e no, e delle persone giuridiche private non aventi fini di lucro (e cioè, associazioni riconosciute e fondazioni).
Le disposizioni contenute negli articoli 10 e 12 del Codice rendono giustizia, infatti, del clima di incertezza creato dalle pronunzie giurisprudenziali che, in ragione dell'indeterminatezza delle norme precedenti, di vetusta concezione, avevano finito per escludere che il patrimonio degli enti pubblici e delle persone giuridiche pubbliche fosse sottoposto a "presunzione ex lege di culturalità", con la conseguenza che tutti questi beni, per essere protetti, dovevano essere oggetto di una notifica puntuale, per quanto non necessariamente esaustiva, del loro concreto interesse culturale.
Detti effetti negativi, come detto, sono destinati a venir meno stante che il Codice ha stabilito che tutte le cose immobili e mobili che appartengono agli enti summenzionati sono beni culturali sino a quando non sia stata posta in essere un'apposita verifica (art. 12) che escluda l'interesse culturale di questi beni e che deve essere condotta nel rispetto degli indirizzi di carattere generale dettati dal Ministero, di concerto con l'Agenzia per il demanio, giusta decreto 25 gennaio 2005, contenente i criteri e le modalità per la verifica dell'interesse culturale degli immobili appartenenti alle persone giuridiche private senza scopo di lucro, e decreto 6 febbraio 2004, modificato con decreto 28 febbraio 2005, riguardanti entrambi la verifica dei beni immobili appartenenti ad enti pubblici.
La situazione non cambia, si badi, quando l'ente o la persona giuridica muta natura giuridica, con la conseguenza che, in caso di "privatizzazione" di un ente pubblico il regime di salvaguardia del suo patrimonio culturale non subisce diminuzioni, a differenza di quanto succedeva prima dell'entrata in vigore del Codice (art. 13).
Gli effetti sono apparentemente analoghi a quelli del vecchio regime degli elenchi di cui alla legge del 1939, ma del tutto diverso è lo spirito sotteso alla disposizione in esame, se è vero, come è vero, che il Ministro dei beni e delle attività culturali ha già adottato a febbraio del 2005 i primi indirizzi per effettuare le verifiche: è stata attivata presso il Ministero una banca dati informatizzata, costruita insieme all'Agenzia del demanio, alla quale affluiranno i dati degli enti interessati.
Entro 3 anni sarà condotta la verifica dell'interesse culturale dei beni in questione, e, se essa darà esito negativo, i cespiti saranno sdemanializzati e immessi sul mercato; se l'interesse sarà confermato, la verifica condotta consegue gli effetti di undichiarazione e il bene è definitivamente sottoposto a tutela.
Si tratta quindi di una norma che ha effetti di grande pregio sul piano della tutela e della certezza del diritto.
Con successiva direttiva saranno dettagliate le modalità di verifica dell'interesse culturale, ai sensi dell'art. 12 del Codice, dei beni immobili della Regione siciliana. Ciò in quanto sono allo studio le modalità per utilizzare la banca dati presente presso il Ministero per i beni e le attività culturali, allo scopo di assicurare quell'uniformità di valutazione voluta dal legislatore.
Pervengono tuttavia sin da adesso istanze da parte di enti locali, volte a ottenere la verifica dell'effettivo interesse culturale rivestito dal loro patrimonio immobiliare; istanze alle quali possono legittimamente fare seguito altre di analogo contenuto, presentate, ai sensi di legge, da ogni ente pubblico territoriale, nonché da enti, istituti pubblici o persone giuridiche private senza fine di lucro, miranti a ottenere la valutazione dell'interesse culturale dei loro cespiti.
Ai sensi dell'articolo 12, comma 2, del Codice, le soprintendenze per i beni culturali ed ambientali sono, nell'ordinamento regionale, chiamate da subito ad effettuare la valutazione dell'interesse culturale dei beni loro sottoposti da parte degli enti richiedenti: verifica che procede sulla base dei criteri contenuti nei menzionati decreti ministeriali, in quanto applicabili, e che, in Sicilia, si conclude quindi con un provvedimento finale emanato dal dirigente generale del dipartimento regionale su proposta della soprintendenza territorialmente competente.
Il termine per provvedere a dette verificazioni è di 120 giorni dal ricevimento della richiesta, decorso infruttuosamente il quale la verifica si intende conclusa con esito negativo (art. 12, comma 10, che richiama quanto disposto dall'articolo 27, commi 8, 10, 12, 13 e 13-bis, del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 226).
Deve quindi porsi la massima attenzione per impedirsi ingiustificati e ingiustificabili ritardi nella trattazione di pratiche alle quali è sotteso un evidente e notevole pubblico interesse, legato da un lato al pregiudizio che verrebbe arrecato al patrimonio culturale e, dall'altro, alla possibile monetarizzazione di risorse immobiliari altrimenti inutilizzate.
Per quanto riguarda i beni di proprietà privata, il loro interesse culturale, come per il passato, sorge per effetto di un'apposita dichiarazione notificata al proprietario o al possessore, ovvero anche al detentore del bene.
Si rammenta che (art. 17, comma 6) è ordinariamente vietata la consultazione pubblica dei dati concernenti le dichiarazioni d'interesse culturale dei beni privati, in modo da garantire la sicurezza dei beni e la tutela della riservatezza.
La dichiarazione deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, che è di competenza esclusiva del soprintendente (art. 14, comma 1); la dichiarazione è adottata, nell'ordinamento regionale, dal dirigente generale del dipartimento (art. 14, u.c.). Effetti cautelari e definitivi, termini, modalità della dichiarazione e dell'avvio di procedimento restano invariati rispetto al passato.
Sembra comunque opportuno apportare alcuni correttivi alle procedure sin qui seguite da questa Amministrazione.
Tanto alla luce della nuova declinazione delle funzioni di tutela adoperata dal Codice, che ha fatto propria una considerazione unitaria della materia, nella quale il bene culturale viene protetto per ragioni non tanto estetiche, quanto per ragioni storiche, e cioè per l'importanza dell'opera o del bene per la storia dell'uomo e per il progresso della scienza; pertanto, come già affermato nella direttiva strategica Identità è futuro, sulle "imposizioni vincolistiche è necessario continuare a procedere con la consueta determinazione ed autorevolezza, sapendo però che non è possibile pensare ad un futuro irrealistico di sola conservazione".
La giurisprudenza amministrativa ha infatti più volte affermato l'obbligo di motivare adeguatamente i provvedimenti impositivi di vincolo che, sulle aree archeologiche, debbono essere supportati da una congrua istruttoria che permetta di evidenziare, con certezza o alta probabilità, l'interesse archeologico dell'area (Consiglio di Stato, sez. VI, 3 novembre 1997, n. 1565; Consiglio di Stato, sez. VI, 6 marzo 2003, n. 1233; T.A.R. Calabria, sez. II - 9 febbraio 2005, n. 91), non affidandolo a mere ipotesi scientifiche, ma ad elementi obiettivi e a rinvenimenti (Consiglio di Stato, sez. VI, 13 aprile 1992, n. 261; Consiglio di Stato, sez. VI, 13 aprile 1991, n. 194; Consiglio di Stato, sez. VI, 12 dicembre 2002, n. 6791); il quale interesse, in quanto incide sul bene avente valore storico o artistico, esplicando un notevole effetto limitativo dei poteri di disposizione, godimento e manutenzione del bene, deve essere valutato sotto il profilo dell'insussistenza di errori di fatto, della congruità della motivazione e della logicità (Consiglio di Stato, sez. VI, 12 dicembre 1992, n. 1055; 29 settembre 1998, n. 1034; T.A.R. Abruzzo, 25 luglio 2003, n. 523).
E' questa una valutazione che richiede ad substantiam un atto formale dell'Amministrazione centrale (Consiglio di Stato, VI, 2 novembre 1998, n. 1479 ed 8 febbraio 2000, n. 678) che, in Sicilia, è il dipartimento regionale dei beni culturali e ambientali, organo tecnicamente qualificato ed istituzionalmente deputato all'accertamento della valenza storico-artistica del bene (Consiglio di Stato, sez. VI, 8 gennaio 2003, n. 20).
Non può mancarsi di osservare che ciò deve portare a una attenta considerazione delle proposte che giungono dai competenti organi periferici, non soltanto dal punto di vista della sussistenza o meno dei documenti posti a corredo delle proposte di vincolo -per i quali si rinvia alle direttive a suo tempo emanate con circolare n. 1796 del 27 aprile 1994 - ma anche dei loro profili di merito. Ciò non per limitare il concreto esercizio dell'obbligo di tutelare il nostro patrimonio culturale, ma allo scopo di ricondurlo negli esatti ambiti di legge, riducendo il concreto rischio di provvedimenti illegittimi, fonte di possibili azioni risarcitorie, e elemento infrenante delle politiche di sviluppo piuttosto che, come è dovuto, strumento di valorizzazione delle risorse e di formazione di percorsi virtuosi identitari.
In assenza di un momento di controllo, l'attività di tutela può trascendere i corretti limiti della discrezionalità tecnica e degradare nell'arbitrio e nell'eccesso di potere. E' stato affermato, ad esempio, che è illegittima l'imposizione del vincolo diretto su una vasta area ove non risulti oggetto di espressa valutazione la notevole dimensione e l'eterogeneità del comprensorio in questione (C. Stato, ad. plen. n. 6/1973), risultando evidente la sproporzione di un provvedimento di vincolo che non indichi specificamente l'ubicazione dei singoli reperti nelle varie particelle catastali di una vasta area vincolata (Consiglio di Stato, n. 322/1982).
Allo scopo di corroborare gli apprezzamenti rimessi al dipartimento, si ritiene che un utile apporto possa senz'altro essere fornito dal Consiglio regionale dei beni culturali ed ambientali, che, a mente dell'articolo 6 della legge regionale 1 agosto 1977, n. 80, svolge attività consultiva su ogni questione legata all'attuazione della presente legge.
Ogni qualvolta l'emanazione di un provvedimento di vincolo giustifichi il ricorso alla consultazione del competente gruppo di lavoro del Consiglio, sotto il profilo della verifica degli elementi tecnico-scientifici che legittimano il recepimento della proposta avanzata dalle soprintendenze, il dipartimento regionale potrà quindi valutare l'opportunità di acquisire l'avviso del Consiglio, in modo da assicurare giusti profili di certezza scientifica, a garanzia dell'operato amministrativo.
Il Codice ha tra l'altro introdotto la possibilità di proporre ricorso amministrativo avverso la dichiarazione d'interesse (art. 16). Tempi e modi del ricorso sono quelli del D.P.R. n. 1199/71, ovvero del ricorso gerarchico, anche se la natura giuridica del rimedio - nell'ordinamento regionale - è quella di un ricorso in opposizione, in quanto è rivolto alla stessa autorità che ha emesso l'atto impugnato. Quanto al "competente organo consultivo" cui occorre rivolgersi per la decisione del ricorso, questo è, nell'ordinamento nazionale, il competente comitato di settore del Consiglio nazionale beni culturali; nella Regione siciliana, alla luce del rinvio effettuato dalla norma contenuta nell'art. 6, u.c., della legge regionale n. 80/77, occorre fare riferimento al gruppo di lavoro del consiglio regionale competente per materia.
Se non è dato, allo stato attuale, fare previsioni in ordine all'utilizzo di questo istituto, diverse considerazioni possono ragionevolmente farsi in ordine alla fattispecie prevista dall'articolo 128, secondo cui i proprietari dei beni culturali oggetto di notifica ai sensi delle leggi oggi abrogate, possono, in ogni tempo, chiedere al dipartimento regionale di rinnovare il procedimento per stabilire se, sulla base degli elementi preesistenti o anche sopravvenuti, il bene deve essere ancora sottoposto a tutela, o meno: decisione anche questa impugnabile con le forme dell'articolo 16.
Peraltro, il dipartimento può procedere anche d'ufficio al rinnovo del procedimento.
Dal punto di vista oggettivo, l'estensione della tutela è confermata dall'inserimento di nuove categorie di possibili beni culturali (art. 10), e precisamente:
-  le cose mobili (prima erano soltanto gli immobili) di interesse particolarmente importante per la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura;
-  le cose mobili e immobili di interesse particolarmente importante quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose;
-  le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico;
-  i siti minerari di interesse storico od etnoantropologico;
-  le navi e i galleggianti aventi interesse artistico, storico od etnoantropologico;
-  le cose di interesse numismatico che, in rapporto all'epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione, abbiano carattere di rarità o di pregio;
-  carte geografiche, spartiti musicali, fotografie, ecc., aventi caratteristiche sia di rarità che di pregio;
-  le architetture rurali aventi interesse storico od etnoantropologico quali testimonianze dell'economia rurale tradizionale.
Accanto ai beni culturali in senso stretto si collocano i beni oggetto di specifiche disposizioni di tutela (art. 11), termine giuridicamente più preciso di quello di "categorie speciali di beni culturali", usato dall'abrogato art. 3 del testo unico.
Si tratta infatti di cose alle quali la legge attribuisce un certo trattamento giuridico, diverso dal vincolo, in funzione di determinati fini che si prefigge (es. studi d'artista; elementi decorativi; arte contemporanea, ecc.).
2.2) I beni culturali: vigilanza e ispezione
Nella Regione siciliana, la vigilanza di tutto il patrimonio culturale è esercitata dalle soprintendenze per i beni culturali ed ambientali (art. 13, legge regionale n. 80/77), organi periferici dell'Assessorato (art. 11, legge regionale n. 80/77).
La vigilanza di beni culturali si espleta mediante le misure di protezione e di conservazione.
Fanno parte delle misure di protezione specifici divieti e i poteri, attribuiti ai soprintendenti, di ispezione e di autorizzazione, nonché di adottare misure cautelari e preventive.
I divieti riguardano gli stessi interventi che erano inibiti in passato e che continuano a essere vietati, quali la distruzione o il danneggiamento di beni culturali, il loro utilizzo secondo modalità che mettano in pericolo la loro conservazione ovvero che siano incompatibili con il loro carattere storico o artistico.
E' inoltre vietato lo smembramento degli archivi (art. 20).
Il potere di ispezione dei beni culturali, ai sensi del nuovo Codice, è di portata generale e si attesta ai soprintendenti competenti. Nel rispetto delle norme sulla tutela della riservatezza, le ispezioni sono sottoposte, in via ordinaria, all'obbligo di preavviso di almeno 5 giorni (art. 19).
Gli interventi soggetti ad autorizzazione da parte dei soprintendenti sono aumentati e sono stati meglio definiti (art. 21 e succ.).
In aggiunta alle opere e agli interventi previsti dall'abrogato decreto legislativo n. 490/99, sono così sottoposti ad autorizzazione (la quale, al di fuori delle situazioni d'urgenza di cui all'art. 27, è sempre necessariamente preventiva):
-  la ricostituzione di un bene culturale;
-  lo smembramento non solo delle collezioni, ma anche delle "raccolte" e delle "serie" di beni culturali;
-  l'utilizzo a fini pubblicitari delle coperture dei ponteggi predisposti per l'esecuzione di interventi di conservazione di immobili sottoposti a tutela. Questo utilizzo non può eccedere la durata dei lavori e a tal fine, alla richiesta di nulla osta, da presentare alla competente soprintendenza, deve essere allegato il contratto di appalto dei lavori medesimi (art. 49, u.c.).
Sono state apportate alcune modifiche e precisazioni alle disposizioni in tema di procedimento autorizzativo, e precisamente:
-  lo spostamento di un bene culturale privato da una dimora a un'altra del detentore è sempre sottoposto a preventiva denuncia alla soprintendenza, ma il Codice (art. 21, comma 2) precisa che la potestà di prescrivere misure necessarie a minimizzare i possibili danni causati dal trasporto deve essere esercitata entro 30 giorni dalla ricezione della denuncia;
-  per richiedere l'autorizzazione basta in generale una semplice descrizione dell'intervento (art. 21, comma 5);
-  per quanto riguarda gli interventi edilizi riguardanti beni culturali privati, la procedura dettata dall'articolo 22 del Codice non può trovare applicazione nell'ordinamento regionale perché la stessa materia è stata interamente disciplinata da apposite norme emanate dall'Assemblea regionale siciliana nell'esercizio della potestà normativa esclusiva attribuita dallo Statuto. Si fa riferimento all'articolo 46 della legge regionale 28 dicembre 2004, n. 17, che stabilisce termini e modalità dei pareri resi in materia dalle soprintendenze, e che dispone circa gli effetti determinati dal decorso infruttuoso dei termini suddetti;
-  qualora l'esecuzione di interventi su un edificio di interesse culturale sia subordinata, dal punto di vista urbanistico - edilizio, a una semplice denuncia di inizio attività, non si può comunque prescindere dalla preventiva autorizzazione della competente soprintendenza: sul punto, vedasi altresì l'art. 9 della legge regionale n. 37/85. Tuttavia, in questi casi, ai sensi dell'art. 23 del Codice, è l'interessato ad essere gravato dall'onere di trasmettere al comune, insieme alla denunzia, copia dell'autorizzazione: l'abrogato testo unico richiedeva invece alla soprintendenza di trasmettere l'autorizzazione in questione al comune;
-  nel caso di interventi su beni pubblici eseguiti da enti o istituti pubblici, il Codice autorizza l'Assessorato regionale e l'ente pubblico esecutore a stipulare specifici accordi che fanno le veci dell'autorizzazione (articolo 24). Al di fuori di questa ipotesi, al rilascio dei pareri da parte degli organi del dipartimento regionale all'interno delle conferenze di servizi, quando esse sono previste, si procede ai sensi della legge regionale (art. 2 della legge regionale n. 23/98 e successive modifiche e integrazioni, che ha recepito in toto le disposizioni contenute al riguardo nella legge n. 241/90 e successive modifiche ed integrazioni);
-la salvaguardia degli studi d'artista (art. 51) non passa più attraverso il blocco ope legis degli sfratti, come era stabilito dall'art. 52 del testo unico, oggi abrogato. Il Codice, più ragionevolmente, si limita a preservare la loro destinazione d'uso qualora essi, il loro arredo, e la loro tipologia, rivestano particolare interesse storico e siano stati espressamente dichiarati tali;
-  anche l'art. 52 del Codice è improntato a un'esigenza di razionalizzazione rispetto al sistema previgente. Ne discende che l'esercizio del commercio in aree di valore culturale non è più regolato in modo autoritativo dai soprintendenti ma è disciplinato dai comuni, che debbono sul punto sentire il competente soprintendente.
Quanto alle misure cautelari e preventive, le innovazioni del Codice sono le seguenti:
-  la potestà di sospensione cautelare dei lavori nelle more della dichiarazione dell'interesse culturale (art. 28) è stata ampliata, con la possibilità per il soprintendente di prescrivere saggi archeologici nelle aree interessate da opere pubbliche: e ciò anche se le aree in questione non rientrano tra quelle di accertato interesse archeologico;
-la facoltà di introdurre prescrizioni di tutela indiretta a protezione dei beni immobili di interesse culturale è rimasta immodificata nei contenuti e nei presupposti, ma, rispetto al passato, il procedimento è adesso minuziosamente delineato (art. 45 e succ.) e ricalca quello previsto per la dichiarazione di interesse, anche per quanto riguarda la ricorribilità del provvedimento.
Si tratta della potestà della pubblica amministrazione di imporre limitazioni all'uso di determinati beni immobili aventi interesse culturale, limitazioni consistenti nell'obbligo di rispettare istanze o prescrizioni di altro genere, volte a garantire l'integrità dell'immobile assoggettato a vincolo diretto. Il "vincolo indiretto" limita comunque, per finalità d'interesse pubblico, le potenzialità del diritto di proprietà e costituisce uno strumento aggiuntivo a quello del vincolo diretto, da utilizzare solo in presenza di effettive esigenze pubbliche. Al riguardo si osserva invece un uso generalizzato di questo strumento di salvaguardia aggiuntivo o integrativo, nel senso che le proposte delle soprintendenze, miranti a tutelare l'interesse pubblico insito in immobili di valenza storico-artistica o archeologica, sono quasi sempre accompagnate dalla proposta di "vincolo indiretto" dell'area circostante, misura che invece, secondo quanto avvertito dalla giurisprudenza di merito, deve essere sorretta da motivazioni particolarmente congrue, anche sotto il profilo della partecipazione del controinteressato al procedimento (cfr. T.A.R. Sicilia, sez. II, n. 723/05 del 9 maggio 2005); e deve essere individuata e determinata, anche con riferimento all'ampiezza della zona di rispetto, in modo congruo e proporzionato alla natura e alle caratteristiche dei beni monumentali da preservare (cfr. Consiglio di Stato, VI, 22 agosto 2003, n. 4762).
Il cosiddetto vincolo indiretto, se pur atto di discrezionalità tecnica di natura non espropriativa, non può quindi risolversi in una determinazione arbitraria, tale da trasformare l'imposizione della misura di salvaguardia in una compromissione della potenzialità di sviluppo delle aree prossime ai beni monumentali e, sotto tale profilo, incostituzionalmente ablativo del diritto di proprietà.
Si tratta di una valutazione che va condotta evidentemente in modo puntuale: ma in via generale va affermato che le ragioni di adozione delle prescrizioni di tutela indiretta si collocano in un preciso rapporto di complementarietà tra dette prescrizioni e il fine pubblico costituito e presuntivamente assicurato dal vincolo diretto.
La giurisprudenza (T.A.R. Lazio, II, n. 1376/1985; Consiglio di Stato, VI, n. 26/1984; Consiglio di Stato, VI, n. 301/1984) ha più volte affermato che un vincolo indiretto è legittimo, con riferimento alla fascia di rispetto e ai divieti imposti al diritto di proprietà, solo se l'ampiezza e il contenuto del vincolo sono sorretti da motivazioni autonome rispetto a quelle del vincolo diretto e proporzionati al bene culturale sottoposto a vincolo diretto (Consiglio di Stato, VI, 4 settembre 2002, n. 4429). Questi criteri orientativi debbono portare gli organi tecnici in indirizzo ad un utilizzo consapevole di questo strumento, cui si deve ricorrere solo in presenza di effettive esigenze di tutela, complementari a quelle soddisfatte dal vincolo diretto; da intendersi, nella sua estensione areale e nella sua incidenza sul diritto di proprietà, nei limiti imposti dall'ordinamento, che vuole privilegiare misure vincolistiche capaci di bilanciare l'interesse pubblico e quello privato, al quale deve essere arrecato il minimo sacrificio possibile, in modo proporzionale all'importanza del bene sotto il profilo scientifico e sotto il profilo del suo utilizzo quale risorsa di sviluppo per la comunità.
Quanto al servizio tecnico-scientifico chiamato a pronunziarsi, in via principale, sui progettati interventi da realizzarsi nelle aree sottoposte a vincolo indiretto, esso deve essere individuato proprio in base al rapporto di complementarietà richiesto ad substantiam tra il bene culturale protetto e la sua fascia di protezione. Per questo motivo, se la motivazione del vincolo diretto è di tipo archeologico, la trattazione dell'eventuale vincolo indiretto é del servizio per i beni archeologici; se invece è di tipo architettonico, la competenza relativa si attesta al servizio per i beni architettonici.
Resta salva la facoltà dei soprintendenti, nello spirito dell'organizzazione interdisciplinare delle soprintendenze, di acquisire il preventivo avviso anche di altri servizi dell'istituto.
Anche riguardo alla funzione di conservazione, il Codice interviene in chiave di innovazione e semplificazione.
L'articolo 30 stabilisce per la prima volta l'obbligo di conservare il patrimonio culturale da parte di tutti i soggetti cui appartengono i beni che lo compongono.
A questa importante petizione di principio si accompagna la previsione di interventi conservativi di tipo volontario e di quelli imposti.
Gli interventi conservativi volontari (artt. 31, 35-37), posti in essere dal proprietario, possessore o detentore del bene dichiarato di interesse culturale, sono soggetti a preventiva autorizzazione da parte del soprintendente. Quest'ultimo, a richiesta dell'interessato, si pronunzia anche sull'ammissibilità dell'intervento al sostegno finanziario pubblico, il quale, come in passato, si articola in un contributo alla spesa, di percentuale variabile a seconda dell'importanza dell'intervento e della sua possibile pubblica fruizione, ovvero in un contributo in conto interessi sui mutui concessi dagli istituti di credito all'interessato, e che viene erogato all'istituto mutuante, previa convenzione con l'Amministrazione.
Tra le novità, va sottolineato che la quantificazione del contributo alla spesa deve tenere conto degli altri eventuali contributi o benefici accordati da enti pubblici o privati per l'intervento. Gli interventi conservativi imposti sono disciplinati in conformità alle norme dell'abrogato testo unico.
Parimenti confermata la fattispecie dell'accesso al pubblico dei beni mobili e degli immobili oggetto di interventi conservativi, oggi regolata dall'art. 38 del Codice, secondo cui, dopo che è stato eseguito un intervento conservativo imposto, cioè a carico della Regione, ovvero un intervento conservativo volontario, assistito dal contributo finanziario della Regione, il bene recuperato, di interesse culturale, deve essere reso accessibile al pubblico.
Il Codice ha peraltro correttamente aggiunto che la convenzione che regola gli orari di apertura va resa pubblica, onerando in tal senso il soprintendente di trasmetterne copia al comune interessato.
Una figura nuova è quella del comodato di beni culturali, che nel vecchio sistema era limitato al deposito - a titolo oneroso, e dunque poco praticabile - dei soli beni archivistici ed ora è esteso a tutte le ipotesi. L'art. 44 del Codice, come applicabile nella Regione siciliana, consente ai direttori dei musei, gallerie e biblioteche e ai soprintendenti, di ricevere in comodato, previo assenso del dirigente generale, beni culturali mobili di proprietà privata allo scopo di consentire la loro migliore pubblica fruizione. Il comodato dura 5 anni e si intende prorogato tacitamente in caso di mancata disdetta o risoluzione consensuale.
Presupposti per accettare il bene in comodato sono:
-  accertare il particolare pregio del bene;
-  accertare la legittimazione del comodante: il Codice richiede infatti che egli sia il "proprietario" del bene concesso in comodato e non adopera anche i termini, che pure altrove usa, di "possessore o detentore";
-  accertare, nel solo caso che il comodante sia un ente pubblico, l'avvenuta costituzione di una polizza assicurativa a garanzia del valore del bene concesso e dell'impegno ad assumere le spese eventuali di conservazione. Nel caso di beni di proprietà privata, questi costi sono invece totalmente a carico dell'Assessorato.
La presente circolare sostituisce ogni altra precedente disposizione e sarà disponibile sul sito www.regione.sicilia. it/beniculturali.
  L'Assessore: PAGANO 

(2006.11.923)
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MICHELE ARCADIPANE, direttore responsabile
FRANCESCO CATALANO, condirettoreMELANIA LA COGNATA, redattore

Ufficio legislativo e legale della Regione Siciliana
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