REPUBBLICA ITALIANA
GAZZETTA UFFICIALE
DELLA REGIONE SICILIANA

PARTE PRIMA
PALERMO - VENERDÌ 29 OTTOBRE 2004 - N. 45
SI PUBBLICA DI REGOLA IL VENERDI'

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DISPOSIZIONI E COMUNICATI

CORTE COSTITUZIONALE


Ordinanza 14 maggio 2004 emessa dal T.A.R. per la Sicilia sul ricorso proposto da Martino Angela contro Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali di Palermo.

(Pubblicazione disposta dal Presidente della Corte costituzionale a norma dell'art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87).
N. 768 Reg. ordinanze 2004
Il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione seconda, ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso n. 1231/88 proposto da Martino Angela, rappresentata e difesa dall'avv. Nadia Piscitello, come da mandato a margine della comparsa depositata il 10 dicembre 2003, presso il cui studio elettivamente domicilia in Palermo, via Principe di Belmonte n. 90,

contro

la Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali di Palermo, in persona del Soprintendente pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, presso la quale è per legge domiciliato,

per l'annullamento

-  del provvedimento prot. n. 775, pos. BB.NN.26455, dell'1 febbraio 1988;
-  di tutti gli atti preparatori, conseguenziali e connessi.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione dell'amministrazione intimata;
Vista la comparsa depositata dalla ricorrente il 10 dicembre 2003;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore il referendario avv. Francesco Guarracino;
Udito, alla pubblica udienza del 10.12.2003, il difensore della ricorrente come da verbale;
Ritenuto in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso notificato il 3 maggio 1988 e depositato il 2 giugno 1988, la sig.ra Angela Martino ha impugnato il provvedimento prot. n. 775, pos. BB.NN.26455, dell'1 febbraio 1988 con cui la Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali di Palermo ha respinto il progetto in sanatoria da essa presentato per un fabbricato sito in Cefalù, contrada Santa Lucia, chiedendo al Sindaco del predetto comune l'adozione dei provvedimenti sanzionatori di sua competenza.
La ricorrente svolge quattro distinti motivi di censura:
-  col primo motivo deduce che, poiché la costruzione in questione era stata realizzata prima del dicembre 1983, mentre la dichiarazione di notevole interesse pubblico di parte del territorio del comune di Cefalù era intervenuta solo successivamente (la pubblicazione della dichiarazione, risalendo al 9 novembre 1985, mentre invece quella della deliberazione del vincolo all'agosto 1984), non sarebbe stato necessario, in sede d'esame dell'istanza di sanatoria, acquisire il preventivo parere della Soprintendenza, sicché tale parere "è stato espresso al di fuori della competenza dell'amministrazione gravata";
-  col secondo motivo la ricorrente afferma che la richiesta della Soprintendenza di adozione di provvedimenti sanzionatori ai sensi degli artt. 2 e 3 legge regionale n. 37/85 e dell'art. 7 legge n. 47/85 colliderebbe con l'anteriorità dell'abuso rispetto all'entrata in vigore delle disposizioni da ultimo richiamate, inapplicabili al caso di specie per il principio d'irretroattività della legge;
-  col terzo motivo la ricorrente denuncia il vizio del provvedimento per difetto di motivazione, travisamento e difetto di causa, in quanto il provvedimento non darebbe conto del danno arrecato al paesaggio; danno che peraltro non sussisterebbe, posto che l'opera, solo in parte rinnovata e non nuova, non sarebbe visibile, in quanto occultata, tra la strada ed il mare, da altri edifici preesistenti;
-  col quarto motivo la ricorrente sostiene che i provvedimenti sanzionatori invocati nel provvedimento impugnato sarebbero comunque esclusi dalla legislazione in materia di sanatoria.
L'amministrazione intimata si è costituita in giudizio col ministero dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo.
Con memoria depositata il 10 ottobre 2003 la ricorrente, col ministero di nuovo procuratore, ha insistito nelle richieste.
All'udienza del 10 dicembre 2003, udito il difensore del ricorrente, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.  La ricorrente impugna il provvedimento prot. n. 775, pos. BB.NN.26455, dell'1 febbraio 1988, con cui la Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali di Palermo si è espressa negativamente sul progetto in sanatoria presentato dalla ricorrente in relazione ad un suo fabbricato sito in Cefalù, contrada Santa Lucia.
Ad avviso della ricorrente l'atto impugnato sarebbe viziato, in primo luogo, in quanto "espresso al di fuori della competenza dell'amministrazione gravata", la quale non sarebbe stata titolata ad esprimere un proprio parere sul progetto di sanatoria, poiché quest'ultimo riguardava opere realizzate prima della imposizione del vincolo.
La ricorrente censura, altresì, l'atto impugnato sotto altri tre profili (sostanzialmente riconducibili ai vizi di violazione e falsa applicazione di legge e di eccesso di potere), che logicamente si collocano in posizione subordinata al primo motivo di gravame.
2.  In relazione alla doglianza contenuta nel primo motivo di ricorso con cui si lamenta la carenza di legittimazione della Soprintendenza ad interloquire nel procedimento promosso con l'istanza di sanatoria, osserva il Collegio che l'atto impugnato è stato emanato in vigenza dell'art. 23, comma 10, della legge regionale siciliana 10 agosto 1985, n. 37.
Nelle more del giudizio, tuttavia, è intervenuta la legge regionale siciliana 16 aprile 2003, n. 4, il cui art. 17, comma 11, ha sostituito, con decorrenza 1 gennaio 2003, la disposizione interpretativa contenuta nel primo capoverso dell'art. 5, comma 3, della legge regionale siciliana 31 maggio 1994, n. 17, in tal modo capovolgendo, con efficacia ex tunc, la regola applicabile circa la necessità o meno del nulla osta della Soprintendenza, ai fini della concessione in sanatoria, quando il vincolo sia posteriore all'ultimazione dell'opera abusiva.
Poiché tale intervento normativo, per le modalità con cui è stato realizzato (novellazione di una preesistente disposizione di tipo interpretativo) e l'efficacia conseguentemente spiegata (di natura surrettiziamente retroattiva), induce a dubitare della sua compatibilità con i parametri costituzionali, ed essendo peraltro la proposizione delle questioni di legittimità costituzionale, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, subordinata al vaglio del giudice del merito circa la rilevanza nel giudizio a quo della questione medesima, il Collegio ha ritenuto di procedere, accantonata temporaneamente la disamina del primo motivo di ricorso, all'esame dei restanti tre motivi di gravame, onde verificare se il giudizio potesse essere definito a prescindere dall'applicazione dell'art. 17, comma 11, legge regionale siciliana 16 aprile 2003, n. 4.
3.  Il Collegio ha ritenuto che nell'esame e decisione dei tre restanti motivi di ricorso non dovesse farsi applicazione della norma regionale predetta.
Con sentenza parziale, adottata in pari data della presente ordinanza, infatti, ha dichiarato inammissibile il secondo motivo di ricorso (l'unico in cui si fa questione del momento di realizzazione dell'opera, sia pure in una prospettiva diversa da quella fatta valere nel primo motivo), col quale la ricorrente ha contestato la richiesta, rivolta dalla Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali al sindaco di Cefalù, di adozione di provvedimenti sanzionatori ai sensi degli artt. 2 e 3 legge regionale n. 37/85 e dell'art. 7 legge n. 47/85, lamentandone l'illegittimità in ragione della anteriorità dell'abuso rispetto all'entrata in vigore delle predette disposizioni, in quanto, a prescindere dalle argomentazioni in esso addotte, il motivo di ricorso non era volto a censurare statuizioni dotate di efficacia provvedimentale ed autonoma lesività, ma una mera sollecitazione rivolta ad un'altra autorità perché esercitasse i poteri suoi propri, attivabili ex officio.
Con la medesima sentenza parziale si è ritenuto infondato il terzo motivo di ricorso, con cui l'atto impugnato è stato oggetto di censura per difetto di motivazione, travisamento e difetto di causa, stante l'esistenza di una sufficiente motivazione e, quanto ai rimanenti profili di doglianza, la insussistenza di un inizio di prova; mentre il quarto motivo di ricorso, volto a sostenere che i provvedimenti sanzionatori invocati dalla Soprintendenza non sarebbero previsti dalla legislazione in materia di sanatoria, è stato dichiarato anch'esso inammissibile per le medesime ragioni esposte per il secondo motivo di ricorso, nonché in quanto con tale motivo si contestava la legittimità di atti non ancora emanati.
4.  Risolte autonomamente, con detta sentenza parziale, le questioni di legittimità dell'atto impugnato poste con il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, senza che venisse in rilievo il disposto dell'art. 17, comma 11, della legge regionale siciliana 16 aprile 2003, n. 4, il Collegio, nel tornare ad esaminare il primo motivo di ricorso, osserva che la fondatezza dello stesso dipende dall'applicazione della citata norma regionale, della cui legittimità costituzionale il Collegio dubita, per le ragioni di seguito esposte.
5.  Nel primo motivo di ricorso la ricorrente afferma che l'acquisizione del preventivo nulla osta della Soprintendenza non sarebbe stato necessario, in quanto i lavori erano stati completati prima dell'apposizione del vincolo.
Osserva il Collegio che l'atto impugnato è stato emanato in vigenza dell'art. 23, comma 10, della legge regionale siciliana 10 agosto 1985, n. 37.
Nelle more del giudizio, tuttavia, è intervenuta la legge regionale siciliana 16 aprile 2003, n. 4, il cui art. 17, comma 11, ha sostituito, con decorrenza 1 gennaio 2003, la disposizione interpretativa contenuta nel primo capoverso dell'art. 5, comma 3, della legge regionale siciliana 31 maggio 1994, n. 17, (che aveva affermato la necessità del nulla osta anche in caso di vincolo apposto successivamente alla realizzazione delle opere abusive), in tal modo capovolgendo, con efficacia ex tunc, la regola applicabile circa la necessità o meno del nulla osta della Soprintendenza, ai fini della concessione in sanatoria, quando il vincolo sia posteriore all'ultimazione dell'opera abusiva.
6.  Per maggior chiarezza, appare opportuno illustrare più in dettaglio il mutamento del quadro normativo.
Il testo originario dell'art. 5, comma 3, della legge regionale n. 17/94 cit. così stabiliva:
"L'art. 23, comma 10, della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37, è così interpretato:
1.  Il nulla osta dell'autorità preposta alla gestione del vincolo è richiesto, ai fini della concessione in sanatoria, anche quando il vincolo sia stato apposto successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva. Tuttavia nel caso di vincolo apposto successivamente, è esclusa l'irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie, discendenti dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico dell'autore dell'abuso edilizio".
2.  ....................".
In tal modo, la normativa regionale interveniva a risolvere il dubbio interpretativo, sollevato dalla formulazione dell'art. 23 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37, dettante le condizioni di applicabilità della sanatoria edilizia, in ordine alla rilevanza o meno, ai fini dell'acquisizione del prescritto nullaosta, dei vincoli storici, artistici, architettonici etc. apposti in epoca successiva all'ultimazione dell, ma in vigore al momento dell'esame della istanza di sanatoria.
La soluzione cui si perveniva con la predetta disposizione interpretativa, contenente espresso riconoscimento della rilevanza dei vincoli sopravvenuti, anticipava le conclusioni cui sarebbe giunta la giurisprudenza amministrativa in relazione all'analogo problema postosi per la corrispondente normativa nazionale, la quale è stata interpretata nel senso che, in presenza quanto meno di vincoli che non comportano inedificabilità assoluta, l'obbligo di pronuncia da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione alla esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall'epoca della sua introduzione, per l'esigenza di vagliare l'attuale compatibilità con il vincolo dei manufatti realizzati abusivamente (ex multis, C.d.S., Ad. plen., 22 luglio 1999, n. 20).
Avendo la disposizione ora richiamata natura interpretativa e, pertanto, carattere retroattivo, essa avrebbe comportato, nella fattispecie oggetto del presente giudizio, l'infondatezza del primo motivo di ricorso, non consentendo di negare - come invece fa la ricorrente - l'obbligo di acquisizione del preventivo parere della Soprintendenza.
Tuttavia, come detto, è successivamente intervenuto l'art. 17, comma 11, della legge regionale 16 aprile 2003, n. 4, a sostituire il primo ed il secondo capoverso dell'art. 5, comma 3, legge regionale 31 maggio 1994, n. 17, nel modo seguente:
"1.  Il parere dell'autorità preposta alla gestione del vincolo è richiesto, ai fini della concessione o autorizzazione edilizia in sanatoria, solo nel caso in cui il vincolo sia stato posto antecedentemente alla realizzazione dell'opera abusiva.
2.  L'autorità competente, nel rilasciare parere, può dettare prescrizioni che comportino l'adeguamento del progetto alle esigenze di tutela che hanno determinato l'apposizione del vincolo".
In tal guisa, a far data dall'1 gennaio 2003, l'art. 23, comma 10, legge regionale n. 37/85 va interpretato nel senso che il vincolo posto dopo la realizzazione dell'opera abusiva non rileva ai fini dell'obbligo di acquisizione, ai fini della concessione in sanatoria, del parere dell'autorità preposta alla gestione del vincolo: soluzione questa di segno diametralmente opposto alla precedente, la quale riconosceva invece rilevanza ai vincoli sopravvenuti, e che pure il legislatore regionale riveste di natura interpretativa - e perciò di efficacia retroattiva - grazie all'innesto del nuovo testo normativo, con la tecnica della novellazione parziale, subito dopo le parole "L'art. 23, comma 10, della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37, è così interpretato:" contenute nel primo periodo del comma 3 dell'art. 5 legge regionale n. 17/94 cit.
L'applicazione retroattiva di detta disposizione al caso di specie implicherebbe l'accoglimento del primo motivo di ricorso.
7.  Il Collegio peraltro dubita della legittimità costituzionale dell'art. 17, comma 11, della legge regionale siciliana 16 aprile 2003, n. 4, per l'efficacia retroattiva ad esso surrettiziamente attribuita attraverso il carattere interpretativo che allo stesso deriva dalla tecnica di novellazione dell'art. 5, comma 3, legge regionale n. 17/94 cit. adottata dal legislatore; e ciò non solo in assenza di qualsivoglia pur residuo dubbio interpretativo sul significato della norma interpretata (l'art. 23 della legge regionale n. 37/85), ma in presenza di una precedente interpretazione autentica di detta norma, che viene soppressa e diametralmente rovesciata.
Che non si tratti di mera operazione ermeneutica, dettata da esigenze di chiarezza legislativa, bensì di un capovolgimento di disciplina indirizzato a facilitare il ricorso alla sanatoria edilizia, con efficacia estesa anche al passato, così da ampliare la sfera dei possibili beneficiari, emerge dalla stessa rubrica dell'art. 17 della legge regionale n. 4/03, intitolata "Recupero risorse derivanti dalla definizione delle pratiche di sanatoria edilizia".
La sussistenza di una fattispecie tipica di eccesso di potere legislativo sembra emergere, d'altronde, dalle considerazioni che seguono.
8.  L'art. 17, comma 11, della legge regionale 16 aprile 2003, n. 4 cit., sotto una dichiarata interpretazione autentica, introduce dunque una sostanziale modificazione della disciplina previgente.
Essa, pertanto, sembra realizzare un'ipotesi di eccesso di potere legislativo, ponendosi in contrasto con i parametri costituzionali che regolano la formazione delle leggi (artt. 117, 123 e 127 Cost., relativi all'attività legislativa regionale), nonché con l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della ragionevolezza.
9.  Va in primo luogo rilevato che i principi costituzionali in tema di disposizioni interpretative, definiti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale in relazione alle leggi statali, sono estensibili anche alle leggi con le quali una regione interpreta autenticamente proprie normative precedenti (sentenza n. 376 del 1995; sentenza n. 397 del 1994; sentenza n. 389 del 1991; sentenza n. 19 del 1989; sentenza n. 113 del 1988).
10.  Anche se il principio di irretroattività delle leggi ha ottenuto in sede costituzionale garanzia specifica soltanto con riguardo alla materia penale ex art. 25, secondo comma, della Costituzione, è pur vero che esso mantiene per le altre materie valore di principio generale ai sensi dell'art. 11, primo comma, delle disposizioni preliminari del codice civile, cui il legislatore deve in via preferenziale attenersi (sentenza n. 376 del 1995; sentenza n. 397 del 1994; sentenza n. 153 e n. 6 del 1994).
11.  Il ricorso a leggi di interpretazione autentica non può, secondo la costante .giurisprudenza della Corte, essere utilizzato per attribuire a norme innovative una surrettizia efficacia retroattiva, in quanto in tal modo la legge interpretativa verrebbe meno alla sua funzione peculiare, che è quella di chiarire il senso di norme preesistenti, ovvero di imporre una delle possibili varianti di senso compatibili col tenore letterale (sentenza n. 376 del 1995; sentenze n. 15 del 1995 e n. 397 del 1994).
12.  Il carattere interpretativo deve peraltro desumersi non già dalla qualificazione che tali leggi danno di se stesse, quanto invece dalla struttura della loro fattispecie normativa, in relazione cioè ad "un rapporto fra norme - e non fra disposizioni - tale che il sopravvenire della norma interpretante non fa venir meno la norma interpretata, ma l'una e l'altra si saldano fra loro dando luogo a un precetto normativo unitario" (Corte Cost., sentenza n. 397 del 1994; sentenza n. 424 del 1993; analogamente sentenza n. 39 del 1993; sentenza n. 155 del 1990 e sentenza n. 233 del 1988).
Va dunque riconosciuto carattere interpretativo soltanto ad una legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne chiarisce il significato normativo ovvero privilegia una tra le diverse interpretazioni possibili, di guisa che il contenuto precettivo è espresso dalla coesistenza delle due norme (quella precedente e l'altra successiva che ne esplicita il significato), le quali rimangono entrambe in vigore e sono quindi anche idonee ad essere modificate separatamente (sentenza n. 155 del 1990; sentenza n. 233 del 1988).
13.  Il carattere interpretativo della legge non è, tuttavia, decisivo ai fini della verifica di conformità ai precetti costituzionali. La giurisprudenza della Corte ha individuato una serie di limiti alla potestà di emanazione di leggi interpretative, nel cui novero vanno considerati, oltre alla ragionevolezza della scelta operata, il divieto di ingiustificata disparità di trattamento, la coerenza e certezza del diritto, il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 525 del 2000; sentenza n. 376 del 1995; sentenza. 397 del 1994).
Tra i limiti da ultimo ricordati rientrano difatti, come detto e per quanto più interessa, anche la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto (sentenza n. 525 del 2000; sentenza n. 397 del 1994; sentenza n. 424 del 1993, sentenza n. 39 del 1993; sentenza n. 349 del 1985); la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico (sentenza n. 397 del 1994; sentenza n. 6 del 1994; sentenza n. 429 del 1993; sentenza n. 822 del 1988).
14.  La questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, comma 11, della legge regionale siciliana 16 aprile 2003, n. 4, che alla luce delle considerazioni testé svolte deve ritenersi non manifestamente infondata, è altresì rilevante per la decisione del giudizio a quo, in ragione di quanto si è esposto al paragrafo 3.
L'applicazione di tale disposizione, della cui legittimità si dubita, condiziona l'accoglimento del primo motivo di ricorso e, dunque, l'esito stesso del giudizio promosso dalla ricorrente per l'annullamento dell'atto impugnato.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione seconda, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 17, comma 11, della legge regionale siciliana 16 aprile 2003, n. 4 ("Disposizioni programmatiche e finanziarie per l'anno 2003"), per contrasto con gli articoli 3, 117, 126 e 127 della Costituzione.
Sospende il giudizio in corso.
Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, a cura della segreteria della sezione.
Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della medesima segreteria, alle parti in causa, al presidente della Giunta regionale siciliana nonché al Presidente dell'Assemblea regionale siciliana.
Così deciso in Palermo, nella Camera di consiglio del 3 marzo 2004, con l'intervento dei sigg. Magistrati:
-  Calogero Adamo - Presidente;
-  Calogero Ferlisi - Consigliere;
-  Francesco Guarracino - Referendario estensore.
Il presidente: ADAMO
L'estensore: (firma illeggibile)
Il segretario: (firma illeggibile)
Depositata in segreteria il 14 maggio 2004.
(2004.42.2693)
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MICHELE ARCADIPANE, direttore responsabile
FRANCESCO CATALANO, condirettoreMELANIA LA COGNATA, redattore

Ufficio legislativo e legale della Regione Siciliana
Gazzetta Ufficiale della Regione
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