REPUBBLICA ITALIANA
GAZZETTA UFFICIALE
DELLA REGIONE SICILIANA

PARTE PRIMA
PALERMO - VENERDÌ 20 LUGLIO 2001 - N. 37
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ASSESSORATO DEI BENI CULTURALI ED AMBIENTALI E DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE

DECRETO 13 aprile 2001.
Dichiarazione di notevole interesse pubblico del territorio costiero dalla foce del Vallone di Sumera al Castello di Montechiaro, ricadente nei comuni di Agrigento e Palma di Montechiaro.

Allegati
VERBALE N. 59

L'anno 1999, alle ore 11,00 del giorno 9 del mese di dicembre, presso la sede della Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali di Agrigento, sita presso villa Genuardi, si è riunita la commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali e panoramiche, giusta nota di convocazione n. 453 dell'1 dicembre 1999, per discutere i punti iscritti all'ordine del giorno:
1)  proposta di vincolo territorio costiero "dalla foce del Vallone di Sumera al Castello di Montechiaro" ricadente nei comuni di Agrigento e Palma Montechiaro;
2)  varie.
Sono presenti, il presidente, dott. Graziella Fiorentini, i componenti, arch. Domenico Fontana e sig. Angelo Napoli, il segretario, arch. Agostino Marrella.
Essendo presenti tutti i membri della commissione, constatata la regolarità della riunione, si apre la discussione sulla proposta di vincolo dell'area summenzionata, la cui istruttoria con relativi sopralluoghi era stata avvita dalla precedente commissione (verbali n. 44 del 3 maggio 1997, n. 49 del 21 ottobre 1998, n. 51 del 14 dicembre 1998, n. 53 dell'8 febbraio 1999) e la cui emanazione era stata fra l'altro richiesta dall'associazione ambientalista "Marevivo", con nota pervenuta in segreteria il 23 novembre 1996, e dalla Società siciliana di scienze naturali con nota pervenuta il 27 luglio 1999.
Partecipa alla seduta, come membro aggregato, il per. min. dott. Luigi Infantino, rappresentante del distretto minerario di Caltanissetta, giusta delega n. 7260 del 3 dicembre 1999.
L'arch. Pietro Meli, invitato dal presidente in qualità di direttore della sezione beni paesaggistici, naturali, naturalistici e urbanistici della Soprintendenza di Agrigento, non è potuto essere presente per altri improrogabili impegni di servizio. Egli comunque ha partecipato alle precedenti sedute istruttorie, fornito la documentazione di competenza della sezione, condiviso le valutazioni espresse, nonché l'individuazione della perimetrazione del territorio in esame.
Facendo seguito alle precedenti sedute e ai sopralluoghi effettuati sul territorio, sulla base di apposita cartografia e di documentazione fotografica, visionato quanto forma oggetto della documentazione scientifica sugli aspetti archeologici, etnoantropologici e naturalistici dell'intera area costiera, specificatamente:
1)  la relazione di accompagnamento alla richiesta dell'associazione "'Marevivo";
2)  il materiale documentario e bibliografico pervenuto in data 25 novembre 1999 da parte della Società siciliana di scienze naturali;
3)  la relazione pervenuta dalla sezione per i beni etno-antropologici del Centro regionale per la progettazione e il restauro, nonché la nota n. 253 del 25 novembre 1999 della sezione per i beni etno-antropologici della Soprintendenza di Agrigento;
4)  la relazione del direttore agli scavi archeologici di Monte Grande, dott. Giuseppe Castellana, datata 21 ottobre 1998, nonché il suo volume "Il santuario castellucciano di Monte Grande e l'ap prov vigionamento dello zolfo nel Mediterraneo nell'età del bronzo";
5)  la relazione descrittiva degli aspetti naturalistici allegata alla nota n. 179 del 12 febbraio 1999 della sezione dei beni naturali e naturalistici della Soprintendenza di Palermo;
6)  la relazione di vincolo architettonico relativo al Castello di Montechiaro ed aree limitrofe, trasmesso dalla sezione per i beni architettonici di Agrigento con nota n. 8653 del 25 novembre 1999;
7)  la relazione sugli aspetti geologici e geomorfologici trasmessa dalla sezione per i beni paesistici, naturali, naturalistici e urbanistici di Agrigento;
8)  la relazione pervenuta dal distretto minerario di Caltanissetta con nota n. 7108 del 29 novembre 1999;
9)  la relazione sugli aspetti di natura archeologica pervenuta dalla dott. Maria Musumesi, direttore della sezione archeologica della Soprintendenza di Agrigento.
La commissione rileva che l'area individuata in apposita allegata planimetria, il cui perimetro in appresso viene descritto, offre le seguenti caratteristiche dal punto di vista ambientale e paesaggistico.
Per quanto riguarda l'inquadramento geografico, l'area in esame ricade in parte nel territorio del comune di Agrigento ed in parte in quello di Palma di Montechiaro, nella zona della fascia costiera. Ha un'estensione in lunghezza di Km. 7 circa, allargandosi in profondità, nella sua massima penetrazione, di circa 3 Km.
Procedendo da ovest verso est, topograficamente si sviluppa dal Vallone Sumera sino al vallone di Montechiaro includendo l'area del medievale castello di Montechiaro, mentre il suo confine settentrionale è quasi interamente costituito dalla S.S. 115.
La morfologia dei luoghi appare complessivamente caratterizzata dalla presenza del rilievo di Monte Grande attorniato da blande formazioni collinari e dall'aperto pianoro Gelardo, solo animati dalle incisioni dei corsi d'acqua e da qualche crinale isolato con spuntoni lapidei più resistenti all'erosione.
Pur prevalendo una tettonica plicativa sulla quale l'erosione ha agito in modo selettivo producendo una generale morfologia ondulata, il paesaggio è contemporaneamente segnato dall'assetto delle rocce affioranti. Al variare infatti della giacitura degli strati cambia la struttura del paesaggio: superfici sub-orizzontali in corrispondenza di strati resistenti aventi questa giacitura e creste laddove gli strati sono inclinati rispetto all'orizzontale.
Il paesaggio che caratterizza il nostro territorio è quello comune agli ambiti in cui affiorano i vari termini della serie Gessoso-Solfifera. In particolare si distinguono vaste pianure costituite da depositi alluvionali, da depositi continentali vari del Pleistocene medio superiore, con terrazzamenti secondo due o più ordini intorno ai 50 e 100 m. s.l.m., in discordanza sui terreni a facies argilloso-sabbiosa della sequenza pliocenica, nonché la presenza di lembi più o meno estesi di calcari zoogeni arenacei, giallastri affioranti al margine orientale del territorio in esame.
Tra Punta Bianca ed il Castello di Palma di Montechiaro, la zona costiera si presenta alquanto frastagliata in conseguenza della forte pendenza assunta dalla formazione dei Trubi e dalle argille del Pliocene, spesso strapiombanti sul mare anche con tipico assetto giaciturale rovesciato degli strati.
Il maggior rilievo presente in ambito locale, Monte Grande, culminante alla quota di 267 m. s.l.m., di aspetto rupestre ed interessato da fratture e faglie di carattere locale, è costituito in prevalenza dai termini calcareo-marnosi della serie Gessoso-Solfifera.
Tale zona mostra la presenza di numerosi esotici calcarei, terziari e mesozoici, inclusi disordinatamente in una coltre di argille a struttura caotica con elementi di età varia, a sua volta facente parte della formazione argilloso-sabbiosa molassica ritenuta di età Tortoniana, almeno limitatamente alla biocenosi riscontrata.
La presenza nel territorio in esame di questi singolari orizzonti argillosi a struttura brecciata inglobanti esotici calcarei di età diversa ed altri elementi litoidi di natura basaltica di incerta provenienza, non è di facile interpretazione.
Tuttavia l'ipotesi più probabile, riportata nella letteratura di settore, è quella dei depositi per frana di ampiezza variabile che hanno interessato tutte le formazioni plastiche della regione. Nel caso in specie si tratterebbe cioè di una colata gravitativa convogliante elementi litoidi di varia età e o provenienza, alternati con i depositi sinsedimentari del Tortoniano.
Nel vasto comprensorio in cui ricade il territorio di cui sopra, due sono i motivi tettonici dominanti:
a)  l'ampia siclinale, il cui fianco meridionale è poco visibile, data la costa falcata dall'attuale litorale per successive ingressioni del mare. Tale sinclinale è stata successivamente e trasgressivamente colmata dai depositi pleistocenici ed olocenici, che costituiscono le attuali vaste pianure del Cannatello, Misilina, Pitarri e Puleri a diverse quote;
b)  la struttura di Monte Grande, a cupola ellissoidica, dalla ricostruzione morfologica complessa in conseguenza delle fratture e dei diversi sistemi di faglia riscontrati nei termini della serie Solfifera e dei Trubi. Il sistema di fratturazione più importante ha direzione preferenziale NE-SW ed esso, presumibilmente, ha determinato lo smembramento della serie Solfifera, la cui parte centrale costituisce il rilievo di Monte Grande.
A parte la caratteristica "Punta Bianca" e la collinetta allungata di calcare solfifero contornato da Tripoli su cui sorge l'antico castello di Montechiaro che ripete in piccolo la struttura a cupola della zona, il tratto costiero, da punta Bianca verso Marina di Palma Montechiaro si presenta dirupato e inaccessibile a causa dei continui scalzamenti operati dal moto ondoso nei trubi, a tratti verticalizzati o completamente rovesciati, nei calcari, nei gessi e nelle argille tortoniane strapiombanti sul mare.
La rete idrografica è molto complessa, con reticoli fluviali a regime torrentizio, a corso breve e rapido. Tali caratteristiche sono da attribuire soprattutto alla struttura compartimentata della morfologia del territorio che favorisce la formazione di un cospicuo numero di elementi fluviali indipendenti, ma di sviluppo limitato e bacino poco esteso.
I corsi d'acqua che solcano il territorio in esame sono il Vallone di Sumera, che incide profondamente le argille della serie Pliocenica nella località Mandrascava, il Vallone Monte Grande, che nel suo breve percorso attraversa le argille tortoniane sboccando subito dopo nella spiaggia ad oriente del caratteristico promontorio di Punta Bianca, il Vallone Mintina con il suo affluente di destra denominato Vallone di Montechiaro, che scorre ad oriente di Monte Grande interessando progressivamente le argille brecciate e quelle della serie tortoniana verso la costa, incidendo ancora più profondamente i Trubi con serie rovesciata aggettante sul mare.
Il paesaggio fisico della linea di costa e dei versanti delle aste torrentizie è soggetto ad un continuo processo di modellamento geomorfologico, principalmente sotto l'effetto delle azioni delle gravità delle acque correnti superficiali incanalate e non, nonché delle acque marine.
L'azione delle acque correnti superficiali genera fenomeni spettacolari sulle formazioni prevalentemente argillose, quali i calanchi e i denudamenti talora anche estesi o con la formazione di fossi di diversa entità.
Le componenti della vegetazione del territorio concorrono in maniera altamente significativa alla definizione dei caratteri paesaggistici ed ambientali.
I caratteri morfologici del territorio, combinati con le caratteristiche climatiche e con le scarse disponibilità idriche, hanno consentito nel tempo la diffusione di una macchia bassa formata da arbusti e alberelli sempreverdi dell'Oleo-Ceratonion.
Spesso a queste formazioni sono associati siti di grande interesse floristico, in cui si registrano numerosi endemiti di particolare interesse e specie rare ed espressive o espressioni biologiche insolite per la flora europea e fortemente caratterizzanti, come la Palma nana (Chamaerops humilis).
Questo tratto di territorio costiero, attualmente di non facile accesso, è caratterizzato da una scarsa antropizzazione. La modesta presenza di infrastrutture e di insediamenti ha consentito di conservare un carattere di seminaturalità di grande interesse anche comunitario (direttiva CEE n. 79/409 sulla "conservazione degli uccelli selvatici" e n. 92/43 relativa alla "conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche", recepita con D.P.R. n. 357/97).
Dal crinale di Monte Grande si colgono i caratteri essenziali del sito. Il versante meridionale di Monte Grande costituisce il fondale scenografico di questo tratto di costa; esso presenta una discontinua copertura vegetale di macchia termoxerofila. rarefatta e tipica dei pendii aridi esposti ai venti salmastri.
La formazione, ascrivibile ai Pistacio-Rhamnatalia alaterni, è rappresentata dall'associazione Pistacio-Euphorbietum dendroidis rhamnetosum, distinta dalla presenza cospicua di Rhamnus alaternus, arbusto sclerofillo termoxerofilo diffuso abbondantemente nella vegetazione delle macchie costiere.
Nel caso in questione, la formazione è insediata su un substrato appartenente ai rilievi delle estreme propaggini meridionali della serie Gessoso-solfifera, su cui si è sviluppato un substrato pedologico di scarsa potenzialità, che, unitamente alle forti limitazioni dovute all'aridità dell'area e alla vicinanza dell'ambiente marino, determinano un quadro di condizioni ambientali in cui la macchia rappresenta lo stadio climatico della vegetazione.
Ai piedi del rilievo di Monte Grande è presente una scaturigine che consente l'insediarsi di facies più igrofile della vegetazione, la cui maggiore espressione è rappresentata dal canneto (Arundo pliniana).
La vegetazione del piano sopralitorale consta della serie evolutiva del Ceratonietum i cui stadi sono composti da una cintura a Chamaerops humilis, - nella quale si nota l'assenza totale di Ceratonia siliqua - e da estese praterie xerofitiche di tipo africano Lygeum spartum tra le quali talvolta si inserisce col variare del substrato l'associazione rudero-vegetale a Lupsia galactites ed Echium plantagineum.
Al limite della battigia si rinviene infine un orlo a Salsola longifolia e Thymelaea hirsuta.
La cintura a Chamaerops humilis si rinviene nella porzione più alta del piano ed ha una copertura pressoché continua, divenendo uno degli elementi dominanti di quest'area costiera.
Le specie riscontrate, che contribuiscono a rendere questo territorio tra le aree a più elevata biodiversità vegetale sul territorio isolano, hanno una forte componente endemica o comunque di interesse fitogeografico. Tra queste, sono maggiormente minacciate alcune di grande interesse biologico-naturalistico e meritevoli di considerazione ai fini della salvaguardia della biodiversità locale (Lavatera agrigentina, Iberis semperflorens L., Onobrychis aequidentata, Limonium narbonense, Echium arenarium, Satureja nervosa, Satureja fruticulosa, Orobanche minor, Carlina sicula, Iris juncea).
Relativamente agli aspetti legati alla fauna si segnalano presenze avifaunistiche di rilievo rappresentative anche del grado di naturalità del territorio, che, sebbene non immediatamente percepibili come elementi del paesaggio, ne costituiscono parte integrante.
La struttura delle biocenosi in quest'area costiera è costituita nella sua composizione faunistica da specie di notevole interesse sia per la loro rarità che per il ruolo svolto nell'ecosistema.
Per quanto riguarda mammiferi e rettili si posseggono solo dati relativi a segnalazioni e/o avvistamenti dai quali è possibile compilare il seguente elenco di specie:
-  istrice, volpe, coniglio selvatico, chiotteri (almeno tre specie), roditori e insettivori, geco comune, lucertola comune, luscengola, biacco, colubro di esculapio, biscia dal collare.
Tra la fauna vertebrata stazionaria che caratterizza questo territorio va sottolineata la presenza di alcune specie ornitiche di particolare rilievo quali: il falco grillaio, che in colonia utilizza le pareti rocciose in periodo primaverile ed estivo, la coturnice, specie nidificante, relegata alle zone più impervie, la ghiandaia marina, caratteristico per il suo piumaggio blu-azzurro pallido, il dorso castano e le ali blu intenso con margini neri e la coda verdastra, che nidifica in buche nelle piccole pareti rocciose, e altre innumerevoli specie quali la poiana, il gheppio, il fratino, il piccione selvatico, il colombaccio, il barbagianni, la cappellaccia, tottavilla, lo scricciolo, il saltimpalo, il beccamoschino, l'occhiocotto, la cinciallegra, la ghiandaia, il corvo imperiale, ed altri.
Nei periodi interessati dai flussi migratori, grazie alla scarsa antropizzazione, questo territorio diventa un punto di concentrazione e di sosta in cui è possibile osservare molte specie (tuffetto, svasso, berta, garzetta, airone rosso, mignattaio, fischione, germano reale, marzaiola, moretta, falco pecchiaiolo, nibbio bruno, falco di palude, albanella reale, quaglia, porciglione, folaga, gru, beccaccia di mare, cavaliere d'Italia, pernice di mare, corriere, piviere dorato, piovanello tridattilo, gambecchio, piovanello pancianera, pittima reale, pettegola, pantana, voltapietre, fraticello, mignattino, tortora, cuculo, rondone, gruccione, upupa, usignolo, codirosso, culbianco, monachella, tordo, sterpazzola, beccafico, capinera, balia, rigogolo, averla capirossa). Saltuariamente sono state avvistate infine altre specie tra i quali l'airone bianco maggiore, la cicogna bianca, il fenicottero, l'oca selvatica, il biancone, il falco pescatore, il falco cuculo, l'occhione, la pavoncella, il gabbiano corso, il gufo di palude.
Tutta l'area costiera si ritiene abbia un alto interesse culturale per la rilevanza paesaggistica, dovuta sia all'ambiente naturale nelle sue componenti biotiche e abiotiche , che grazie alla scarsa antropizzazione dei luoghi ha mantenuto valori molto alti, sia alla presenza di elementi culturali di interesse storico presenti quali il castello medievale, gli insediamenti archeologici, nonché quelli d'in te resse etno-antropologico, che testimoniano la storia di questo territorio sin dalla preistoria.
Nel comprensorio considerato i due siti di Piano Vento e Monte Grande rivestono particolare importanza dal punto di vista archeologico.
Il sito di Piano Vento si trova su una collina di modesta altitudine, in parte di natura gessosa e in parte di natura calcarea. Esso è posto in un'area strategicamente importante e domina a sud le terre bagnate dal Vallone della Battaglia e del Vallone Mintina ed inoltre l'imboccatura occidentale della Conca Palmese e la Portella di Rocca di Corvo. In questo sito è stato messo in luce un abitato neolitico con resti di capanne, dove sono state individuati diversi livelli di vita, con testimonianze costituite da ceramiche di tipo prestentinelliano, stentilleniano e ceramiche dipinte, e che appare caratterizzato da un sistema difensivo costituito da una struttura muraria che si sviluppa soprattutto sul lato che guarda a mare, da dove è evidente si temevano pericoli. Ma è sempre dal mare che tale villaggio doveva la sua prosperità e doveva essere collegato alle rotte commerciali dell'epoca, come sembra essere dimostrato dalla presenza di ossidiana e pomice che si suppone provengano dalle isole Eolie. Alla fine dell'età neolitica il pianoro, che sembra essere poco frequentato nel periodo nel quale a Lipari è presente una fase culturale ben caratterizzata dalla ceramica dello stile di Diana, torna ad essere frequentato, ma diventa luogo di necropoli con tombe terragne, scavate nella marna giallastra o, in prevalenza, del tipo a cameretta ipogeica, sia monosome che polisome, con pozzetti di accesso verticale, e in qualche caso con cippo di pietra. Tale tipologia tombale, che include diversi e nuovi tipi di sepoltura, viene riferita ad apporti culturali del mediterraneo orientale e si può collocare in un periodo di transizione dal neolitico all'eneolitico (protoeneolitico). Nell'ambito di tale necropoli sono state anche individuate fosse sacrificali e votive, di varie dimensioni, con resti di ceneri, frammenti ceramici e materiali votivi, ed inoltre una vera e propria area sacrificale, che appare come un grande recinto rettangolare, all'interno del quale si rinvenne un bothros ed un'area sacra che presenta due fasi, si delimitata da un vero e proprio recinto con all'interno cinque fossette votive. A questa necropoli è collegato l'abitato posto nella parte settentrionale dello stesso pianoro collinare. Le capanne circolari hanno il perimetro scavato nel gesso e con muretto di pietre attorno.
Se da un lato il sito archeologico di Piano Vento mostra quanto questo centro possa essere un punto di riferimento per la conoscenza del momento in cui nuove tendenze socio-economiche e culturali si innestano in un mondo culturale di tradizione neolitica, altrettanto importante è il non lontano sito di Monte Grande che costituisce un punto di riferimento estremamente rilevante per la conoscenza della cultura castellucciana e dei suoi rapporti con il mondo egeo ed orientale.
A Monte Grande, gli scavi condotti annualmente dal 1987 ad oggi, che hanno portato all'esproprio di notevoli settori di zone monumentali, hanno messo in evidenza uno straordinario complesso archeologico, unico al mondo, legato all'estrazione e alla lavorazione dello zolfo. Le zone archeologiche presenti nel comprensorio di Monte Grande sono diverse e sono situate in diversi punti anche tra loro distanti. Questo fatto appare significativo per la grande rilevanza monumentale che la zona di Monte Grande presenta. Innanzitutto non pare inutile sottolineare la presenza del grande santuario databile nel II millennio a.C. situato a Baffo Superiore di Monte Grande e caratterizzato da grande recinti circolari nel cui ambito dovevano svolgersi festivals religiosi da parte delle genti castellucciane. Strettamente collegata al santuario appare la zona delle fornaci a canaletta dell'età del bronzo per la fusione dello zolfo che veniva estratto nello stesso luogo in località Baffo Calcarone di Monte Grande. La vastità e la grandezza delle zone archeologiche viene ancora di più messa in evidenza dalle aree di Baffo Superiore con la presenza di un santuario dell'età del rame di cui restano due grandi recinti tra di loro tangenti attorno ai quali si è scoperta una grande superficie acciottolata.
Nella parte sommitale di Monte Grande a Pizzo Italiano si pone un'altra grande area archeologica dell'età del bronzo con la presenza di un poderoso muro megalitico che fa da sostruzione ai recinti castellucciani. Nello stesso luogo si segnala la presenza di alcune capanne dell'età del rame, assegnabili alla cultura del S. Cono-Piano Notaro-Grotta Zubbia-Piano Vento.
Gli scavi più recenti hanno ancora di più ampliato la presenza di aree archeologiche monumentali a Monte Grande e precisamente sulle prime pendici collinari sud-orientali, in località S. Francesco, in località Vicinzina e in località Marcatazzo di Monte Grande, per alcune delle quali è in corso l'istruttoria dell'imposizione del vincolo ex legge n. 1089/39.
A S. Francesco è stato portata alla luce una miniera di zolfo dell'età del bronzo, delimitata da un muro di recinto; a Marcatazzo è stato localizzato ed in buona parte scavato un grande emporio egeo databile nel XVI sec. a.C. con due grandi costruzioni rettangolari ed una grande capanna circolari recintati da un muro di fortificazione. In località Vicentina le arature profonde agricole hanno in parte distrutto un grande insediamento dell'età del bronzo, portando alla luce una quantità impressionante di ceramiche dell'età del rame e dell'età del bronzo.
Questa monumentale presenza preistorica e protostorica si giustifica con il fatto che Monte Grande presenta un incredibile giacimento di zolfo nativo che in alcune zone si trova affiorante. Da qui l'utilizzazione di questo metalloide in età preistorica e protostorica che spiega i rapporti continui e duraturi tra le popolazioni castellucciane e i mercanti egei con presenza di qualche migliaio di frammenti egei. Ma l'estrazione dello zolfo a Monte Grande in evo antico è documentata fino ad età romana come testimoniano le tegulae sulfuris di età imperiale di II-III sec. d.C. rinvenute in località S. Francesco e in località Vicinzina assieme a sigillata africana.
Nel corso dei secoli successivi, l'attività estrattiva, protrattasi sino al secolo scorso, seppure diffusamente estesa ad altre contrade, ha dato luogo a elementi specifici connotanti l'area di Monte Grande.
Le solfare abbandonate, presenti lungo le sue pendici sudorientali sino alla costa, sono strutture produttive complesse fatte di architetture, di attrezzature tecnologiche, di manufatti diversi e estremamente significativi, costituiti da pozzi verticali, calcararoni, calcarelle e da cumuli di rosticcio. Elementi di siti minerari per l'estrazione dello zolfo abbandonati per esaurimento, la cui presenza testimonia che nel sito di Monte Grande, per quello che riguarda la frequentazione legata allo sfruttamento del metalloide, non vi è stata soluzione di continuità sino agli ultimi decenni del XIX sec. Il nuovo e l'antico si coniugano in maniera inscindibile; spesse volte la fornace moderna si sovrappone alla fornace protostorica che talvolta è coperta da uno spessissimo strato di rosticcio rinascimentale e moderno.
Tale insediamento produttivo era formato oltre che dalle strutture proprie della "zolfara", anche da quelle abitative, considerata l'enorme distanza del sito dal centro abitato.
Sono stati riscontrati infatti ruderi di edifici, da identificare con le abitazioni dei minatori e delle loro famiglie. Nella parte più a monte, rispetto al probabile insediamento abitativo, vi era un piccolo edificio che sembra identificabile come una chiesetta, cosa che avvalora che il centro minerario era abitato.
Il mancato ammodernamento tecnologico e la marginalità geografica, aggravata dall'ormai vetusto sistema di trasporto dello zolfo, determinarono, alla fine del secolo scorso, l'abbandono delle miniere che comunque da quel momento in poi, probabilmente, furono sfruttate per un'attività molto esigua.
La miniera non è un luogo di riferimento concentrato e puntiforme, ma piuttosto il luogo di un sistema di estrazione legato a un sistema di architetture e manufatti che riguarda aree di no-tevole dimensione e consistenza da preservare sia per i valori intrinseci, esemplari dell'archeologia industriale siciliana, sia per le connessioni con il sistema economico, storico, produttivo del territorio.
Altri elementi connotanti il paesaggio sono una molteplicità di edifici e di manufatti di tipo civile, difensivo, produttivo, estremamente diversificati per origine storica e per caratteristiche architettoniche e costruttive.
A 5 Km. ad ovest della città di Palma di Montechiaro si erge, su un terrazzo roccioso in località "Capreria", il castello, costruito nel 1358 da Federico III Chiaramonte conte di Modica (vincolato ai sensi della legge n. 1089/39).
Il fortilitium mirabile presenta una pianta irregolare uniformandosi al terreno su cui insiste. Svetta sugli altri corpi di fabbrica, la torre, a pianta quadrilatera irregolare dettata dalle caratteristiche del terreno. La parte più integra di tutto il complesso, che denuncia il degrado e il dissesto causato da vari fattori nel corso dei secoli, è quella settentrionale, luogo della cappella.
L'accesso al castello è a sud. Vi si arriva percorrendo uno stretto ed aspro sentiero ricavato dal taglio della roccia ai margini dell'alta scogliera: una porta archiacuta poi immette in un cortiletto esterno e da qui infine si arriva al piano del castello. Gli alloggi, dislocati a ponente e a mezzogiorno, sono oramai inesistenti: restano in piedi solo le cortine murarie realizzate in conci di pietra e malta. I camminamenti di ronda e alcuni ambienti, tra i quali la cappella, si conservano solo sul lato nord. Le merlature di coronamento sono evidenti sui lati settentrionale e meridionale.
Dall'alloggio baronale (non più esistente), che insisteva sul lato meridionale da cui si gode la vista della stupenda riviera sottostante, si accedeva alla torre che si svolge su 3 elevazioni eccessibili attraverso una stretta scala. I 3 piani coperti a volta prendono luce da finestre archiacute dislocate sulle quattro pareti.
Il castello, di particolare caratterizzazione paesaggistica, è po sto sulla sommità di una rupe dominante il mare, il fondo cerearicolo "nudo" dell'intorno e il percorso verso l'entroterra per il controllo della circolazione delle merci.
In assenza di vere e proprie strade, le trazzere di comunicazione tra la costa e l'entroterra, da identificare forse come traccia dell'antica rete romana, costituivano una viabilità naturale che ri spon deva a due fini opposti: assicurare le comunicazioni e al tempo stesso l'incomunicabilità a fini difensivi. Il complesso sistema di castelli medievali esercitava infatti sulle valli un rilevante ruolo di controllo territoriale interno e costituiva scacchiere strategico per operazioni di difesa a vasto raggio, in un quadro nel quale castelli, centri abitati e condizioni naturali risultavano uniti da un legame strettissimo.
Quando si intensificò il fenomeno della pirateria e nel corso del cinquecento la frequenza e la pericolosità delle incursioni turche assunsero proporzioni tali da porre in primo piano il problema della difesa del territorio dagli attacchi esterni, il castello mutò la propria funzione originaria di sicurezza interna in funzioni difensive e di avvistamento, collegandosi all'altro sistema in costruzione delle torri di avvistamento costiero.
Inoltre, fanno parte del patrimonio insediativo del territorio in esame una serie di edifici di carattere abitativo e produttivo di valore storico testimoniale che documentano momenti e modi di vita e di lavoro nelle zone rurali, pur essendo di piccole dimensioni e di "povera" architettura. Direttamente collegato con l'uso del suolo, la presenza di masserie rimanda ad una organizzazione capillare ai fini agricoli, che tra distruzioni e ricostruzioni, attraverserà pressocché indenne l'età romana, la bizantina, l'islamica e la medievale. Tale organizzazione contribuirà ad individuare un paesaggio agricolo connotato dalla presenza di manufatti puntuali d'uso rurale, giunto sino ad età moderna (bagli, masserie) e che caratterizza ancora oggi il nostro territorio.
Il paesaggio costiero, aperto verso il mare d'Africa, è caratterizzato da numerose piccole spiagge strette delimitate da scarpate di terrazzo e da balze. Il paesaggio è di eccezionale bellezza ancora non alterato e poco compromesso da urbanizzazioni e da case di villeggiatura, ma soggetto a forti rischi e a pressioni insediative. Da Monte Grande la visione spazia libera verso ponente sino al promontorio di Capo Rossello includendo la magnifica Valle dei Templi ed il panorama delle blande colline della Sicilia centro meridionale.
Il paesaggio è segnato dall'articolato percorso dei torrenti incisi sugli isteriliti colli argillosi e da distese che contrastano con le formazioni marnose, rotte qua e là da calanchi e da spuntoni rocciosi.
I caratteri del paesaggio risultano ancora oggi profondamente incisi dal tipo di utilizzazione del suolo e dal sistema di proprietà vigente nel passato. I segni possono leggersi per la diffusione delle grandi estensioni di campi aperti legate da sempre alla coltura cerearicola e alla dominante grande proprietà feudale.
In tal senso il paesaggio costituisce la sintesi espressiva della natura e della storia di quei luoghi. Di fatto tutte le caratteristiche sopra delineate, culturali e naturali, insieme costituiscono una connotazione "unica" e di rara bellezza, peculiare di questa parte di territorio costiero.
Il quadro che si offre al visitatore che si introduce, godibile da ogni suo punto di vista, assume aspetti suggestivi rafforzati da una modesta presenza dell'azione antropica.
Dal mare è possibile percepire, anche in lontananza, Punta Bianca, come un faro naturale. Il contrasto cromatico tra il blu del mare limpido ed il bianco dei trubi che protendono verso esso, quasi modellati dall'azione scultorea della natura, costituisce un segno di grande rilievo estetico -percettivo.
Le connnotazioni di pregio paesaggistico di quest'ambiente, oltre a quelle illustrate di tipo storico e naturalistico, sono anch'esse riferibili all'accentuata naturalità dell'ambiente umido.
La vegetazione tipica di questi ambienti, (palme nane, salsole, ampelodesma) con il suo limitato sviluppo in altezza e la sua diffusione planimetrica accentua e caratterizza la conformazione orogralica della zona, esaltandone il contrasto con i rilievi circostanti sia dal punto di vista morfologico che da quello cromatico.
Ne risulta un paesaggio estremamente variegato, dotato di eccezionali punti di vista sui rilievi e di nicchie ecologiche di rilevante interesse in corrispondenza delle gole, che con andamento perpendicolare alla linea di costa consentono la penetrazione verso l'entroterra delle presenze floro faunistiche descritte in precedenza.
Per tutto quanto sopra descritto, il territorio in esame presenta elementi di grande interesse, per la persistenza di alcuni dei caratteri della vegetazione naturale, per l'essere inserito in un contesto paesaggistico di grande pregio non compromesso da vistosi interventi insediativi a carattere speculativo, per i caratteri geomorfologici, percettivi ed in generale ambientali e per la compresenza di un variegato patrimonio culturale.
In considerazione che per i siti descritti, i principali elementi di criticità sono connessi alle dinamiche di tipo edilizio nelle aree prospicienti la costa, più appetibili per fini turistico-insediativi e alle caratteristiche strutturali delle formazioni vegetali, generalmente avviate verso lenti processi di rinaturazione il cui esito può essere fortemente condizionato dalla persistenza di fattori di limitazione, quali il pascolo, l'incendio e l'antropizzazione, la commissione ritiene di proporre a vincolo ai sensi dell'art. 1 della legge n. 1497/39 il territorio perimetrato così come di seguito indicato.
In tale contesto di eccezionale rilevanza la commissione ritiene infine che, soprattutto per le aree prospicienti il mare, solo modeste opere con caratteristiche tipologiche proprie della tradizione del l'architettura rurale, potrebbero non influire negativamente sull'esigenza di salvaguardia delle aree il cui pregio, sotto vari aspetti, è stato sopra descritto. Fermo restando la prioritaria necessità di salvaguardia degli habitat ecologici naturali e seminaturali delle specie vegetali e della fauna selvatica protetta ai sensi delle direttive CEE nn. 79/409 e 42/93.
Perimetro ricadente nel comune di Agrigento
Dalla foce del vallone di Sumera si sale il suo letto sino ad incontrare la strada che congiunge la via Cavaleri Magazzeni alla strada statale 115; si prosegue verso oriente lungo questo tratto di strada sino ad intersecare la linea di confine comunale, per poi proseguire lungo tale confine sino al punto in cui detto confine interseca il vallone Monte Grande; da questo punto si prosegue lungo il vallone sino alla sua foce.
Perimetro ricadente nel comune di Palma Montechiaro
Dalla foce del vallone di Monte Grande si sale sino al punto in cui si interseca il limite del territorio comunale, che si percorre sino a raggiungere la strada che congiunge la via Cavaleri Magazzeni alla statale 115; da qui si prosegue sino ad incontrare di nuovo il perimetro comunale che si segue fino al punto in cui questo interseca la S.S. 115 al km 203,5 circa; si prosegue da questo punto lungo il tracciato della strada verso est sino ad incontrare il ramo occidentale del vallone di Montechiaro; si scende lungo il suo letto sino ad incontrare la trazzera (che nel suo proseguimento verso nord-ovest conduce al Piano Carrubba) che si segue verso sud sino ad incontrare la strada vicinale Castello Montechiaro; da questo punto spostandosi verso ponente per circa 50 mt. si percorre in direzione sud-est la strada che conduce in località Giardinazzo, percorrendola interamente sino al mare lungo il suo braccio orien tale.
(Omissis)
  Il presidente: FIORENTINI 
  Il componente: FONTANA 
  Il membro aggregato: INFANTINO 
  Il segretario: MARRELLA 



Allegato A





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