REPUBBLICA ITALIANA
GAZZETTA UFFICIALE
DELLA REGIONE SICILIANA

PARTE PRIMA
PALERMO - VENERDÌ 2 GIUGNO 2000 - N. 26
SI PUBBLICA DI REGOLA IL VENERDI'

DIREZIONE, REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE: VIA CALTANISSETTA 2/E - 90141 PALERMO
INFORMAZIONI TEL 6964930 - ABBONAMENTI TEL 6964926 INSERZIONI TEL 6964936 - FAX 6964927

AVVERTENZA
Il testo della Gazzetta Ufficiale è riprodotto solo a scopo informativo e non se ne assicura la rispondenza al testo della stampa ufficiale, a cui solo è dato valore giuridico. Non si risponde, pertanto, di errori, inesattezze ed incongruenze dei testi qui riportati, nè di differenze rispetto al testo ufficiale, in ogni caso dovuti a possibili errori di trasposizione

Programmi di trasposizione e impostazione grafica di :
Avv.Michele Arcadipane

SUPPLEMENTO ORDINARIO

SOMMARIO

LEGGI E DECRETI PRESIDENZIALI

DECRETO PRESIDENZIALE 11 maggio 2000.
Piano sanitario regionale 2000/2002.




DECRETO PRESIDENZIALE 11 maggio 2000.
Piano sanitario regionale 2000/2002.
IL PRESIDENTE DELLA REGIONE

Visto lo Statuto della Regione;
Viste le leggi regionali 29dicembre 1962, n. 28 e 10 aprile 1978, n. 2;
Vista la legislazione nazionale e regionale in materia sanitaria;
Viste, in particolare, le leggi regionali 1 settembre 1993, n. 25 e 3 novembre 1993, n. 30;
Visto il decreto legislativo 18 giugno 1999, n. 200;
Visto il decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229;
Considerato che la Regione deve dotarsi del Piano sanitario regionale finalizzato alla tutela della salute fisica e psichica dei cittadini alla luce delle necessità emerse dalla valutazione epidemiologica dello stato di salute della popolazione siciliana, mediante la razionalizzazione delle risorse disponibili, la qualificazione ed il contenimento della spesa sanitaria;
Considerato che il Piano sanitario regionale per il triennio 2000/2002 rappresenta il piano strategico degli interventi per raggiungere gli obiettivi di salute e soddisfare le specifiche esigenze della popolazione regionale, contemperandole agli obiettivi del P.S.N. vigente, ed, inoltre, consente di dare attuazione a specifiche disposizioni di legge ed, in particolare, ai contenuti del citato decreto legislativo n. 229/99, nonché, per tutto quanto è possibile recepire ed innovare compatibilmente con i rinvii normativi nello stesso contenuti;
Preso atto del parere favorevole sulla bozza di Piano sanitario regionale reso dal Consiglio regionale di sanità nella seduta del 28 ottobre 1998;
Considerato che è stato acquisito il parere favorevole reso con modificazioni dalla competente Commissione legislativa "Sanità" dell'ARS, nella seduta n. 114 del 22 marzo 2000;
Considerato che si è altresì acquisito il parere espresso dal Ministero della sanità - Dipartimento della programmmazione - n. 100.SCPS.III.6367 del 20 aprile 2000;
Vista la deliberazione n. 105 del 27 aprile 2000, con la quale la Giunta regionale, nell'apportare limitate, motivate, modifiche ed integrazioni al testo sul quale la Commissione legislativa dell'A.R.S. ha reso parere favorevole, ha approvato il Piano sanitario regionale 2000/2002;
Su proposta dell'Assessore regionale della sanità;
Decreta:


Art. 1

Ai sensi e per gli effetti dell'art. 54 della legge regionale 3 novembre 1993, n. 30, è approvato il Piano sanitario regionale 2000/2002 nel testo allegato (allegato A) al presente decreto.

Art. 2

Il Piano sanitario regionale di cui all'art. 1 ha validità triennale dalla data di emanazione del presente decreto.

Art. 3

L'Assessore regionale per la sanità è incaricato di provvedere all'esecuzione del P.S.R. approvato.
Palermo, 11 maggio 2000.
  CAPODICASA 


Allegato A
PIANO SANITARIO REGIONALE 2000/2002

PREMESSA
Il decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 che ha modificato il decreto legislativo n. 502/92 ha ulteriormente definito il processo di riforma del sistema sanitario iniziato con la legge n. 833/78, ribadendo la tutela della salute pubblica come diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività, garantiti, nel rispetto della dignità della persona umana, dal SSN definito quale complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei servizi sanitari regionali e delle altre funzioni e attività svolte dagli enti ed istituzioni di rilievo nazionale nell'ambito dei conferimenti previsti dal decreto legislativo n. 112/98, nonché delle funzioni conservate allo Stato dal medesimo decreto.
Con le leggi regionali 1 settembre 1993, n. 25 e 3 novembre 1993, n. 30, il legislatore ha innovato profondamente il procedimento stabilito per l'adozione del Piano sanitario regionale (PSR), prevedendo che esso sia "approvato con decreto del Presidente della Regione, previa delibera della Giunta regionale, su proposta dell'Assessore regionale per la sanità, sentito il Consiglio sanitario regionale, acquisito il parere della Commissione legislativa "Servizi sociali e sanitari" dell'Assemblea regionale siciliana".
In tale ambito normativo il PSR rappresenta il piano strategico degli interventi per raggiungere gli obiettivi di salute e soddisfare le specifiche esigenze della popolazione regionale contemperandole agli obiettivi del Piano sanitario nazionale vigente.
Il PSR consente inoltre di dare attuazione a specifiche disposizioni di legge ed in particolare ai contenuti del decreto legislativo n. 229/99 per tutto quanto è possibile recepire ed innovare compatibilmente con i rinvii normativi nello stesso contenuti.
Alla pianificazione sanitaria è stato quindi delegato dal legislatore regionale anche il delicato compito di definire i modelli organizzativi dell'azienda unità sanitaria locale e dell'azienda ospedaliera, tenendo conto delle specifiche esigenze del territorio, delle risorse (finanziarie, di strutture e di personale) disponibili e dei parametri ed indici stabiliti dalla normativa vigente.
Inoltre esso consente di tenere conto degli obiettivi prefissati nel Piano sanitario nazionale 1998-2000 contemperandoli con le necessità di questa Regione anche mediante l'attivazione di strumenti agili e partecipati in grado di garantire la corretta e concreta attuazione del Piano assicurando la centralità dell'utente del sistema sanitario nella piena attuazione dell'art. 14 del decreto legislativo n. 502/1992 e successive modifiche ed integrazioni.
1.  ASSETTO ISTITUZIONALE DEL SERVIZIO SANITARIO REGIONALE
Alla luce della vigente normativa, l'assetto istituzionale del Servizio sanitario regionale si articola in tre differenti livelli: Regione, Azienda sanitaria, Enti locali.
1.1.  LA REGIONE
I compiti più importanti della Regione sono:
-  sviluppare le politiche regionali e i piani generali e di settore per garantire alla popolazione il raggiungimento e l'erogazione di livelli di assistenza essenziali ed uniformi;
-  svolgere attività di indirizzo, coordinamento e verifica;
-  valutare le attività delle aziende attraverso opportuni indicatori di risultato che diano informazioni sugli obiettivi prefissati;
-  coordinare il Sistema informativo sanitario regionale;
-  individuare e quantificare le risorse da assegnare in funzione della soddisfazione dei livelli essenziali di assistenza e dei programmi e progetti dedicati individuati nel presente Piano;
-  coordinare la formazione e l'aggiornamento del personale;
-  coordinare e supervisionare i programmi di qualità e di accreditamento.
-  promuovere lo sviluppo della qualità anche tramite l'istituto dell'accreditamento.
1.2. L'AZIENDA SANITARIA
Il decreto legislativo n. 229/99 modificativo del decreto legislativo n. 502/92 ha definito il processo di aziendalizzazione delle U.S.L. definite aziende con personalità giuridica pubblica ed autonomia gestionale, la cui organizzazione e funzionamento sono disciplinati con atto aziendale di diritto privato nel rispetto dei principi e dei criteri stabiliti con la emananda legge regionale prevista dallo stesso decreto legislativo n. 229/99 (art. 2, comma 2 sexies lettera b).
Tali aziende informano la propria attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità nel rispetto del vincolo di bilancio attraverso l'equilibrio dei costi e ricavi compresi i trasferimenti di risorse finanziarie.
L'Azienda sanitaria, ai sensi dell'art. 9 del decreto legislativo n. 229/99, può attivare l'erogazione di prestazioni di medicina non convenzionale.
Gli organi istituzionali dell'azienda sanitaria sono rappresentati dal Direttore generale e dal Collegio sindacale.
Il Direttore generale è coadiuvato nell'esercizio delle proprie funzioni dal Direttore amministrativo e dal Direttore sanitario, nonchè dal Collegio di direzione per le attività indicate dall'articolo 17 del decreto legislativo n. 229/99 e dal Consiglio dei sanitari. Il Direttore generale può avvalersi inoltre di un apposito ufficio di staff composto da personale con qualifiche ed in numero adeguato allo svolgimento dei compiti propri tenuta presente la complessità delle funzioni svolte e la tipologia delle prestazioni erogate.
Per quanto concerne il servizio di psicologia, il servizio infermieristico e il servizio sociale si fa riferimento a quanto al riguardo contenuto nel punto 1.2.4.
1.2.1.  L'Azienda unità sanitaria locale (AUSL)
La gestione della Azienda U.S.L. è caratterizzata dalla presenza al suo interno di un forte centro decisionale, il Direttore generale, il quale provvede alla nomina del Direttore sanitario e del Direttore amministrativo stabilendo, attraverso l'instaurarsi di un rapporto fiduciario, una omogenea direzione dell'Azienda.
La direzione si avvale per il governo delle attività cliniche, la programmazione e la valutazione delle attività tecnico-sanitarie e di quelle ad alta integrazione sanitaria del Collegio di direzione e dal punto di vista tecnico-sanitario della consulenza del Consiglio dei Sanitari previsto quale organo rappresentativo delle diverse professionalità.
Tale organizzazione tende a realizzare un recupero dell'efficienza anche attraverso una più chiara identificazione dei diversi livelli di responsabilità.
In tale quadro la scelta del Dipartimento quale modello ordinario di gestione operativa è una modalità attraverso la quale si perviene all'aggregazione per obiettivi delle diverse professionalità ed a un equilibrato rapporto decisionale e di partecipazione.
Nell'ambito territoriale l'assetto organizzativo della AUSL conferma e valorizza la funzione del Distretto sanitario in un sistema finalizzato essenzialmente ad assicurare al cittadino un più facile accesso al Servizio sanitario.
Dalla A.U.S.L. dipendono altresì i presidi ospedalieri non costituiti in aziende autonome.
L'Azienda USL dunque:
-  è responsabile degli aspetti organizzativi e gestionali e dei programmi generali da svolgere per raggiungere gli obiettivi definiti dalla Regione. Il suo compito è quello di garantire la salvaguardia della salute dei cittadini attraverso l'erogazione dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza fissati dalla Regione integrando gli stessi con gli interventi concertati a livello territoriale con gli enti locali, nonché le quote di partecipazione ai servizi integrati per le spese sociali di rilievo sanitario (articolo 3-septies comma 6 del decreto legislativo n. 229/99);
-  cura il monitoraggio e la supervisione dei progetti operativi ;
-  eroga la spesa.
1.2.2.  L'Azienda ospedaliera
Gli ospedali costituiti in azienda ospedaliera hanno gli stessi organi previsti per la Azienda USL come disposto dal comma 1 dell'art. 4 del decreto legislativo n. 502/92 e successive modifiche ed integrazioni.
Nella Regione siciliana sono attualmente costituiti in azienda ospedaliera con personalità giuridica e con autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica gli ospedali di rilievo nazionale e gli ospedali destinati a centro di riferimento della rete dei servizi d'emergenza di 3° e di 2° livello, di cui all'art. 4 del decreto legislativo sopra citato e individuati con legge regionale n. 11 aprile 1995, n. 34. Tale organizzazione è confermata fino all'applicazione di quanto previsto dai commi dall'1 bis all'1 octies dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 502/1992 come modificato dal decreto legislativo n. 229/99.
La gestione dell'azienda ospedaliera "è informata al principio dell'autonomia economico finanziaria e dei preventivi e consuntivi per centri di costo basati sulle prestazioni effettuate".
1.2.3.  L'Azienda ospedaliero-universitaria
Le aziende ospedaliero-universitarie sono parte integrante della Rete ospedaliera regionale nel cui ambito sono aziende di terzo livello. La legislazione vigente ed in particolare il decreto legislativo n. 517/99 ha innovato profondamente l'assetto dei policlinici universitari integrandoli nel Servizio sanitario nazionale, ferme restandone tuttavia le peculiari caratteristiche derivanti dall'essere gli stessi sede naturale ed istituzionale della didattica e della ricerca, attività rispetto alle quali l'assistenza agli infermi continua a svolgere una funzione sostanzialmente strumentale e quindi necessaria ed inscindibile.
Questo essendo il quadro normativo e fattuale di riferimento, la collaborazione tra SSN ed Università si realizza per il tramite di aziende ospedaliero-universitarie, operanti per un quadriennio, in via sperimentale.
A tale peculiare caratteristica, derivante dall'essere le aziende predette soggetti e sede di sperimentazione organizzativa e gestionale nei rapporti Regione-Università, consegue la necessità del coinvolgimento dell'Università per il tramite delle aziende ospedaliero-universitarie negli interventi di collaborazione con privati, ivi comprese le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, con modalità e risorse analoghe con quelle proprie dell'attività di sperimentazione gestionale già in corso nella Regione siciliana.
Inoltre, poiché costituiti, secondo quanto previsto dall'art. 2 del decreto legislativo n. 517/99 in aziende dotate di autonoma soggettività giuridica, pienamente integrate con il SSN ed inserite nella Rete ospedaliera, sussiste per i policlinici l'obbligo di attuare gli interventi di rimodulazione organizzativa disposti dall'Amministrazione regionale ai sensi delle leggi nn. 382/96 e 662/96.
Tali interventi ove già assunti con atto formale dall'Università e approvati o in corso di approvazione da parte dell'Amministrazione regionale, fanno parte integrante del presente Piano sanitario regionale, ferma restando, ovviamente, la possibilità di procedere a loro successiva modifica o integrazione alla stregua delle vigenti prescrizioni normative.
In relazione, infine, alla rilevata integrazione esistente tra aziende ospedaliero-universitarie e SSN deve riconoscersi la sussistenza di una equiordinazione tra queste ultime e gli enti del Servizio sanitario nazionale, per quanto concerne il riparto delle risorse destinate agli interventi strutturali in favore delle aziende sanitarie ed ospedaliere.
1.2.4. Il Direttore generale
Il Direttore generale ai sensi dell'art. 3 comma 1 quater del decreto legislativo. n. 229/99 adotta l'atto aziendale di cui al comma 1 bis dello stesso art. 3 del predetto decreto legislativo, è responsabile della gestione complessiva ed è coadiuvato nelldelle proprie funzioni dal Direttore amministrativo e dal Direttore sanitario.
Sono posti in staff al Direttore generale:
1) la struttura per l'implementazione del "Sistema qualità aziendale" individuata ai sensi del decreto Assessore della sanità del 24 dicembre 1997, n. 24216.
2) l'U.O. della formazione permanente e l'aggiornamento del personale;
3) l'U.O. del sistema informativo e statistico;
4) l'U.O. programmazione e controllo di gestione;
5) l'Ufficio relazioni con il pubblico;
6) il Servizio di prevenzione e protezione istituito all'interno dell'Azienda, ai sensi del decreto legislativo n. 626/94, come modificato dal decreto legislativo n. 242/96;
Al fine di migliorare il coordinamento tra le varie funzioni dello staff è possibile prevedere l'accorpamento di unità operative dipendenti dal Direttore generale (come per esempio formazione ed Ufficio relazioni con il pubblico).
Con riferimento alla legge regionale n. 25/96 ed al fine di soddisfare i bisogni di salute della persona attraverso percorsi assistenziali integrati, presso ciascuna AUSL viene istituito un Servizio autonomo di psicologia, interdistrettuale, alle dirette dipendenze del Direttore generale con compiti di programmazione, indirizzo, promozione e valutazione di tutte le attività psicologiche dell'Azienda ferma restando l'integrazione funzionale degli psicologi nelle U.O. di appartenenza comprese quelle distrettuali di psicologia.
Ai sensi dell'articolo 3, comma 1-bis del decreto legislativo n. 502/92 come modificato dal decreto legislativo. n. 229/99 il Direttore generale provvede alla definizione dell'atto aziendale. Nell'atto aziendale sono inserite, tra l'altro, le indicazioni per la disciplina ed il funzionamento del Collegio di direzione. In particolare, il Collegio di direzione, oltre a svolgere le funzioni previste dall'articolo 17 del decreto legislativo n. 502/92 come modificato dal decreto legislativo. n. 229/99, definisce, avvalendosi dei responsabili delle funzioni "Qualità e formazione", il piano di sviluppo della qualità aziendale per la realizzazione del "Sistema qualità aziendale" ai sensi del decreto Assessore della sanità 24 dicembre 1997, n. 24216.
Nelle more dell'approvazione della legge regionale di cui all'articolo 2, comma 2-sexies, lettera b), del decreto legislativo n. 502/92, come modificato dal decreto legislativo. n. 229/99, l'Assessore regionale per la sanità emanerà direttive sulla predisposizione dell'atto aziendale.
Le funzioni di responsabile di dipartimento, di distretto, di servizio, di unità operative, sono attribuite dal Direttore generale al personale in possesso dei requisiti professionali indicati dalla normativa vigente in materia di direzione e dai contratti di categoria.
1.2.5. Il Direttore amministrativo
Il Direttore amministrativo partecipa, unitamente al Direttore generale che ne ha la responsabilità, alla direzione dell'Azienda, assume dirette responsabilità delle funzioni attribuite alla sua competenza e concorre con la formulazione di proposte e pareri alla formazione delle decisioni del Direttore generale.
Inoltre cura la relazione di accompagnamento al bilancio preventivo ed al conto consuntivo da sottoporre all'approvazione del Direttore generale. E' preposto all'attivazione, alla gestione ed al controllo dei centri di costo, al controllo interno (ai fini della verifica dell'attività svolta dalle Unità operative amministrative, di cui all'art. 20 del decreto legislativo n. 29/93, predisponendo la relazione per il Direttore generale) nonché alla programmazione dell'attività di aggiornamento per il personale amministrativo.
Per lo svolgimento delle proprie funzioni e per quelle delegate dal Direttore generale, il Direttore amministrativo è coadiuvato da una segreteria che opera in stretto collegamento con l'ufficio di staff dello stesso Direttore generale.
1.2.6. Il Direttore sanitario
Il Direttore sanitario partecipa, unitamente al Direttore generale che ne ha la responsabilità, alla direzione dell'Azienda, assume dirette responsabilità delle funzioni attribuite alla sua competenza e concorre con la formulazione di proposte e pareri alla formazione delle decisioni del Direttore generale.
Per lo svolgimento delle proprie funzioni e per quelle delegate dal Direttore generale, il Direttore sanitario è coadiuvato da una segreteria che svolge attività di supporto.
La legge regionale n. 30/93 prevede che venga posta alle dirette dipendenze del Direttore sanitario, in ragione della "orizzontalità" del suo intervento, l'Unità operativa aziendale per l'educazione alla salute, le cui funzioni sono descritte nel paragrafo 6.6 del presente Piano.
Sono poste altresì alle dipendenze del Direttore sanitario il Servizio infermieristico e il Servizio sociale di cui all'art. 7, comma 7, della legge regionale n. 30/93, cui sono preposti rispettivamente un operatore professionale dirigente con funzioni didattico organizzative ed un assistente sociale coordinatore.
Compiti del servizio infermieristico sono:
-  formazione ed aggiornamento del personale di concerto con l'Ufficio per la formazione permanente dell'Azienda;
-  promozione delle attività proprie dei servizi.
I Servizi infermieristici svolgono la loro attività a supporto dei dipartimenti e/o dei distretti e/o delle U.O. di riferimento. Il personale afferente ai predetti servizi svolge la propria attività nella U.O. di appartenenza e secondo le indicazioni del dirigente della U.O. stessa.
Compiti dell'U.O. di servizio sociale sono:
-  formazione ed aggiornamento del personale di concerto con l'Ufficio formazione permanente dell'Azienda;
-  programmazione, organizzazione, indirizzo, coordinamento e gestione dell'attività sociale secondo la legge nazionale n. 84 del 23.3.1993 e la vigente normativa regionale.
L'U.O. di Servizio sociale si articola in UU.OO. di area dipartimentale e UU.OO. distrettuali.
Nelle Aziende ospedaliere viene istituita una U.O. di Servizio sociale alle dipendenze del Direttore sanitario come per le Aziende UU.SS.LL.
Compiti dell'U.O. di Servizio sociale sono quelli definiti dalla vigente normativa nazionale e regionale.
Al fine di razionalizzare e migliorare l'erogazione dell'assistenza sanitaria è prevista presso ogni Azienda sanitaria, ove siano presenti almeno 50 figure tecniche (tecnici di laboratorio, di emodinamica, di radiologia, di riabilitazione, etc.), l'istituzione della Unità operativa tecnico-professionale.
Sono compiti dell'U.O. tecnico-professionale:
-  la formazione e l'aggiornamento del personale sanitario tecnico di concerto con l'U.O. della formazione permanente e dell'aggiornamento del personale e con i responsabili delle U.O. di appartenenza.
-  la promozione delle attività sanitarie tecniche.
La U.O. è posta alle dirette dipendenze del Direttore sanitario. Essa svolge la propria attività a supporto dei dipartimenti e/o distretti e/o delle U.O. di riferimento del personale tecnico.
Il personale tecnico svolge la propria attività nelle U.O. di appartenenza e secondo le indicazioni del dirigente dell'U.O. stessa.
1.2.7. Il Collegio sindacale
Il Collegio sindacale:
a) verifica l'amministrazione dell'Azienda sotto il profilo economico;
b) vigila sull'osservanza della legge;
c) accerta la regolare tenuta della contabilità e la conformità del bilancio alle risultanze dei libri e delle scritture contabili ed effettua periodicamente verifiche di cassa;
d) riferisce almeno trimestralmente all'Assessorato regionale della sanità, anche su richiesta di quest'ultima sui risultati del riscontro eseguito, denunciando immediatamente i fatti se vi è il fondato sospetto di gravi irregolarità;
e) trasmette periodicamente, e comunque con cadenza almeno semestrale, una propria relazione sull'andamento dell'attività della Azienda unità sanitaria locale o dell'Azienda ospedaliera rispettivamente alla Conferenza dei sindaci o al sindaco del comune dove ha sede l'Azienda ospedaliera stessa.
I componenti del Collegio sindacale possono procedere ad atti di ispezione e controllo anche individualmente .
La composizione del Collegio sindacale è disciplinata dall'art. 3 ter, terzo comma, del decreto legislativo n. 229/99.
1.3. GLI ENTI LOCALI E LA PARTECIPAZIONE PROGRAMMATORIA
Un ruolo centrale spetta alle comunità locali sia nell'espressione dei bisogni che nella verifica dei risultati del Piano attuativo locale, nell'ottica di valorizzazione del rapporto tra utente ed Azienda sanitaria.
Uno degli elementi qualificanti ed innovativi del "Patto per la salute", il Piano sanitario nazionale 1998-2000 e delle modifiche introdotte dal decreto legislativo. n. 229/99 è infatti il ruolo affidato agli Enti Locali in seno alla programmazione sanitaria e socio sanitaria regionale e locale e la volontà di pervenire ad un'integrazione dei servizi sanitari con i servizi sociali a livello di Distretto.
In tale ottica va ricompresa la previsione di cui all'articolo 2, comma 2 bis, del decreto legislativo n. 229/99 che demanda alla legge regionale l'istituzione e la disciplina della Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale.
Sulla base delle linee-guida regionali, a livello delle Aziende unità sanitarie locali e/o dei distretti, l'integrazione socio sanitaria è garantita attraverso la consultazione periodica dei sindaci dell'area di operatività delle aziende e/o dei distretti.
2.  MODELLO ORGANIZZATIVO DEL SERVIZIO SANITARIO REGIONALE
2.1 IL DIPARTIMENTO
L'organizzazione dipartimentale è il modello ordinario di gestione operativa di tutte le attività delle Aziende sanitarie, ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo n. 229/99.
Il Dipartimento può essere definito come l'insieme di U.O., servizi ed altre strutture organizzative che mantengono la loro autonomia e responsabilità e nel contempo riconoscono la loro interdipendenza in funzione del raggiungimento di obiettivi comuni e adottano codici concordati e consensuali di comportamento con aspetti operativi accettati e condivisi; un tale modello organizzativo consente di conseguire i seguenti obiettivi:
-  la convergenza di competenza ed esperienza;
-  l'interdisciplinarietà;
-  la garanzia di continuità delle prestazioni prevenendo ridondanze di tempi e/o procedure inutili;
-  l'accorpamento secondo criteri di efficienza ed efficacia pratica.
Attraverso la dipartimentalizzazione è possibile operare per "processi" e condividere risorse finalizzate ad uno stesso obiettivo.
Si possono distinguere due diverse tipologie di Dipartimento:
A. Dipartimenti strutturali, che rappresentano le strutture il cui obiettivo principale è l'uso efficiente/ottimale delle risorse, con autorità sovraordinata rispetto alle unità operative o servizi che la compongono.
B. Dipartimenti funzionali, che coinvolgono "orizzontalmente" le unità operative ed hanno come obiettivo principale e diretto l'ottimizzazione delle procedure operative destinate al raggiungimento di un obiettivo ovvero delle pratiche assistenziali destinate a categorie di pazienti o a quadri clinici specifici ed altresì servono a massimizzare l'efficacia e la qualità della prestazione.
Il Dipartimento si articola al suo interno in strutture semplici e strutture complesse. Per struttura semplice si intende sia l'articolazione interna alla struttura complessa sia quella a valenza dipartimentale dotata di autonomia gestionale.
In ogni caso bisogna evitare la verticalizzazione gerarchica dal centro alla periferia, mantenendo così come previsto dal decreto legislativo n. 229/99 i diversi livelli di autonomia operativa rispettivamente dell'Azienda USL, del Distretto e del Presidio ospedaliero garantendo nello stesso tempo l'omogeneità degli interventi rispetto al disegno strategico dell'Azienda.
Il Direttore di dipartimento è nominato dal Direttore generale dell'azienda sanitaria tra i dirigenti con incarico di direzione delle unità operative (U.O.) complesse aggregate nel dipartimento; il Direttore del dipartimento rimane titolare della U.O. complessa cui è preposto. La preposizione ai dipartimenti strutturali, sia ospedalieri che territoriali e di prevenzione comporta l'attribuzione sia di responsabilità professionale in materia clinico-organizzativa e della prevenzione, sia di responsabilità di tipo gestionale in ordine alla razionale e corretta programmazione e gestione delle risorse assegnate per la realizzazione degli obiettivi attribuiti. A tal fine il Direttore del dipartimento predispone annualmente "il piano delle attività e dell'utilizzazione delle risorse disponibili", negoziato con la Direzione generale nell'ambito della programmazione aziendale. La programmazione delle attività dipartimentali, la loro realizzazione e le funzioni di monitoraggio e di verifica sono assicurate con la partecipazione attiva degli altri dirigenti e degli operatori assegnati al dipartimento. L'Assessore regionale per la sanità disciplinerà con successivo atto la composizione e le funzioni del Comitato del dipartimento nonché le modalità di partecipazione dello stesso alla individuazione dei direttori di dipartimento.
2.1.1. Dipartimento di prevenzione
Il Dipartimento di prevenzione è la struttura operativa dell'Azienda unità sanitaria locale che garantisce la tutela della salute collettiva perseguendo obiettivi di promozione della salute, prevenzione delle malattie e delle disabilità, miglioramento della qualità di vita. A tal fine il Dipartimento di prevenzione promuove azioni volte ad individuare e rimuovere le cause di nocività e malattia di origine ambientale, umana e animale, mediante iniziative coordinate con i distretti, con i dipartimenti dell'Azienda unità sanitaria locale e delle Aziende ospedaliere, prevedendo il coinvolgimento di operatori di diverse discipline. Partecipa alla formulazione del programma di attività dell'Azienda unità sanitaria locale, formulando proposte di intervento nelle materie di competenza ed indicazioni in ordine alla loro copertura finanziaria. In base alla definizione dei livelli essenziali di assistenza il Dipartimento di prevenzione garantisce le seguenti funzioni di prevenzione collettiva e sanità pubblica anche a supporto dell'autorità sanitaria locale:
a) profilassi delle malattie infettive e parassitarie;
b) tutela della collettività dai rischi sanitari degli ambienti di vita anche con riferimento agli effetti sanitari degli inquinamenti ambientali:
c) tutela della collettività e dei singoli dai rischi infortunistici e sanitari connessi agli ambienti di lavoro;
d) sanità pubblica veterinaria che comprende sorveglianza epidemiologica degli animali e profilassi delle malattie infettive parassitarie, farmacovigilanza veterinaria, igiene della produzione zootecnica, tutela igienico-sanitaria degli alimenti di origine animale;
e) tutela igienico-sanitaria degli alimenti ;
f) sorveglianza e prevenzione nutrizionale.
Il Dipartimento di prevenzione contribuisce inoltre alle attività di promozione della salute e di prevenzione delle malattie cronico-degenerative in collaborazione con gli altri servizi e dipartimenti aziendali.
Il Dipartimento di prevenzione ha autonomia organizzativa e contabile ed è organizzato in centri di costo e di responsabilità. Il Direttore del dipartimento è scelto dal Direttore generale tra i dirigenti con almeno 5 anni di anzianità di funzione e risponde alla direzione aziendale del perseguimento degli obiettivi aziendali, dell'assetto organizzativo della gestione, in relazione alle risorse assegnate.
Il Dipartimento di prevenzione si articola in tre aree dipartimentali:
1) area di sanità pubblica;
2) area di tutela della salute e sicurezza negli ambienti di lavoro;
3) area di sanità pubblica veterinaria.
Sono previste le seguenti strutture organizzative:
-  per l'area di sanità pubblica:
a) sanità pubblica, epidemiologia e medicina preventiva; in ottemperanza a quanto previsto dal P.S.N. ha il compito di contrastare le principali patologie che colpiscono la popolazione e provocano il maggior numero di decessi, di disabilità o malattie prevenibili attraverso interventi di prevenzione primaria e secondaria, ivi compresa la prevenzione odontoiatrica. Le aree cruciali di intervento sono: malattie cardio-cerebrovascolari, malattie neoplastiche, malattie infettive;
b) igiene degli ambienti di vita;
c) igiene degli alimenti e della nutrizione;
d) laboratori di igiene e profilassi;
-  per l'area di tutela della salute e sicurezza negli ambienti di lavoro:
e) prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro;
f) impiantistica e antinfortunistica; questa struttura organizzativa recepisce quanto previsto dal P.S.N. 1998-2000;
-  per l'area di sanità pubblica veterinaria:
g) sanità animale;
h) igiene della produzione, trasformazione, commercializzazione, conservazione e trasporto di alimenti di origine animale e loro derivati;
i) igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche.
Le strutture organizzative si distinguono in servizi o in unità operative, in rapporto all'omogeneità della disciplina di riferimento ed alle funzioni attribuite, nonché alle caratteristiche e alle dimensioni del bacino di utenza.
I servizi veterinari operano quali centri di responsabilità, dotati di autonomia tecnico-funzionale e organizzativa nell'ambito della struttura dipartimentale e rispondono al Direttore sanitario del perseguimento degli obiettivi del servizio, nonché della gestione delle risorse economiche attribuite.
Considerato che tra le attività che eroga il distretto sono collocate solo quelle con "particolare riferimento ai servizi alla persona" e pertanto non quelle riferite alla Sanità pubblica veterinaria, a livello distrettuale dovranno essere assicurate le tre U.O. di Sanità animale - Igiene della produzione, trasformazione, commercializzazione, conservazione e trasporto degli alimenti d'origine animale e loro derivati - Igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche, organizzate sotto la direzione di un responsabile tecnico-organizzativo.
Pertanto l'Area di Sanità Pubblica Veterinaria è così articolata:
a) a livello aziendale dovrà essere previsto un coordinamento organizzativo e di programmazione dell'area dipartimentale di Sanità Pubblica Veterinaria, salvaguardando la specifica autonomia tecnico-funzionale organizzativa delle tre strutture organizzative;
b) un livello di direzione tecnico-specialistica per ciascuno dei servizi in cui essa si articola.
c) un livello territoriale, di norma distrettuale, in cui operano èquipes organizzate sotto la direzione di un responsabile tecnico-organizzativo.
I Direttori generali, ove lo ritengano necessario, possono prevedere particolari U.O. complesse nei casi di specifiche esigenze territoriali e dimensioni del bacino d'utenza, tendenti a rendere le prestazioni di Sanità pubblica veterinaria dei vari operatori più vicine alla domanda sanitaria.
La direzione dell'area coincide con uno dei tre servizi di cui alla precedente lettera b), ad eccezione delle Aziende UU.SS.LL. di Palermo, Messina, Catania e Ragusa dove l'incarico della direzione dell'area non è cumulabile con altro incarico.
Considerati i compiti assegnati al Dipartimento di prevenzione in ciascuna azienda U.S.L., dovranno essere attivati, come servizi, almeno le attività di cui ai precedenti punti da B) "Igiene degli ambienti di vita" a I) " Igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche".
2.1.2. Dipartimento di salute mentale
Ogni Azienda sanitaria istituisce il Dipartimento di salute mentale, ispirandosi al modello organizzativo della struttura operativa o al modello tecnico funzionale.
Nelle province Catania, Messina e Palermo è necessario prevedere, in considerazione della vasta estensione territoriale, l'istituzione di almeno due Dipartimenti di salute mentale per ognuna delle tre province.
Il D.S.M. sarà articolato in più moduli tipo, cioè "sottounità" del D.S.M. che comprendono le componenti organizzative relative al corrispondente ambito territoriale. Ciascun modulo ha una direzione unica, sempre a garanzia dell'unitarietà e continuità degli interventi; esso serve un ambito territoriale tendenzialmente coincidente con uno o più distretti e con un bacino di utenza in ogni caso non superiore a 150.000 abitanti. I moduli tipo del D.S.M. sono anche centri di costo per un corretto monitoraggio della spesa.
Il Direttore del D.S.M. è responsabile della gestione del budget dipartimentale e delle risorse ad esso assegnate. Promuove attività di prevenzione primaria, tramite ricerche ed interventi sulle culture ed i contesti a rischio. Assicura il coordinamento tra le articolazioni organizzative e assicura altresì la prevenzione e la verifica degli interventi preventivi, nonchè la continuità dell'assistenza.
Il D.S.M., tenuto conto delle esigenze obiettive del territorio, ha tendenzialmente un organico di almeno un operatore ogni 1.500 abitanti così come previsto nel progetto obiettivo 1994-1996. In tale organico sono compresi medici psichiatri, psicologi, infermieri, terapisti occupazionali, terapisti della riabilitazione psichiatrica e psicosociale, sociologi, pedagogisti, assistenti sociali educatori, ausiliari oppure operatori tecnici di assistenza e personale amministrativo.
Ogni D.S.M. attiva un nucleo di valutazione e di miglioramento della qualità che agisce di supporto alle attività dirette a migliorare la qualità professionale, la qualità percepita e quella manageriale.
E' possibile prevedere la costituzione di un nucleo operativo di "psichiatria di collegamento" che, nel caso di più D.S.M. nell'ambito della stessa azienda, potrà avere valenza interdipartimentale. Tale nucleo operativo ha lo scopo di svolgere un'attività articolata ed elaborata, finalizzata ad una serie di obiettivi specifici quali la presa in carico totale dei pazienti ricoverati negli ospedali generali con emergenze psichiatriche e psicologiche e con disagi emotivi legati alle loro patologie organiche; collegamento strutturato e continuativo con i medici di famiglia, assistenza domiciliare, collaborazione ed integrazione con le associazioni di volontariato e del privato sociale.
Presso la direzione del Dipartimento è collocato il sistema informativo dipartimentale che raccoglie, elabora ed archivia i dati di struttura, processo ed esito.
I D.S.M. adotteranno, attivando idonei progetti di formazione, linee guida e procedure di consenso professionali per una buona pratica clinica.
Il Direttore di Dipartimento deve predisporre un "piano annuale di formazione ed aggiornamento del personale" del Dipartimento stesso con indicazione di un responsabile. Tale piano deve soddisfare il bisogno formativo specifico delle varie figure professionali e nello stesso tempo deve favorire la capacità di lavoro in èquipe.
La direzione del Dipartimento deve provvedere altresì alla stesura e relativa diffusione della parte riguardante i servizi di salute mentale della "Carta dei servizi" dell'Azienda di appartenenza.
Il presente PSR rinvia, per quanto non in contrasto, al "Progetto obiettivo tutela salute mentale 1998-2000" (D.P.R. 10 novembre 199).
Per le parti in contrasto tra il "Progetto obiettivo tutela salute mentale" nazionale ed il "Progetto obiettivo tutela salute mentale" regionale, entro il 31 dicembre 2000 l'Assessorato regionale della sanità formulerà, previa verifica, una proposta motivata risolutiva da sottoporre per il parere alla VI Commissione legislativa dell'ARS.
2.1.3 Dipartimento delle dipendenze patologiche
In linea con l'accordo Stato-Regioni per la "Riorganizzazione del sistema di assistenza ai tossicodipendenti" (Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 61/1999) e con l'emananda revisione del D.M. n. 440/1990 le AUSL istituiscono il Dipartimento funzionale delle dipendenze patologiche.
Tale dipartimento gestisce le attività dei SERT ed è costituito da U.O. che perseguono comuni finalità e che sono tra di loro interconnesse ed ha come obiettivo generale quello di sviluppare una serie di azioni concertate e coordinate nell'area ad elevata integrazione sanitaria delle dipendenze patologiche. Al dipartimento compete la programmazione, il coordinamento, la realizzazione e la valutazione del Progetto dipendenze patologiche anche per quello che concerne le risorse assegnate.
Le funzioni del Dipartimento sono le attività di programmazione e coordinamento e non l'erogazione di prestazioni preventive, assistenziali e riabilitative, che sono invece erogate dai SERT.
Il Dipartimento deve provvedere a:
-  contrastare efficacemente le dipendenze patologiche;
-  rilevare i bisogni assistenziali sulla base dei dati epidemiologici;
-  esercitare funzioni di controllo dell'efficacia e della qualità dell'assistenza erogata;
-  incentivare l'umanizzazione dei rapporti fra le strutture sanitarie, i pazienti e le loro famiglie;
-  individuare le soluzioni per ottimizzare l'accesso degli utenti e delle loro famiglie alla rete dei servizi sanitari pubblici e privati anche attraverso l'apertura di uno "sportello' per gli utenti;
-  formulare, in base all'attività di programmazione, il budget in rapporto agli obiettivi prioritari aziendali al fine di soddisfare le reali esigenze del territorio.
Il responsabile del Dipartimento deve essere individuato fra i dirigenti medici di struttura complessa in possesso dei requisiti individuati nel D.M. n. 444/90 e nella legge n. 45/99 e successive normative nazionali e regionali.
Il SERT è la struttura distrettuale di riferimento della AUSL nell'area della prevenzione, della cura e della riabilitazione delle dipendenze patologiche. Il responsabile del SERT è un dirigente medico in possesso dei requisiti previsti dal D.M. n. 444/90 e dalla legge n. 45/99 cui sono affidati compiti di direzione e controllo dell'assetto organizzativo complessivo del servizio che può prevedere anche un'articolazione in moduli funzionali (U.O. per le tossicodipendenze, U.O. alcoologiche, U.O. di prevenzione).
Il SERT opera nella nuova ottica del servizio territoriale inteso come servizio alla persona ed alla comunità, dove l'utente e la sua famiglia trovano una risposta personalizzata ad una pluralità di bisogni e garantisce, nell'ambito del Distretto, la necessaria integrazione sanitaria nei modi e nelle forme previste dalla normativa vigente.
2.1.4. Dipartimento delle cure primarie
Al fine di garantire l'omogeneità dell'intervento sanitario sul territorio delle Aziende sanitarie di Palermo, Messina e Catania, data la vastità del territorio interessato sia nella fase di prevenzione, che in quella di cura e riabilitazione, i Direttori generali possono istituire il "Dipartimento delle cure primarie". Tale dipartimento, di tipo funzionale, comprende le seguenti aree di attività:
-  assistenza sanitaria di base e specialistica di secondo livello;
-  assistenza agli anziani ed ADI;
-  medicina legale, fiscale e necroscopica.
Il dipartimento esercita compiti di indirizzo, coordinamento e verifica della qualità delle prestazioni erogate dalle strutture distrettuali ed assistenziali presenti nel territorio; mantiene le competenze in materia di attività collegiale di medicina legale (ivi compresa l'attività delle commissioni per il riconoscimento dell'invalidità civile), la gestione degli accordi e delle convenzioni, delle graduatorie degli incarichi e dell'anagrafe assistiti.
2.1.5. Dipartimento delle attività ospedaliere
Al fine di garantire l'omogeneità dell'intervento sanitario sul territorio delle Aziende sanitarie di Palermo, Messina e Catania, in considerazione della complessità della rete ospedaliera e della articolazione sul territorio, i Direttori generali possono istituire il "Dipartimento delle attività ospedaliere".
Tale dipartimento ha compiti di indirizzo, coordinamento e verifica delle attività assistenziali erogate in regime di ricovero dalle Strutture pubbliche e private.
2.1.6. Dipartimento del farmaco
In linea con le disposizioni del recente decreto legislativo n. 229/1999 che prevede l'organizzazione dipartimentale come modello ordinario di gestione si istituisce un Dipartimento funzionale ed autonomo del farmaco presso ogni Azienda unità sanitaria locale.
Tale struttura ha carattere interdistrettuale con funzioni di indirizzo tecnico scientifico e di gestione delle attività di stretta pertinenza dell'area del farmaco e ciò al fine di garantire livelli organizzativi omogenei in ambito aziendale.
Il Dipartimento funzionale del farmaco dovrà fornire uniformità delle prestazioni su tutto il territorio regionale, considerato il peso economico dell'assistenza farmaceutica ospedaliera e territoriale e dei compiti complessi di vigilanza, controllo e gestione che gli attuali settori farmaceutici sono chiamati a svolgere.
Le aziende per garantire adeguati livelli delle prestazioni terranno conto:
-  delle caratteristiche del territorio aziendale;
-  dell'organizzazione già esistente;
-  della qualità e della quantità delle prestazioni erogate e da erogare;
-  dell'attuale dotazione organica;
-  delle caratteristiche delle strutture.
Il Dipartimento funzionale del farmaco contribuisce, per quanto di stretta pertinenza, alla programmazione della politica farmaceutica, alla progettazione di protocolli terapeutici, alla verifica e alla valutazione dei risultati ottenuti; inoltre partecipa alle attività ed ai programmi di informazione e di educazione alla salute. La finalità ultima del Dipartimento funzionale del farmaco è quella di rendere il farmaco un bene di salute e non un semplice oggetto di consumo o una pura voce di bilancio aziendale.
Il Dipartimento funzionale del farmaco svolge infine un ruolo di coordinamento e di guida delle strutture organizzative dislocate a livello operativo, ferma restando la specifica responsabilità tecnico professionale, organizzativa e di risultato delle stesse, in funzione degli obiettivi stabiliti e delle risorse assegnate.
Gli obiettivi prioritari del Dipartimento funzionale del farmaco sono i seguenti:
-  accrescere il livello quali-quantitativo dell'informazione e documentazione sull'uso e le caratteristiche dei farmaci;
-  qualificare e razionalizzare l'impiego dei farmaci nelle strutture sanitarie dell'azienda, favorendo la riduzione della spesa;
-  potenziare l'attività di vigilanza nelle strutture pubbliche e private convenzionate
2.1.7. Dipartimento amministrativo
Le Aziende U.S.L. e le Aziende ospedaliere organizzano le attività amministrative in un unico dipartimento. Tale articolazione prevede l'espletamento delle funzioni amministrative sia in sede centrale sia in sede periferica a livello di dipartimento, di distretto e di presidio ospedaliero. Per garantire un'adeguata organizzazione amministrativa in tali sedi periferiche è necessario che il personale del suddetto dipartimento sia dipendente funzionalmente dai rispettivi responsabili dei distretti, dei presidi ospedalieri e dei dipartimenti.
Nelle AUSL di Catania, Messina e Palermo e per la loro dimensione le attività amministrative sono ricomprese nelle seguenti macroaree:
-  gestione delle risorse umane ;
-  gestione delle risorse economiche;
-  gestione appalti, patrimoni, convenzioni e servizi economati;
-  affari legali e contenzioso.
-  i direttori generali delle predette tre AUSL, ove lo ritengano necessario, possono organizzare tali 4 macroaree in dipartimenti.
2.2.  IL DISTRETTO SANITARIO
2.2.1.  Il Distretto sanitario. Ambito territoriale, funzioni ed organizzazione.
Il Distretto sanitario assicura i servizi di assistenza primaria relativi alle attività sanitarie e socio-sanitarie nonché il coordinamento delle proprie attività con quelle dei dipartimenti e dei presidi ospedalieri. Gli stessi (Distretto, Dipartimento, ospedale) di concerto tra di loro assicurano le attività territoriali. Al Distretto sono attribuite risorse definite in rapporto agli obiettivi di salute della popolazione di riferimento. Nell'ambito delle risorse assegnate il Distretto è dotato di autonomia tecnico-gestionale ed economico-finanziaria, con contabilità separate all'interno del bilancio dell'Azienda unità sanitaria locale.
Il programma delle attività territoriali, basato sul principio dell'intersettorialità degli interventi cui concorrono le diverse strutture operative:
a) prevede la localizzazione dei servizi successivamente menzionati;   

b) determina le risorse per l'integrazione socio-sanitaria e le quote rispettivamente a carico delle Aziende Unità Sanitarie Locali e dei comuni, nonché la localizzazione dei presidi per il territorio di competenza. Sulla base delle risorse assegnate e previo parere dei comitati dei sindaci del Distretto, tale programma è proposto dal Direttore di Distretto ed è approvato dal Direttore generale, d'intesa, limitatamente all'attività socio-sanitaria, con il comitato medesimo e tenuto conto delle priorità stabilite a livello regionale.
Il comitato dei sindaci di Distretto, la cui organizzazione ed il cui funzionamento sono disciplinati dalla Regione, concorre alla verifica del raggiungimento dei risultati di salute definiti dal programma delle attività territoriali.
I Direttori generali, con provvedimento da trasmettere all'Assessorato regionale della sanità, possono articolare i distretti in aree sub-distrettuali che sono "moduli funzionali flessibili tendenti a rendere le prestazioni sanitarie dei vari operatori più vicine alla domanda sanitaria". La loro identificazione dovrà tenere conto dei seguenti requisiti:
a) coincidenza con il territorio di uno o più comuni;
b) densità demografica e delle popolazioni animali;
c) presenza d'aree ad alto rischio con particolare riferimento alle isole minori ed alle zone disagiate;
d) viabilità e sistema dei trasporti;
e) flussi gravitazionali per cause occupazionali e sociali e frammentazione d'impianti d'interesse veterinario;
f) presenza di strutture funzionali e di personale.
I Distretti sanitari in Sicilia sono 62 e i loro ambiti territoriali corrispondono a quelli delle ex Unità sanitarie locali individuati con legge regionale 12 agosto 1980, n. 87 e successive modificazioni; gli ambiti territoriali e/o la istituzione di nuovi distretti potranno essere individuati con delibera di Giunta di Governo sentita la Commissione assembleare su proposta dell'Assessore regionale per la sanità.
2.2.2 Attività, risorse e sede del Distretto
L'organizzazione del Distretto assicura:
a) l'assistenza primaria, ivi compresa la continuità assistenziale, attraverso il necessario coordinamento e l'approccio multidisciplinare, in ambulatorio e a domicilio, tra medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, servizi di guardia medica notturna e festiva e i presidi specialistici ambulatoriali;
b) il coordinamento dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta con le strutture operative a gestione diretta, organizzate in base al modello dipartimentale, nonché con i servizi specialistici ambulatoriali e le strutture ospedaliere ed extraospedaliere accreditate;
c) l'erogazione delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale connotate da specifica ed elevata integrazione, nonché delle prestazioni sociali di rilevanza sanitaria se delegate dai comuni.
Il Distretto garantisce:
a) assistenza specialistica ambulatoriale;
b) attività o servizi per la prevenzione e la cura delle tossicodipendenze;
c) attività o servizi consultoriali per la tutela della salute dell'infanzia, della donna e della famiglia;
d) attività o servizi rivolti a disabili o anziani;
e) attività o servizi di assistenza domiciliare integrata;
f) attività o servizi per le patologie da HIV;
g) attività o servizi per le patologie in fase terminale;
h) attività o servizi legati alle patologie correlate all'immigrazione;
i) attività o servizi di medicina legale, fiscale e necroscopica.
Inoltre hanno sede nel Distretto:
-  le attività per l'educazione alla salute;
-  le attività di assistenza per i portatori di handicap ("Ufficio H") con il compito di accogliere ogni domanda relativa alle problematiche dell'handicap, fornire le possibili ed immediate risposte, avviare l'utente per la presa in carico da parte del SSR, tenere i rapporti con le associazioni di volontariato, gli enti locali e gli altri soggetti istituzionali che si occupano dell'handicap.
Fa parte del livello distrettuale l'assistenza sanitaria di base da garantire alla popolazione presente, a qualunque titolo. Si ritiene opportuno, per essi, applicare i principi del decreto legislativo 18 novembre 1995, n. 489, recante "Disposizioni urgenti in materia di politica dell'immigrazione e per la regolamentazione ingresso e soggiorno nel territorio nazionale dei cittadini dei Paesi non appartenenti all'Unione europea". Esso riconosce il diritto d'accesso alle prestazioni sanitarie ordinarie e continuative e non, come nel passato, solo a quelle che rivestono carattere d'urgenza. In particolare si riconosce il diritto d'accesso alle prestazioni di tipo preventivo, comprese le vaccinazioni e le norme di salvaguardia della salute della madre e del bambino, indipendentemente dalla posizione nei confronti del permesso di soggiorno.
Si ritiene, infatti, che in tale maniera si riconosca il diritto alla salvaguardia della salute a cittadini che si trovano già in condizioni di notevole disagio e per ciò stesso a rischio di malattia e, nel frattempo, si ottempera ad una delle più importanti attività di Sanità pubblica, quale la corretta identificazione ed il trattamento delle patologie diffusive.
Trovano inoltre collocazione funzionale nel Distretto le articolazioni organizzative dei Dipartimenti istituiti.
Le attività del Distretto vanno concentrate tendenzialmente in un'unica sede e, per il raggiungimento di tale scopo, dovranno essere tenuti presenti i seguenti principi:
a) accessibilità delle strutture;
b) completo utilizzo degli immobili di proprietà dell'Azienda con accelerazione dei lavori d'adeguamento delle strutture, di riconversione di strutture preesistenti (dando piena attuazione alle indicazioni contenute nella delibera di Giunta n. 446/96 approvata con decreto del Presidente della Regione n. 413/96) e di realizzazione di strutture nuove già finanziate e con graduale riduzione del ricorso al regime d'affitto;
c) qualità dei locali in relazione alle prestazioni ed al comfort degli utenti.
2.2.3. Direzione del Distretto
Il Direttore del Distretto realizza le indicazioni della direzione aziendale, gestisce le risorse assegnate al distretto in modo da garantire l'accesso della popolazione alle strutture ed ai servizi, l'integrazione fra i servizi e la continuità assistenziale. Il direttore del Distretto supporta la direzione generale nei rapporti con i sindaci del Distretto. Il direttore del Distretto si avvale di un ufficio di coordinamento dell'attività distrettuale composto da rappresentanti delle figure professionali operanti nei servizi distrettuali. Sono membri di diritto di tale ufficio un rappresentante dei medici di medicina generale, uno dei pediatri di libera scelta ed uno degli specialisti ambulatoriali convenzionati operanti nel distretto. L'incarico di direttore del Distretto è attribuito dal direttore generale ad un dirigente medico dell'Azienda che abbia maturato una specifica esperienza nei servizi territoriali ed un'adeguata formazione nella loro organizzazione, oppure ad un medico convenzionato da almeno 10 anni, con contestuale congelamento di un corrispondente posto di organico della dirigenza sanitaria.
2.2.4 Integrazione sociosanitaria
Una strategia finalizzata a promuovere e garantire l'integrazione tra assistenza sanitaria ed assistenza sociale trova il presupposto nelle seguenti considerazioni:
a) l'integrazione aggiunge valore all'assistenza sanitaria poiché consente di migliorarne l'efficacia, di svilupparne la continuità e di porre al centro del sistema sanitario il cittadino utente, in una visione multidimensionale del concetto di salute inteso come benessere fisico, psichico e sociale;
b) l'integrazione promuove la solidarietà e valorizza le risorse e gli investimenti di salute delle comunità locali;
c) l'integrazione valorizza diversi centri di responsabilità stimolando altresì sinergie sia al livello istituzionale (programmazione) che a livello organizzativo dell'Azienda e dei Comuni (assetto operativo);
d) la sede territoriale più appropriata per l'erogazione delle prestazioni integrate è il distretto.
Il quadro epidemiologico delle patologie che confluiscono in un'area "sociale" (materno-infantile, anziani, disabili, handicap, tossicodipendenza, patologie in fase terminale, patologie psichiatriche) determina l'esigenza di privilegiare forme assistenziali multidisciplinari in modo particolare quando tali patologie evolvono con esiti invalidanti e cronico-degenerativi per cui il mantenimento dell'autonomia o comunque la permanenza nel proprio ambiente di vita assumono il significato di indicatori di "qualità della vita".
Il Distretto, fermo restando le erogazioni dei livelli essenziali d'assistenza, opera per il raggiungimento degli obiettivi prefissati nel presente Piano sanitario in relazione anche a programmi definiti con i Comuni secondo modelli trasversali in cui confluiscono le diverse professionalità.
Il Distretto assicura altresì la continuità tra gli interventi del medico e del pediatra di base, della medicina specialistica e della medicina ospedaliera nonché tra gli aspetti preventivi, curativi e riabilitativi dell'assistenza sanitaria.
Il processo d'integrazione si realizza attraverso:
-  la condivisione nell'ambito delle funzioni del Distretto delle risorse umane e strutturali;
-  l'individuazione di obiettivi generali e specifici di soddisfacimento dei bisogni sanitari della popolazione, nonché dei percorsi per il loro raggiungimento attraverso l'elaborazione di programmi operativi con l'identificazione dei relativi responsabili e dei risultati da raggiungere;
-  l'individuazione del ruolo specifico e delle attività da svolgere, nonché delle risorse di personale da rendere disponibili al fine del raggiungimento dei suddetti obiettivi;
-  la definizione e la creazione di interrelazioni funzionali tra tali attività;
-  lo scambio di conoscenze tra operatori di diversa professionalità.
Le prestazioni socio-sanitarie sono tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, i bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie ed azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione.
Le prestazioni socio-sanitarie comprendono:
a) prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, cioè le attività finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi ed invalidanti di patologie congenite acquisite;
b) prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè tutte le attività del sistema sociale che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute.
2.2.5.  Personale dell'ex équipe pluridisciplinare, dei consorzi provinciali antitubercolari ed antitracomatosi e dei dispensari dermoceltici
Il personale delle ex équipes pluridisciplinari soppresse dal comma 14 dell'art. 55 della LR n.30/93, viene inquadrato nei Distretti e nei Dipartimenti che comprenderanno le funzioni degli ex settori di assistenza sanitaria di base ed è utilizzato prioritariamente per i compiti di prevenzione, cura e riabilitazione dell'handicap. Il personale medico delle soppresse équipes potrà essere inquadrato, a domanda, anche in un corrispondente posto di un presidio ospedaliero dell'AUSL d'appartenenza, in presenza delle seguenti condizioni:
-  non necessità di personale della stessa qualifica e disciplina nelle unità operative distrettuali dell'Azienda;
-  esistenza dell'unità operativa e del servizio nel presidio ospedaliero;
-  vacanza del posto nell'organico del presidio ospedaliero, con corrispondente necessità di garanzia della operatività del servizio.
Il personale medico predetto che alla data del 30/6/98 si trovava ad operare, svolgendo attività documentata, nelle unità operative delle Aziende ospedaliere, verrà inquadrato, a domanda, nelle corrispondenti unità operative a condizione della esistenza del corrispondente posto in organico.
Il personale dei pregressi consorzi provinciali anti-TBC, già inquadrato nelle piante organiche delle AUSL, deve essere impiegato prioritariamente nelle attività territoriali anche per la lotta alla tubercolosi.
Il personale dei dispensari dermoceltici e dei dispensari antitracomatosi, già inquadrato nelle piante organiche delle AUSL, dovrà essere assegnato ai servizi territoriali delle AUSL, con priorità nei compiti di medicina preventiva. Il personale medico proveniente da tali dispensari potrà essere assegnato, a domanda, ai presidi ospedalieri della AUSL, sulla base dei criteri indicati per il personale medico delle soppresse équipes pluridisciplinari.
2.3. IL PRESIDIO OSPEDALIERO
Il Presidio ospedaliero fornisce assistenza per tutte le patologie che richiedano prestazioni diagnostico -terapeutiche non erogabili con altrettanta efficacia ed efficienza a livello territoriale; può comprendere una o più strutture ospedaliere ed è da considerarsi quale struttura complessa dotata di autonomia tecnico-gestionale ed economico-finanziaria, soggetta a rendicontazione analitica, con contabilità separata all'interno del bilancio aziendale.
2.4.  LA RETE TERRITORIALE
La rete territoriale del Servizio sanitario regionale è costituita dalle seguenti articolazioni:
-  poliambulatori (centri sanitari);
-  residenze sanitarie assistenziali;
-  consultori familiari;
-  assistenza domiciliare.
Fanno parte altresì della rete territoriale le strutture sanitarie non ospedaliere operanti nell'ambito del Distretto nonchè le strutture private accreditate e già convenzionate.
Gli elementi della rete dovranno essere localmente integrati sia sul piano operativo sia attraverso opportuni percorsi a livello del Distretto.
Gli obiettivi prioritari della rete saranno l'integrazione e la qualificazione dell'assistenza, nonché la valutazione degli interventi effettuati.
I medici di base, i pediatri di libera scelta, gli specialisti ambulatoriali convenzionati interni, i soggetti ex convenzionati esterni oggi preaccreditati costituiscono una risorsa del Servizio sanitario regionale.
Gli specialisti ex convenzionati e provvisoriamente accreditati partecipano in modo paritario, insieme alle altre componenti, ad erogare l'assistenza specialistica ambulatoriale sul territorio nell'ambito dei principi generali dell'accreditamento pubblico privato.
2.4.1. Poliambulatori
I poliambulatori sono stati il luogo fisico d'erogazione delle prestazioni di 2° livello, con scarsissimi collegamenti sia con i medici di medicina generale che con i reparti ospedalieri. Nell'organizzazione di una rete territoriale di servizi essi sono identificati come punti nodali di grande rilievo, sede di prestazioni specialistiche, del tutto integrate con le altre figure professionali ed unità operative del Distretto o dei distretti che vi fanno riferimento.
Il numero, la tipologia e le ore delle attività specialistiche da fornire saranno concordate tra le differenti componenti istituzionali del Distretto sanitario e negoziate dal direttore del Distretto, in funzione delle risorse disponibili e dei livelli essenziali d'assistenza da garantire, con la direzione generale della AUSL.
Accanto a queste, in funzione delle professionalità presenti, delle esigenze della popolazione e dei dati epidemiologici saranno attivati servizi ambulatoriali collegati ai medici di medicina generale e alle unità operative ospedaliere ponendo in essere una rete di servizi che identificano il cittadino come il fulcro delle attività.
Per una migliore efficacia dell'intervento sanitario può essere attivato, a costi contenuti, un meccanismo d'aggiornamento periodico degli specialisti ambulatoriali e dei medici di medicina generale orientato alla condivisione di protocolli diagnostico-terapeutici concordati che permettano percorsi facilitati alle esigenze dei pazienti e che, complessivamente, offrano un servizio migliore.
Attività sicuramente da promuovere nel tempo, perché si riferiscono ad una patologia in aumento ed influiscono sulla qualità della vita sono i centri dedicati all'assistenza dei portatori di stomie intestinali, i centri di dialisi ad assistenza limitata.
La parola chiave per un miglioramento del servizio sanitario, in un sistema che rende disponibili sempre nuove tecnologie e nuovi farmaci ed in cui si debba razionalizzare l'uso delle risorse, è stata identificata nella "formazione permanente".
2.4.2. Le residenze sanitarie assistenziali
La legge n. 67/88, il decreto del Ministro della sanità n. 321/89 ed il decreto del Presidente della Regione siciliana del 25 ottobre 1999 (Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana 24 dicembre 1999) prescrivono una nuova tipologia di struttura sanitaria: la Residenza sanitaria assistenziale (RSA) per anziani o per disabili che viene definita come una struttura extraospedaliera finalizzata a fornire accoglimento, prestazioni sanitarie assistenziali e di recupero a persone anziane non autosufficienti o a persone disabili. Il predetto D.P.R.S. del 25 ottobre 19/99 ha approvato gli standards funzionali e strutturali delle RSA ed ha istituito presso l'Assessorato regionale della sanità l'albo degli enti pubblici e privati che intendono concorrere alla gestione dell'attività sociosanitaria erogata presso le RSA.
Esistono situazioni in cui per la persona anziana si verifica l'impossibilità di rimanere nel proprio domicilio e la contemporanea necessità di trattamenti sanitari continuativi. La RSA per anziani nasce come risposta a questi casi particolari, anche in considerazione della limitata consistenza e qualità dei servizi che attualmente vengono prestati a questa quota di popolazione.
Perché si determini la necessità del ricovero nella RSA occorre che l'anziano si trovi in condizione di non autonomia abitativo-sociale o sanitaria terapeutica.
Gli istituti per anziani autosufficienti e non, esistenti attualmente, offrono servizi di tipo residenziale, presentano costi particolarmente elevati a fronte del reddito medio di larghe fasce della popolazione anziana e delle loro famiglie. Il fatto che per la RSA si possa parlare di nuova tipologia socio-assistenziale è testimoniato dai suoi criteri costruttivi. Essi sono infatti molto diversi da quelli tipici dell'ospedale e sono basati sulla contemporanea presenza di spazi per le attività sanitarie e per la socializzazione al fine di favorire il più possibile una vita attiva.
Le RSA devono essere strettamente integrate con gli altri servizi territoriali del Distretto e con le divisioni di lungodegenza e di geriatria o di post acuti di altra tipologia di cui peraltro le RSA consentono un'utilizzazione più selettiva. Più in generale le RSA devono essere coordinate con le restanti attività del territorio di pertinenza. In quelle rivolte agli anziani, il referente per le problematiche sanitarie è il medico di medicina generale di fiducia: su sua richiesta saranno attivate le prestazioni erogabili a livello territoriale.
Le funzioni di consulenza, verifica e valutazione saranno effettuate dall'unità valutativa geriatrica del Distretto di competenza.
2.4.3 Consultori familiari
Costituiscono le strutture cardine per la piena attuazione della legge 194/78. Dovrà essere attuato il completamento della rete consultoriale e l'eventuale potenziamento delle équipes consultoriali.
2.5. ASSISTENZA DOMICILIARE
La necessità strategica di realizzare un sistema avanzato di cure domiciliari deve diventare l'obiettivo preminente almeno nelle aree ad alta urbanizzazione in considerazione della necessità di razionalizzare e riqualificare la spesa proponendo servizi territoriali e domiciliari alternativi a quelli ospedalieri ed istituzionali.
Considerata l'attuale carenza di RSA e la complessità di riqualificazione e riconversione dei posti letto ospedalieri è necessario provvedere ad un programma domiciliare che possa offrire un'alternativa valida al ricovero.
Si considera premiante la tempestiva attivazione di servizi di cure domiciliari quali iniziative tese alla razionalizzazione e riqualificazione della spesa, in quanto tali servizi sono in grado di rispondere ad un ventaglio esteso di bisogni sanitari e socio-sanitari trattabili a domicilio, privilegiando gli interventi capaci di sostituire ricoveri o istituzionalizzazioni improprie o inopportune a copertura dei bisogni della grande cronicità, della terminalità e della riabilitazione intensiva post-acuta.
Resta inteso che la copertura di questa notevole area di bisogno richieda standards adeguati di servizio, copertura sanitaria sulle 24 ore per 365 giorni e capacità polispecialistica di intervento e gestione centralizzata dell'utente (case management), da affidare ad un nucleo operativo di gestione e coordinamento che si interfacci ed organizzi le diverse realtà e competenze professionali che sono in campo.
Di conseguenza saranno valutate con particolare interesse tutte quelle iniziative che ricerchino, attraverso protocolli d'intesa o convenzioni di programma, le migliori sinergie fra le Aziende territoriali, le Aziende ospedaliere, gli Enti locali, le associazioni no-profit, gli enti privati.
Dovrà essere realizzato un sistema domiciliare che, pur con un indubbio sforzo d'investimento iniziale, sia in grado di proporsi come tendenzialmente generatore di costi sostitutivi: riduzione di ricoveri impropri o inopportuni, riduzione o procrastinazione nel tempo del ricorso alle RSA, riduzione dei trattamenti post-acuti riabilitativi ospedalieri, riduzione delle recidive di ricovero nelle riacutizzazioni della grande cronicità, gestione domiciliare della fase terminale.
Il fulcro del nuovo modello organizzativo sarà il Distretto, parte integrante del modello di rete integrata di assistenza domiciliare, di cui faranno parte medici di medicina generale, medici specialisti, infermieri professionali, soggetti del privato sociale, che garantiranno ai pazienti un'assistenza a domicilio continuativa e globale.
Per ciascun paziente verrà definito un piano personale di assistenza che, pur facendo riferimento alla figura del medico di medicina generale, comporterà il coinvolgimento e l'integrazione di molteplici professionalità.
Potranno essere individuati tre livelli d'intensità graduati sulla base dei bisogni di cure sanitarie del malato:
-  assistenza domiciliare a bassa intensità sanitaria;
-  assistenza domiciliare a media intensità sanitaria;
-  assistenza domiciliare ad alta intensità sanitaria.
Fondamentale è poi considerato il ruolo dei familiari, per i quali si prevede anche la trasmissione di competenze atte a favorire un loro intervento autonomo.
Dovranno essere adottati strumenti di valutazione multidimensionale concordati con l'Unità di valutazione, per ottimizzare l'intervento individualizzato.
L'Unità di valutazione è il mezzo per realizzare l'integrazione tra servizi sociali e servizi sanitari, come gruppo multidisciplinare facente capo alla rete integrata di assistenza domiciliare.
Gli standards assistenziali minimi tendenziali per assistito in media annuale sono i seguenti:
-  140 ore di assistenza domiciliare di tipo socio-assistenziale
-  100 ore di assistenza infermieristica
-  50 ore di assistenza riabilitativa
-  ore di consulenze medico-specialistiche e di altri operatori (es. psicologo, etc.)
-  altri servizi, secondo il bisogno.
2.5.1. Ospedalizzazione domiciliare
L'Ospedalizzazione domiciliare ha una intensità sanitaria maggiore dell'assistenza domiciliare integrata prevalentemente di tipo specialistico e rappresenta il livello più elevato di intensità assistenziale.
Si applica in particolare ai seguenti pazienti:
-  anziani con riacutizzazioni di patologie croniche, dimessi precocemente;
-  malati con grave compromissione generale per patologie di tipo evolutivo che richiederebbero ricoveri periodici per controlli e trattamenti speciali;
-  pazienti che in seguito ad interventi mutilanti (laringectomizzati, colostomizzati, ecc) richiedono assistenza medica, rieducativa, psicologica, per il reinserimento socio-familiare;
-  malati in fase terminale.
Per quanto riguarda l'assistenza in favore dei soggetti affetti da malattie inguaribili, si prevede nel triennio di attuazione del P.S.R. la realizzazione degli interventi indicati nella legge regionale n. 26 del 1996.
Con successivi provvedimenti verranno identificati i criteri di accreditamento, nonché gli standard organizzativi e gli indicatori di efficacia degli interventi.
2.5.2 Formazione e comunicazione
La Regione attiverà interventi nel campo della formazione e dell'aggiornamento del personale nell'ambito delle cure domiciliari e dell'ospedalizzazione a domicilio.
Le Aziende Unità Sanitarie Locali dovranno mettere in atto strategie di comunicazione nei confronti della popolazione e degli operatori, mirate ad informare sull'esistenza, finalità e modalità di accesso alla rete stessa e verificarne l'efficacia.
2.6.  MEDICINA E PEDIATRIA DI BASE, ODONTOIATRIA
L'obiettivo generale dell'assistenza sanitaria di base è fissato dal PSN e consiste nel promuovere la salute, mediante attività d'educazione sanitaria, medicina preventiva individuale, diagnosi, cura e riabilitazione di primo livello e di pronto intervento. In questo ambito il ruolo centrale spetta al medico di medicina generale e al pediatra di base che sono i gestori principali della salute degli assistiti e gli interlocutori delle strutture erogatrici di servizi.
La centralità riconosciuta alla medicina e alla pediatria di base deve essere armonizzata con una organizzazione che garantisca la libertà di scelta del medico da parte del singolo cittadino. A tal proposito nel rispetto dei diritti costituzionali, la Regione deve articolare il livello organizzativo per gruppi di comuni o distretti. Tale organizzazione spetta al Direttore generale della AUSL che deve operare le proprie scelte sulla base di diversi parametri quali l'omogeneità e la densità della popolazione, la viabilità e i collegamenti stradali.
L'art. 8, comma 1, del decreto legislativo n. 502/92, come modificato dal decreto legislativo n. 229/99, mantiene alla competenza dello Stato la stipula delle convenzioni che regolano i rapporti tra SSN, medici di medicina generale e pediatri di libera scelta e fissa i principi cui esse devono uniformarsi. Pur essendo la materia contrattuale riservata al livello centrale, alle Regioni spetta la fissazione di obiettivi nell'ambito dell'applicazione delle norme; tali obiettivi per il periodo di vigenza del Piano possono essere così identificati:
1) recuperare la posizione centrale di gestore principale della salute degli assistiti assicurando al medico di medicina generale e al pediatra di libera scelta il ritorno delle informazioni cliniche relative alle varie prestazioni cui il paziente si sottopone (visite specialistiche, ricoveri ospedalieri, ecc.); la funzione di gestore principale della salute deve inoltre trovare concreta applicazione anche per le urgenze che non devono essere trasferite ai livelli successivi del SSR senza avere ricevuto il primo trattamento;
2) sviluppare l'integrazione con gli altri servizi del Distretto sanitario, con specifico riferimento alla prevenzione primaria e secondaria, all'assistenza domiciliare, alla riabilitazione e all'educazione alla salute;
3) realizzare programmi di formazione permanente applicando le moderne metodiche pedagogiche di gruppo;
4) incentivare la diffusione di strumenti informatici tra i medici e i pediatri al fine di ricomporre le informazioni anche per il loro utilizzo epidemiologico;
5) promuovere l'associazionismo tra i medici nel senso di stimolarne il lavoro comune, condividendo le risorse (spazi, strumenti informatici, personale, ecc.).
6) promuovere appositi programmi di prevenzione e di assistenza nell'età evolutiva con particolare riguardo alle patologie otorinolaringoiatriche ed oculistiche.
E' necessario altresì prevedere programmi di tutela della salute odontoiatrica nell'età evolutiva e di assistenza odontoiatrica e protesica a determinate categorie di soggetti in condizione di particolare vulnerabilità.
3. LIVELLI DI ASSISTENZA
3. 1 LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA
Il Piano sanitario nazionale 1994-96 definiva livelli uniformi di assistenza quale garanzia ai cittadini di eguali opportunità di accesso e assicurazione di una soglia minima di domanda di prestazione sanitaria e individuava 6 livelli di assistenza:
-  assistenza sanitaria collettiva in ambienti di vita e di lavoro;
-  assistenza sanitaria di base;
-  assistenza specialistica semiresidenziale e territoriale;
-  assistenza ospedaliera;
-  assistenza sanitaria, residenziale a non autosufficienti e lungodegenti stabilizzati;
-  attività di supporto all'organizzazione assistenziale.
Tale diversificazione non sempre si era dimostrata valida in relazione da una parte alla situazione strutturale ed organizzativa esistente nelle varie regioni e dall'altra alle modificazioni introdotte nella legislazione nazionale e al mutato contesto socioeconomico.
Per tali motivi nel Piano sanitario nazionale 1998-2000 i livelli d'assistenza sono stati articolati in tre aree d'attività sostituendosi peraltro al concetto di livello uniforme quello di livello essenziale. Sono definiti essenziali, infatti, i livelli dche in quanto necessari (per rispondere ai bisogni elementari di promozione, mantenimento e recupero delle condizioni di salute delle popolazioni) e appropriati (rispetto sia alle specifiche esigenze del cittadino, sia alle modalità dell'erogazione delle prestazioni) debbono essere uniformemente garantiti su tutto il territorio nazionale e all'interno delle attività, tenendo conto della differenza nella distribuzione delle necessità assistenziali e dei rischi per la salute: tale garanzia implica la riorganizzazione del sistema ed una riallocazione delle risorse attraverso un passaggio dalla cura alla prevenzione, dalla generalità della popolazione ai gruppi a rischio, dall'assistenza ospedaliera all'assistenza territoriale.
I livelli d'assistenza si individuano in tre macro aree:
1) assistenza sanitaria collettiva in ambienti di vita e di lavoro;
2) assistenza distrettuale;
3) assistenza ospedaliera.
Tale articolazione nasce dall'esigenza di valorizzare e potenziare le attività di prevenzione, anche se alcuni interventi di prevenzione primaria e secondaria sono svolti sia a livello distrettuale che ospedaliero al fine di ricomporre all'interno dell'assistenza distrettuale i tre livelli relativi all'assistenza di base: specialistica, semi-residenziale e territoriale, e residenziale a soggetti non autosufficienti e lungodegenti stabilizzati tra loro fortemente integrati e correlati.
3.2.  ASSISTENZA SANITARIA COLLETTIVA IN AMBIENTE DI VITA E DI LAVORO
L'obiettivo di tale livello è quello di promuovere la salute della popolazione nel suo complesso mediante la profilassi delle malattie infettive e diffusive, la prevenzione dei rischi derivanti da malattie croniche degenerative di particolare rilevanza sociale, dalle malattie congenite e da quelle oncologiche, il controllo dei fattori di rischio collettivi ed individuali presenti negli ambienti di vita e di lavoro, la profilassi veterinaria necessaria per la tutela del patrimonio zootecnico dalle malattie diffusive ed infettive e per la tutela della popolazione umana dalle antropozoonosi e per la salvaguardia dell'ambiente, il controllo degli alimenti e delle bevande sia d'origine animale sia vegetale, nei momenti di produzione, lavorazione, deposito, trasporto, distribuzione e vendita degli stessi, la tutela dai rischi connessi con l'inquinamento ambientale.
Il livello è poi realizzato attraverso un complesso d'attività e prestazioni di prevenzione collettiva che trovano il proprio momento unitario nel Dipartimento di prevenzione.
3.3.  ASSISTENZA DISTRETTUALE
La identificazione di un unico livello d'assistenza territoriale da dover garantire ai cittadini nelle sue principali componenti rende più facile la identificazione degli obiettivi assistenziali da raggiungere e, soprattutto, rende palese agli operatori il concetto d'unitarietà d'intervento ed organizzazione in rete di servizi decisamente "orientati all'utente". D'altra parte la suddivisione del territorio regionale in nove grandi aziende sanitarie locali può facilitare la programmazione unitaria di tutti questi settori, orientandone le attività al raggiungimento degli obiettivi fissati dal presente Piano sanitario regionale. Tale livello si articola nelle seguenti aree d'offerta:
-  assistenza sanitaria di base;
-  assistenza farmaceutica;
-  assistenza specialistica ambulatoriale;
-  assistenza territoriale e semiresidenziale;
-  assistenza residenziale sanitaria.
La situazione attuale è caratterizzata da gravi carenze strutturali, con particolare riferimento alle RSA che, associati alla carenza d'assistenza domiciliare ed alla mancata integrazione tra assistenza strettamente sanitaria e sociale (di competenza degli enti locali) determinano la prevalenza di ricoveri impropri o almeno di quelli che sono ipotizzabili tali dall'analisi dei DRG. E' evidente, a tale proposito, che immaginare la riduzione di ricoveri relativi a DRG medici quali ipertensione (DRG 134), possa non essere velleitario qualora si ipotizzi la costituzione d'ambulatori specialistici per tale patologia e si identifichino con gli operatori sistemi d'incentivazione (professionale o economica).
E' nella organizzazione del Distretto che tale integrazione si deve realizzare primariamente, ma lo è anche nella dipartimentalizzazione del servizio di salute mentale e della tossicodipendenza attraverso:
-  una organizzazione che valuti, in maniera univoca, le esigenze dei singoli cittadini che sono posti al centro di una rete di servizi diagnostici;
-  la disponibilità dello spettro di servizi socio-assistenziali che metta in condizione le unità operative di identificare la soluzione più adatta ai problemi dei singoli.
Gli ambiti nei quali tale integrazione è essenziale sono quelli riferiti all'assistenza alle fasce più deboli della popolazione e ad essa sono dedicati obiettivi specifici:
-  bambini e la loro unità biologica nel nucleo "materno-infantile";
-  gli anziani;
-  i portatori di handicap;
-  i dipendenti da sostanze psicotrope.
Se, come ipotizzato dall'elaborazione delle prestazioni ospedaliere, ancora molte risorse sono impiegate per "ricoveri impropri" e ne è prevedibile la riduzione attraverso l'assistenza infermieristica e riabilitativa domiciliare ed il monitoraggio più attento delle malattie croniche, specie in soggetti anziani, è proprio in questa direzione che deve essere orientata l'attività organizzativa della direzione generale delle Aziende Unità Sanitarie Locali, che avranno quali obiettivi prioritari da raggiungere nel triennio:
-  la rifunzionalizzazione delle strutture ospedaliere non rispondenti a criteri d'efficacia d'interventi e non più adeguati a fornire il complesso delle prestazioni che sono richieste in un ospedale per acuti, per destinarle alla riabilitazione, alla lungodegenza e alla residenzialità sanitaria assistita per portatori di handicap gravi o anziani non autosufficienti;
-  l'attivazione della assistenza domiciliare integrata, da destinare:
a) agli anziani, considerato che questi pur rappresentando il 14% della popolazione residente determinano il 22% della spesa sanitaria ospedaliera, per ricoveri in gran parte evitabili;
b) a portatori di malattie cosiddette cronico-degenerative come le malattie cardiovascolari, le broncopneumopatíe croniche, il diabete, ecc.;
c) a pazienti neoplastici in fase avanzata o terminale di malattia, attuando la piena applicazione della legge regionale 6 aprile 1996, n. 26;
-  la realizzazione di una rete assistenziale di riabilitazione domiciliare e semiresidenziale.
I livelli minimi d'assistenza da garantire sono quelli derivanti dall'attività dei servizi territoriali di Distretto o sovra-distrettuali, integrati con quella propria dei medici della medicina generale e dei pediatri di libera scelta che, in accordo con il contratto di lavoro nazionale, sono identificati come i punti di riferimento per il mantenimento dello stato di salute della popolazione.
L'attività domiciliare consentirà la riduzione dei ricoveri impropri, la dimissione assistita dagli ospedali e la identificazione di quelle situazioni che necessitano di ricovero (anche in day hospital) per terapie o approfondimenti diagnostici effettuabili solo in ospedale.
E' impensabile ritenere che la possibilità e l'accessibilità ai servizi specialistici possa essere garantita a copertura totale delle prestazioni sia a livello di Distretto sia nei singoli Comuni. Al fine di garantire tale necessità si potrà provvedere, mediante l'attivazione di équipe itineranti che sulla base delle richieste garantisca la presenza d'operatori per soddisfare i bisogni.
In questo ambito potrà essere prioritariamente orientata l'attività degli operatori non più assegnati alla assistenza ospedaliera o che, pur facendo parte di una unità operativa ospedaliera, collaborino a progetti di "integrazione assistenziale ospedale-territorio", svolgendovi attività di ospedalizzazione a domicilio o di consulenza specialistica.
Considerati i grossi margini d'incertezza sulla quantificazione delle risorse umane e strutturali concretamente disponibili nelle diverse realtà aziendali, si ritiene di potere identificare in maniera definita pochi indicatori essenziali da rendere disponibili insieme alle prime valutazioni d'impiego di risorse secondo le nuove direttive. Questi serviranno da punti di riferimento, per la definizione concordata tra organo regionale e direzioni generali delle aziende degli obiettivi misurabili da raggiungere nel corso del triennio.
I dati che dovranno essere forniti all'Assessorato regionale della sanità entro il primo semestre d'attuazione del presente PSR riguarderanno:
-  la documentazione della attivazione dei distretti e della loro operatività, accessibilità dei servizi territoriali (modalità e tempi di prenotazione, liste d'attesa, modalità d'apertura) e loro integrazione sia a livello territoriale (protocolli d'accesso concordati tra specialisti e medici di medicina generale e pediatri di libera scelta; collaborazioni tra gruppi di medici di medicina generale e gruppi di pediatri di libera scelta per garantire assistenza ambulatoriale almeno in tutte le ore diurne al fine di ridurre il ricorso improprio ai servizi di pronto soccorso ospedaliero) che ospedaliero (procedure concordate di dimissione o ricovero breve programmato, relazioni tra medico curante e unità operativa ospedaliere) ;
-  il numero delle unità di valutazione geriatrica attivate ed i dati relativi alla loro attività (numero di prestazioni con riferimento alla popolazione assistibile);
-  la capacità assistenziale espressa dal servizio d'assistenza domiciliare ed il livello d'integrazione con gli altri servizi sanitari e con i Comuni, cui compete l'assistenza sociale (numero e qualifica del personale impegnato, numero di prestazioni erogate e numero di richieste non soddisfatte);
-  la capacità di risposta alla richiesta dei servizi di riabilitazione (numero di assistiti su totale degli aventi diritto);
-  censimento di tutte le strutture di ricovero per anziani e disabili suddivisi in parzialmente o totalmente autosufficienti ed il grado di soddisfacimento delle richieste di ricovero residenziale o semiresidenziale (tempi e lunghezza delle liste d'attesa);
-  la realizzazione dei meccanismi di valutazione del grado di soddisfazione dei servizi da parte degli utenti-clienti (tipo di questionario realizzato, modalità e tempi di verifica e risposta all'utente).
Tenuto conto, ancora una volta, della estrema variabilità riscontrabile nelle differenti realtà in funzione di difficoltà oggettive (carenze di strutture, ritardi motivati di realizzazione, ecc) o di particolari situazioni di vantaggio (disponibilità di personale e supporti informatici) sarà l'Assessorato regionale della sanità che definirà in maniera dettagliata gli indicatori da utilizzare e da fornire per la negoziazione delle risorse da erogare alle direzioni generali delle Aziende.
3.4.  ASSISTENZA OSPEDALIERA
L'integrazione dei servizi corrisponde all'esigenza di fornire modalità assistenziali più appropriate ai bisogni dell'utenza, qualificare il ruolo dell'ospedale, superare le barriere tra servizi territoriali e strutture ospedaliere.
In tale direzione si deve operare per assicurare la continuità degli interventi e delle attività già presenti ed il loro sviluppo verso modelli organizzativi che garantiscano la continuità e l'unitarietà dell'assistenza.
Il presente Piano sanitario regionale persegue l'integrazione dei servizi anche attraverso la responsabilizzazione delle unità operative che costituiscono il riferimento della presenza specialistica in tutti i presidi del territorio.
Pertanto gli obiettivi specifici da perseguire possono essere identificati in:
-  qualificazione degli ospedali negli interventi per acuti e nelle patologie complesse, nella specialistica medio-alta e nell'emergenza-urgenza;
-  garantire l'accesso alla Rete ospedaliera ed alle prestazione più complesse da ogni punto del territorio mediante formulazione di specifici protocolli d'accesso, collegamenti funzionali infrastrutture di telecomunicazione e telemedicina;
-  adozione di protocolli per la ospedalizzazione domiciliare ed orientamento della richiesta d'intervento verso livelli più appropriati d'assistenza (specialistica ambulatoriale, assistenza sanitaria residenziale, assistenza domiciliare integrata ).
Al fine di meglio assicurare l'ospedalizzazione domiciliare per alcune patologie croniche ad ampia diffusione, essa potrà essere assicurata anche con l'impiego di personale medico e non dell'Azienda ospedaliera, anche utilizzando lo strumento costituito dai progetti obiettivi dell'Azienda ospedaliera e/o dell'équipe specialistica, così come previsto dalle vigenti norme contrattuali.
La necessità di salvaguardare la capacità operativa degli ospedali pubblici che debbono, comunque, garantire prestazioni d'alto costo di gestione e di basso profitto (come l'emergenza e le patologie che richiedono alta tecnologia per completare l'iter diagnostico-terapeutico) rende imperativo stabilire delle regole di governo della concorrenza.
E' da considerare peraltro che la nuova normativa vigente introduce nel sistema del pagamento a prestazione una tariffa differenziata per complessità di struttura, pubblica o privata che sia, ai sensi del comma 2 dell'art. 2 del D.M. del 30 giugno 1997.
Ciò comporta che il Direttore generale delle Aziende ospedaliere o delle Aziende U.S.L. deve necessariamente tenere conto di queste innovazioni legislative che influenzano in maniera significativa " l'ambiente " in cui ognuno di esse opera, nella programmazione del proprio bilancio aziendale e, di conseguenza, potrà operare variazioni nell'attribuzione di spazi e di risorse e quindi anche dei posti letto, alle Unità operative dei presidi di competenza.
Con D.P.R.S. n. 446 del 30 dicembre 1896 si è proceduto alla ristrutturazione della Rete ospedaliera regionale, al fine, tra l'altro, di ottemperare alle disposizione contenute nella legge n. 382/96; con il medesimo atto sono già stati individuati alcuni degli obiettivi prioritari che la Regione intende perseguire per pervenire all'ottimale utilizzo delle risorse fondando la gestione su criteri d'economicità ed efficienza per migliorare la qualità dell'assistenza ed assicurare la continuità dell'erogazione delle prestazioni.
Si è pertanto articolata la Rete ospedaliera prevedendo una dotazione di posti letto per degenze ordinarie tali da soddisfare la domanda potenziale attesa nel rispetto dei parametri previsti dalla legislazione nazionale in vigore.
Le strutture sanitarie convenzionate, se accreditate, concorrono alla Rete ospedaliera regionale.
In relazione poi alle disposizioni contenute nell'art. 39 della legge n. 833/78 e nel rispetto dell'art.6 del decreto legislativo n. 502/92, e successive modifiche ed integrazioni, nonché del decreto legislativo n. 517/99, occorre tenere conto dell'apporto nel settore assistenziale delle Aziende ospedaliero-universitarie per la realizzazione degli obiettivi della programmazione sanitaria regionale.
L'evoluzione del sistema verso la sua ottimizzazione deve transitare necessariamente attraverso la concentrazione delle funzioni di maggior contenuto specialistico in ospedali ad alto potenziale d'intervento, evitando duplicazioni e dispersioni d'attività, identificando quelle da potenziare attraverso i dati della migrazione sanitaria, contrastando gli effetti negativi di una concorrenzialità competitiva tra le Aziende e favorendo invece gli aspetti di concorrenzialità collaborativa.
Un modello operativo di concorrenzialità collaborativa è costituito dal Dipartimento interaziendale nel quale più aziende collaborano, ciascuna secondo le proprie possibilità operative, al raggiungimento di un fine unitario; la normativa di riferimento è costituita dalla legge regionale n. 25/96.
L'obiettivo è quindi quello di realizzare l'impianto generale del sistema ospedaliero, già definito nella precitata delibera di Giunta di Governo n. 446/96 attraverso il superamento dell'autarchia dei vari ospedali specialmente se costituiti in azienda puntando :
-  sulla diversificazione delle funzioni attribuite nella Rete ai presidi ospedalieri dell'Azienda USL e a quelli degli altri soggetti aziendali;
-  sull'organizzazione degli ospedali per aree funzionali, come spazi di relazione tra le funzioni operative come previsto dall'art. 28 della legge regionale n. 30/93;
-  sullo stretto collegamento funzionale degli ospedali pubblici per tutte le attività strategiche ai vari livelli, tenendo conto anche delle potenzialità esistenti nel bacino d'utenza;
-  sulla valorizzazione del ruolo regionale o nazionale dell'azienda ospedaliera.
Occorre pertanto provvedere alla riorganizzazione funzionale dei presidi ospedalieri di AUSL, realizzare una completa Rete ospedaliera d'emergenza - urgenza mediante funzioni dipartimentali e, conseguenzialmente, prevedere la concentrazione delle attività d'alta tecnologia e di elevata complessità solo in alcuni poli di riferimento locale e regionale.
Tale progetto potrà essere attuato solo se verranno raggiunti nel corso del triennio di validità del presente Piano i seguenti obiettivi specifici:
-  rinnovare il patrimonio strutturale per garantire la sicurezza degli ambienti e degli impianti, migliorare il funzionamento dei servizi e l'organizzazione delle attività nonché il confort alberghiero;
-  adeguare il patrimonio tecnologico esistente in relazione all'effettiva utilizzazione dello stesso per contrastarne la obsolescenza;
-  rinnovare le tecnologie ed adeguare le metodologie alle continue innovazioni ed alla ricerca medica al fine di garantire la progressiva messa in efficienza del parco strumentale con l'obiettivo di raggiungere, entro il triennio 2000-2002, una vetustà media di 8 anni;
-  sviluppare l'informatizzazione e l'acquisizione di adeguate tecnologie di gestione e di telecomunicazioni per garantire l'effettiva integrazione gestionale in ambito aziendale, ottenere un affidabile sistema di reporting, una semplificazione burocratica ed amministrativa, un corretto monitoraggio di qualità, efficienza ed economicità.
3.4.1. Assistenza religiosa
Ai sensi dell'art. 38 della legge 23 dicembre 1978, n. 823 e dell'art. 11 della legge regionale 30 gennaio 1991, n. 7, in ogni Azienda unità sanitaria locale e in ogni Azienda ospedaliera è istituito un servizio d'assistenza religiosa dotato d'autonomia confacente alla peculiarità della sua funzione, disciplinata dalle intese stipulate in conformità alle norme concordatarie e statali vigenti in materia.
Il personale di assistenza religiosa ha il compito di assicurare presso i presidi di ricovero sanitari e sociosanitari del Servizio sanitario regionale, nel rispetto della volontà e libertà di coscienza dei cittadini, l'esercizio della libertà religiosa e l'adempimento delle pratiche di culto nonché il soddisfacimento delle esigenze spirituali proprie delle diverse confessioni in conformità ai rispettivi ordinamenti.
L'organizzazione del servizio e le condizioni e le modalità di svolgimento sono stabilite mediante apposite intese di cui all'art. 38 della legge 23 dicembre 1978, n. 833.
Le intese locali tra le Aziende sanitarie e le Autorità religiose competenti per territorio saranno conformi per i singoli culti allo schema d'intesa approvato dal Presidente della Regione previa delibera della Giunta di Governo su proposta dell'Assessore regionale per la sanità sulla base degli accordi con le Autorità religiose regionali.
Gli schemi tipo d'intesa dovranno prevedere:
a) i parametri per la determinazione del numero di assistenti religiosi da impiegare nel servizio, in relazione al numero e alla dimensione dei presidi di ricovero esistenti in ciascuna Azienda e per i culti non cattolici anche al numero degli aderenti;
b) la regolamentazione degli aspetti di cui risulti necessario assicurare una disciplina uniforme in tutte le aziende sanitarie;
c) le modalità di risoluzione di eventuali controversie relative all'interpretazione ed all'applicazione delle intese nonché le modalità di svolgimento e gli effetti reciproci nei rispettivi ordinamenti in ordine agli assistenti religiosi;
d) la facoltà di stipulare convenzioni concernenti congiuntamente più presidi di ricovero nel caso in cui non si raggiungano i parametri minimi di cui alla lettera a).
3.5.  CLASSIFICAZIONE DEGLI OSPEDALI E DIPARTIMENTI OSPEDALIERI
Anche se la normativa (D.M. Sanità 31 gennaio 1995) ha fissato i requisiti che la struttura deve possedere per essere classificata "Ospedale specializzato", il concetto "di presidio specializzato" come pure quello "di polo autonomo" è largamente superato. Risulta infatti evidente che un'organizzazione assistenziale riferita ad unica branca presenta una serie infinita di ostacoli gestionali quali ad esempio la difficoltà a disporre di tutte le consulenze e servizi necessari; l'esorbitante costo per l'organizzazione dei servizi generali (cucina, lavanderia, farmacia, etc.) identici a quelli di una struttura non specializzata a fronte di un'utenza limitata nonché per i costi eccessivi per l'organizzazione dei servizi diagnostici che si avvalgono di tecnologie sempre più sofisticate (risonanza magnetica, TAC, ecografie, etc.).
Ne consegue che, ad eccezione degli ospedali pediatrici che costituiscono ospedali generali rivolti ad una fascia di età fino a 16 anni, tutte le altre attività che in passato avevano reclamato un'autentica autonomia gestionale (sanatoriali, infettivologiche, etc.) vanno più propriamente inserite in un contesto ospedaliero generale.
Pertanto, le divisioni di infettivologia del Presidio ospedaliero "Guadagna" di Palermo, previa verifica della necessità della sussistenza dei posti letto e le divisioni per le patologie dell'apparato genitale femminile del Presidio ospedaliero "S. Bambino" di Catania vanno riportate nell'ambito degli ospedali generali, certamente in un contesto di idonea disponibilità di locali e, soprattutto, di strumenti e risorse validi per una efficace soluzione assistenziale e di ricerca.
Peraltro ciò è quanto già vantaggiosamente avvenuto per gli ospedali oncologici ("M. Ascoli" di Palermo e "Santi Currò" di Catania) entrambi da tempo inseriti in Aziende sanitarie di rilievo nazionale.
Discorso a parte va fatto per i presidi pediatrici che vanno accorpati in un unico ospedale generale pediatrico per una completa assistenza rivolta ad una fascia di età che comprende l'infanzia e l'adolescenza. Tale struttura deve essere in grado di affrontare tutta la gamma delle patologie conosciute, cooptando tutte le competenze utili alle finalità sanitarie.
Da un punto di vista propriamente gestionale va ricordato che già la legge regionale n. 30/93 ed il decreto legislativo n. 229/99 attribuiscono ai presidi ospedalieri, singoli o accorpati, autonomia economico-finanziaria con contabilità separata all'interno dell'A. U.S.L. e pertanto tale indirizzo va confermato.
I Direttori generali delle AUSL in applicazione dell'art. 4, comma 9, del decreto legislativo n. 502/92, come modificato dal decreto legislativo n. 517/93 e successive modifiche ed integrazioni, ove siano presenti più presidi ospedalieri non identificati come Aziende ospedaliere possono accorpare gli stessi ai fini funzionali.
Tale accorpamento deve tenere conto delle dimensioni e della composizione funzionale della rete ospedaliera prevista dalla delibera della Giunta regionale di governo n. 446/96 relativamente all'ambito provinciale e comunque deve essere guidato dai criteri dell'economicità di gestione e deve salvaguardare le esigenze d'integrazione della rete ospedaliera con i Servizi sanitari del territorio.
Sia nel caso dei singoli P.O. che nel caso d'accorpamenti di più presidi, è attribuita agli stessi autonomia economico - finanziaria con contabilità separata all'interno del bilancio dell'A. U.S.L.
Nel caso della costituzione di un unico ospedale articolato in più presidi funzionalmente accorpati sarà individuato dal Direttore generale un unico Responsabile di P.O. appartenente all'area di sanità pubblica Direzione medica di presidio ospedaliero.
Il Responsabile di cui sopra contratterà con il Direttore generale aziendale le risorse da attribuire al presidio in relazione alle prestazioni da erogare.
Sarà inoltre responsabile della gestione dei budget nonché della verifica del raggiungimento degli obiettivi.
Per quanto riguarda l'esercizio delle funzioni di coordinamento amministrativo, si rimanda a quanto stabilito dal decreto legislativo n. 502/92 come modificato dal decreto legislativo n. 517/93 e successive modifiche.
La legge regionale n. 30/93 aveva identificato agli artt. 29, 30 e 31 i dipartimenti ospedalieri, l'organizzazione, e le finalità degli stessi. Occorre in questa sede sottolineare la centralità che occupa questo modello organizzativo nella programmazione e nello sviluppo dell'aggiornamento e della ricerca scientifica e nelle discipline ad essa afferenti come richiamato dall'articolo 17 bis del decreto legislativo n. 229/99 e dal capitolo 2, paragrafo 2.1 del presente P.S.R.
L'obiettivo che si vuole raggiungere è la costituzione dei Dipartimenti per funzioni omogenee cioè sostanzialmente l'accorpamento di più funzioni in un unico contenitore senza che le unità operative ospedaliere perdano la loro autonomia.
Ciascuna Unità operativa afferente al Dipartimento metterà quindi a disposizione il 10% dei propri posti letto per le finalità comuni dell'attività dipartimentale atteso che il residuo 90% dei posti letto è destinato alle finalità proprie di ciascuna unità operativa; ciò anche al fine di garantire i preventivi annuali delle prestazioni.
Al di là della dipartimentalizzazione all'interno del singolo presidio, è evidente che nel caso di accorpamenti di più presidi ospedalieri o nel caso della presenza di più presidi nell'ambito della stessa Azienda si procederà ad una dipartimentalizzazione interpresidio con una forte valenza organizzativa assumendo lo stesso Dipartimento un ruolo centrale nella capacità di gestione dell'ospedale.
Premesso che l'istituzione di un Dipartimento impegna anche risorse economiche, va evitato l'inflazionamento dell'istituto dipartimentale; pertanto, nell'ottica di limitarne il numero, appare ovvia l'opportunità di tendere alla realizzazione di grandi dipartimenti miranti con obiettivi comuni, all'integrazione ed omogeneizzazione di discipline equipollenti ed affini, ed integrando negli stessi il maggior numero di unità operative, che conservano la propria autonomia. Quanto sopra in ottemperanza a quanto disposto dalla legge 28 dicembre 1995 n. 549 di accompagnamento alla finanziaria 1996 e recante "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica" che sottolinea come tale modello organizzativo sia in grado di consentire a servizi affini e complementari di operare in forma coordinata per evitare ritardi, disfunzioni e distorto utilizzo delle risorse finanziarie".
Rimane in capo all'autonomia gestionale del Direttore generale il compito di modellare il Dipartimento sull'assetto organizzativo dell'Azienda, privilegiando l'istituzione dei seguenti dipartimenti:
-  Dipartimento di Medicina;
-  Dipartimento di Chirurgia;
-  Dipartimento dei Servizi.
Per ciò che concerne i Dipartimenti di emergenza vanno realizzati nel rispetto delle specifiche leggi regionali in materia, già promulgate dalla Regione siciliana.
Nelle Aziende ospedaliere formate da più presidi ospedalieri non può essere individuato più di un Dipartimento per ciascuna delle organizzazioni dipartimentali sopra indicate (Medicina, chirurgia, servizi).
Le Unità operative vengono inserite nel relativo Dipartimento in ragione della prevalenza dell'attività svolta; pertanto ciascuna unità operativa non può fare parte di più dipartimenti.
Il Direttore del Dipartimento contratta con il Responsabile del P.O. e gestisce le risorse da destinare al raggiungimento degli obiettivi, ed è responsabile del raggiungimento degli stessi ed in uno al Responsabile dei P.O. rappresenta alla Direzione dellle istanze formalmente deliberate dal Comitato di Dipartimento.
Per ciò che concerne i dipartimenti interaziendali, tra Aziende ospedaliere e Aziende sanitarie locali o tra più Aziende ospedaliere, si fa riferimento a quanto disposto in materia dalla legge regionale n. 25/96.
Con il piano di ristrutturazione della Rete ospedaliera regionale, sono state fornite precise indicazioni ai direttori generali circa la distribuzione all'interno dei presidi dei posti letto afferenti le specialità di terapia intensiva e quelle ad elevata assistenza e ciò sia in funzione del rilevante impegno economico connesso con la funzionalità di queste strutture che anche al fine di assicurare un uniforme livello di assistenza su tutto il territorio regionale. Tuttavia in considerazione dell'insufficienza dei posti letto di rianimazione e di UTIC e della loro non omogenea distribuzione territoriale, si provvederà con decreto dell'Assessore regionale per la sanità, oltre che al riordino dell'esistente, anche all'apertura di nuovi centri di rianimazione e di UTIC tenendo conto della domanda di assistenza, della presenza di aree ad alta vocazione turistica e di aree ad alto rischio potenziale nonché dello stato della viabilità e dei collegamenti.
Nei presidi ospedalieri invece, sprovvisti di posti letto di terapia intensiva (rianimatoria e cardiologica), debbono essere previsti, dal Direttore generale, ove vi siano situazioni di particolare necessità, almeno due "posti letto tecnici" di terapia intensiva per la gestione del momento post operatorio e di patologie mediche e/o cardiologiche critiche da affidare agli specialisti della branca (anestesisti-rianimatori e cardiologi).
Viceversa per quanto riguarda le altre discipline a media assistenza e di base per ogni presidio ospedaliero è stato assegnato un numero complessivo di posti letto la cui distribuzione sarà effettuata dal Direttore generale in rapporto alle necessità assistenziali, nel rispetto dei criteri di economicità ed efficienza con riferimento alla domanda di assistenza ed alla normativa vigente, tenendo presenti altresì l'attività svolta, il trend di attività e la programmazione aziendale ed in rapporto con le scelte in materia operate dai direttori generali delle aziende ospedaliere insistenti nella provincia di appartenenza.
Tali determinazioni dovranno essere assunte dal Direttore generale della AUSL e dovranno essere esplicitate nell'ambito degli strumenti di programmazione previsti dalla legislazione vigente.
Il Direttore generale di ciascuna Azienda, in occasione della predisposizione degli strumenti di programmazione aziendale previsti dalla legislazione vigente concorderà con i responsabili delle Unità operative le attività specialistiche da svolgere nel contesto di ciascuna Unità operativa dell'Azienda.
Nel proporre il mantenimento e/o la soppressione e l'istituzione di nuove unità operative il Direttore generale dovrà tenere conto in ogni caso dei parametri gestionali di efficacia ed efficienza e della situazione presente negli altri presidi di USL nonché nelle aziende ospedaliere di riferimento.
Per quanto riguarda l'attivazione delle nuove unità operative, (anche se già istituite con l'approvazione della pianta organica) comprese tra le discipline di base e a media assistenza di cui alla delibera della Giunta di governo n. 446/96, eccettuate le discipline di medicina, chirurgia generale, ortopedia, ostetricia e pediatria, al fine di ottimizzare ed assicurare un uniforme livello di assistenza su tutto il territorio regionale e rendere compatibili le scelte di programmazione con le risorse finanziarie realmente disponibili, i Direttori generali prima di procedere alla attivazione di tali nuove Unità operative dovranno attenersi alle disposizioni impartite sull'argomento dall'Assessorato Regionale della sanità.
L'adozione di un modello di concorrenza collaborativa fra i presidi dell'A. U.S.L. che possa garantire un'ottimale utilizzazione delle risorse umane e strumentali senza nel frattempo provocare le cadute assistenziali. Per le medesime motivazioni sarà indispensabile che i direttori generali delle aziende insistenti nella provincia curino il raggiungimento, mediante apposite conferenze di servizi, di rapporti collaborativi interaziendali finalizzati all'adozione di criteri univoci che garantiscano un equilibrio nella presenza di tali discipline in ambito provinciale.
Ogni Direttore generale di AUSL dovrà pertanto procedere ad una riallocazione delle discipline a media e bassa assistenza nei presidi ospedalieri di competenza sulla base della domanda assistenziale per la singola disciplina e sugli indicatori di gestione dei vari reparti garantendo tuttavia che nel presidio dove la singola disciplina non sia presente venga comunque assicurata la funzione assistenziale mediante gli opportuni strumenti (ambulatori, consulenze, ecc.).
Pertanto, nell'ambito dei presidi di AUSL singoli o collegati funzionalmente la dotazione minima delle funzioni di ricovero e cura e dei servizi che deve essere obbligatoriamente presente è costituita dalle funzioni di medicina, chirurgia, ostetricia e ginecologia, ortopedia e pediatria con assistenza neonatologica e dai servizi di patologia clinica, radiologia, anestesia e rianimazione senza posti letto, cardiologia e direzione sanitaria.
Compatibilmente con la rispondenza ad obiettivi parametri di valutazione gestionale, di equilibrio fra i vari presidi di AUSL e di aderenza agli obiettivi stabiliti nel piano annuale programmatorio aziendale, il Direttore generale potrà procedere alla rimodulazione quali-quantitativa dei servizi presenti prevedendo anche altre funzioni diagnostico curative ma nel rispetto comunque delle soglie operative per le singole funzioni più oltre indicate.
Lo stesso dovrà altresì adottare tutte le procedure finalizzate a consentire lo svolgimento dell'attività intramuraria ai dipendenti secondo le indicazioni di cui al decreto legislativo n. 229/99.
Ferma restando l'individuazione delle Unità operative che devono essere obbligatoriamente presenti nelle aziende ospedaliere di riferimento per l'emergenza di 2° e 3° livello operata dall'art. 36 delle legge regionale n. 30/93, nonché quanto già programmato in materia con la delibera di Giunta regionale n. 446/96, si ritiene comunque che il numero complessivo dei servizi dovrà essere contenuto per ogni ospedale nel rapporto di 1:1 rispetto alle Unità operative con posti letto elevabili fino a 1,2:1 negli ospedali funzionalmente più complessi.
Appare altresì opportuno prevedere la presenza di posti letto di terapia subintensiva respiratoria esclusivamente nei presidi dotati di posti letto di rianimazione e di pneumologia.
Parimenti appare opportuno che venga prevista la funzione di neuroradiologia nei presidi ospedalieri in cui è presente una U.O. di neurochirurgia. Laddove esistenti, tali U.O. sono comprese nell'ambito del Dipartimento di neuroscienze.
Per dare applicazione alla legge n. 115/87 così come previsto dal Piano sanitario nazionale sulla prevenzione e cura del diabete, nonché per l'elevato indice epidemiologico della malattia e per le complicanze invalidanti ad essa collegate, ritenendo che a tutt'oggi l'attività diabetologica sia svolta all'interno delle divisioni di medicina interna e presso le strutture ambulatoriali territoriali da personale specializzato, i Direttori generali delle Aziende U.S.L. e ospedaliere di riferimento regionale e nazionale, nella programmazione aziendale di cui alla vigente normativa, organizzano l'attività di diabetologia con le modalità e i compiti previsti dalla lettera c) dell'art. 5 della legge n. 115/87, utilizzando il personale medico specialista e i posti letto di "day hospital". della divisione, così come previsto dalla citata delibera di Giunta n. 446/96, anche in forma non autonoma.
Al fine di consentire un adeguato sviluppo ed integrazione della rete diabetologica regionale, nonché per assicurare la collaborazione specialistica con i medici di medicina e pediatria di base per i programmi di educazione all'autocontrollo domiciliare e di consulenza specialistica per la prevenzione delle complicanze, i Direttori generali delle Aziende U.S.L. organizzeranno l'attività di diabetologia territoriale con i compiti previsti dalla lettera a) dell'art. 5 della legge n. 115/87, anche in forma non autonoma, utilizzando il personale medico specialista già presente, tenendo conto delle attività già esistenti anche all'interno delle Aziende ospedaliere e dei policlinici universitari, di particolari condizioni di viabilità e orografiche, nonché dell'indice epidemiologico della malattia. Per criteri di economicità, efficienza e produttività si ritiene che i suddetti servizi ambulatoriali, anche in forma non autonoma, vadano dimensionati ad un bacino di utenza non inferiore a 100.000 abitanti. Particolare attenzione in tale ambito dovrà essere rivolta alla cura delle problematiche e alla gestione dell'assistenza nel diabete in età evolutiva.
Dovranno essere potenziate le attività svolte nell'ambito delle Farmacie ospedaliere nella considerazione che le stesse dovranno assicurare le funzioni di farmacia clinica, di centro di documentazione sul farmaco, dell'allestimento di soluzioni infusionali, di miscele per la nutrizione artificiale e della manipolazione dei farmaci nonché la programmazione e la gestione tecnica dei farmaci e dei dispositivi medici. Nell'ambito dei processi di riassetto interno delle Aziende ospedaliere, i Direttori generali, ove insistono più presidi, potranno prevedere l'istituzione di un Dipartimento farmaceutico ospedaliero.
Il repertorio delle funzioni operative indica le funzioni operative aggregate nel macrolivello assistenziale " Assistenza ospedaliera "; ciascuna funzione trova collocazione, secondo il principio della prevalenza, quale funzione operativa di AUSL, cioè svolta nei presidi ospedalieri di AUSL ovvero quale funzione operativa regionale di norma svolta presso le Aziende ospedaliere.
Nella tabella che segue si evidenziano per alcuni servizi di diagnosi e cura ad alta complessità tecnologica e professionale le soglie operative minime per l'attivazione; tali soglie sono state rapportate alla popolazione di riferimento. Le soglie operative sono state individuate anche tenendo conto dei volumi di attività che consentono la qualificazione degli interventi, l'economicità della gestione, la funzionalità dell'organizzazione e costituiscono indicazioni prioritarie per i direttori generali.
Appare opportuno quantificare tali soglie operative solo per alcuni servizi di diagnosi e cura limitando la scelta a quelli ad elevato impegno tecnologico e professionale per le evidenti refluenze sulla gestione dell'azienda rivestite da tali centri di costo.
L'attribuzione di tali funzioni operative è comunque effettuata attraverso la concertazione tra Azienda USL ed Aziende ospedaliere tenendo conto delle funzioni già svolte da ogni presidio e nel rispetto dei criteri gestionali già evidenziati.
I Direttori generali delle Aziende ospedaliere e delle Aziende USL, nel procedere alla allocazione di tali servizi di diagnosi e cura ad alto contenuto tecnologico ed elevato impegno professionale, dovranno in via prioritaria tenere conto delle situazioni già esistenti o in via di avanzata realizzazione strutturale (con prevedibile completamento nel corso del triennio) oltre che della soglia operativa indicata per ciascun servizio.
In relazione alla grande complessità delle funzioni svolte, alcune delle quali abbisognevoli di tecnologie avanzate e di alto costo, si prevede che nelle Aziende di riferimento nazionale venga inserita la funzione di Ingegneria Clinica in considerazione peraltro delle disposizioni contenute nel D.P.R. 29 gennaio 1992 che prevedono l'obbligo di tale funzione quale requisito necessario alle strutture sanitarie per l'esercizio di attività di alta specialità.
Non indifferente appare inoltre il vantaggio in termini economico gestionali derivante dalla presenza di tale funzione nelle ARN per il maggiore e più qualificato controllo sul parco attrezzature, per la maggiore oculatezza nelle procedure di rinnovo tecnologico e per la garanzia di un ottimale gestione degli acquisti e della manutenzione delle attrezzature. Tali funzioni di ingegneria clinica nell'arco del triennio devono inoltre essere strutturate in modo da poter garantire il supporto e l'assistenza anche in favore delle altre Aziende USL, ed aziende ospedaliere.
FUNZIONI OPERATIVE

Funzione operativa  Soglia operativa abitanti 
Anatomia ed istologia patologica - Citodiagnostica  1/1.300.000 
Fisica sanitaria  1/1.500.000 
Immunoematologia e trasfusionale  vedi Par. 5.6.11 
Medicina nucleare  1/1.400.000 
Terapia radiometabolica  1/2.500.000 
Microbiologia  1/1.500.000 
Neurofisiopatologia  1/1.400.000 
Radioterapia  vedi Par. 5.3.4 
Neuroradiologia  1/1.700.000 
Virologia  1/1.000.000 
Cardiologia invasiva diagnostica e terapeutica  1/1.000.000 


Per le funzioni di medicina nucleare e di neurofisiopatologia potrà essere attivata una unità, in ambito provinciale, anche al di sotto della soglia operativa evidenziata in tabella.
NOTE:
Microbiologia - Citodiagnostica: Prioritariamente dovranno essere allocati nelle Aziende di riferimento Nazionale e nelle Aziende di Riferimento per l'Emergenza. Dovrà comunque essere garantito un servizio per provincia con obbligo di assicurare le prestazioni anche a favore degli altri presidi ospedalieri di AUSL presenti nel territorio provinciale.
Virologia - Neurofisiopatologia: Prioritariamente dovranno essere allocati nelle Aziende di Riferimento Nazionale e nelle Aziende di Riferimento per l'Emergenza di terzo livello.
Fisica sanitaria: In via prioritaria dovranno essere allocati nelle Aziende di Riferimento Nazionale.
Terapia radiometabolica: Dovranno essere allocati nelle Aziende di Riferimento Nazionale quale attività del relativo servizio di Medicina Nucleare e, ove già operanti, in aziende ospedaliere di riferimento regionale per l'emergenza.
Neuroradiologia: Dovrà essere previsto nei presidi dove è attiva la U.O. di Neurochirurgia.
Cardiologia invasiva e diagnostica e terapeutica: Collegata funzionalmente con la divisione di Cardiochirurgia per le attività di emodinamica e angioplastica.
4. RETE PER L'EMERGENZA E SERVIZIO "118"
4.1.  RIFERIMENTI NORMATIVI
E' ben documentato che alcuni tipi di emergenza-urgenza sono assai frequenti e che interventi precoci ne riducono significativamente la mortalità e la invalidità residua. Esempi di questa duplice affermazione sono l'infarto del miocardio, del quale la trombolisi precoce ha cambiato la prognosi e i traumatismi in particolare quelli da incidenti stradali.
E' perciò necessario che il sistema sanitario disponga di una efficiente rete di emergenza che, nella Regione siciliana, risulta parzialmente attivata ed inadeguatamente distribuita. Con il presente Piano si intende superarne le carenze con una strategia di interventi coordinati.
La normativa e gli atti ad oggi vigenti in materia sono:
-  D.P.R. 27 marzo 1992;
-  legge regionale n. 3 novembre 1993, n. 30, art. 36;
-  legge regionale n. 30 del 1997, art. 39;
-  linee guida ministeriali n. 1/1996 sul sistema di emergenza-urgenza;
-  D.A. Sanità n. 21486/97 e circolare assessoriale n. 913/97 sull'attivazione del servizio di emergenza-urgenza "118" in via sperimentale;
-  convenzione stipulata dalla Regione con la Croce Rossa Italiana nel 1998.
In atto l'organizzazione territoriale insiste su 4 bacini di utenza infraregionali così come disposto dalla legge regionale n. 30 del 1993 (Palermo-Trapani; Caltanissetta-Agrigento-Enna; Messina; Catania-Siracusa-Ragusa).
Si ritiene che ai fini di una migliore erogazione dell'assistenza i bacini territoriali debbano coincidere con le province.
Pertanto, dovendo adeguare la legge regionale n. 30 del 1993 alle disposizione del decreto legislativo n. 229/99, in quell'occasione sarà opportuno prevedere una ridefinizione degli ambiti territoriali come sopra indicato.
4.1.2. Definizione
Il sistema di emergenza - urgenza è l'insieme, organizzato e diretto, di attività, strutture e presidi pubblici e delle associazioni di volontariato, a supporto degli stessi, che, con compiti differenziati, assolve unitariamente alle funzioni di:
-  intervento di soccorso, sul posto ove si verifica un evento di gravità rilevante, reale o supposta, per la salute di un soggetto;
-  filtro, per le strutture di emergenza-urgenza ospedaliera, delle richieste di intervento non necessarie o altrimenti gestibili;
-  messa in sicurezza del paziente e ripristino delle funzioni vitali compromesse nel minor tempo possibile.
Obiettivo primario delle attività di emergenza-urgenza è quello di garantire un intervento tempestivo ed adeguatamente qualificato che affronti i casi di:
-  emergenza sanitaria, comportante la compromissione di una o più funzioni vitali, che richiede immediato intervento di valutazione e stabilizzazione delle medesime, la cui carenza determinerebbe in breve tempo la morte del paziente;
-  urgenza, che determina la necessità di un intervento sanitario senza il quale sorge un rischio per la vita del paziente e/o danni permanenti.
4.2.  STRUTTURA DEL SISTEMA
In aderenza alle linee guida ministeriali n.1/1996 l'insieme delle strutture preposte agli interventi di emergenza-urgenza deve essere considerato un sistema complesso ed unitario, composto da:
a) allarme sanitario, con numero telefonico unificato, diretto da una Centrale operativa (C.O.) con compiti di valutazione, filtro ed allertamento del sistema;
b) una rete di mezzi di trasporto attrezzati in grado di garantire l'intervento di soccorso, di salvaguardia e stabilizzazione delle funzioni vitali compromesse, nonché il trasporto nel minor tempo possibile nel punto della Rete ospedaliera o territoriale adeguatamente qualificato ed attrezzato per affrontare e risolvere la situazione di urgenza e/o emergenza;
c) una Rete ospedaliera e territoriale dotata di strutture dedicate al pronto soccorso, all'accettazione ed al successivo trattamento dello stato di emergenza-urgenza.
Il sistema di emergenza-urgenza è quindi costituito dall'insieme dei Dipartimenti di emergenza-urgenza che dovranno essere costituiti nelle Aziende USL e nelle Aziende ospedaliere e che saranno collegati con le rispettive C.O. di bacino.
Partecipano al sistema i medici dell'emergenza sanitaria territoriale cioè medici che, avendo superato il corso di formazione obbligatorio organizzato dall'Assessorato regionale della sanità per le attività di emergenza-urgenza, potranno operare sui mezzi di trasporto attrezzato e nelle strutture ospedaliere e territoriali del Dipartimento di emergenza-urgenza.
4.3.  CENTRALE OPERATIVA
La Centrale operativa attraverso il numero telefonico unico "118" raccoglie tutte le richieste di intervento per urgenze e/o emergenze sanitarie provenienti da cittadini e dalle strutture sanitarie, garantisce gli interventi nell'ambito territoriale di competenza ed è collegata mediante linee radio, telefoniche e/o telematiche con i servizi sanitari del sistema di emergenza-urgenza sanitaria del territorio di competenza (Dipartimenti di emergenza, servizi di pronto soccorso, presidi territoriali per l'emergenza, guardia medica, etc.) e con le ambulanze e gli altri mezzi .di soccorso.
Ogni Centrale operativa mantiene i collegamenti con le altre centrali e dovrà raccordarsi con la Protezione civile e con gli uffici preposti ai piani di intervento delle prefetture.
Ogni Centrale operativa dirige la rete dei trasporti sino alla presa in carico della situazione di emergenza-urgenza da parte della Rete ospedaliera.
Compito della Centrale operativa è anche il coordinamento delle attività connesse con il trasporto urgente di sangue nonché di quelle relative al prelievo e trapianto di organi.
4.3.1.  Modello organizzativo della Centrale operativa
La Centrale operativa attiva 24 ore su 24 si avvale di:
1) un responsabile medico ospedaliero, preferibilmente anestesista con comprovata esperienza nel settore dell'emergenza-urgenza ed operante nella medesima area di emergenza;
2) personale infermieristico addestrato con documentata e comprovata esperienza nel settore dell'emergenza e dell'urgenza sanitaria;
3) medici di Centrale operativa dipendenti o convenzionati che abbiano superato il corso di formazione obbligatorio per l'emergenza sanitaria territoriale organizzato dall'Assessorato regionale della sanità; in mancanza di tali figure professionali potranno anche essere utilizzati medici incaricati nominativamente, anche a contratto, purchè in possesso di comprovata esperienza nel settore dell'emergenza-urgenza sanitaria;
4) Per le funzioni ed attività di carattere non sanitario deve essere utilizzato prioritariamente il personale indicato dall'articolo 15 della legge regionale n. 27 del 1998 se ed in quanto compatibile ed adeguatamente formato per tali compiti.
I compiti del responsabile medico della Centrale operativa che deve assicurare la continuità organizzativa e gestionale sono:
-  l'organizzazione generale del servizio su tutto il territorio di competenza;
-  la definizione dei protocolli operativi;
-  la gestione del personale.
Al personale infermieristico è affidata la responsabilità operativa della C.O. come da DPR del 27 marzo 1992, art. 4.
In particolare l'infermiere dovrà identificare il livello apparente di gravità dell'evento segnalato, la motivazione medica apparentemente dominante, la complessità organizzativa dell'intervento classificando la chiamata e la risposta secondo il sistema di qualificazione definito dal Ministero della sanità (DPR 15 maggio 1992). Qualora ravvisi la necessità di invio di un mezzo idoneo al trasporto di infermi o nel caso ritenga non necessario l'intervento o qualora la richiesta riguardi situazioni non previste dal protocollo interno, il predetto infermiere dovrà consultare immediatamente un medico di Centrale operativa. Quest'ultimo deve tenere sia i collegamenti con il medico a bordo del mezzo inviato, sia i collegamenti con i responsabili delle strutture ospedaliere situate nell'ambito dell'area di competenza della Centrale operativa.
La C.O. deve essere costantemente a conoscenza della disponibilità della rete di trasporto e di quella ospedaliera e della situazione dei servizi territoriali di guardia medica e della rete dei presidi territoriali di emergenza-urgenza in grado di assicurare prestazioni mediche adeguate; deve altresì essere a conoscenza, in tempo reale, della disponibilità dei posti letto di terapia intensiva ed alta specialità anche sui territori di competenza delle altre centrali operative, a tal fine tutte le centrali operative debbono essere fornite dei più avanzati e funzionali sistemi di collegamento.
Il servizio di emergenza-urgenza medica regionale si avvale, prioritariamente, dei mezzi di soccorso e del personale resi disponibili dalle AUSL regionale nonché del concorso di enti, associazioni e soggetti in possesso dell'apposita autorizzazione sanitaria prevista dalla legge.
4.3.2. Modalità di funzionamento della Centrale operativa
La Centrale operativa attiva interventi di soccorso attraverso le seguenti tipologie di risposta:
a) non necessità di intervento;
b) fornitura di informazioni generali;
c) coinvolgimento della guardia medica,
d) coinvolgimento del medico convenzionato di base e/o del pediatra convenzionato;
e) invio di autoambulanza;
f) soccorso e trasporto assistito;
g) soccorso con autoambulanza di rianimazione;
h) intervento di eliambulanza.
La rete dei trasporti deve essere costituita in aderenza alle linee guida ministeriali n. 1/1996.
Il sistema regionale di elisoccorso costituisce uno strumento di fondamentale importanza per una ottimale gestione dell'emergenza in considerazione della complessità ed ampiezza del territorio regionale nonché della presenza di Isole minori.
Il sistema "118" è il momento fondamentale per l'uso razionale di tale servizio.
4.4.  LA RETE DEI TRASPORTI
La Rete dei trasporti è costituita, in aderenza alle linee guida ministeriali n.1/96, dalle ambulanze di trasporto dove non viene previsto il medico a bordo, il cui equipaggio è costituito da un autista soccorritore e da un infermiere oppure da un autista soccorritore o volontario a bordo con preparazione idonea ad operare nel sistema dell'emergenza; dalle ambulanze attrezzate nelle quali oltre l'autista soccorritore deve essere previsto un infermiere professionale e un medico esperto in emergenza sanitaria; dalle ambulanze di rianimazione nelle quali trovano posto l'infermiere professionale ed il medico anestesista-rianimatore.
Queste unità mobili di soccorso devono possedere i requisiti e le dotazioni di attrezzature e materiale previsti dalla vigente normativa e sono poste a disposizione e coordinate dalla Centrale operativa.
Il sistema regionale di elisoccorso è l'altro strumento di fondamentale importanza per una ottimale gestione dell'emergenza nella considerazione della complessità e grandezza della Regione nonché della presenza delle isole minori che devono essere raggiungibili in tempi brevi. Sono già costruite elisuperfici in vari ospedali e per il loro uso razionale diventa cruciale l'attivazione del Servizio 118, quale sistema unico di valutazione ed organizzazione dell'attività di soccorso nelle emergenze. Si prevede per il triennio di vigenza del presente PSR, il completamento delle elisuperfici con particolare riguardo agli ospedali della rete dell'emergenza e a quelle aree che presentino particolari problemi di viabilità, come le isole minori o le zone montane.
4.5.  I PRESIDI TERRITORIALI PER L'EMERGENZA-URGENZA (PTE).
Si prevede l'istituzione di una rete di presidi territoriali per l'emergenza (PTE). Tali presidi, attivi 24 ore su 24, hanno la funzione di effettuare interventi di primo soccorso che possono essere esaustivi o seguiti dall'avvio a strutture sanitarie in grado di effettuare interventi più complessi.
Al PTE dovrà essere assegnato personale medico esperto in pronto soccorso ivi compresi i medici dell'emergenza sanitaria che hanno superato l'apposito corso organizzato dall'Assessorato regionale della sanità e personale infermieristico in relazione alle necessità operative per ciascun turno.
Il PTE è dotato di ambulanze di trasporto, per tutti i casi in cui non sia necessaria la presenza del medico, mediante le quali effettuare il trasferimento al presidio ospedaliero più idoneo, mentre per tutte le situazioni in cui sia necessario il trasporto assistito ad un PO della rete di emergenza dovrà essere concordato, attraverso la CO, l'invio di un'ambulanza attrezzata per il trasporto assistito o l'invio dell'eliambulanza.
Il PTE effettua anche soccorsi domiciliari di emergenza per richiesta della CO con la quale deve essere direttamente collegato. Nelle aree sufficientemente vicine a presidi ospedalieri di AUSL e in cui non vengono istituiti dei PTE il servizio di soccorso domiciliare ha sede presso i servizi di urgenza ospedalieri ed è svolto dai medici della emergenza territoriale.
Tale soccorso domiciliare farà parte del servizio assistenziale di base offerto in ambito distrettuale e sarà coordinato all'attività dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta che operano sullo stesso territorio.
La sede più appropriata dei PTE è presso le strutture sanitarie del Distretto. Ove esistano ospedali da riconvertire l'allocazione in essi dei PTE risponde a criteri di opportunità e di economicità.
I criteri generali per decidere la loro allocazione sono: la distanza dagli ospedali, lo stato della viabilità, le zone disagiate (area montana e/o isole minori) e la densità della popolazione residente.
Al funzionamento dei PTE sono addetti i medici della emergenza territoriale che dovranno essere in condizione di:
-  fare fronte, con tempestività, alle più frequenti emergenze medico-chirurgiche, ponendo in essere attività diagnostico-terapeutiche di primo soccorso;
-  utilizzare un linguaggio comune e delle modalità operative concordate con gli operatori delle aree di emergenza, attraverso l'applicazione di protocolli operativi comuni.
4.6.  LA RETE OSPEDALIERA PER L'EMERGENZA
Con le leggi regionali n. 34/95 e n. 39/95 sono stati individuati e classificati funzionalmente i presidi ospedalieri, costituenti la Rete ospedaliera regionale per l'emergenza, che pertanto sono stati individuati quali Aziende ospedaliere dotate di autonomia gestionale.
I rimanenti presidi ospedalieri fanno parte della rete di emergenza in quanto sedi di un servizio di urgenza di primo livello.
La componente ospedaliera della rete regionale per le emergenze si articola in 3 livelli di complessità crescente, come previsto dall'art. 36 della legge regionale n. 30/93, e cioè:
-  servizi di urgenza di primo livello;
-  dipartimenti di emergenza di secondo livello;
-  dipartimenti di emergenza di terzo livello.
Il Dipartimento di emergenza e accettazione (D.E.A.) è concepito come Dipartimento in cui unità operative diverse trovano modo di integrarsi in un complesso unitario multifunzionale.
Per ragioni economiche e secondo le indicazioni fornite dall'art. 36 della legge regionale n. 30/93, tali unità operative devono essere in linea di massima già presenti nelle Aziende ospedaliere individuate come Aziende di riferimento regionale per l'emergenza di II e III livello.
Al funzionamento del Dipartimento è preposto il Comitato di cui all'articolo 17 del decreto legislativo n. 502/92, come modificato dal decreto legislativo n. 229/99.
4.6.1. Servizi di urgenza
In tutti i presidi ospedalieri di AUSL deve essere presente un servizio di urgenza operante in tutto l'arco delle 24 ore, che avrà una dotazione organica di sei unità mediche, oltre al personale parasanitario; esso costituisce un'unità operativa nell'ambito delle divisioni di medicina o di chirurgia (Unità operativa di pronto soccorso e medicina d'urgenza). Potrà essere utilizzato anche il personale medico proveniente dal servizio di guardia medica e passato al rapporto di impiego secondo le normative vigenti.
Oltre ai turni predetti di guardia attiva con presenza di almeno un medico dell'Unità operativa di pronto soccorso e medicina d'urgenza deve essere prevista la reperibilità medica, chirurgica, cardiologica e rianimatoria con personale che fa parte delle U.O del presidio ospedaliero.
L'organizzazione di cui sopra può essere, nei presidi strutturalmente più complessi, rafforzata con un doppio turno continuo (medico e chirurgico), con la pronta disponibilità delle guardie interne delle divisioni di cui è dotato l'ospedale e con la pronta disponibilità dei servizi diagnostico-terapeutici.
4.6.2. Dipartimento di emergenza e accettazione di 2° livello
Il Dipartimento di emergenza di 2° livello deve garantire le funzioni di primo soccorso e accettazione, di osservazione breve, di rianimazione e deve pure assicurare interventi diagnostico terapeutici di medicina generale, chirurgia generale, ortopedia e traumatologia, cardiologia con UTIC. Sono inoltre assicurate le prestazioni di laboratorio di analisi chimico-cliniche, di diagnostica per immagini e trasfusionali.
Il DE dovrà comprendere l'area di osservazione che è una area di degenza nella quale devono essere previsti posti letto attrezzati per il trasferimento delle patologie ad alto rischio e per l'osservazione temporanea nella attesa di definizione diagnostica. In questa area la degenza non deve eccedere le 12-24 ore.
4.6.3 Dipartimento di emergenza e accettazione di 3° livello
Nelle Aziende ospedaliere in cui esso è previsto verrà attivato un Dipartimento di emergenza di terzo livello. Esso avrà le stesse caratteristiche di quello descritto al punto precedente, con l'aggiunta degli ulteriori presidi diagnostici e con il supporto delle divisioni altamente specializzate presenti in ospedale o in ospedali viciniori (neurologia, emodialisi, camere iperbariche, neurochirurgia, cardiochirurgia).
In un sistema di emergenza organizzato sul territorio in modo organico e razionale è necessario il raggiungimento di un elevato livello di operatività attraverso la qualificazione di operatori sanitari accuratamente formati nelle metodiche di rianimazione ed assistenza delle funzioni vitali per la sopravvivenza. Compete, quindi, al Dipartimento di emergenza di 3° livello fornire agli operatori impegnati nell'emergenza le conoscenze basilari di supporto della vita mediante corsi di base, quali BLS (Basic Life Support) e corsi avanzati quali ACLS (Advanced Cardiac Life Support) ed ATLS (Advanced Trauma Life Support).
Tutti i Dipartimenti di emergenza e eccettazione ospedalieri, indipendentemente dal livello di specializzazione, dovranno prevedere al loro interno la "funzione di triage" come primo momento di accoglienza e valutazione dei pazienti in base a criteri definiti che consentano di stabilire le priorità di intervento.
Tale funzione è svolta da personale infermieristico adeguatamente formato che opera secondo protocolli prestabiliti dal responsabile del Dipartimento.
Questo personale sarà affiancato, in caso di necessità, da un medico. Il servizio garantirà l'opportuna priorità delle emergenze-urgenze che giungono in Pronto soccorso ed opererà a stretto contatto con "l'area filtro" dell'ospedale per lo smistamento dei problemi non a carattere di emergenza-urgenza.
5. GLI OBIETTIVI REGIONALI DI SALUTE
5.1.  OBIETTIVI GENERALI
Il Piano sanitario regionale, sulla base delle indicazioni contenute nel Piano sanitario nazionale 1998-2000, ha come obiettivo la promozione alla salute. Tale scelta, inoltre, impone un'assunzione di responsabilità a livello individuale e collettivo e modificazioni culturali e strategiche volte all'elaborazione di politiche intersettoriali di promozione alla salute. Gli obiettivi che si intendono raggiungere in relazione anche alle necessità assistenziali ed epidemiologiche della Regione così si individuano:
1) promuovere comportamenti e stili di vita per la salute;
2) contrastare le principali patologie;
3) migliorare il contesto ambientale;
4) rafforzare la tutela dei soggetti deboli;
5) migliorare la sanità siciliana con riferimento ai livelli europei più avanzati.
Nei capitoli che seguono vengono individuate le azioni da privilegiare.
Le attività individuate nei progetti dovranno essere sottoposte dalla Regione a verifica annuale sul raggiungimento degli obiettivi allo scopo di procedere eventualmente ai necessari correttivi.
5.2.  OBIETTIVO N. 1: PROMUOVERE COMPORTAMENTI E STILI DI VITA PER LA SALUTE
Numerose condizioni di morbosità, disabilità e mortalità prematura possono essere prevenute attraverso l'adozione di modelli comportamentali e stili di vita positivi, socialmente condivisi.
Con l'Obiettivo n. 1 il PSN 1998-2000 si propone di promuovere l'adozione di comportamenti e stili di vita in grado di favorire la salute e di sostenere la diffusione di attività di controllo e di riduzione dei fattori di rischio, soprattutto con riguardo ai gruppi sociali più svantaggiati, attraverso azioni concernenti:
-  alimentazione;
-  fumo;
-  alcool;
-  attività fisica.
5.2.1. Alimentazione
Nell'ambito dei fattori in grado di aumentare la capacità individuale a controllare, mantenere e migliorare lo stato di salute, l'alimentazione riveste un ruolo fondamentale.
In particolare il conseguimento di alcuni standards nutrizionali raccomandati (Linee guida per una sana alimentazione italiana dell'Istituto nazionale della nutrizione, 1997) appare in grado di determinare importanti riduzioni nell'incidenza e nella mortalità per patologie cardio e cerebrovascolari e per tumore del colon-retto, oltre che per numerose altre patologie (diabete, ipertensione, ecc...).
Analogamente la riduzione dell'obesità è un importante obiettivo di salute collegato all'alimentazione ed all'attività fisica.
In tale ottica appare necessario promuovere l'adozione di modelli alimentari tendenzialmente adeguati agli standard nutrizionali raccomandati dagli organismi scientifici. A tale scopo per migliorare il consumo alimentare dei giovani viene predisposto un progetto tendente a fornire ai giovani delle scuole elementari e medie attraverso l'attiva collaborazione degli insegnanti e delle famiglie (le quali devono per primi correggere eventuali errate abitudini alimentari), adeguate conoscenze nutrizionali ma anche motivazioni a sperimentare nuovi modelli di consumo alimentare consoni ad una corretta alimentazione. Inoltre in occasione del primo ciclo vaccinale dei neonati sarà attuata una indagine conoscitiva sull'alimentazione al seno o artificiale o mista praticata dalle mamme.
La metodologia da utilizzare sarà quella della comunicazione a due vie, attiva-partecipativa attraverso l'uso di questionari, diario alimentare (questionario sulle abitudini alimentari giornaliere), "semaforo alimentare", gruppi di discussione. In particolare verranno predisposti incontri a cadenze mensili inizialmente rivolti agli insegnanti a cui verrà proposto un questionario di attivazione attraverso il quale saranno indotti a prendere consapevolezza dei più grossolani errori alimentari e della facilità con cui possono essere rimossi con un minimo impegno. Successivamente verrà proposta la compilazione del diario e del "semaforo alimentare", delle schede di attivazione su colazione, pranzo e cena e su gruppi di alimenti. Incontri saranno predisposti altresì con i genitori a carattere informativo e con gli alunni. In tali incontri gli alunni verranno stimolati a prendere consapevolezza sul concetto di stare bene e sul ruolo importante rivestito dall'alimentazione nel mantenimento dello stato di salute. Una scheda informativa a carattere sia medico sia sociologico sarà proposta ai destinatari con lo scopo di far comprendere il valore nutrizionale dei vari alimenti e contemporaneamente ciò varrà a far riflettere sulle stimolazioni alimentari indotte dai mass-media, che in funzione dei rapporti alimentazione-salute, alimentazione-benessere, alimentazione-aspetto fisico, inducano a adottare acriticamente comportamenti dietetici in contrasto con i principi di una corretta alimentazione.
Il programma sopra indicato dovrà coinvolgere a vari livelli le figure professionali del medico igienista, dello psicologo, del sociologo, del pedagogista e del dietista. Al termine del programma dovrà essere effettuata dagli operatori una valutazione dei risultati raggiunti.
In tale campo, inoltre, dovrà essere effettuata un'attività di promozione della conoscenza, della provenienza e qualità dei prodotti alimentari e di verifica della correttezza delle informazioni ai consumatori nonché azioni di monitoraggio della ristorazione collettiva in particolare nei contesti lavorativi e di comunità e di incentivo alla diffusione di proposte alimentari dietetiche.
In tale contesto priorità assoluta sia per gli aspetti legati al controllo analitico propriamente detto, sia per le problematiche finanziarie che per la necessità di dare attuazione alle vigenti normative, deve essere data all'accreditamento degli ex Laboratori di igiene e profilassi, come previsto dal decreto legislativo n. 155/97.
5.2.2.  Fumo
Consolidate evidenze scientifiche dimostrano la relazione esistente tra abitudine al fumo di sigaretta e stato di salute. Il fumo di tabacco è il più importante fattore di rischio per numerose patologie neoplastiche e cronico degenerative per gli apparati polmonari e cardiovascolari alcune delle quali rappresentano le cause più frequenti di mortalità e morbilità.
A differenza dei fattori di rischio genetici e ambientali che non dipendono dalla volontà del singolo, il fumo è frutto di una scelta individuale spesso influenzata dal contesto sociale. I rischi aumentano in modo proporzionale al crescere del numero di sigarette fumate, ma appaiono parzialmente reversibili nel tempo (a 15 anni dalla data di interruzione del fumo i rischi di morte degli ex fumatori si avvicinano a quelli dei non fumatori).
I dati forniti dall'ISTAT indicano un trend in discesa essendosi assistito nell'ultimo decennio al forte calo dei fumatori e marcatamente nei maschi: la percentuale degli ex fumatori è maggiore negli uomini che nelle donne; la riduzione di tale abitudine è omogeneamente distribuita tra le classi di età per quanto concerne gli uomini, mentre nelle donne si evidenzia nelle classi di età centrali (25-44 anni) un'ulteriore diffusione di tale abitudine. Anche tra i giovani, dal cui comportamento si delineano gli andamenti futuri del fenomeno, si assiste ad una diminuzione della prevalenza ed una tendenza a smettere prima.
La Sicilia sempre secondo i dati ISTAT nel periodo 1993 -1997 è passata dal quinto al nono posto fra le regioni nelle quali si registra il maggior numero di fumatori: infatti, la percentuale di fumatori nella popolazione oltre i 14 anni è scesa dal 26,6 al 24,1 %. Gli uomini fumano una media di 18 sigarette giornaliere mentre per le donne (che registrano una percentuale di fumatrici del 15,4 %) vi è una media di 12 sigarette quotidiane: ciò comporta globalmente una media di 16 sigarette fumate ogni giorno.
Obiettivo del triennio di vigenza del Piano deve essere quindi quello di ridurre la presenza di fumatori e la quantità di sigarette fumate riducendo sotto la soglia del 20% della popolazione oltre i 14 anni il numero dei fumatori e riducendo la media di consumo quotidiano in 10 sigarette fumate per gli uomini e in 7 sigarette fumate per le donne, con tendenza allo zero per le donne in stato di gravidanza. Inoltre la prevalenza dei fumatori di età compresa tra i 14 e i 17 anni non dovrà superare il 7% per i maschi ed il 3% per le femmine. A tal fine vengono individuate le seguenti opzioni specifiche da svolgere nel triennio:
1) rilevazione della prevalenza nei fumatori delle motivazioni psicologiche e sociali e del livello di conoscenza dei danni alla salute legati al tabagismo;
2) interventi di educazione sanitaria finalizzati ad illustrare le diverse motivazioni che spingono al fumo, i benefici a breve e a lungo termine legati alla sospensione, i meccanismi che ne determinano la dipendenza fisica e psicologica, i danni alla salute con particolare riferimento alla popolazione in età scolare selezionando rigorosamente gli interventi di cui è nota l'efficacia;
3) promozione di iniziative e campagne per far rispettare il divieto di fumo nei locali pubblici e negli ambienti di lavoro ribadendo anche la nocività dei fumo passivo, a tal fine è fatto obbligo ai direttori generali ed ai direttori sanitari delle AUSL di garantire l'osservanza di tale divieto a partire specialmente dalle strutture del Servizio sanitario;
4) sostegno a tutte le iniziative volte a favorire la dissuefazione dal fumo;
5) vigilanza sulla corretta applicazione dei limiti alla pubblicità diretta e indiretta;
6) favorire gli interventi presso i reparti di ostetricia, consultori familiari e laboratori di analisi cliniche pubblici e privati per un'azione diretta sulle donne in gravidanza per sensibilizzarle e convincerle ad abbandonare la consuetudine del fumo in relazione ai danni che il fumo può causare non solo a loro ma soprattutto al nascituro.
5.2.3.  Alcool
L'abuso di alcool è causa diretta di malattia e uno dei principali determinanti di incidenti.
Gli effetti acuti dell'ingestione di quantità eccessive di alcool possono condurre ad un aumento del rischio di mortalità o morbosità per incidenti stradali e domestici e possono pregiudicare la sicurezza di condizioni e ambienti di lavoro. L'abuso cronico di alcool ha un ruolo eziologico diretto in alcune patologie specifiche (cirrosi alcoolica, sindrome feto-alcoolica, psicosi alcoolica, ecc.) e favorente in numerose altre.
Alla luce delle attuali evidenze scientifiche relative agli effetti di fattori biologici, genetici, ambientali e comportamentali e delle tendenze registrate nel corso degli ultimi anni in Italia (significativa riduzione dei consumi alcoolici procapite) appare opportuno orientare prioritariamente l'intervento di promozione della salute, verso i forti consumatori a più alto rischio.
Il presente Piano sanitario regionale in linea con il P.S.N. si propone la realizzazione dei seguenti obiettivi:
-  la prevalenza dei consumatori di bevande alcooliche che eccedono i 40 grammi al giorno di alcool, per i maschi, ed i 20 grammi al giorno di alcool, per le donne, dovrà ridursi nel triennio 2000-2002 del 20%.
-  la prevalenza dei consumatori di bevande alcooliche fuori pasto dovrà tendenzialmente ridursi del 30%.
Sono stati rilevati dall'ISTAT sul territorio nazionale seguenti valori nelle persone di 14 anni e più:
-  bevono oltre 1/2 litro di vino al giorno:  uomini   12,2% donne   11,8% 
-  bevono alcoolici fuori pasto:  uomini   35,3% donne   10,1%. 

Sono indicate per il raggiungimento degli obiettivi di cui sopra le seguenti azioni specifiche, di prevenzione primaria e di promozione della moderazione dei consumi, che comprendono sia provvedimenti nazionali sia interventi regionali e locali:
-  interventi di regolamentazione della pubblicità dei prodotti alcoolici;
-  misure di regolamentazione dell'informazione sul contenuto alcoolico delle bevande con esplicito riferimento ai possibili effetti dannosi;
-  azioni di controllo della qualità dei prodotti alcoolici e di riduzione del grado alcoolico delle bevande;
-  campagne di educazione sanitaria differenziate per i diversi gruppi di popolazione;
-  campagne mirate a controllare i consumi alcoolici fra donne in gravidanza e a promuovere l'interruzione del consumo;
-  sostegno ad iniziative volte alla disassuefazione dall'alcool, impegnando anche i medici di medicina generale con programmi strutturati di provata efficacia;
-  misure fiscali volte a disincentivare il consumo di alcoolici;
-  misure volte a favorire il rispetto dei limiti di concentrazione ematica di alcool durate la guida;
-  regolamentazione della vendita di alcool in coincidenza di manifestazioni sportive e culturali e nelle autostrade;
-  promozione di iniziative che limitano la vendita di bevande alcooliche ai minori.
Sono inoltre necessarie azioni mirate al miglioramento dell'assistenza dei soggetti alcool-dipendenti.
5.2.4. Attività fisica
Nell'ambito dell'adozione di stili di vita sani l'attività fisica riveste un ruolo fondamentale.
Il ruolo protettivo dell'esercizio fisico regolare è stato dimostrato soprattutto nei riguardi delle patologie cardio e cerebrovascolari, ma anche di quelle osteoarticolari e metaboliche.
Appare possibile prevedere il perseguimento dei seguenti obiettivi :
-  la prevalenza di individui (giovani e adulti) che praticano regolarmente (almeno una volta la settimana) attività fisicosportiva nel tempo libero dovrà aumentare in media del 10% e comunque non meno del 10% fra gli anziani.
Sono stati rilevati dall'ISTAT i seguenti valori relativi alla pratica di attività fisico-sportiva una volta alla settimana o più:
-  uomini  23,2 %; 
-  donne  13,3 %; 
-  uomini 15-19 anni  46,3 %; 
-  donne l5-19 anni  26,0 %; 
-  uomini 65 anni e più  4,2 %; 
-  donne 65 anni e più  1,1 %. 

A tal fine possono essere indicate le seguenti azioni specifiche, da sviluppare attraverso piani aziendali:
-  iniziative rivolte a promuovere attività fisica nella popolazione generale;
-  campagne mirate specificamente a promuovere l'attività fisica fra gli anziani;
-  coordinamento e sviluppo di iniziative da attivare con il coinvolgimento delle organizzazioni di settore per la promozione dell'attività fisica fra i giovani;
-  attivazione di centri di medicina sportiva e di cardiologia dello sport di riferimento regionale.
5.3.  OBIETTIVO N. 2: CONTRASTARE LE PRINCIPALI PATOLOGIE
5.3.1.  Malattie cardio e cerebrovascolari
Le patologie del sistema circolatorio sono responsabili del 44% dei decessi registrati in Italia nel 1993.
La mortalità per malattie cardio e cerebrovascolari è in diminuzione nel periodo 1971-1993 mentre la morbilità appare in aumento.
Particolare attenzione meritano le differenze registrate nella incidenza e nella mortalità in relazione alle diverse aree geografiche e condizioni socioeconomiche dei diversi gruppi di popolazione.
I principali fattori di rischio riconosciuti a livello individuale e collettivo per le malattie ischemiche del cuore e per gli accidenti cerebrovascolari sono l'abitudine al fumo di sigarette, la ridotta attività fisica, gli elevati livelli di colesterolemia e di pressione arteriosa. Tali fattori di rischio possono essere influenzati attraverso la modificazione delle abitudini alimentari e dello stile di vita già affrontati nell'Obiettivo n. 1 del Piano sanitario regionale. Quando la riduzione dell'esposizione ai fattori di rischio non è sufficiente, è necessario ricorrere ad un adeguato trattamento farmacologico dell'ipertensione e dell'ipercolesterolemia.
Le statistiche dell'ISTAT forniscono i seguenti tassi di mortalità per 10.000 abitanti di età compresa tra 45 e 74 anni:
-  malattie ischemiche del cuore uomini  23,0; 
-  malattie ischemiche del cuore donne  7,0; 
-  malattie cerebrovascolari uomini  10,0; 
-  malattie cerebrovascolari donne  7,0. 

Il presente PSR si propone di realizzare i seguenti obiettivi :
-  riduzione della mortalità derivante da malattie ischemiche del cuore almeno del 10%.
-  riduzione della mortalità derivante da malattie cerebrovascolari almeno del 10%.
-  riduzione delle diseguaglianze in termini mortalità fra aree geografiche e fra gruppi sociali.
-  miglioramento della qualità della vita del paziente affetto da patologie cardio e cerebrovascolari e del paziente affetto da patologie angiologiche invalidanti.
A tal fine, possono essere indicate le seguenti azioni da sviluppare a livello regionale e aziendale:
a) interventi finalizzati alla prevenzione primaria nella popolazione generale. Gli interventi dovranno essere focalizzati sui benefici derivanti dalla abolizione o dalla riduzione del fumo, dalla adozione di stili di vita caratterizzati da una sana alimentazione e da un aumento dell'attività fisica, dal perseguimento di livelli ottimali per quanto riguarda la colesterolemia e di pressione arteriosa. Le azioni potranno avvalersi di campagne di educazione sanitaria e di sensibilizzazione degli operatori sanitari, per il controllo dei fattori di rischio nella popolazione.
b) interventi finalizzati alla prevenzione secondaria negli individui a rischio. Gli interventi dovranno essere mirati alla diminuzione dei livelli dei fattori di rischio e alla prevenzione delle complicanze negli individui già affetti da una patologia cardiovascolare. Le azioni potranno essere finalizzate a:
-  identificazione e assistenza differenziata dei soggetti ad alto rischio;
-  produzione, diffusione e adozione di linee guida per l'assistenza ai soggetti ipertesi e ipercolesterolemici;
-  attivazione di programmi di riabilitazione;
c) attivazione del Registro regionale per gli eventi coronarici e cardiovascolari maggiori.
5.3.2. Malattie infettive
Le malattie infettive rappresentano un rilevante problema di salute pubblica nonostante la disponibilità per molte di esse di efficaci interventi di prevenzione e di terapia. La lotta alle malattie infettive si realizza mediante:
-  programmi di prevenzione con particolare riferimento alle vaccinazioni e alle educazione alla salute;
-  potenziamento dei sistemi di sorveglianza per le malattie emergenti e riemergenti;
-  informatizzazione del sistema di notifiche;
-  razionalizzazione e riorganizzazione della rete infettivologica nel contesto di ospedali generali;
-  piena attivazione dei comitati di controllo delle infezioni ospedaliere, all'interno dei presidi ospedalieri, mediante l'assegnazione di specifiche responsabilità gestionali a personale qualificato e la definizione di politiche di intervento e di procedure scritte in accordo a linee guida internazionali.
Si identificano le seguenti aree prioritarie di intervento:
1) infezioni da HIV e patologie correlate: strategie di prevenzione e di adeguamento ad elevati standards assistenziali;
2) infezioni ospedaliere: sorveglianza, prevenzione e controllo mediante programmi che rappresentino criteri di accreditamento delle strutture;
3) tubercolosi: sorveglianza epidemiologica con particolare riferimento alle scuole, agli immigrati, ai tossicodipendenti ed agli immunodepressi, anche mediante il riutilizzo di personale medico proveniente dagli ex consorzi antitubercolari; diagnostica e trattamento nei reparti di broncopneumologia e malattie infettive;
4) antropozoonosi: interventi coordinati sia sugli animali sia sulla popolazione umana, in particolare contro la brucellosi e la febbre bottonosa del Mediterraneo;
5) patologie emergenti e riemergenti: interventi di sorveglianza e prevenzione con particolare riguardo alle malattie di importazione;
6) malattie dell'apparato digerente ad etiologia infettiva: monitoraggio, prevenzione, diagnostica e trattamento in particolare delle patologie di origine virale.
Sono definiti i seguenti obiettivi specifici:
a) il virus della poliomielite dovrà essere eradicato in linea con quanto previsto dal PSN;
b) l'esito del trattamento dei casi di tubercolosi dovrà essere monitorato dimostrando che il trattamento farmacologico è stato completato in almeno l'85% dei casi diagnosticati;
c) l'incidenza delle infezioni ospedaliere dovrà ridursi di almeno il 25% con particolare riguardo ad infezioni delle vie urinarie, infezioni della ferita chirurgica, polmoniti postoperatorie o associate a ventilazione assistita ed infezioni associate a cateteri intravascolari.
5.3.3. La prevenzione delle malattie infettive mediante vaccini.
La vaccinazione è un intervento di sanità pubblica con scarsa analogia con altri interventi sanitari, caratterizzata da ormai documentati rapporti rischio-beneficio e costo-beneficio nettamente a favore dell'intervento vaccinale.
Notevole, infatti, è il numero dei bambini sotto i cinque anni che si ammalano di malattie infettive, che potevano essere evitate da una vaccinazione già disponibile nel nostro Paese.
Con un corretto intervento vaccinale si ha un evidente risparmio delle giornate di degenza, dell'impiego di farmaci, delle giornate lavorative perse dai genitori nonchè un miglioramento della qualità della vita dei soggetti ed il venire meno delle gravi complicazioni che spesso seguono tali malattie.
Fortunatamente i dati di copertura vaccinale migliorano rapidamente, quale risultato di impegni normativi e di migliorata attività preventiva, sia dei medici di sanità pubblica che dei medici di base; tuttavia parecchio ancora resta da fare se si vogliono raggiungere gli impegni minimi fissati dall'Organizzazione mondiale della sanità.
Accanto a queste considerazioni ne va fatta un'altra per la vaccinazione antinfluenzale: infatti se la mancata prevenzione vaccinale nei bambini provoca prevalentemente morbosità, disagio nei genitori e costi aggiuntivi, nell'anziano provoca morti, incidenti cardiovascolari e ospedalizzazioni prolungate. Studi su coperture vaccinali dell'anziano dimostrano che soltanto un anziano su due riceve la vaccinazione antinfluenzale.
Sulla base di tali considerazioni è opportuno identificare linee strategiche da seguire e stabilire i seguenti obiettivi specifici nel campo delle vaccinazioni per la piena attuazione di quelle obbligatorie:
-  raggiungimento della copertura vaccinale di almeno il 95% della popolazione di età inferiore ai 24 mesi, anche immigrata, per morbillo, rosolia, parotite, pertosse ed haemophilus influenzae;
-  copertura vaccinale antinfluenzale di almeno il 75% della popolazione al di sopra dei 64 anni;
-  vaccinazione antipneumococcica, antinfluenzale ed antiepatite A per le popolazioni a rischio;
-  monitorare gli effetti indesiderati di tutte le vaccinazioni.
Gli obiettivi dovranno essere raggiunti al termine del presente Piano fissando i seguenti traguardi:
-  1° anno di vigenza del Piano: 80% per le vaccinazioni consigliate in età infantile e 50% per la vaccinazione antinfluenzale dell'anziano ed avvio della vaccinazione antipneumococcica;
-  2° anno di vigenza del Piano: dopo le verifiche dei risultati conseguiti nel primo anno raggiungimento del target 95% ed avvio in modo sistematico nei principali Comuni capoluogo della vaccinazione antinfluenzale associata nell'anziano con la vaccinazione antipneumococcica fissando come target il 75%;
-  3° anno di vigenza del Piano: mantenimento dei risultati conseguiti nel 2° anno.
Le modalità operative per raggiungere tali obiettivi sono:
1) sistemi rapidi di acquisto di vaccini da parte della AUSL;
2) ampia diffusione a mezzo mass-media, stampa, ecc., della gratuità e disponibilità della vaccinazione;
3) interazione dei medici di medicina generale e dei pediatri di base per una maggiore penetrazione della vaccinazione nelle popolazioni bersaglio;
4) informatizzazione dei centri di vaccinazione;
5) formazione di Unità operative itineranti per centri di vaccinazione inferiore a 10.000 abitanti;
6) acquisizione in tempo reale e comunque non oltre i 45 giorni dalla nascita, da parte dei centri vaccinali, degli elenchi dei nuovi nati e della popolazione ultra sessantaquattrenne con aggiornamenti trimestrali;
Per l'emergenza brucellosi sarà attivato lo specifico progetto obiettivo che tenga conto del sistema di sorveglianza esistente per tale malattia.
Nel contesto degli obiettivi proposti particolare attenzione deve essere posta alla estensione dei programmi alla popolazione degli extracomunitari, a qualunque titolo presenti sul territorio.
Durante il periodo di vigenza del Piano si prevede una implementazione dell'attività di epidemiologia del Dipartimento di prevenzione mediante l'attivazione di strutture organizzative specifiche per quelle Aziende UU.SS.LL. che ancora non le hanno attivate. Inoltre, si prevede la realizzazione di un programma di formazione in epidemiologia di campo di un Dirigente medico di primo livello di ogni AUSL, mediante un programma di formazione concordato con il S.S.R.
Infine, occorre mantenere e potenziare i sistemi di sorveglianza attualmente in funzione (brucellosi, meningite, malattia meningococcica, infezioni di Haemophìlus, tubercolosi, etc.), con possibilità di trasmissione in tempo reale dei dati relativi utilizzando la rete telematica in corso di realizzazione.
Elemento fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi è l'informatizzazione del sistema di notifica delle malattie infettive e delle anagrafi vaccinali.
Soltanto la Regione siciliana non ha ancora informatizzato i flussi informativi delle malattie infettive e delle anagrafi vaccinali sebbene, già da alcuni anni, sono stati definiti i protocolli con l'I.S.S. per la realizzazione della rete del sistema informativo. Detto sistema informativo costituisce la base della rete informatica dell'istituendo Dipartimento di prevenzione che costituirà il sistema informativo della rete di prevenzione della Regione.
Nel corso del 1° anno di vigenza del presente PSR si prevede di procedere alla formazione degli operatori del S.S.R che opereranno sulla rete, nonché l'installazione e l'entrata in funzione della rete stessa.
Nel 2° e 3° anno si prevede il pieno utilizzo della rete stessa con estensione agli altri servizi del Dipartimento di Prevenzione.
5.3.4 Malattie oncologiche
In tema di malattie oncologiche, nella stesura del presente PSR si è tenuto conto di quanto contenuto nelle Linee guida del Ministero della sanità su indicazione della Commissione Oncologica Nazionale (C.O.N.). Deve essere posto un forte accento a:
a) l'assoluta priorità di una azione programmata nell'assistenza (diagnosi e cura) delle malattie neoplastiche;
b) la particolare attenzione che bisogna rivolgere a quelle forme tumorali la cui incidenza è in continuo aumento;
c) il grave onere economico che il Servizio Sanitario Regionale (SSR) deve sostenere, per le conseguenze sociali e familiari che le malattie oncologiche comportano (non ultimo le prestazioni sanitarie all'estero e negli altri ospedali italiani).
d) la necessità di dare concreta attuazione alle disposizioni contenute nella Legge regionale n.26/96 riguardanti l'assistenza ai malati affetti da patologia tumorale in fase avanzata e terminale.
I dati sulla mortalità (190/100.000 abitanti) sono coerenti con quelli del Registro tumori di Ragusa che possono essere considerati rappresentativi della mortalità regionale; inoltre, lo studio epidemiologico ITACARE ha identificato nei dati del Registro siciliano i peggiori indici di sopravvivenza, specie per quei tumori in cui la diagnosi precoce ha una documentata efficacia.
Nelle "Linee guida per l'oncologia", espresse dalla C.O.N. l'indice medio di posti letto per oncologia raccomandato è pari a 0,18/1000 ab.: tutto ciò si traduce in un fabbisogno teorico, rapportato alla popolazione siciliana di circa 900 posti letto.
D'altra parte nel 1998 i ricoveri autorizzati fuori Regione dalla competente Commissione regionale preposta sono stati:
      Resto d'Italia Estero Totale ricoveri 
Oncologia medica      1.086 536 1.622 
Oncologia chirurgica      27 32 59 
Totale ricoveri      1.113 568 1.681 

La valutazione del dato riguardante la migrazione sanitaria per patologia oncologica evidenzia una domanda sanitaria essenzialmente rivolta verso l'oncologia medica mentre è verosimile un soddisfacimento della domanda di prestazioni chirurgiche da parte delle strutture ospedaliere dell'Isola. Altrettanto attendibile è la considerazione che i pazienti chirurgici vengono ricoverati ed operati in reparti diversi da quelli di oncologia chirurgica. Inoltre è da considerare il fatto che la gran parte dei pazienti oncologici che necessitano di terapia medica possono essere trattati in regime di "day hospital" e pertanto con un minore impegno dei posti letto il cui numero totale potrebbe quindi essere quindi ridotto rispetto ai 900 sopracitati.
In ogni caso, in linea con le raccomandazioni della C.O.N. recepite dal Ministero della sanità nel 1996, è indispensabile procedere ad un ottimale utilizzo e coordinamento di tutte le risorse professionali e strutturali esistenti mediante l'adozione di alcuni strumenti operativi quali i Dipartimenti.
Per un'organica pianificazione degli interventi in oncologia si rende necessaria l'osservazione e l'analisi dei dati epidemiologici sulle incidenze dei tumori in Sicilia con il potenziamento dell'Osservatorio epidemiologico regionale, del Registro Tumori di Ragusa e dei Registri d'organo già istituiti o da istituire almeno uno per provincia.
L'organizzazione in materia oncologica regionale si articola come segue:
a) Dipartimento oncologico di terzo livello.
In ciascun Dipartimento oncologico di terzo livello devono essere presenti le seguenti U.O.:
-  oncologia medica;
-  ematologia;
-  strutture per il trattamento ad alte dosi ed eventuali unità di trapiantologia;
-  radioterapia;
-  farmacia cui afferisca anche l'U.Ma.C.A.(Unità Manipolazione Chemioterapici Antiblastici) ;
-  anatomia e citoistologia patologica;
-  chirurgie ad indirizzo oncologico (ad esempio generale, toracica, O.R.L. e maxillofacciale, plastiche ricostruttive, urologica, ginecologica, ecc.);
-  patologia clinica speciale oncologica;
-  psicologia;
-  servizio sociale;
-  medicina fisica e riabilitazione;
-  endoscopie speciali;
-  medicina nucleare;
-  diagnostica per immagini con eventuale sezione interventistica;
-  anestesia e rianimazione;
-  unità di cure palliative;
-  laboratorio di biologia molecolare e di ricerca di base.
Per il trapianto di cellule staminali emopoietiche (allo ed autotrapianto) si fa riferimento a quanto raccomandato nell'allegato "C" della proposta tecnica della Commissione Oncologica Regionale.
Vengono individuati, se ed in quanto in possesso dei requisiti previsti dal PSR, come sedi di Dipartimento oncologico di terzo livello l'Ospedale "M. Ascoli" di Palermo e "S. Luigi e S. Currò" di Catania facenti parte di aziende di riferimento nazionale e di alta specializzazione, l'Azienda ospedaliera "Papardo" di Messina, le aziende ospedaliere policlinici universitari, l'azienda ospedaliera civile O.M.P.A. di Ragusa, l'Azienda ospedaliera "Sant'Elia" di Caltanissetta ed il Presidio ospedaliero "S. Vincenzo" di Taormina della AUSL n. 5 di Messina.
La prestazione sanitaria oncologica erogata da queste strutture sanitarie deve avere caratteristiche di multidisciplinarietà, complessità e peculiarità oncologica, con possibilità di collaborazioni nel campo della ricerca e della formazione.
b) Dipartimento oncologico di secondo livello.
Fermo restando quanto già previsto dall'Assessorato regionale della sanità con proprie linee guida è opportuna l'istituzione di dipartimenti oncologici funzionali anche interaziendali a livello provinciale, secondo le modalità previste dalla legge regionale n. 25/96 che possano assicurare in modo coordinato ed uniforme l'erogazione delle prestazioni sia dal punto di vista della prevenzione delle patologie oncologiche che da quello diagnostico e terapeutico. Al fine di garantire standards assistenziali qualitativamente elevati e fornire prestazioni di alto contenuto specialistico ed evitare, nel contempo, una frammentazione delle risorse finanziarie a detrimento della efficacia degli interventi, è previsto per ciascun ambito provinciale almeno un Dipartimento oncologico di secondo livello. Nei dipartimenti che insistono su base provinciale o aree esposte all'insorgenza di neoplasie collegate a particolari rischi ambientali vanno previste adeguate forme di prevenzione, assistenza diagnostica e terapeutica.
Dovranno essere presenti nel Dipartimento oncologico di secondo livello le seguenti U.O.:
-  oncologia medica;
-  chirurgia generale ad indirizzo oncologico e chirurgie specialistiche, ove presenti;
-  anatomia e istologia patologica;
-  radioterapia (attivabile con bacino di utenza interprovinciale),
-  unità di cure palliative.
E' opportuno che l'attivazione dei dipartimenti di secondo livello avvenga con gradualità e che gli eventuali nuovi posti letto di oncologia vengano istituiti sulla base delle esigenze assistenziali, di concerto tra i direttori generali e l'Assessorato regionale della sanità.
c) ambulatori di primo livello:
Gli ambulatori di oncologia medica sono affidati ad oncologi medici, coordinati ed inseriti nella organizzazione dipartimentale di secondo e terzo livello.
Analogamente per ciascun livello potranno organizzarsi le strutture private accreditate in possesso dei requisiti sopradescritti.
5.3.5. Cure palliative al malato oncologico in fase avanzata e terminale
Per una corretta gestione delle problematiche connesse all'assistenza dei pazienti che necessitano di cure palliative viene attuata una ricomposizione organizzativa di funzioni ospedaliere e territoriali, che permettono una presa in carico globale del paziente attraverso una rete di attività e servizi strettamente coordinati ed interconnessi.
Le cure palliative sono la cura attiva, globale e multidisciplinare dei pazienti affetti da malattia che non rispondono più a trattamenti specifici e di cui la morte è la diretta conseguenza.
Il controllo dei problemi psicologici, sociali e spiratuali è di fondamentale importanza.
Lo scopo delle cure palliative è il raggiungimento della migliore qualità di vita possibile per i pazienti e le loro famiglie.
Nella Regione siciliana ogni anno muoiono a causa della sola malattia neoplastica circa 11.000 persone.
Nel quadro dell'azione programmata si prevede, nell'arco del triennio, l'attivazione a livello regionale, di una Rete di assistenza ai pazienti in fase avanzata e terminale, e la piena attuazione della legge regionale n. 26/96 con l'istituzione presso ogni Azienda territoriale di almeno una Unità di valutazione palliativa (UVP).
In ogni ambito provinciale dovrà essere realizzata una rete di assistenza ai pazienti in fase avanzata e terminale costituita da un'aggregazione funzionale ed integrata di servizi distrettuali ed ospedalieri sotto forma di Dipartimento interaziendale misto ospedale-territorio che operi in modo sinergico con la rete di solidarietà sociale, presente nel contesto territoriale e nel rispetto della autonomia clinico-assistenziale dei rispettivi componenti.
La Rete si articolerà nelle seguenti linee organizzative differenziate e nelle relative strutture dedicate alle cure palliative:
-  assistenza ambulatoriale;
-  assistenza domiciliare integrata;
-  assistenza domiciliare specialistica;
-  ricovero ospedaliero in regime di day-hospital;
-  ricovero in strutture Hospice.
La Rete di assistenza dei pazienti terminali sarà coordinata da un Dirigente medico, con specifica esperienza e formazione in cure palliative, individuato tra quelli che già operano in servizi coinvolti nella Rete di assistenza ai pazienti terminali.
L'organizzazione della Rete di assistenza ai pazienti terminali deve prevedere una specifica fase operativa preposta alla valutazione e presa in carico del paziente ed alla formulazione di un piano terapeutico individualizzato.
All'interno dei Dipartimenti oncologici di terzo livello dovrà essere istituita una U.O. di cure palliative con posti letto "Hospice" e, in ogni caso, dovrà essere prevista una U.O. per ogni provincia.
L'obiettivo è di realizzare in una successiva fase un numero di posti letto pari a 1 p.l. ogni 20 mila abitanti.
Dovranno essere previste forme di collaborazione tra le strutture preposte e le organizzazioni non lucrative di utilità sociale operanti nel settore specifico delle cure palliative.
Nel corso del triennio di vigenza del presente PSR si procederà a realizzare strategie di comunicazione nei confronti della popolazione e degli operatori mirate ad informare sulle finalità e modalità di accesso alla citata rete.
Dovranno essere attuati dalle Aziende territoriali e ospedaliere programmi di verifica e promozione della qualità dell'assistenza per la gestione del personale e per la formazione e aggiornamento dello stesso.
5.3.6. La Commissione oncologica regionale (C.O.R.)
Fermo restando che competenza specifica della Commissione oncologica regionale è quella di assistere l'Assessore per la sanità nella programmazione ed organizzazione delle attività relative al settore oncologico e tenendo conto, tra l'altro, delle raccomandazioni formulate dalla C.O.N., si ritiene che la C.O.R. abbia anche il compito di valutare l'efficienza e l'efficacia della rete oncologica regionale.
Altre competenze da affidare alla C.O.R. sono:
-  valutare, a livello di popolazione, incidenza e mortalità per cancro e sopravvivenza per specifiche patologie in relazione allo stato della malattia;
-  fornire il supporto metodologico per la pianificazione e l'attuazione di interventi di prevenzione primaria e secondaria in collaborazione con il Dipartimento di prevenzione;
-  valutare l'efficacia di programmi di screening per i tumori;
-  contribuire alla valutazione della qualità dell'assistenza oncologica e dell'esaustività dell'applicazione di protocolli diagnostici e terapeutici a livello di popolazione;
-  contribuire alla organizzazione e valutazione dei sistemi informativi sanitari di rilevanza oncologica in collaborazione con il Dipartimento di prevenzione.
Con successivo provvedimento, che verrà emanato dall'Assessorato regionale della sanità entro 60 giorni dalla pubblicazione del PSR, verrà stabilita la composizione della C.O.R. tenendo presente la necessità che la stessa dovrà essere una struttura flessibile della quale devono far parte esperti delle varie discipline ed unità operative impegnate in attività oncologiche, articolata in gruppi di lavoro eventualmente inclusivi di esperti esterni.
5.3.7 Le strutture per il trattamento ad "Alte dosi"
Le strutture per il trattamento ad "Alte dosi" devono essere allocate nei dipartimenti di terzo livello in considerazione che tale metodica rappresenta al momento il sistema più avanzato per l'eradicazione delle neoplasie più chemiosensibili, tuttavia è possibile che siano allocate anche nei dipartimenti di secondo livello. La loro costituzione si rende necessaria e urgente in considerazione dei notevoli progressi che tale metodica ha avuto negli ultimi anni e dei risultati ottenuti in varie patologie, per cui è previsto che a tale procedura nell'immediato futuro siano indirizzati molti pazienti.
Obiettivi:
-  fornire al paziente il trattamento ottimale per poter raggiungere la guarigione o un controllo a lungo termine e quanto meno, un miglioramento della qualità della vita anche mediante cure palliative;
-  il trattamento ed il controllo periodico ambulatoriale devono attuarsi indipendentemente da situazioni economiche, sociali, geografiche o da insufficienti attrezzature locali.
Nella situazione attuale di carenza di tali strutture, nell'ambito di rapporti dipartimentali interaziendali, potrebbe essere utilizzato l'apporto tecnologico delle divisioni di Ematologia che possono effettuare l'autotrapianto di midollo osseo o di cellule staminali da sangue periferico e che già adesso eseguono autotrapianti oltre che in emopatici anche in pazienti affetti da tumori solidi loro avviati dalle Unità operative di oncologia.
5.3.8 Prevenzione primaria
Nel campo della prevenzione primaria, seppure qualche lodevole iniziativa sia stata condotta, non è mai stato previsto un piano organico di interventi. Priorità va data all'aggiornamento dei medici di medicina generale, con brevi corsi intensivi a livello regionale, ed all'educazione sanitaria e comportamentale della popolazione attraverso anche l'uso dei principali mezzi di informazione di massa.
Fra le tematiche, priorità va assegnata a:
-  fumo di tabacco;
-  correlazione dieta e cancro;
-  prevenzione del rischio cancerogeno di tipo ambientale ed occupazionale;
-  integrazione dietetica e/o farmacologica di sostanze naturali ad azione antitumorale (chemioprevenzione).
Si rinvia per tali tematiche a quanto esposto nel relativo capitolo.
5.3.9 Prevenzione secondaria
Si demanderà ai Direttori generali della Aziende dislocate sul territorio una analisi delle strutture a livello locale al fine di identificare le attrezzature e le professionalità operanti in gruppi di lavoro negli ambulatori, consultori e divisioni presso cui eseguire le indagini di screening per i tumori per cui esiste una diagnosi precoce di documentata efficacia (cervico-carcinoma uterino, carcinoma della mammella, carcinoma dei colon-retto, carcinoma della prostata, carcinoma del fegato) al fine di costituire in loco le unità funzionali che nel tempo potranno portare ad una razionalizzazione dei sistemi in uso, delle metodiche ed infine degli stessi interventi. Si raccomanda di utilizzare e fare riferimento alle linee guida già compilate dalla C.O.N.. A tal proposito, l'Assessorato regionale della sanità emanerà apposite direttive vincolanti, anche di carattere tecnico-organizzativo, per l'attuazione dei nuovi interventi in materia e per il raggiungimento della piena operatività di quelli già avviati. Al fine di ottimizzare l'utilizzo delle risorse disponibili per fornire alla popolazione una efficace prevenzione secondaria nei confronti delle patologie tumorali risultano essenziali:
-  il coordinamento delle attività di reclutamento della popolazione "bersaglio";
-  la codifica di modalità operative tecnico-diagnostiche concordate ai diversi livelli di intervento;
-  la realizzazione di sistemi concordati di verifica e controllo di qualità.
In ogni caso, l'acquisizione delle risorse già attualmente disponibili potrebbe consentire di far accedere a screening organizzati in tempi brevi già in alcune province, una parte rilevante della popolazione all'interno di alcune fasce di età maggiormente a rischio per lesioni preneoplastiche e neoplastiche iniziali.
Ad esempio per lo screening del tumore della cervice e della mammella il modello applicativo di riferimento è quello derivato dai risultati del progetto finalizzato ACRO (Applicazione clinica di ricerca oncologica) condotto dal CNR e dall'Associazione italiana ricerca sul cancro, pubblicato nel 1996 ed al quale hanno preso parte anche gruppi di ricerca che operavano in ambito ospedaliero nella Regione.
Allo scopo di rendere più agevoli i programmi di prevenzione secondaria del tumore della mammella, si prevede la esenzione completa del ticket per tutti i controlli necessari nei cinque anni successivi all'intervento chirurgico.
5.3.10. Formazione
Obiettivo formativo principale è il miglioramento della qualità degli interventi diagnosticoterapeutici e delle relazioni operatore-malato.
Nel corso del triennio 2000-2002 si procederà a:
-  promuovere corsi di aggiornamento ed esperienze di formazione con particolare riferimento ai medici di medicina generale ed al personale infermieristico;
-  inviare personale medico delle divisioni e servizi di oncologia della Regione, secondo una razionale programmazione, in centri italiani o esteri altamente specializzati in particolari procedure diagnostico-terapeutiche (alti dosaggi, trapianti di midollo, chirurgia, radioterapia, trattamenti antalgici e riabilitazione).
5.3.11. Tutela della salute dei lavoratori
Nella nostra Regione oggi i servizi di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro hanno risorse limitate o addirittura scarse a fronte di una situazione di rischio lavorativo particolarmente elevato.
L'entrata in vigore negli ultimi anni di numerose leggi che hanno dato attuazione alle direttive europee riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro (decreto legislativo n. 626/94, decreto legislativo n. 493/96, decreto legislativo n. 494/96, decreto legislativo n. 624/96, decreto legislativo n.645/96) ha determinato una sostanziale e profonda modifica della legislazione previgente.
L'intervento dei servizi delle AUSL per contribuire alla piena applicazione nella nostra Regione di quanto disposto dalla legislazione vigente costituisce una priorità nel triennio 2000-2002 ed a questo è legato il potenziamento del personale dei servizi di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro.
E' opportuno che si modifichi anche il modo di lavorare dei servizi acquisendo una metodologia d'approccio alle problematiche basata sul lavoro per "piani mirati" come di seguito indicato.
5.3.12. Strategia d'intervento ed obiettivi da raggiungere
Le priorità vengono individuate secondo le indicazioni del Piano sanitario nazionale 1998-2000 "Un patto di solidarietà per la salute", sulla base:
-  della gravità delle situazioni di rischio;
-  della diffusione delle situazioni di rischio per numero dei lavoratori e delle aziende interessate;
-  della possibilità di individuare misure adeguate per la riduzione e l'eliminazione dei rischi presenti.
Pertanto vengono individuate le seguenti azioni da svolgersi nel triennio2000-2002:
-  piani mirati di prevenzione;
-  monitoraggio sullo stato d'applicazione del decreto legislativo n. 626/94;
-  sicurezza nelle strutture sanitarie.
Gli strumenti necessari per raggiungere gli obiettivi sotto descritti (per i quali bisognerà orientare le risorse come già avvenuto per il 1998 attraverso quanto previsto dall'art. 32 c.3 della legge finanziaria 1998) sono:
-  attivazione dei servizi di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro in ogni AUSL dotati di personale delle varie professionalità in grado di adempiere a tutti i compiti previsti dalle norme vigenti;
-  attivazione delle funzioni ex ENPI ed ex ANCC in tutte le AUSL della Regione;
-  attivazione di uno sportello per le attività d'informazione ed assistenza in ogni AUSL;
-  strumentazione adeguata allo svolgimento dei compiti previsti dalle norme vigenti compresi i supporti informatici.
5.3.13. Piani mirati
Si tratta d'interventi effettuati contemporaneamente in più luoghi di lavoro che presentano problemi simili.
Considerati i dati relativi alla situazione degli infortuni e malattie professionali in Sicilia, s'individuano i seguenti piani mirati di prevenzione a livello regionale da attuare nel triennio:
-  piano mirato "prevenzione infortuni";
-  piano mirato "rumore";
-  piano mirato " salute e sicurezza in agricoltura".
Si ricorda che le attività specifiche attraverso le quali i servizi di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro esercitano le funzioni loro assegnate di prevenzione e controllo sono essenzialmente:
-  la mappazione dei rischi e dei danni da lavoro;
-  gli interventi nei luoghi di lavoro (interventi globali, mirati, piani mirati di prevenzione);
-  il controllo preventivo dei nuovi insediamenti;
-  il coordinamento ed il controllo degli accertamenti sanitari;
-  la formazione degli operatori e l'educazione alla salute e alla sicurezza dei lavoratori.
5.3.14. Piano mirato "Prevenzione infortuni"
Prioritariamente interessato, a causa del rilevante fenomeno infortunistico presente, deve essere il comparto dell'edilizia. In esso i Servizi di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro dovranno provvedere, nell'ambito dell'organizzazione delle attività, ad effettuare i controlli e le verifiche del rispetto della normativa vigente in materia d'igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro.
Per tale motivo si promuove un sistematico intervento preventivo per addivenire ad un miglioramento delle condizioni di sicurezza e d'igiene nel settore edile. L'esperienza e le conoscenze acquisite dagli operatori dei servizi in questi anni hanno messo in risalto gli enormi limiti ed i ritardi nell'affermarsi di una cultura della prevenzione e della sicurezza sia tra gli imprenditori edili che tra i lavoratori del comparto, così che spesso non vengono adottate le necessarie misure di protezione e di sicurezza. Per consentire interventi uniformi ed equilibrati si pone alla base del presente piano lo studio delle condizioni specifiche del rischio nel comparto con particolare riferimento alle seguenti:
-  mancanza di protezione contro le cadute da luoghi elevati o inadeguatezza delle stesse;
-  impianto elettrico non idoneo a proteggere dai contatti diretti e indiretti;
-  inidoneità dei mezzi di sollevamento;
-  macchinari di cantiere privi delle previste protezioni;
-  sostanze manipolate e rischi chimico-fisici (oli disarmanti, bitume, amianto, rumore, ecc.);
-  mancata adozione dei dispositivi di protezione personale per gli addetti.
I due aspetti fondamentali che devono caratterizzare la valutazione delle attività di prevenzione descritte risultano:
-  la trasformazione concreta delle situazioni a rischio;
-  la realizzazione di condizioni di lavoro accettabili.
Al primo aspetto fanno riferimento alcuni indicatori diretti ed indiretti del mutamento avvenuto delle condizioni di rischio e dei requisiti di sicurezza:
-  diminuzione del numero dei cantieri che non ottemperano alle norme di legge ed alle prescrizioni dell'organo di vigilanza;
-  diminuzione del numero dei cantieri che presentano "gravi" carenze (ponteggi non a norma, impianti elettrici non protetti macchine di cantiere prive di sicurezza);
-  diminuzione del numero d'infortuni gravi; riduzione degli indici di frequenza e di gravità degli infortuni.
Al secondo aspetto appartengono indicatori che esprimono le modificazioni di comportamento, quali:
-  aumento della percentuale dei lavoratori che adottano regolarmente i mezzi di protezione personale;
-  migliore attenzione ed accuratezza nell'igiene personale in rapporto alle caratteristiche del luogo di lavoro;
-  richiesta di maggiori informazioni da parte dei lavoratori o degli imprenditori;
-  superamento di una visione conflittuale tra modifiche delle condizioni di rischio e produttività in cantiere;
-  invio di piani di sicurezza ben dettagliati con analisi del rischio specifico e mirati alle reali condizioni di rischio presenti in cantiere;
-  maggiore disponibilità ad attuare i miglioramenti richiesti.
5.3.15. Piano mirato "Rumore"
L'individuazione di tale rischio deriva dall'alto numero d'ipoacusie professionali rilevate nella nostra Regione.
Le attività di prevenzione specifiche che dovranno caratterizzare il piano mirato nel triennio sono le seguenti:
a) Mappazione
Dovranno essere acquisite e raccolte in modo omogeneo e organizzato, informazioni dettagliate riguardanti:
-  il livello e le caratteristiche del rischio;
-  i danni uditivi accertati in riferimento all'esposizione;
-  le soluzioni proposte dal servizio e adottate dalle aziende.
b) Interventi nei luoghi di lavoro
I comparti nei quali si dovrà prioritariamente effettuare attività di conoscenza, valutazione e trasformazione del rischio sono:
-  comparto metalmeccanico;
-  comparto della lavorazione del legno;
-  comparto della lavorazione del marmo e laterizi.
Gli interventi dovranno essere improntati ad una attività di vigilanza mirata, qualificata e diffusa nel territorio; essa va programmata sulla base delle indicazioni emergenti dalla prima fase di mappatura e dovrà essenzialmente essere svolta su tre piani:
-  indagini a campione;
-  aggregazione massima dei dati ottenuti con adozione di strumenti di rilevamento omogenei;
-  ampia diffusione e socializzazione dei risultati.
c) Controllo dei nuovi insediamenti
Indicazioni puntuali da fornire all'atto dell'insediamento d'aziende destinate a contenere lavorazioni rumorose: valutazione dei progetti e ipotesi d'adeguamenti tecnici in riferimento alla normativa vigente e alle soluzioni tecniche suggerite.
d) Sorveglianza sanitaria ed indagini epidemiologiche:
-  adozione di rigidi protocolli sanitari;
-  programmazione dei controllo di almeno il 10% delle ditte e del 20% dei soggetti esposti;
-  realizzazione di indagini epidemiologiche longitudinali in popolazioni esposte dei comparti a rischio significativi.
e) Formazione ed educazione
Privilegiare, nei confronti degli utenti, iniziative formative e d'educazione alla salute e alla sicurezza riguardanti le soluzioni prevenzionistiche più adeguate ed i metodi corretti per la gestione e l'utilizzo di protezioni individuali e collettive.
5.3.16. Piano mirato" Salute e sicurezza in agricoltura "
Il settore agricoltura rappresenta uno dei settori trainanti dal punto di vista economico in Sicilia, con un alto numero d'addetti e con la presenza di numerosi fattori di rischio; per le caratteristiche dell'impresa agricola siciliana risulta non privo di difficoltà applicare le norme che si applicano nel settore industriale o artigianale stante anche l'assenza di una normativa specifica a livello nazionale.
Le attività che dovranno caratterizzare il piano sono:
-  la mappatura delle aziende con più di cinque operai fissi o stagionali (già prevista dalla circolare regionale n. 547/90);
-  formazione ed informazione dei lavoratori agricoli relativamente ai rischi infortuni e pesticidi;
-  controlli sanitari per gruppi a rischio;
-  corsi per agricoltori che richiedono il patentino per l'acquisto di presidi sanitari per l'agricoltura.
Gli aspetti fondamentali che devono caratterizzare la valutazione delle attività di prevenzione in agricoltura sono:   

-  la trasformazione concreta delle situazioni a rischio;
-  la realizzazione di condizioni di lavoro accettabili.
Gli indicatori da utilizzare per valutare i risultati raggiunti sono:
-  diminuizione delle imprese che non ottemperano alle norme di legge ed alle prescrizioni dell'organo di vigilanza;
-  diminuizione del numero d'infortuni gravi: riduzione degli indici di frequenza e gravità;
-  aumento del numero d'aziende che si sottopongono a verifica dell'organo di vigilanza dei protocolli sanitari;
-  numero di richieste d'informazioni da parte dei lavoratori e/o delle imprese agricole.
5.3.17. Monitoraggio sullo stato d'applicazione del decreto legislativo n. 626/94
Per tale attività da svolgersi nel triennio si fa riferimento al documento Linee guida per il monitoraggio e controllo sull'applicazione del decreto legislativo n. 626/94" a cura del Coordinamento tecnico per la prevenzione degli Assessorati della sanità delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano approvato dalla Conferenza dei presidenti delle Regioni e Province autonome il 9 ottobre 1997.
5.3.18. Sicurezza nelle strutture sanitarie
La sicurezza nelle strutture sanitarie sia pubbliche che private rappresenta uno degli obiettivi di salute fondamentali individuato anche a livello nazionale.
Bisognerà che i servizi di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro provvedano a sviluppare sia azioni preventive d'informazione ed assistenza finalizzate al miglioramento della qualità della sicurezza in tali strutture in tutti i suoi vari aspetti (impiantistica, prevenzione incendi, ecc.) sia l'attività di vigilanza nell'applicazione della normativa in vigore.
5.3.19. Altre patologie di particolare rilievo sociale
Oltre alle aree di intervento già indicate nei paragrafi precedenti, altre condizioni morbose rientrano nel quadro delle patologie cui va riconosciuto carattere di particolare rilievo sociale. Per alcune condizioni morbose sono già disponibili, o in via di definizione, provvedimenti normativi e documenti di indirizzo di carattere generale volti a precisare, per ciascun ambito, gli obiettivi da raggiungere, gli obiettivi da privilegiare e le indicazioni di carattere organizzativo. Ci si riferisce in particolare a:
-  diabete mellito, patologia per la quale è necessario il continuo miglioramento e la costante verifica della qualità dell'assistenza così come previsto nel Piano sanitario nazionale. Nell'ambito della programmazione sanitaria, anche in relazione alla normativa esistente in tema di prevenzione e cura (legge n. 115/1987) si ritiene necessario istituire un centro regionale di diabetologia pediatrica per ogni bacino di utenza infraregionale, anche in forma non autonoma;
-  fibrosi cistica (interventi di prevenzione e cura, legge n. 548/1993);
-  errori metabolici congeniti e morbo celiaco (assistenza sanitaria integrativa D.M. 1 luglio 1982).
Meritano specifica attenzione in quanto importanti cause di invalidità altre condizioni morbose:
-  malattie reumatiche croniche soprattutto nelle forme gravi che colpiscono l'età giovanile ed adulta;
-  malattie allergiche, specialmente in età pediatrica nelle forme respiratorie;
-  malattie dell'apparato cardiorespiratorio con particolare riguardo all'asma bronchiale ed alla bronchite cronica;
-  malattie del sistema nervoso centrale, sia acute che cronico-degenerative;
-  nefropatie, soprattutto nelle forme che esistono in insufficienza renale con conseguente necessità di emodialisi o di dialisi peritoneale;
-  disturbi del comportamento alimentare, anoressia e bulimia nervosa, con particolare riferimento alla prevenzione ed ai tipi di assistenza;
-  malattie dell'apparato digerente, specificatamente nelle forme croniche ed in particolare le epatopatie di origine virale.
A questo proposito data l'oggettiva carenza di Unità operative che riguardano le malattie dell'apparato digerente e vista l'alta prevalenza di epatopatie croniche di origine virale nella nostra Regione, si ritiene necessario prevedere l'istituzione di Unità operative di gastroenterologia in numero di almeno una per ogni bacino di utenza.
Nel quadro delle patologie di rilevanza sociale, va inoltre considerata con particolare attenzione la fascia di popolazione di portatori di handicap (cui si riferiscono specifiche disposizioni: legge n. 104/1992, legge n. 423/1993).
Si tratta di soggetti destinati a convivere con una limitazione spesso rilevante della propria autonomia funzionale ed esposti al rischio di possibili ulteriori involuzioni, da contrastare con interventi di prevenzione di secondo e terzo livello.
Va osservato inoltre come l'intero ambito di malattie di rilevanza sociale si caratterizzi in funzione dell'importanza che assumono gli interventi di carattere preventivo, soprattutto quelli diretti a modificare comportamenti e stili di vita, interventi di riabilitazione ed interventi di integrazione sociosanitaria così come previsto nel Piano sanitario nazionale.
Tenuto conto degli studi epidemiologici che mettono in evidenza che la epilessia interessa tra lo 0,7 e l'1% della popolazione e che di conseguenza, in Sicilia, il fenomeno interessa circa 40.000 persone, è necessario che venga istituito, in via sperimentale, per il periodo di vigenza del presente Piano un centro di riferimento per le province di Palermo, Catania e Messina.
Nel quadro delle patologie di particolare rilievo sociale va considerata con attenzione i soggetti affetti da talassemia.
In Sicilia, dove già esistono strutture specializzate nonché un centro di riferimento regionale per la diagnosi e terapia fetale delle emoglobinopatie, nell'ambito del vigente piano andranno potenziate le attività di prevenzione, di assistenza e cura (anche in regime di day hospital) nonché quella di ricerca clinico scientifica.
5.4. OBIETTIVO N. 3: MIGLIORARE IL CONTESTO AMBIENTALE
La tutela dell'ambiente passa attraverso la salvaguardia degli elementi che lo compongono.
Sotto quest'ottica il monitoraggio delle acque e dell'aria, come pure il controllo delle modalità di smaltimento dei rifiuti urbani e speciali nelle varie fasi del processo, rappresenta un punto qualificante per qualsiasi programma che si prefigga la tutela della salute in ragione dei rischi connessi al degrado ambientale.
Primo passo necessario è rappresentato dall'acquisizione delle informazioni in atto distribuite tra vari enti pubblici coinvolti a diverso titolo nell'iter procedurale autorizzativo: si rende quindi indispensabile il collegamento tramite sistema informatico per il censimento e l'archiviazione dei dati relativi a corsi d'acqua, invasi naturali ed artificiali, sorgenti, acque di balneazione, così come discariche autorizzate, depuratori, sistemi di smaltimento di rifiuti provenienti da attività produttive.
Si potrà procedere quindi all'elaborazione ed attuazione di piani di bonifica ambientale che scaturiranno dall'attività sinergica dei diversi enti coinvolti.
5.4.1.  Aria
Il miglioramento della qualità dell'aria atmosferica nelle aree industriali ed urbane, considerata la notevole variabilità d'inquinanti aerodispersi che possono avere refluenze sui cicli di produzione agricola e specificamente sugli alimenti, sullo stato di conservazione dei beni architettonici ecc. è un obiettivo riconosciuto qualificante e previsto dai Piani regionali di sviluppo economico e sociale.
Il Piano regionale di risanamento e tutela della qualità dell'aria, previsto dagli artt. 3 e 4 del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, e che, in analogia a quello nazionale, dovrebbe essere predisposto dall'Assessorato regionale del territorio e dell'ambiente di concerto con l'Assessorato regionale della sanità, si propone come strumento di studio, programmazione, coordinamento e controllo delle attività umane che danno luogo ad emissioni in atmosfera; attraverso il Piano verrà costruita la politica della qualità dell'aria e nello stesso tempo verranno inquadrate tutte le azioni relative all'inquinamento atmosferico, da quelle normative a quelle gestionali.
Con riferimento all'intero territorio regionale dovranno essere operate tre diverse tipologie d'intervento:
A) Monitoraggio di laboratorio dei principali parametri della qualità dell'aria. Andrà periodicamente effettuata una verifica in ogni singola provincia della capacità effettiva di rilevamento dei diversi parametri di laboratorio, indice d'inquinamento dell'aria. Particolare attenzione andrà rivolta alla modalità di comunicazione dei flussi informativi, tra gli enti istituzionalmente competenti nella materia con l'obiettivo di velocizzare l'acquisizione dei dati e l'adozione degli opportuni provvedimenti.
Andranno sviluppati, con riferimento alle specifiche realtà locali per ogni ambito provinciale, appositi programmi che consentano di monitorare a periodicità predefinita non superiore al trimestre:
-  i valori dei singoli inquinanti seguiti;
-  la valutazione degli stessi mediante opportuni modelli logico-matematici;
-  lo studio tecnico dei punti d'emissione;
-  la valutazione epidemiologica dell'ipotetico rischio;
-  andrà periodicamente aggiornata l'indagine tendente alla identificazione dei gruppi a rischio o suscettibili, mediante indagini campionarie e la rilevazione degli eventuali rischi presenti in ogni provincia.
Specifici studi epidemiologici mirati alla popolazione esposta andranno curate per le aree industriali di Siracusa, Gela e Milazzo.
B) Interventi tendenti al contenimento dell'inquinamento atmosferico derivante dal traffico automobilistico. Andranno sviluppati con periodicità annuale per ogni ambito comunale appositi programmi finalizzati al miglioramento della qualità dell'aria in ambito urbano, relativamente ad eventuali specifici problemi individuati nel precedente punto 1, in riferimento al problema del traffico veicolare. Le linee d'azione di tali programmi dovranno puntare su:
-  ridisegnare le direttrici principali del traffico proteggendo zone ad alta densità abitativa, centri storici e monumenti di particolare pregio storico-artistico-culturale;
-  proporre interventi strutturali sui servizi di trasporto pubblico;
-  programmare periodici sistemi di controllo e trattamento delle emissioni, con specifico riferimento all'efficienza della combustione, opportunamente procedurizzati e verificabili in maniera semplice ed immediata mediante sistema tipo "bollino blu" ed analoghi;
-  introdurre quando è il caso sistemi sofisticati di gestione del traffico in tempo reale a cominciare dall'utilizzo di "semafori intelligenti";
-  sviluppare periodiche campagne d'informazione per sensibilizzare i cittadini sull'uso corretto dei mezzi di trasporto e per incidere in maniera efficace alla rimodulazione dei comportamenti.
C) Interventi per il contenimento dell'inquinamento atmosferico da cause industriali. Nelle zone laddove sono presenti insediamenti industriali significativi e laddove inquinamenti d'origine diversa da quella veicolare determinano in qualunque modo presenza non irrilevante d'inquinanti in atmosfera, anche se per periodi limitati dell'anno, vanno predisposti appositi programmi operativi annuali di concerto con le strutture istituzionalmente deputate, aventi le seguenti caratteristiche:
-  piani di risanamento della qualità dell'aria nelle zone in cui è necessario ridurre le emissioni in atmosfera derivanti dalle diverse tipologie di sorgenti;
-  piani di conversione di zone in cui è necessario limitare o prevenire l'incremento delle emissioni in atmosfera;
-  programma di riduzione di specifici inquinanti con riferimento alle sorgenti, agli impianti ed ai processi di lavorazione interessati.
5.4.2. Acqua
Per quanto riguarda le acque destinate al consumo umano si ritiene necessario il monitoraggio delle fonti d'approvvigionamento, che includa il controllo del rispetto delle aree di salvaguardia e l'acquisizione delle informazioni sulle reti di distribuzione dell'acqua potabile alla comunità.
Ciò sarà realizzato attraverso:
-  l'aggiornamento del censimento delle fonti d'approvvigionamento idrico (sorgenti falde, corsi d'acqua superficiali) nonché degli scarichi nei corpi idrici superficiali;
-  una mirata attività di sorveglianza delle fonti d'approvvigionamento idrico (sorgenti, falde, corsi d'acqua superficiali) nonché degli scarichi nei corpi idrici superficiali;
-  archivio informatizzato dei dati relativi alle reti idriche degli acquedotti;
-  controllo dell'efficacia dei sistemi di depurazione delle acque reflue.
5.4.3. Rifiuti
Relativamente alle problematiche ambientali determinate dallo smaltimento dei rifiuti gli obiettivi identificati sono:
-  promozione d'iniziative finalizzate alla riduzione della quota non riciclabile dei rifiuti solidi urbani e alla incentivazione della raccolta differenziata;
-  ottimizzazione delle fasi di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani;
-  verifica della conformità degli impianti di smaltimento dei rifiuti speciali;
-  ottimizzazione delle modalità di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti provenienti da attività di demolizione d'amianto;
-  verifica della conformità degli impianti di smaltimento dell'amianto contenuto nei materiali cementizi e nei macchinari obsoleti.
Gli strumenti per raggiungere le suddette finalità saranno:
-  controllo della idoneità dei mezzi di trasporto dei rifiuti solidi urbani;
-  censimento delle discariche autorizzate;
-  controllo della idoneità delle discariche autorizzate;
-  censimento delle discariche non autorizzate;
-  censimento dei sistemi di smaltimento dei rifiuti derivanti dalle attività produttive prevalenti nel territorio;
-  controllo della idoneità dei sistemi di smaltimento dei rifiuti derivanti dalle attività produttive prevalenti nel territorio.
5.4.4. Amianto
Il problema amianto costituisce elemento qualificante del risanamento del contesto ambientale.
Al fine di operare una razionale programmazione degli interventi di vigilanza e controllo e per la valutazione della correttezza delle modalità di smaltimento e di bonifica dei materiali contenenti amianto, si ritiene necessario costituire presso ciascuna AUSL un Registro degli edifici con presenza d'amianto, da sottoporre a controlli periodici ed eventualmente ad interventi di risanamento o bonifica.
Si procederà quindi al censimento delle possibili sorgenti di rischio da amianto:
-  edifici pubblici, locali aperti al pubblico o d'utilizzazione collettiva e edifici di civile abitazione,
-  aziende che hanno utilizzato o utilizzano amianto nei loro impianti o cieli produttivi: per il controllo delle condizioni di salubrità ambientale e di sicurezza per i lavoratori,
-  aziende che operano nelle attività di smaltimento e bonifica dell'amianto: per la verifica ed il controllo delle modalità e dei siti di smaltimento.
Per la corretta attuazione dei piani di lavoro individuati si rende indispensabile la programmazione di specifici corsi di formazione professionale del personale.
5.4.5. Radiazioni ionizzanti
Sempre più frequentemente vengono segnalate situazioni di rischio per la popolazione derivanti da un carente controllo delle sorgenti radioattive, sia per quanto riguarda la loro introduzione nel territorio nazionale che per la loro gestione.
Essendo la Sicilia una regione di frontiera sia rispetto al Medio Oriente che all'Africa, il controllo dei materiali importati (soprattutto alimenti e rottami metallici) riveste una importanza prioritaria.
Tali controlli vanno effettuati all'ingresso nella Unione Europea ed è chiaro che se si stabilisce una differente capacità di controllo alle frontiere, quelle più deboli divengono approdi favoriti nell'importazione di materiale pericoloso.
Di conseguenza il controllo della radioattività ambientale va potenziato ed esteso capillarmente sul territorio siciliano, anche alla luce delle velleità nucleari dei paesi in via di sviluppo. Cosicché il monitoraggio alle nostre latitudini è quello che permette di rivelare precocemente l'insorgere di situazioni d'allarme.
A tutt'oggi non è attivato un piano regionale di controllo né nel corso delle normali attività, né in caso di situazioni d'emergenza; una esperienza quasi decennale indica che è necessario puntare al decentramento dei controlli a livello provinciale, mediante la realizzazione di una rete d'unità operative che in sede decentrata eseguano controlli routinari della radioattività ambientale ed interventi straordinari in caso d'emergenza distinguendo tali attività dalle funzioni di coordinamento e d'indirizzo della Regione.
5.4.6. Monitoraggio del gas radon in ambienti "indoor"
Il gas radon si genera dai bacini uraniferi ed è presente a grandi concentrazioni nelle miniere ma anche nelle abitazioni costruite con tufo o con materiale vulcanico scarsamente aerate. Essendo questo tipo d'abitazioni molto diffuso nella nostra regione ne deriva la conseguente necessità di monitorare il radon presente.
A livello regionale dovrà essere effettuata una indagine, da attuare suddividendo il territorio in fasce di adeguate dimensioni ove posizionare rivelatori di radon short-term nei siti a maggiore rischio quali le aree vulcaniche e i piani bassi delle abitazioni realizzate con materiali vulcanici e tufacei.
Nelle aree dove verranno riscontrati valori significativamente più elevati rispetto alla media, la misurazione dovrà essere ripetuta con dosimetri long-term.
Strumenti d'attuazione saranno specifici corsi d'aggiornamento professionale per gli operatori oltre alla dotazione alle Aziende sanitarie della specifica strumentazione tecnica.
5.4.7. Radiazioni non ionizzanti
Le apparecchiature emittenti radiazioni non ionizzanti (RNI) esistono da decenni sia nelle applicazioni mediche, diagnostiche e terapeutiche, che nelle telecomunicazioni e a scopi industriali.
Recentemente la diffusione della telefonia mobile ha esteso in maniera esponenziale le antenne sorgenti di RNI in zone ad alta densità di popolazione e, quindi, il rischio per la popolazione.
La lunga assenza di una normativa che ponesse limiti quantitativi ai valori del campo elettromagnetico ha inevitabilmente favorito la diffusione d'antenne anche a distanze critiche da luoghi occupati dalla popolazione, senza che vi fosse alla base uno studio epidemiologico fondato e validato da procedure universalmente accertate.
Già la telefonia mobile a 900 MHz (GSM e TACS) ha portato alla installazione di stazioni radio base e di antenne, ricetrasmittenti in numero tale da assicurare un servizio capillare e di buona qualità. Il recente allargamento alla banda a 1800 MHz (DCS) sta aumentando ulteriormente il numero d'emittenti, atteso che la rete prevista per tale frequenza avrà un passo di poche centinaia di metri.
Ovviamente, il campo a 1800 MHz si andrà a sommare all'esistente; inoltre, le distribuzioni di campo elettromagnetico a tale frequenza sono attualmente note solo sulla base di studi teorici e d'installazioni modello e non risultano da misure su installazioni reali, visto che esse sono ancora in fase autorizzativa.
E' chiaro che l'estendersi delle autorizzazioni deve procedere di pari passo con un potenziamento del controllo ambientale e sanitario.
Sul piano operativo possiamo distinguere due fasi:
-  innanzitutto occorre predisporre una mappatura dell'inquinamento elettromagnetico esistente, al fine di individuare eventuali siti già a rischio;
-  valutato poi l'impatto ambientale delle antenne in fase d'installazione e concessa una autorizzazione temporanea, si procederà ad una mappatura in presenza delle nuove antenne, rilevando i conseguenti incrementi di rischio per la popolazione. In caso di riscontro favorevole, le autorizzazioni potranno divenire definitive.
5.4.8. Inquinamento elettromagnetico generato da elettrodotti
E' in fase di definitiva approvazione parlamentare, la normativa che stabilisce i limiti delle condizioni di rischio per la popolazione derivante da impianti con stazioni elettriche e conduttori. Tale normativa imporrà precise distanze di rispetto degli impianti in funzione della loro tensione.
Compito delle Aziende sanitarie sarà verificare immediatamente la sussistenza dei requisiti stabiliti dalla legge per gli impianti già installati al fine di procedere ad eventuali operazioni di risanamento.
Analogamente, l'operazione di bonifica dovrà essere condotta per le stazioni radio-base della telefonia, cellulare.
Quanto sopra imporrà la programmazione della verifica della sussistenza dei suddetti requisiti per tutti gli impianti esistenti consistente sia in una verifica strumentale dei valori di campo esistenti nelle aree a rischio che in una verifica delle condizioni previste all'atto delle autorizzazioni già rilasciate.
5.4.9. Rete regionale di controllo
La necessità di azioni capillari ed uniformi nell'ambito della tutela ambientale pongono in primo piano la necessità della realizzazione di una rete d'unità operative che in sede decentrata eseguano controlli routinari sui differenti parametri relativi alla radioattività ambientale, che sia nel contempo in grado di effettuare eventuali interventi straordinari in caso d'emergenza distinguendo tali attività dalle funzioni di coordinamento e d'indirizzo a livello regionale.
5.4.10. Attivazione dello sportello unico
In coerenza ai criteri del Piano sanitario nazionale e del presente Piano sanitario regionale ai fini di garantire l'accessibilità ai servizi sarà attivato sia a livello centrale sia a livello periferico uno sportello del Dipartimento di prevenzione.
5.5. OBIETTIVO N. 4: RAFFORZARE LA TUTELA DEI SOGGETTI DEBOLI
5.5.1. Tutela materno-infantile
L'area d'intervento materno-infantile, intesa nella sua accezione più ampia di tutela della salute della donna in età fertile e della popolazione in età pediatrica, è stata tra quelle che maggiormente hanno sofferto della mancanza di una organica programmazione. E' questo uno dei settori nei quali l'assenza di coordinamento delle attività sanitarie e di queste con le attività sociali si traduce in una serie di prevedibili eventi negativi.
5.5.2. Il Dipartimento materno-infantile
Il Dipartimento materno infantile è la struttura tecnica identificata in ogni Azienda USL per il raggiungimento degli obiettivi del PSN 1998-2000 e dal presente Piano sanitario regionale per l'area materno-infantile. Il DI.M.I. integra organizzativamente tutte le Unità operative ospedaliere e le U.O. territoriali coinvolte nella salvaguardia della salute delle donne in età fertile e dei soggetti in età pediatrica inclusa l'assistenza psichiatrica in età evolutiva. Le singole U.O. mantengono la loro collocazione all'interno delle strutture operative previste dal presente PSR, dal decreto legislativo n. 502/92 come modificato dal decreto legislativo n. 229/99.
Sono da prevedere forme di collaborazione fra aziende per coordinare i relativi programmi dell'area materno-infantile. L'organizzazione e le attività del DI.M.I. vanno coordinate con l'emanando "Progetto obiettivo materno-infantile nazionale" già esitato dal Consiglio Superiore di sanità.
Considerata la variabilità delle dimensioni territoriali, della numerosità della popolazione residente e della sua distribuzione sul territorio, le Direzioni generali delle AUSL definiranno il numero dei dipartimenti più opportuno in funzione delle risorse umane disponibili e della richiesta di assistenza.
Per quanto attiene all'attività dei consultori, si procederà all'adeguamento della rete ed a una riqualificazione delle attività svolte, alla attuazione dei corsi di formazione permanente per la conduzione di specifici programmi di prevenzione dedicati alla educazione alla salute degli adolescenti e della famiglia per una maternità e paternità responsabile. Un programma specifico potrà essere realizzato nelle aree in cui questo abbia particolare rilevanza sulla base dei dati elaborati annualmente dal sistema di sorveglianza regionale dell'IVG.
E' necessario, per una responsabile contraccezione, attivare o potenziare l'integrazione tra l'attività dei consultori, servizi IVG e i servizi sociali del Comune.
Per la promozione dell'attività dei consultori e per rispondere ad un bisogno dell'utenza, si prevede che ogni consultorio istituisca uno "spazio" adolescenti appositamente dedicato con esclusività d'accesso preferibilmente pomeridiano.
Inoltre, poiché, di fatto, non esiste alcuna struttura territoriale specificatamente deputata a fornire assistenza alle famiglie e ai minori sottoposti ai maltrattamenti e ad abuso, è necessario individuare percorsi che rendano il consultorio naturale terminale di questa problematica in collaborazione con i servizi di psicologia, neuropsichiatria infantile ed i servizi sociali del Comune.
Tali obiettivi saranno raggiunti anche attraverso:
-  l'integrazione dei servizi consultoriali con le altre componenti del dipartimento materno infantile, con particolare riguardo alle azioni di presa in carico globale del paziente e della famiglia, assicurando la continuità della assistenza dal momento della dimissione fino al raggiungimento ed al mantenimento del più alto grado di autonomia possibile;
-  la promozione nell'ambito dei servizi consultoriali di azioni volte alla prevenzione ed alla individuazione precoce del disagio giovanile in ambito scolastico, familiare e relazionale, anche in riferimento ad abusi, maltrattamenti e sfruttamento sessuale.
5.5.3. Obiettivi strategici
Gli obiettivi strategici da raggiungere nel triennio sono:
-  la riduzione della mortalità perinatale a livelli tendenzialmente vicini ai migliori livelli europei;
-  il miglioramento della funzionalità dei servizi di diagnosi prenatale, ponendoli in condizione di potere rispondere, almeno, al 90% del fabbisogno stimato;
-  un percorso nascita adeguato sotto il profilo organizzativo, strutturale e tecnologico, secondo le specifiche previsioni contenute nel Progetto obiettivo materno infantile nazionale approvato dal Consiglio superiore di sanità;
-  la promozione della salute del neonato e la diagnosi precoce delle anomalie congenite e delle malattie genetiche e/o rare come chiave di volta per la prevenzione degli handicap;
-  il ricovero quando necessario deve preferibilmente avvenire in strutture idonee all'età dei minori e non in strutture dedicate agli adulti; deve altresì essere predisposto tutto quanto è necessario per lo svago, per la formazione e per la continuità dei rapporti con la famiglia;
-  la promozione della salute della donna con interventi volti alla diagnosi tempestiva della patologia neoplastica (tumori del collo dell'utero e della mammella, per cui è documentata l'efficacia d'interventi di screening) e della osteoporosi in menopausa; particolare attenzione dovrà essere rivolta, sia per la rilevanza anche nella vita di relazione, sia per la frequenza sempre più in aumento (visto il prolungarsi dell'età media della donna), alle problematiche uro-ginecologiche.
-  la piena attuazione della legge n. 194/78.
Tali obiettivi potranno essere raggiunti attraverso la realizzazione di una serie di programmi d'intervento le cui priorità saranno identificate dai DI.M.I. in funzione delle necessità della popolazione, delle strutture e professionalità esistenti e della loro capacità operativa.
Per il raggiungimento degli obiettivi si indicano quali interventi prioritari:
-  il rispetto della dignità e dei diritti della donna del bambino e della coppia, della soggettività culturale e psicofisica della persona utente;
-  la programmazione degli interventi assistenziale e dei servizi in relazione alla eterogeneità della domanda proveniente dall'utenza (corsi diversificati di preparazione al parto, attività ambulatoriale ostetrica per le gravidanze in normale evoluzione, consulenza genetica);
-  l'umanizzazione dell'assistenza e l' adeguamento degli ambienti; in tale spirito, i reparti verranno strutturati in modo da garantire ambienti singoli confortevoli, la presenza dei partner durante il travaglio ed il parto e il "rooming in"(compresenza del neonato nella stessa stanza con la madre).
Per quanto sopra può prevedersi la necessità di fornire un'accurata informazione alla donna sugli argomenti in precedenza riportati; tale informazione va svolta sia nelle scuole che negli ambienti di lavoro.
Altro punto qualificante è costituito dall'avvio di un controllo e monitoraggio sull'incidenza dei parti operatori rispetto ai parti spontanei. La conoscenza di questi dati, che pongono la Sicilia al di sopra della media nazionale per quanto riguarda i parti operatori, deve spingere ad una accurata valutazione delle motivazioni che ad essi sottende. Andrà pertanto potenziato, nel rispetto della dignità della donna e nella scrupolosa osservanza delle indicazioni mediche, un accurato controllo di qualità specifico sulla questione.
Andrà, infine, favorito l'approfondimento di un ulteriore qualificazione dell'arte e della scienza ostetrica.
Inoltre, occorrerà procedere a:
a) Razionalizzazione delle U.O. di ostetricia, di pediatria, e di terapia intensiva neonatale.
Si prevedono tre livelli di assistenza a seconda della complessità dell'intervento necessario ed in rapporto ai requisiti organizzativi, strutturali e tecnologici posseduti dalle singole U.O.
Le U.O. di terzo livello fanno parte di Aziende ospedaliere, Aziende ospedaliero-universitarie e IRCCS in grado di garantire per la madre e per il neonato le massime competenze diagnostico-terapeutiche a livello subspecialistico.
In caso di particolare attrazione di casistica da parte delle U.O. chirurgiche subspecialistiche dovrà essere adeguata la dotazione dei posti letto.
Valutazioni particolari dovranno essere fatte nel caso che la U.O. sia centro di riferimento di gravide e neonati HIV positivi.
I criteri di distribuzione, gli standards qualitativi e le funzioni delle stesse sono dettagliatamente previste dal "Progetto obiettivo materno-infantile nazionale già esitato dal Consiglio superiore di sanità.
In considerazione della disomogenea e talora anomala distribuzione territoriale delle U.O., oltre al collegamento funzionale delle stesse con la rete regionale di emergenza, deve essere realizzato un servizio di trasporto neonatale.
A tale scopo, il Governo regionale provvederà con apposito atto ad identificare i bacini di utenza che debbono afferire alle singole unità di terapia intensiva neonatale (terzo livello di assistenza).
Deve essere prioritariamente favorito comunque il trasporto "in utero".
b) Potenziamento dell'attività dei centri di diagnosi prenatale della Regione con particolare riferimento alle sedi di Palermo Catania e Messina. Accanto al potenziamento delle strutture sono d'importanza cruciale le campagne d'informazione che conducano alla identificazione delle coppie a rischio e l'offerta di consulenza genetica qualificata con particolare riferimento alla talassemia, sindrome di Down, fibrosi cistica e malattia di Duchenne. Particolare attenzione deve essere altresì riservata alle patologie congenite d'organo, quali le malattie cardiovascolari per la loro incidenza e peculiarità. Per quanto riguarda la talassemia, è già ben avviato un programma di prevenzione e di diagnosi prenatale che ha condotto alla riduzione di più dell'80% della natalità dei soggetti affetti da morbo di Cooley. La Regione siciliana, in base alle evidenze epidemiologiche, individua i centri per la diagnosi prenatale e ne controlla periodicamente la qualità delle attività. I centri di diagnosi prenatale per garantire adeguati e completi interventi diagnostici (malformazioni connatali, aberrazioni cromosomiche, malattie geneticamente trasmesse, infezioni ecc.) e di consulenza genetica, trattamenti medici e chirurgici di alta specializzazione ai neonati affetti attraverso la programmazione del parto e attraverso idonea assistenza alla gestante, sia sotto il profilo medico che psicologico, assicurano:
-  servizio di diagnostica ecografica di elevato livello qualitativo;
-  prestazioni diagnostiche invasive prenatali (amniocentesi e/o tecniche alternative).
Devono altresì funzionalmente essere collegati con:
-  laboratorio di analisi chimico-cliniche, radioimmunologiche, microbiologiche e virologiche;
-  servizio di genetica;
-  laboratorio di citogenetica e biologia molecolare;
-  servizio di anatomia patologica con competenze in ambito perinatologico;
-  unità operativa di neonatologia, pediatria e specialità pediatriche (neurochirurgia, cardiologia, cardiochirurgia ecc.).
c) Effettuazione, presso tutti i punti nascita, dei prelievi ematici da inviare per l'esecuzione degli screening per la diagnosi precoce di malattie ereditarie, come l'ipotiroidismo congenito, la fenilchetonuria e la fibrosi cistica ai laboratori di primo livello già individuati dalla Regione siciliana.
d) Diagnosi precoce nel neonato delle menomazioni che possono portare all'handicap, imperniati sull'attività del pediatra di base, che deve garantire:
-  l'esame dello sviluppo psicomotorio e degli organi di senso;
-  il controllo dello sviluppo somato-staturale;
-  la valutazione relazionale genitore-bambino.
Tali indagini devono essere eseguite, se necessario, a domicilio a tutti i nati entro il trentesimo giorno, entro il sesto ed il nono mese ed ogni due anni dal compimento del primo anno al dodicesimo anno d'età. I dati dovranno essere trascritti in un libretto personale, secondo un modello predisposto a tal fine dall'Assessorato regionale della sanità;
e) Potenziamento dell'attività di rilevazione del registro regionale delle malformazioni;
f) Promozione dell'allattamento al seno, delle norme igieniche per la prevenzione delle malattie a trasmissione oro-fecale nei lattanti e delle vaccinazioni.
Tale attività dovrà essere prioritariamente rivolta alle donne identificate "a rischio sociale" (per bassa scolarità, età della madre < 20 anni, residenza in particolari aree metropolitane) nel contesto di programmi d'integrazione con i servizi sociali del Comune che conducano alla presa in carico dei nucleo familiare ed attraverso i quali sia possibile intervenire sulla situazione di svantaggio nella quale si trova il bambino.
5.5.4. Tutela salute degli anziani
In Italia gli ultra sessantenni che nel 1955 erano stimati 6.098.000, nel 1995 erano 10.505.000. Si prevede che nell'anno 2015 essi raggiungeranno la cifra di 13 milioni e mezzo e che il numero degli ultra ottantenni, sarà di circa 2 milioni e mezzo.
In prospettiva il 70-80% di una generazione potrà raggiungere gli ottanta, novanta anni.
In Sicilia il quadro demografico della popolazione residente ultra sessantacinquenne è, al 1° gennaio 1996 (Annuario statistico italiano, 1996), di 756.014 unità con una percentuale rispetto alla popolazione globale della Regione dei 14,84%. Considerando che la tendenza di questo dato in atto in tutto il Paese e nell'ambito della nostra Regione è in crescita, la questione anziani non può e non deve essere sottovalutata da una politica sanitaria attenta alle problematiche poste dalla realtà sociale ed economica.
Da studi italiani, la prevalenza di soggetti con disabilità grave sulla popolazione ultra sessantenne è di circa il 17% e dei 23% negli ultra settantenni.
Al momento attuale, il panorama dei servizi socio-sanitari per gli anziani appare deficitario ed, in generale, si può rilevare che l'intervento assistenziale maggiormente praticato nei confronti degli anziani è ancora quello dell'istituzionalizzazione ospedaliera e/o extraospedaliera.
Il fenomeno ora descritto, con le conseguenze che ne derivano, rappresenta uno tra i più scottanti problemi sanitari, che va affrontato con la creazione di strutture adeguate e potenziando al massimo l'assistenza all'interno della famiglia.
Si vuole privilegiare un modello di servizi, così detto a rete, diverso dallo stato assistenziale e mettere in atto una strategia integrata: famiglia, divisione ospedaliera, strutture per lungodegenti e non autosufficienti, a seconda delle condizioni individuali dei soggetti anziani. A tal fine, ove occorre, i Direttori generali potranno istituire dipartimenti misti ospedale-territorio anche a carattere interaziendale.
Inoltre è indispensabile l'integrazione del settore dell'assistenza sanitaria con quello dell'assistenza sociale, al fine di una programmazione globale e concertata degli interventi e delle risorse
5.5.5. L'assistenza geriatrica ospedaliera
Per quanto riguarda la residenzialità ospedaliera, l'evoluzione del quadro epidemiologico (contrazione della patologia infettiva e notevole incremento di quella cronico - degenerativa) richiede un potenziamento della geriatria e della riabilitazione, il cui intervento deve essere inserito nell'ambito della continuità assistenziale, per limitare il danno invalidante delle patologie acute.
Per gli aspetti programmatori della assistenza ospedaliera geriatrica (unità operative di geriatria, day hospital geriatrico, ambulatori geriatrici, unità operative di riabilitazione e lungodegenza) si rimanda al piano di ristrutturazione della rete ospedaliera regionale.
5.5.6. L'assistenza geriatrica territoriale: il modello "a rete"
All'interno del più vasto campo d'interventi in favore della popolazione anziana, appare prioritaria l'assistenza agli anziani non autosufficienti, parzialmente autosufficienti, ed a quelli con pluripatologie ad alto rischio d'invalidità con particolare riguardo ai pazienti ultra settantacinquenni.
E' ormai acquisizione comune che sia necessario affrontare i problemi socio-sanitari nell'ambiente di vita delle persone in difficoltà, in modo che il sistema di cure si configuri come una ampia rete di sostegno, avente la caratteristica di una comunità d.
Le ricerche sociologiche hanno evidenziato che la salute psico-fisico-sociale è positivamente correlata alla densità, alla significatività ed alla funzionalità del sistema d'aiuti formali e informali, che si riesce a realizzare nell'ambiente di vita delle persone.
In un sistema a rete l'organizzazione dei servizi socio-sanitari per la popolazione anziana dovrà prevedere:
-  l'integrazione tra sociale e sanitario;
-  la valutazione corretta del bisogno assistenziale quale criterio esclusivo per l'accesso degli anziani al sistema dei servizi e di governo della mobilità tra le diverse unità della rete;
-  la presenza delle diverse possibili risposte ai bisogni degli anziani: i servizi domiciliari, i servizi territoriali, i servizi residenziali.
Pur definendo in modo organico ed esaustivo l'insieme dei servizi necessari alla popolazione anziana, nel modello a rete viene necessariamente rispettata una gerarchia che privilegia la risposta ai bisogni delle componenti più fragili e più a rischio.
Si assumerà quindi, nel triennio di vigenza del P.S.R quale intervento prioritario, l'assistenza continuativa geriatrica agli anziani totalmente o parzialmente non autosufficienti, con pluripatologie ed in età avanzata (ultra 75enni).
In considerazione del fatto che la non autosufficienza deriva da problemi di natura fisica, psichica, socio-economica ed ambientale, il modello assistenziale non può prescindere da interventi tesi a garantire l'integrazione socio-sanitaria, l'integrazione dei diversi livelli d'assistenza e la continuità della stessa.
5.5.7. L'Unità valutativa geriatrica (U.V.G.)
L'Unità valutativa geriatrica (U.V.G.) è lo strumento per la valutazione globale del singolo caso, la definizione del programma preventivo, curativo e riabilitativo teso a garantire la continuità assistenziale all'anziano non autosufficiente ed il controllo dell'efficacia dell'intervento programmato.
Nel corso di vigenza del P.S.R. sarà istituita presso ogni Distretto sanitario una Unità valutativa geriatrica distrettuale (U.V.G.D.).
Le figure professionali dell'U.V.G.D. sono di norma: un geriatra, il medico di medicina generale del paziente, un fisiatra, un'assistente sociale e un infermiere professionale.
La figura professionale del geriatra potrà essere reperita tra il personale dipendente, anche della medicina dei servizi in possesso di specializzazione, nonché tra gli specialisti ambulatoriali interni ed eventualmente qualora viene ritenuto necessario tra specialisti in altre aziende.
Verrà privilegiata pertanto la riconversione delle ore di specialistica in esubero in quelle di geriatria.
Ove non fosse possibile reperire un geriatra residente nel Distretto, si potrà utilizzare a scavalco un geriatra di una UVG vicina. Ad integrazione, laddove possibile, verrà prevista la presenza di un terapista della riabilitazione.
La U.V.G.D. assume un ruolo centrale nella rete dei servizi, in quanto individua ed identifica le soluzioni ai bisogni dell'anziano, mediante le tecniche di valutazione multidimensionale (V.M.D.), indirizzando il paziente alle diverse possibilità assistenziali: (A.D.I., R.S.A., ospedalizzazione domiciliare, servizi d'assistenza domiciliare).
Nelle more della istituzione a regime in tutti i distretti delle UVG, saranno istituite le UVM con la presenza quale responsabile di uno specialista di medicina interna (o branca equipollente); tale unità operativa avrà comunque il compito di valutare le richieste di A.D.I. anche per i soggetti d'età inferiore ai 65 anni, come da accordo collettivo nazionale per i medici di medicina generale.
Le Aziende ospedaliere nel caso di ricoveri d'anziani, dovranno affrontare la problematica secondo i seguenti principi: valutazione e definizione del quadro geriatrico, esame del tipo di programma da realizzare durante il ricovero, individuazione della modalità di dimissione raccordandosi con l'UVGD competente per territorio, che potrà avvenire: a domicilio con o senza ADI, nella divisione di lungodegenza, nella R.S.A., nella casa di riposo.
5.5.8 Servizi domiciliari.
Le diverse modalità operative con le quali vengono assicurate agli anziani le cure a domicilio si distinguono in base alla diversa intensità degli interventi sanitari, socio-assistenziali e socio-assistenziali di rilievo sanitario.
Essi vengono distinti secondo una minore o maggiore prevalenza della componente socio-assistenziale rispetto a quella sanitaria, in:
1) servizi d'assistenza domiciliare;
2) assistenza domiciliare integrata.
Il servizio, di cui al punto 1) viene svolto dall'Ente locale, in quanto riferito a prestazioni di carattere preminentemente socio-assistenziale (legge regionale n. 22/86).
Per i servizi di cui al punto 2) ai fini di un coordinamento di tutte le attività a favore del soggetto anziano appare necessario istituire nelle aree metropolitane e cioè nelle Azienda U.S.L. 3 di Catania, A.U.S.L. 5 di Messina e A.U.S.L. 6 di Palermo un servizio assistenza domiciliare per anziani.
5.5.9. L'Assistenza domiciliare integrata (A.D.I.)
Si ritiene necessario la copertura del servizio di A.D.I. entro il periodo di vigenza del piano, in tutti i Distretti sanitari per il 2% della popolazione ultra sessantacinquenne.
L'Assistenza domiciliare integrata ha un contenuto sanitario importante ed è caratterizzata dalla presa in carico globale del paziente con patologie cronico-degenerative stabilizzate, con difficoltà di movimento, per evitare o ritardare ulteriori perdite d'autonomia, istituzionalizzazione e/o ospedalizzazioni.
Le prestazioni che devono essere assicurate dal Servizio A.D.I. sono le seguenti:
-  di tipo sanitario:
-  assistenza del medico di medicina generale;
-  assistenza specialistica;
-  assistenza infermieristica;
-  assistenza riabilitativa e riabilitazione socio-sanitaria;
-  altre forme assistenziali (prestazioni podologiche, intervento psicologico, etc.);
-  di tipo socio-assistenziale:
-  aiuto domestico;
-  igiene della persona;
-  eventuale somministrazione di pasti;
-  eventuale servizio di lavanderia;
-  disbrigo di commissioni e collegamento con altri servizi sociali.
Le figure professionali previste sono:
-  per la componente sanitaria:
-  medico di medicina generale di libera scelta dell'assistito;
-  infermieri professionali;
-  terapisti della riabilitazione;
-  eventualmente un infermiere di sanità pubblica (per le funzioni di collegamento e coordinamento funzionale con altri servizi);
-  per la componente socio-assistenziale:
-  assistenti domiciliari.
-  eventualmente un'assistente sociale (per le funzioni di collegamento funzionale con gli altri servizi).
Eventuali figure professionali, secondo la necessità e ad accesso sono:
-  medici specialisti ;
-  psicologo;
-  assistente religioso.
5.5.10 Servizi territoriali
Si prevedono i centri diurni integrati (C.D.I.), i cui utenti possono essere persone a, vario livello di dipendenza, dal soggetto autosufficiente con problematiche di ordine prevalentemente sociale o psicologico, a persone del tutto dipendenti, il cui nucleo familiare necessita di periodi di sollievo (M. di Alzheimer ed altre demenze senili).
Gli interventi previsti sono:
-  assistenza diretta nelle attività quotidiane;
-  intervento psicologico;
-  animazione e socializzazione;
-  interventi infermieristici e riabilitativi;
-  medico-geriatrici.
Obiettivo del triennio di vigenza del piano è la realizzazione e l'attuazione di protocolli di intesa tra i comuni e le AUSL, per la realizzazione dell'integrazione sanitaria con quella sociale, in particolare con priorità con quei comuni che già gestiscono i centri diurni.
5.5.11. Formazione e promozione della salute
La Regione attiverà interventi nel campo della formazione e dell'aggiornamento del personale, che si occupa dell'assistenza agli anziani.
Saranno inoltre favorite iniziative di promozione della salute e di educazione sanitaria di gruppo ed individuale, volte ad assicurare nella popolazione una maggiore consapevolezza nella salvaguardia della salute, al fine di garantire il "buon invecchiamento".
5.5.12. Lotta alla tossicodipendenza
Il settore delle tossicodipendenza allo stato è in via di evoluzione, anche perché alle tradizionali problematiche si aggiungono quelle relative alla modificazione delle sostanze immesse sul mercato ed ai mutamenti delle persone coinvolte e destinatari quindi, degli interventi di prevenzione e dei trattamenti.
A tale proposito è necessario che vengano attivate modalità di collaborazione tra le strutture deputate agli interventi in materia di tossicodipendenza e quelle specialistiche di malattie infettive.
Obiettivi strategici previo monitoraggio, delle situazioni locali e dei bisogni si identificano in:
a) riduzione della mortalità e della morbosità legata alla tossicodipendenza;
b) incremento del numero dei soggetti in contatto col sistema di assistenza;
c) incremento della quota dei soggetti che a contatto con il sistema una volta completato il trattamento recuperano raggiungendo anche un reinserimento lavorativo.
Da ciò la necessità di un miglioramento del sistema e dei livelli di assistenza anche attraverso l'integrazione delle strutture pubbliche e tra queste e la realtà del privato no profit e del volontariato.
Nel campo del recupero, nei territori più esposti a rischio potranno essere sperimentati interventi particolari anche in collaborazione con gli enti locali ed il volontariato (interventi a bassa soglia, unità mobili, ecc.).
A tale scopo l'Assessorato regionale alla sanità emanerà specifiche linee guida.
5.5.13. Tutela dei disabili
In Sicilia i portatori di handicap, in attesa di una piena attuazione della legge n. 104/92, necessitano di una attenta programmazione sanitaria che trovi il pieno raccordo con gli interventi sociali così, come, peraltro, previsto dall'ultimo decreto legislativo n. 229/99.
In considerazione di ciò, e visto l'aumento delle malattie cronico-degenerative, è necessario creare un'area della disabilità che realizzi una politica globale d'interventi in favore dei disabili e coordini la realizzazione degli interventi, dei servizi e delle prestazioni in forma sanitaria ed integrata.
Per rendere concreto ciò è necessario che la presa in carico del soggetto in situazione di handicap avvenga all'interno di un Programma globale unitario, che preveda quattro ambiti di intervento: sanitario o clinico-riabilitativo (terapeutico), integrazione scolastica, integrazione socio-economica o lavorativa, inserimento ed integrazione sociale con la tutela dello stato giuridico.
L'intervento sanitario o clinico-riabilitativo sarà realizzato dalla Rete per la riabilitazione.
Per realizzare i suddetti quattro ambiti d'interventi è necessario creare un raccordo programmattico-operativo stabile tra il Piano sanitario regionale ed il Piano triennale in favore dei soggetti portatori di handicap ai sensi della legge regionale n. 68/81.
5.6. OBIETTIVO N. 5: MIGLIORARE LA SANITA' SICILIANA CON RIFERIMENTO AI LIVELLI EUROPEI PIU' AVANZATI
5.6.1. Riabilitazione
La Regione siciliana fa proprie le linee guida del Ministero della sanità per le attività di riabilitazione qui di seguito sinteticamente riportate.
L'intervento riabilitativo viene finalizzato verso quattro obiettivi:
- il recupero di una competenza funzionale che, per ragioni patologiche, è andata perduta;
- l'evocazione di una competenza che non è comparsa nel corso dello sviluppo;
- la necessità di porre una barriera alla regressione funzionale cercando di modificare la storia naturale delle malattie cronico degenerative riducendone i fattori di rischio e dominandone la progressione;
- la possibilità di reperire formule facilitanti alternative.
Si definiscono quali "attività sanitarie di riabilitazione" gli interventi preventivi, valutativi, diagnostici, terapeutici, fisiatrici e le altre procedure finalizzate a portare il soggetto affetto da menomazioni a contenere o minimizzare la sua disabilità, ed il soggetto disabile a muoversi, camminare, parlare, vestire, mangiare, comunicare e relazionarsi efficacemente nel proprio ambiente familiare, lavorativo, scolastico e sociale. L'intervento riabilitativo ha inizio nel momento stesso in cui si instaura il danno e prevede dal punto di vista cronologico tre stadi:
-  il primo stadio si verifica quando ha inizio l'intervento terapeutico in fase acuta, assumendo tutti i provvedimenti che possono limitare gli esiti della malattia in corso;
-  il secondo stadio concerne la fase post acuta e prende avvio in funzione delle disabilità che residuano;
-  il terzo stadio si occupa della fase di handicap stabilizzato, richiede interventi prevalentemente ambulatoriali ed è finalizzato al mantenimento delle autonomie funzionali.
Le attività sanitarie di riabilitazione richiedono la presa in carico clinica globale della persona e le varie fasi possono avvenire anche in strutture diverse.
Le "attività di riabilitazione sociale" devono garantire al disabile la massima partecipazione possibile alla vita sociale e lavorativa.
5.6.2. Livelli organizzativi della riabilitazione
In genere le attività di riabilitazione sono erogate mediante una rete di servizi ospedalieri ed extraospedalieri appositamente dimensionati. Possono essere erogate in regime:
- di ricovero ospedaliero a ciclo continuativo e/o diurno;
- residenziale a ciclo continuativo e/o diurno,
-  ambulatoriale, extramurale e domiciliare.
Alle prestazioni riabilitative erogate dalla rete dei servizi riabilitativi ospedalieri ed extraospedalieri si accede con le modalità previste per tutte le prestazioni sanitarie dalle disposizioni regionali attuative dell'art. 8, comma 5, del decreto legislativo n. 502/92 e come modificato dal decreto legislativo n. 229/99.
Le fasi dell'intervento riabilitativo sono:
-  fase della prevenzione del danno secondario e delle conseguenti menomazioni;
-  fase della riabilitazione intensiva. E' abitualmente collocata nella fase dell'immediata post acuzie della malattia, quando la disabilità è maggiormente modificabile;
-  fase della riabilitazione estensiva o intermedia: tale fase rappresenta il completamento del percorso riabilitativo:
L'intervento riabilitativo deve favorire l'integrazione dell'attività riabilitativa medica con la riabilitazione sociale.
Gli interventi di riabilitazione estensiva o intermedia sono erogati presso le seguenti strutture pubbliche e private accreditate:
-  le strutture ospedaliere di lungodegenza;
-  presidi ambulatoriali di recupero e rieducazione funzionale territoriali ed ospedalieri;
-  i presidi di riabilitazione extraospedaliera a ciclo diurno c/o continuativo;
-  i centri ambulatoriali di riabilitazione;
-  le residenze sanitarie assistenziali;
-  le strutture residenziali o semiresidenziali di natura socio-assistenziale ed i centri socio-riabilitativi, ex art. 8 della legge n. 104 del 5 febbraio 1992.
E' prevista inoltre l'assistenza riabilitativa domiciliare.
Gli interventi di riabilitazione intensiva sono erogati presso strutture ospedaliere pubbliche e private accreditate dove sono già presenti funzioni di ricovero e cura ad alta intensità diagnostica ed assistenziale, o nei quali sia costituita una specifica unità operativa in grado di garantire la presa in carico multicomprensiva di individui di tutte le età per il recupero funzionale di menomazioni e disabilità recuperabili il cui trattamento è indifferibile. Tali soggetti richiedono una tutela medico specialistica riabilitativa ed interventi di nursing ad elevata specificità nell'arco delle 24 ore.
Particolare attenzione merita la riabilitazione cardiovascolare. Infatti l'aumento della morbilità cardiovascolare correlata alla riduzione della mortalità per eventi acuti ed il sempre maggiore ricorso a procedure di rivascolarizzazione miocardica rendono necessaria una efficiente rete di riabilitazione cardiologica organizzata su tre livelli: 1° livello ambulatoriale; 2° livello con posti letto; 3° livello con posti letto dedicati esclusivamente alla riabilitazione, dislocati nelle U.O. di cardiologia dotate di unità coronarica e degenza postintensiva. Per quanto concerne il 3° livello deve essere previsto un centro ogni milione di abitanti. Le U.O. di riabilitazione cardiologica dovranno essere gestite in collaborazione tra medici fisiatri ed i cardiologi.
Le attività di riabilitazione intensiva ad alta specializzazione che richiedono particolare impegno di qualificazione, mezzi, attrezzature e personale sono erogate presso presidi pubblici e privati accreditati di alta specialità, secondo quanto stabilito dal D.M 29 gennaio 1992. Nell'ambito del territorio regionale va realizzata una rete di servizi che svolgano attività di riabilitazione intensiva ad alta specializzazione rivolti ad ampi bacini di riferimento. I suddetti servizi comprendono:
-  Unità spinali unipolari
Esse costituiscono U.O. riabilitative autonome di alta specialità, destinate all'assistenza per i soggetti con lesioni midollari, sin dal momento dell'evento lesivo ed allo scopo di permettere ai mielolesi il più alto livello di capacità funzionali compatibili con la lesione. Le unità spinali si collocano all'interno degli ospedali sede di Dipartimento di emergenza accettazione (D.E.A) di terzo livello o nelle aziende ospedaliere di rilievo nazionale e si avvalgono oltre che delle specialità già previste nel D.E.A. delle seguenti attività specialistiche:
Urologia ed urodinamica, chirurgia plastica, medicina fisica e riabilitazione, psicologia clinica, ginecologia, andrologia, nutrizione clinica, neurofisiopatologia, pneumologia, diagnostica per immagini, TAC e RNM.
Per maggiori dettagli si rinvia alle Linee guida del Ministero della sanità per le attività di riabilitazione (Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 124 del 30 maggio 1998).
-  Unità per le gravi cerebrolesioni acquisite e i gravi traumi cranio-encefalici
Esse costituiscono U.O. autonome finalizzate alla presa in carico di pazienti affetti da esiti di grave cerebrolesioni acquisite caratterizzate nella evoluzione clinica da un periodo di coma più o meno protratto e dal coesistere di gravi menomazioni comportamentali. Componente essenziale di queste Unità operative è l'area subintensiva ad alta valenza di recupero e riabilitazione funzionale.
-  Unità per le disabilità gravi in età evolutiva
Tali unità sono destinate ad affrontare i complessi e gravi problemi diagnostici valutativi e rieducativi degli esiti di patologie motorie e cognitive dell'età evolutiva. Devono essere attivate all'interno di strutture ospedaliere dove siano presenti le seguenti competenze specialistiche: rianimazione e terapia intensiva, patologia neonatale, ortopedia, neurochirurgia, pediatria, chirurgia plastica, neurologia, otorinolaringoiatria, oculistica chirurgia generale, medicina fisica e riabilitativa, neuropsichiatria infantile.
-  Unità per la riabilitazione delle turbe neuropsicologiche acquisite
Sono U.O. senza posti letto destinate ad affrontare le problematiche diagnostiche valutative e rieducative relative a menomazioni e disabilità cognitive e delle funzioni corticali superiori secondarie a lesioni cerebrali. Devono essere attivate all'interno di strutture ospedaliere ove siano presenti le seguenti attività specialistiche: neurologia, medicina fisica e riabilitativa, neuroradiologia, psichiatria, psicologia clinica e, ove possibile, otorinolaringoiatria ed oculistica.
5.6.3. Rete per la riabilitazione nella Regione siciliana
La legge n. 537/93 e la legge n. 382/96 riservano la quota di un posto letto per ogni mille abitanti alla riabilitazione e alla lungodegenza post acuzie. Tale quota, riferita all'intera Regione, è di 5.095 posti letto.
La riabilitazione è un atto socio-sanitario complesso che si configura spesso come intervento multidisciplinare sia nei confronti del danno che del reinserimento sociale. I moderni orientamenti convengono nel riconoscere che per sviluppare tutta la loro efficacia le potenzialità dell'intervento riabilitativo devono agire soprattutto nella primissima fase dell'evento morboso a rischio di disabilità importanti. Ciò richiede uno spostamento massimo di risorse operative nella prima fase della malattia a rischio di disabilità ed handicap; ne consegue la necessità per il S.S.R. di garantire una maggiore qualificazione delle tecniche riabilitative nonché l'immediata collocazione del paziente con grave disabilità in una specifica struttura sanitaria riabilitativa subito dopo la fase acuta della malattia.
Nella riabilitazione deve quindi innanzitutto essere distinta una fase acuta ed una post-acuzie. Durante la fase acuta va assicurato un precoce intervento riabilitativo specifico attraverso le unità operative presenti nei presidi per acuti nella fase post-acuzie il paziente deve essere accolto in strutture sanitarie appositamente specializzate.
Abbiamo pertanto:
-  la componente ospedaliera nei presidi per acuti;
-  la componente dei presidi specializzati di riferimento.
5.6.4 La componente ospedaliera
Le unità operative presenti presso i presidi ospedalieri per acuti saranno dotate complessivamente di 16 o 32 posti letto (comprese aliquote per attività in day-hospital) anche in riferimento alle indicazioni fornite dai Direttori generali sulle disponibilità di spazi adeguati all'interno delle strutture e sulle esigenze della popolazione residente.
Con il decreto del Presidente della Regione n. 413/96, sono stati stabiliti i posti letto assegnati a ciascun presidio ospedaliero in cui è prevista una Unità operativa di riabilitazione. Con il presente Piano si prevede l'istituzione di due unità operative, di 20 posti letto ciascuna, per la neuroriabilitazione, di cui una nella parte occidentale dell'Isola presso l'Azienda di riferimento per l'emergenza di 3° livello "Villa Sofia - C.T.O." di Palermo, e una nella parte orientale dell'Isola presso il presidio ospedaliero "Cannizzaro" di Catania, dove sono già attivate le divisioni di neurochirurgia. E' prevista l'istituzione di unità di neuroriabilitazione laddove sono già attivati servizi di neurochirurgia
Si pone come obiettivo del presente Piano la piena attivazione nel triennio dei posti letto e dei presidi di riferimento individuati nella delibera di Giunta regionale n. 473/96.
Al fine di garantire una assistenza riabilitativa razionale e completa indirizzata alle patologie ortopediche, neurologiche, polimalformative e cronico-degenerative più frequenti devono essere previsti centri che possano farsi carico del paziente fin dalla fase acuta, anche sotto il profilo chirurgico. Tali centri devono essere allocati nei presidi di riferimento per la riabilitazione ed organizzati in dipartimento interdisciplinare di tipo funzionale che possegga UU.OO. di ortopedia, neurologia e fisiatria.
5.6.5. Riabilitazione extra - ospedaliera
In considerazione della non completa applicazione delle leggi regionali n. 68/81, n. 16/86 e n. 22/86, finalizzate alla riabilitazione, alla socializzazione ed integrazione dei portatori di handicap che rende lo stato attuale dei servizi sanitari territoriali disomogeneo e generalmente essi appaiono inadeguati in confronto alle aumentate e nuove esigenze sanitarie dei soggetti disabili diviene strumento da attivare e obiettivo primario da perseguire la sistematica integrazione tra tutti i servizi.
Su tale logica occorre pertanto programmare una rete di risposte e servizi tra loro coordinati ed articolati di natura sanitaria, formativa e sociale, in una ottica di superamento di percorsi paralleli e separati a favore della globalità dell'intervento riabilitativo in quanto globale e unitario è il soggetto che esprime i bisogni.
Dal punto di vista programmatico nasce la esigenza di una distinzione tra interventi riabilitativi sanitari e sociali, pur nella consapevolezza della necessità di una loro stretta capacità di interazione dipartimentale, per condurre a termine un progetto di riabilitazione globale.
5.6.6 Livelli di attività
Le esperienze fin qui attivate hanno ampiamente dimostrato che l'inserimento o il mantenimento nei normali contesti socio ambientali e lavorativi del disabile motorio-sensoriale è strettamente correlato anche alle possibilità di recupero al più alto livello possibile delle potenzialità residue e che tale recupero, che rappresenta l'obiettivo primario degli interventi riabilitativa non può che essere raggiunto attraverso strategie mirate alla integrazione e territorializzazione dei servizi.
Lo scopo è quello di intervenire, attraverso un'azione programmata e coordinata, nella prevenzione primaria come previsione di comportamenti potenzialmente disabilitanti nella prevenzione secondaria volta ad evitare il deficit o la disabilità, nella prevenzione terziaria rivolta ad evitare e contenere la disabilità grave ed a prevenire l'handicap.
Gli ambiti di intervento sono:
a) azione sulla menomazione e sulla disabilità intesa come prevenzione delle complicanze e terapia del danno, nel senso di un recupero funzionale quanto più possibile completo o di ricerca di compensi al danno irrimendabile (riabilitazione medica);
b) azione sull'handicap intesa quale complesso di misure educative, professionali e tecniche da adottare affinché la persona possa raggiungere il migliore livello di vita ottenibile sul piano fisico, sociale ed emozionale con la minore restrizione possibile delle sue scelte operative, pur nell'ambito della limitazione data dalla menomazione e dalla quantità di risorse disponibili (riabilitazione sociale).
In relazione agli ambiti di intervento va superata la distinzione tra riabilitazione medica e riabilitazione sociale.
Su tali presupposti, quindi, si è ipotizzata la rete dei servizi e dei presidi per il recupero dei disabili distinguendo i livelli operativi specifici o seguendo l'iter abituale della disabilità dalla sua fase di insorgenza acuta alla fase degli esiti stabilizzati o in rapporto alla complessità dell'intervento richiesto.
Tali interventi, per la già più volte richiamata complessità delle problematiche dell'handicap, che coinvolgono trasversalmente tutti i settori della programmazione sanitaria, debbono essere collocati in un contesto più generale che tenga conto anche delle indicazioni contenute nei vari programmi, con particolare riferimento a quelli attinenti la salute degli anziani, l'attivazione dei distretti sanitari e la qualificazione dell'assistenza sanitaria di base e specialistica.
5.6.7. Obiettivi di carattere generale - Dipartimento di riabilitazione
Sono obiettivi di carattere generale:
a) l'informazione e l'educazione sanitaria della popolazione sulle cause dell'handicap e le sue conseguenze;
b) la prevenzione primaria e la diagnosi precoce delle menomazioni;
c) la diffusione degli interventi formativi ed educativi di partecipazione e controllo per l'eliminazione dei fattori di nocività ambientale e per la prevenzione degli infortuni nei luoghi di vita e di lavoro;
d) l'intervento tempestivo delle cure e degli interventi di riabilitazione allo scopo di assicurare il massimo recupero possibile delle disabilità;
e) la continuità dell'assistenza necessaria per un miglioramento della qualità della vita, dell'autonomia e sicurezza delle persone handicappate;
f) una pianificazione dei servizi tale da rispondere alle necessità di tutto il territorio regionale;
g) la promozione del diritto all'istruzione, alla formazione e alla integrazione lavorativa e sociale;
h) il sostegno alla famiglia che consenta, ove possibile, il mantenimento del disabile nell'ambito familiare.
In linea con quanto previsto dal decreto legislativo n. 229/99 ed al fine di creare un raccordo operativo tra le varie componenti territoriali ed ospedaliere si identifica il Dipartimento di riabilitazione quale strumento strategico per l'erogazione dell'assistenza sanitaria.
Il Dipartimento di riabilitazione è articolato in:
a) componente territoriale:
-  U.O. di medicina fisica e riabilitazione distrettuale comprensive di R.S.A. per disabili e presidi extraospedalieri;
-  Gruppo. multidisciplinare distrettuale per l'handicap (artt. 12 e 13, legge n. 104/92);
b) componente ospedaliera:
-  U.O. di medicina fisica e riabilitazione;
-  U.O. di riabilitazione di alta specialità (unità spinali, unità gravi cerebrolesioni);
-  U.O. per le disabilità gravi in età evolutiva;
-  U.O. di riabilitazione delle turbe neuropsicologiche;
-  presidi di riabilitazione specializzati;
-  U.O. di lungodegenza riabilitative.
Coordinatore del Dipartimento di riabilitazione è un dirigente di una delle U.O. complesse che afferiscono al Dipartimento.
Le Unità operative costituenti il Dipartimento daranno risposte unitarie, tempestive e complete rispetto ai compiti assegnati e a tal fine adottano regole condivise di comportamento assistenziale, didattico, di ricerca etico, di educazione e informazione sanitaria.
Della componente ospedaliera faranno parte anche le unità operative e i servizi di riabilitazione delle aziende ospedaliere ricadenti nel territorio della AUSL .
Per quanto non espressamente detto, si rimanda al Piano triennale degli interventi a favore dei soggetti portatori di handicap previsto dall'art. 4 della legge regionale n. 68/81.
5.6.8. Attività del Dipartimento di riabilitazione
Le attività che devono essere condotte in maniera coordinata per il raggiungimento degli obiettivi sopra indicati sono:
a) l'assistenza sanitaria riabilitativa nei confronti dei soggetti affetti da disabilità, ricoverati presso i reparti ospedalieri nei DEI, presso strutture protette, presso RSA e centri per handicappati gravi;
b) la predisposizione e la verifica per ciascun caso di un progetto di riabilitazione, articolato in piani di intervento mirati, da aggiornare con i mutamenti della disabilità, delle interrelazioni con la famiglia, con la situazione educativa, scolastica e di vita sociale;
c) l'assistenza riabilitativa sia a livello ospedaliero che territoriale, in sede ambulatoriale e domiciliare programmata;
d) l'assistenza socio-riabilitativa per il reinserimento sociale e professionale dei disabile e la soluzione delle problematiche correlate;
e) il controllo e la verifica annuale dei requisiti di qualità sull'attività assistenziale erogata dalle U.O. che afferiscono al Dipartimento di Riabilitazione;
f) la promozione, integrazione e coordinamento del volontariato prioritariamente finalizzato al sostegno dell'intervento socio-riabilitativo domiciliare e nelle RSA;
g) la promozione e lo sviluppo di attività didattico formative nei confronti degli operatori sanitari e sociali impegnati nell'intervento riabilitativo;
h) il diritto delle scelte dei servizi più idonei.
Gli obiettivi del triennio di vigenza del presente Piano sono:
1) il monitoraggio diretto ad individuare numero dei soggetti tipologia e percentuale di handicap nonché numero e consistenza delle strutture pubbliche e private esistenti e quantità e tipologia delle prestazioni erogate. Tale obiettivo dovrà essere realizzato entro il primo anno di vigenza del Piano.
2) l'attivazione degli "uffici H" delle unità operative per la riabilitazione e dei gruppi di lavoro multidisciplinari nei distretti;
3) l'attivazione, a livello di Distretto, di interventi socio-sanitari atti a prevenire, per i disabili più gravi, il rischio di istituzionalizzazione, attraverso il mantenimento nel proprio contesto socio-familiare e il coinvolgimento dei servizi sociali degli enti locali;
4) la riorganizzazione ospedaliera dei servizi e delle degenze di riabilitazione nell'ottica del piano stralcio ospedaliero a carattere multidisciplinare. I posti letto di riabilitazione assegnati con delibera di Giunta n. 446/96 devono essere attivati entro il periodo di vigenza dei Piano in uno a quelli di lungodegenza;
5) l'attuazione, a livello dì azienda USL ed ospedaliera, di nuovi modelli assistenziali e terapeutici riabilitativi nei confronti delle patologie emergenti o di notevole gravità (mielolesioni gravi cerebrolesioni dell'adulto, ecc.);
6) la raccolta di dati epidemiologici afferenti la disabilità.
5.6.9 Strutture per la riabilitazione
Gli interventi e le strutture per la riabilitazione extraospedaliera per i disabili, come previsto dalla legge regionale 28 marzo 1986, n 16, vanno differenziati in aree diverse nel medesimo contesto al fine di ottimizzare l'uso delle risorse umane e tecnologiche se gli interventi riguardano soggetti in età evolutiva o soggetti adulti. Si concretizzano in:
-  centri occupazionali socio riabilitativi;
-  servizio domiciliare;
-  centri ambulatoriali;
-  centri diurni;
-  centri residenziali;
-  centri per gravi;
-  centri per pluriminorati non vedenti.
I Direttori generali nell'individuare le sedi ove allocare i centri per gravi e per pluriminorati non vedenti dovranno riferirsi anche ai seguenti criteri:
-  centri per gravi: di norma uno per A.U.S.L.;
-  centri per pluriminorati non vedenti: due sull'intero territorio regionale da allocare presso gli Istituti per ciechi di Catania e Palermo.
5.6.10. Buon uso del sangue e raggiungimento della autosufficienza regionale per il sangue intero
Gli obiettivi nel triennio di vigenza del presente PSR sono i seguenti:
-  raggiungimento dell'autosufficienza regionale per il sangue intero ed incremento della produzione degli emoderivati
-  migliore utilizzo del sangue ("buon uso").
Per il raggiungimento degli obiettivi previsti nell'azione programmata si indicano i seguenti interventi da realizzare:
a) organizzazione delle strutture trasfusionali e delle loro funzioni nonché del Coordinamento regionale;
b) realizzazione da parte delle Associazioni dei donatori in stretto collegamento con le strutture organizzative della rete trasfusionale della "Raccolta Programmata";
c) costituzione da parte delle Associazioni di una apposita struttura operativa che affronti le richieste urgenti di un elevato numero di donatori di un determinato emogruppo.
5.6.11 Organizzazione delle strutture trasfusionali e delle loro funzioni
Il modello organizzativo fino ad ora adottato anche nel resto d'Italia, ha trovato difficile e non piena applicazione soprattutto per quanto riguarda la distribuzione dei Centri trasfusionali che, nell'ottica di garantire sia la funzione di raccolta che quella di distribuzione nei presidi ospedalieri considerati rilevanti, sono stati costituiti in deroga ai limiti di popolazione indicati nella L 107/90.
D'altro canto il D.P.R. n. 714/1994, al punto 4) (interventi da compiere), lettera B) a proposito del criterio organizzativo della legge n. 107/90 basato sui bacini di utenza, raccomanda che "gli interventi di riorganizzazione si caratterizzino anche in termini di qualificazione delle prestazioni erogate".
Inoltre, sempre allo stesso punto, il D.P.R. 7 aprile 1994 prevede di sperimentare, per meglio adeguarsi alle reali esigenze del territorio, organizzazioni funzionali di tipo dipartimentale per assicurare un'alta flessibilità organizzativa. L'integrazione funzionale delle unità organizzative consente alla struttura di adattarsi in modo organico alle variabili esigenze, evitando la discrasia tra i diversi settori operativi e la ripetizione di identiche funzioni.
Il modello organizzativo previsto attualmente trova ulteriori ostacoli nella sua rigida applicazione a causa della attuale definizione degli ambiti territoriali delle Aziende UU.SS.LL. (art. 3, comma 5, lettera a) decreto legislativo n. 502/92) e delle Aziende ospedaliere (art. 4 del decreto legislativo. n. 502/92).
L'ampliamento dell'ambito delle Aziende UU.SS.LL. fino alla costituzione di una unica Azienda USL per povincia, pone il problema della coesistenza di S.I.T. (Servizi di immunoematologia e trasfusione) e C.T. (Centri trasfusionali) che, sebbene coordinati tra loro, sono autonomi e dotati di dirigenti propri.
Lo scorporo dalle Aziende UU.SS.LL. delle strutture ospedaliere di maggior rilievo, di norma dotate delle strutture trasfusionali più attrezzate ed importanti senza attribuzione di ambito territoriale di competenza, pone problemi in merito all'inquadramento delle strutture trasfusionali delle Aziende ospedaliere e ai rapporti tra Aziende UU.SS.LL e Aziende ospedaliere per quanto riguarda la raccolta e lo scambio di sangue, di emocomponenti di prestazioni trasfusionali.
Per quanto sopra esposto la rete trasfusionale nella Regione sarà organizzata in SIMT (Servizi di immunoematologia e medicina trasfusionale), Moduli trasfusionali, UR, (Unità di raccolta) e frigoemoteche.
La distinzione tra le funzioni attribuite dalla legge n. 107/90 ai Servizi di immunoematologia e trasfusione (SIT) ed ai Centri trasfusionali (CT) viene superata dalla dizione di Servizi di immunoematologia e medicina trasfusionale (SIMT) nella quale vengono inclusi, oltre le funzioni richiamate negli artt. 5 e 6 della legge n. 107/90, anche eventualmente, nell'ambito dei presidi ospedalieri del proprio ambito territoriale, le attività di consulenza trasfusionale e di sorveglianza sul buon uso del sangue.
I moduli trasfusionali decentrati assicurano la ordinaria terapia trasfusionale ed hanno le seguenti funzioni:
-  controllo della salute dei donatori;
-  raccolta del sangue intero;
-  aferesi da donatore e terapeutica;
-  autotrasfusione;
-  altri eventuali compiti (type and screen e assegnazione) affidati in via temporanea o continuativa dalla struttura trasfusionale di riferimento in relazione a specifiche esigenze organizzative e/o assistenziali.
Le unità di raccolta (UR), le cui funzioni sono indicate dall'art. 7 della legge n. 107/90, sono allocate nel presidi ospedalieri oppure possono essere gestite dalle Associazioni e Federazioni dei donatori volontari di sangue.
I presidi ospedalieri pubblici (non dotati di SIMT o di modulo trasfusionale) e privati devono essere dotati di frigoemoteche, i cui rapporti con le strutture pubbliche provviste di servizi trasfusionali sono regolamentati dal D.M. 1 settembre 1995.
In relazione anche a quanto disposto dall'art. 36 della legge regionale n. 30/93 i SIMT dovranno essere istituiti nelle aziende di rilievo nazionale e nelle aziende di rilievo regionale per l'emergenza di 3° livello. I Direttori generali delle aziende ospedaliere di rilievo regionale per l'emergenza di 2° livello e delle aziende USL previa valutazione delle necessità operative, dei rapporti costi benefici e previa intese con i Direttori generali del bacino d'utenza potranno istituire i SIMT nell'ambito dei presidi ospedalieri del territorio di competenza e per le aziende ospedaliere all'interno dei presidi facenti parte dell'azienda stessa. Al fine di garantire un'equa distribuzione delle strutture nell'ambito provinciale l'allocazione dei SIMT di pertinenza dell'Azienda USL dovrà tenere conto della ubicazione delle altre strutture.
Di norma un SIMT per provincia deve assicurare la tipizzazione IHLA per il reclutamento dei donatori di midollo osseo; l'individuazione della struttura sarà effettuata dal comitato direttivo del Dipartimento di medicina trasfusionale sotto indicato; i relativi ambiti territoriali saranno ristabiliti con decreto assessoriale.
Nei presidi ospedalieri non dotati di SIMT si prevede la possibilità di istituire Moduli trasfusionali decentrati ovvero unità di raccolta o frigoemoteche, collegate ai SIMT, così come previsto dal D.M.S. 1 settembre 1995. Nelle AUSL ove non vi sia un SIMT dovrà prevedersi almeno un modulo trasfusionale.
L'individuazione e l'attivazione delle diverse strutture è demandata ai Direttori generali delle Aziende che dovranno tenere conto della preesistenza e funzionamento di strutture trasfusionali, del volume di attività, di particolari condizioni di difficoltà di collegamento con il SIMT di riferimento, in base alle caratteristiche orografiche del territorio provinciale.
Il coordinamento in ambito provinciale delle attività trasfusionali viene attuato tramite l'istituzione di un Dipartimento di medicina trasfusionale per provincia.
Il Dipartimento di medicina trasfusionale persegue le seguenti finalità:
1) coordinare le attività trasfusionali nel territorio di competenza;
2) omogeneizzare e standardizzare le procedure;
3) razionalizzare l'impiego delle risorse di personale e di attrezzature, realizzando economie di scala;
4) specializzare l'offerta di attività immunoematologica e di medicina trasfusionale;
5) organizzare in sede provinciale, in stretta collaborazione con le associazioni di donatori di sangue la raccolta di sangue e degli emocomponenti corpuscolari secondo le necessità delle strutture trasfusionali delle Aziende sanitarie ed ospedaliere;
6) assicurare in tutto il territorio un livello assistenziale uniforme di medicina trasfusionale dando massimo sviluppo alle attività clinica ed all'autotrasfusione.
I dipartimenti, per quanto riguarda i problemi dei coordinamento e delle compensazioni, sono collegati tramite il C.R.C.C., alla rete trasfusionale regionale.
Il coordinamento tecnico organizzativo è affidato ad un Comitato di dipartimento.
Il modello organizzativo di coordinamento regionale previsto dalla legge n. 107/90, ha trovato difficoltà di attuazione a causa dell'identificazione dei C.R.C.C. in un S.I.T. che comporta la commistione di compiti amministrativi e organizzativi con compiti di natura tecnico-operativa.
Inoltre, si è verificata la tendenza da parte dei C.R.C.C., che sono Servizi zonali, di privilegiare le funzioni a questi ultimi attribuite, a scapito delle funzioni di valenza regionale. Per ovviare alle disfunzioni constatate nell'applicazione, della legge n. 107/90, la Regione costituisce due organi, uno con funzioni amministrative e di organizzazione, l'altro con funzioni tecniche di coordinamento e di compensazione, individuato il primo in un Ufficio regionale trasfusionale (U.R.T.) il secondo in una struttura trasfusionale.
1) Competenze dell'Ufficio regionale trasfusionale (U.R.T.):
a) rilevazione del fabbisogno regionale annuale di sangue, emocomponenti emoderivati e della quantità necessaria da avviare ai centri di frazionamento,
b) emanazione di direttive per la gestione dell'interscambio degli emocomponenti ed emoderivati verso aree carenti della regione e, sulla base delle indicazioni ministeriali, verso altre regioni;
c) regolamentazione della compensazione anche sotto il profilo contabile dei flussi di scambio di emocomponenti relativi alle strutture sanitarie della regione;
d) emanazione di direttive per l'invio di plasma alla aziende produttrici di emoderivati e controllo della distribuzione dei risultati ottenuti;
e) monitoraggio della spesa farmaceutica al fine di controllare i consumi dei prodotti derivati dal sangue nei presidi pubblici o privati e nelle farmacie esterne.
f) raccolta ed elaborazione, per il successivo inoltro al Ministero della sanità dei dati del Registro sangue.
2) Competenze del Centro regionale di coordinamento e compensazione (C.R.C.C.): il C.R.C.C. al fine di perseguire il raggiungimento della autosufficienza di sangue, plasma ed emoderivati all'interno della Regione:
a) coordina le attività dei dipartimenti e dei servizi di immunoematologia e trasfusione della Regione favorendo la collaborazione delle Associazioni e Federazioni dei donatori volontari di sangue;
b) coordina l'aggiornamento del personale sanitario relativamente alle tematiche inerenti l'utilizzo del sangue e degli emoderivati;
c) collabora con le forze armate e la protezione civile per disporre di una scorta di sangue, di emocomponenti e di emoderivati per le urgenze e le emergenze sanitarie nonché per gli interventi in caso di calamità;
d) fornisce le indicazioni necessarie alle strutture trasfusionali al fine della conservazione di emocomponenti congelati di gruppi rari, in collegamento attivo con l'Autorità nazionale per il servizio trasfusionale;
e) prende contatti con gli utilizzatori di plasmaderivati al fine di evidenziare specifiche esigenze legate ai singoli prodotti (ad esempio centri dell'emofilia);
f) cede il sangue umano e gli emocomponenti alle imprese produttrici di emodiagnostici secondo le convenzioni stipulate dalle regioni, in conformità allo schema predisposto dal Ministro della sanità;
g) predispone, con cadenza annuale, una relazione riassuntiva sullo stato dei servizio trasfusionale regionale sulla base delle relazioni inviate dalle strutture provinciali;
h) predispone con cadenza annuale una relazione sull'attività dei Comitati per il buon uso del sangue ospedaliero.
La Regione riconosce come insostituibile l'opera svolta dalle Associazioni e Federazioni di donatori volontari di sangue, e ne garantisce la necessaria partecipazione alle attività trasfusionali con l'applicazione delle convenzioni stipulate fra le Aziende UU.SS.I.L. o le Aziende ospedaliere e le Associazioni e Federazioni aventi diritto, che operano sul territorio. Le Unità di raccolta possono essere gestite direttamente anche dalle Associazioni e Federazioni dei donatori volontari di sangue, previa autorizzazione dell'Assessore Regionale alla Sanità subordinata all'accertata presenza di idonee condizioni strutturali, di attrezzature e di personale.
I donatori non associati, se periodici, rappresentano un importante supporto delle strutture trasfusionali presso le quali donano.
E' impegno di ogni struttura trasfusionale informare i donatori dell'esistenza e attività meritoria delle organizzazioni dei donatori di sangue.
E' prevalentemente, però, attraverso le associazioni che può essere organizzato il progetto "Raccolta Programmata' in grado di assicurare il tipo di raccolta rispondente alle esigenze delle varie strutture e del sistema trasfusionale regionale.
Compito preminente delle Associazioni è di attivare iniziative di promozione, propaganda, educazione sanitaria finalizzate alla "raccolta programmata" la quale costituisce la forma di donazione che più gratifica il donatore perché conscio dell'ottimale utilizzo del suo sangue.
In questo ambito rientra anche la promozione della donazione di cellule staminali del midollo osseo (art. 1, comma 3, legge n. 107/90).
Cardine della realizzazione dei progetto "raccolta programmata" è la collaborazione istituzionalizzata tra Associazioni e Strutture trasfusionali del S.S.N.
In tale ambito può essere raggiunto più facilmente l'obiettivo di modulazione della raccolta realizzando aggiustamenti quali- quantitativi nel breve periodo, economia di scala sul volume di attività, decisioni più immediate.
Fatta salva, nella situazione attuale, la necessità di avviare alla donazione tutte le disponibilità idonee per permettere la compensazione in funzione dell'autosufficienza, la programmazione dell'attività di donazione consente di meglio regolare il flusso per tipologia e quantità del sangue da prelevare ai donatori periodici, sia che affluiscano alle strutture trasfusionali, che alle unità di raccolta associative.
Le strutture trasfusionali della Regione, individuate dal comitato direttivo dei Dipartimento provinciale dovranno attrezzarsi per poter eseguire la plasmaferesi produttiva; questa dovrà essere eseguita in modo programmato su appuntamento mediante accordi con le Associazioni; in via subordinata essa potrà essere proposta al donatore in sostituzione della donazione di sangue totale.
Si verificano, in particolari situazioni, necessità improvvise di elevate quantità di sangue da parte di strutture trasfusionali della Regione.
Ciò comporta, talora, un intervento dei mass-media che lanciano appelli allarmanti alla popolazione, richiamando donatori occasionali ed indirizzandoli alla struttura trasfusionale interessata.
Si ritiene tale evenienza, non consona con un sistema trasfusionale ben funzionante e da evitare, perché coinvolge donatori occasionali, responsabili di complicanze post-trasfusionali infettive con frequenza sette volte superiore a quella dei donatori periodici.
Per tale motivo si richiede alle Associazioni di donatori, in collaborazione tra loro, di costituire gruppi di donatori, con opportune caratteristiche immunoematologiche, in grado di rispondere in brevissimo tempo ad una convocazione urgente.
La struttura trasfusionale che si trova nella necessità del rifornimento urgente dì molte unità di un determinato tipo di sangue, dopo averne verificato la non disponibilità nelle strutture vicine, deve preferibilmente far ricorso a questa struttura operativa delle Associazioni.
5.6.12. Trapianto di midollo osseo
In Italia la riduzione delle nascite ha ridotto la fratria a 2,2 (meno di 2 in alcune regioni).
Pertanto la possibilità di un fratello o di una sorella consanguinei mediamente è del 30%. La probabilità di trovare un donatore compatibile non consanguineo è di circa 1 su 30.000 nello stesso gruppo etnico, molto più bassa se la ricerca si compie su registri di donatori stranieri. In Italia il registro donatori di midollo osseo è di circa 300.000 soggetti parzialmente tipizzati, 6.000 in Sicilia, in Europa è rilevante il Registro britannico con un milione di donatori. Allo stato, in relazione a quanto sopra evidenziato, in Sicilia è necessario incrementare i donatori perché tra essi è più probabile trovare donatori di midollo osseo.
Obiettivo nel triennio 2000-2002 è quello della incentivazione del numero dei donatori attraverso un'attività di informazione ed educazione ed un potenziamento delle strutture esistenti.
Il Registro regionale siciliano donatori di midollo osseo, collegato con il Registro italiano donatori di midollo osseo, ha sede presso il Centro regionale di riferimento per i trapianti di organi. Il Registro regionale identifica i centri donatori della Regione ed è totalmente responsabile della validità dei dati genetici dei suoi donatori.
5.6.13. Potenziamento delle donazioni di organo.
Fra gli obiettivi che il presente Piano sanitario regionale intende perseguire vi è quello relativo al potenziamento delle attività di donazione e trapianto di organi.
Il fattore che maggiormente limita l'attività di trapianto in Sicilia è l'insufficienza delle donazioni.
L'obiettivo generale della programmazione sanitaria è quindi l'incremento del numero dei prelievi di organi.
Le cause che hanno finora impedito tale incremento sono riconducibili a:
1) insufficiente numero di segnalazioni di potenziali donatori da parte dei centri ospedalieri, soprattutto in conseguenza dell'inadeguata distribuzione sul territorio dei posti-letto di rianimazione e della rete di emergenza e dell'insufficiente motivazione di molti rianimatori;
2) alta incidenza di opposizione al prelievo determinata da una inadeguata conoscenza nella popolazione delle tematiche collegate al prelievo e trapianto di organi.
Questi due fattori determinano in larga misura le cause del notevole divario tra le altre regioni d'Italia e la Sicilia circa la quantità di trapianti effettuati. Nella nostra regione l'attività di prelievo di organi a scopo di trapianto mantiene un carattere episodico e largamente legato alla "buona volontà" degli operatori sanitari.
L'impegno della Regione e dello Stato che negli ultimi anni hanno profuso ingenti risorse nell'avvio di iniziative tese a superare l'attuale limitatezza dei trapianti in Sicilia, per raggiungere gli ambiziosi obiettivi prefissati ,deve dunque orientarsi verso il superamento di questi due fattori frenanti.
In tale ambito, particolare rilievo assumono la razionalizzazione e il potenziamento della rete regionale per l'emergenza e dei servizi di rianimazione nonché la specifica formazione e sensibilizzazione di tutti gli operatori sanitari.
Quest'ultima dovrà essere compiuta in primo luogo dai centri specializzati che hanno già maturato una concreta esperienza nel settore dei prelievi e trapianti di organi.
Nel quadro normativo vigente (legge 1 aprile 1999, n. 91) si colloca la necessità del potenziamento della capillare opera di informazione e di educazione della popolazione alla donazione di organi ed ai trapianti, volta a modificare l'attuale diffuso atteggiamento di diffidenza nei confronti della donazione di organi.
Questi interventi di sensibilizzazione assumono un carattere urgente e prioritario anche perché il fabbisogno di trapianti è destinato ad aumentare nel corso dei prossimi anni. Infatti, le indicazioni cliniche al trapianto si stanno via via allargando ad un sempre maggiore numero di patologie e in molte di esse, come ad esempio le patologie renali, il trapianto consente un più efficiente utilizzo delle risorse, perché alternativo a trattamenti a più elevato rapporto costo globale/efficacia.
Con l'incremento del numero di prelievi di organi si renderà evidente, tuttavia, anche l'esigenza di potenziare e di adeguare la maggior parte dei centri ospedalieri siciliani operanti nel settore dei trapianti, attualmente molto carenti sia in termini di mezzi che di attrezzature.
E' inoltre necessario individuare le U.O. in grado di assistere efficacemente sul territorio i pazienti candidati o già sottoposti ad intervento di trapianto di organo.
In conformità a tali considerazioni gli obiettivi specifici da perseguire nel triennio di vigenza del P.S.R. sono così determinati:
a) potenziare ed umanizzare le Unità di rianimazione che sostengono le attività di prelievo di organi a scopo di trapianto, partendo dal potenziamento delle strutture ospedaliere storicamente più attive nella Regione;
b) promuovere la formazione e la sensibilizzazione degli operatori sanitari impegnati nel settore dei prelievi di organi a scopo di trapianto;
c) promuovere l'educazione alla donazione della popolazione siciliana;
d) potenziare i centri di trapianto della Regione;
e) incrementare e potenziare le Unità ospedaliere in grado di selezionare ed assistere in fase pre e post trapianto i pazienti da sottoporre o sottoposti a trapianto.
5.6.14. La rete regionale per le attività di prelievo e di trapianto di organi
Con tale termine si intende il sistema di relazioni tra gli attori finalizzate e sensibilizzare la collettività alla donazione ed a sviluppare l'organizzazione dei prelievi e dei trapianti di organi. Gli attori del sistema sono il Centro regionale di riferimento per i trapianti, i coordinamenti di area per i prelievi di organo di Palermo, Messina e Catania, le aziende ospedaliere e le strutture sanitarie regionali accreditate, i centri autorizzati agli interventi di trapianto di organi, i medici di Medicina generale, le Associazioni di volontariato.
5.6.15. Il Centro regionale di riferimento per i trapianti
Il Centro regionale di riferimento per i trapianti di organo, di cui all'art. 10 della legge n. 91/99, svolge i seguenti compiti:
-  coordina le attività di raccolta e di trasmissione dei dati relativi alle persone in attesa di trapianto nel rispetto dei criteri stabiliti dal Centro nazionale dei trapianti;
-  coordina le attività di prelievo ed i rapporti tra i reparti di rianimazione presenti nel territorio e le strutture per i trapianti in collaborazione con i Coordinamenti di area di Catania, Messina e Palermo,;
-  assicura l'esecuzione dei test immunologici necessari per il trapianto, avvalendosi di uno o più laboratori di immunologia per i trapianti allo scopo di accertare l'idoneità del donatore;
-  procede all'assegnazione degli organi in applicazione dei criteri stabiliti dal Centro nazionale dei trapianti, in base alle priorità risultanti dalle liste dei pazienti in attesa di trapianto;
-  assicura il controllo sull'esecuzione dei test di compatibilità immunologica nei programmi di trapianto della Regione;
-  coordina, in collaborazione con la Centrale operativa del servizio 118, il trasporto dei campioni biologici, delle equipes sanitarie e degli organi e dei tessuti nel territorio della Regione;
-  cura i rapporti di collaborazione con le autorità sanitarie del territorio di competenza e con le associazioni di volontariato.
5.6.16. I Coordinamenti di area per i prelievi di organo
Ai fini della promozione del coordinamento dell'attività di prelievo di organi a scopo di trapianto, in atto in Sicilia sono operative le seguenti tre aree:
-  coordinamento di area per i prelievi di organi per le province di Palermo, Agrigento, Trapani e Caltanissetta presso la sede della Divisione di neurorianimazione dell'A.R.N.A.S. Ospedale Civico di Palermo;
-  coordinamento di area per i prelievi di organi per le province di Catania, Ragusa, Siracusa ed Enna presso la sede del servizio di rianimazione dell'Ospedale "Garibaldi" di Catania;
-  coordinamento di area per i prelievi di organi per la provincia di Messina presso la sede del servizio di rianimazione dell'Azienda ospedaliera Policlinico universitario di Messina.
I coordinamenti di area costituiscono U.O. di riferimento regionale per l'attività di prelievo di organi, alle quali devono essere assicurati, personale, mezzi e attrezzature idonei allo svolgimento del loro compito di coordinamento e di sviluppo dell'attività del territorio di pertinenza.
I responsabili dei Coordinamenti sono nominati dall'Assessore regionale per la sanità.
E' facoltà dei responsabili dei coordinamenti proporre alle Direzioni generali delle aziende sanitarie ricadenti nel territorio di propria competenza la nomina di uno o più coordinatori locali.
Sono compiti precipui dei coordinamenti di area:
-  la predisposizione del programma annuale di attività di formazione del personale sanitario addetto alle operazioni di individuazione del potenziale donatore e di prelievo di organi;
-  la compilazione del registro locale dei cerebrolesi deceduti, dei prelievi effettuati e delle cause di non effettuazione degli stessi;
-  l'ausilio alle Direzioni sanitarie ospedaliere nello svolgimento delle mansioni relative all'attuazione della normativa sull'accertamento di morte;
-  il coordinamento delle operazioni di prelievo e di trasferimento degli organi;
-  le comunicazioni al Centro di riferimento regionale delle informazioni necessarie all'allocazione e all'assegnazione degli organi;
-  lo svolgimento delle attività di sensibilizzazione e consulenza nei confronti degli operatori sanitari sulle problematiche relative a donazione e trapianto;
-  la cura dei rapporti con le Associazioni di volontariato e con le famiglie dei donatori, assumendo iniziative idonee a diffondere il valore etico della donazione;
-  lo sviluppo delle relazioni con i medici di medicina generale, con le Associazioni di volontariato e con i mezzi di informazione allo scopo di sensibilizzare e informare correttamente sulle possibilità terapeutiche del trapianto e sul valore sociale della donazione;
-  lo sviluppo delle relazioni con gli organi di informazione sulle questioni relative alla donazione, alla morte cerebrale, all'accertamento di morte ed alla donazione degli organi a scopo di trapianto terapeutico.
5.6.17 I centri di trapianto
In atto in Sicilia sono autorizzati i seguenti centri:
Trapianto di rene da cadavere:
-  Policlinico di Palermo
-  Ospedale Civico di Palermo
-  Is.Me.T.T. di Palermo
-  Policlinico di Catania.
Trapianto di rene da vivente:
-  Policlinico di Palermo
-  Policlinico di Catania
-  Is.Me.T.T: di Palermo.
Trapianto di fegato:
-  Is.Me.T.T.di Palermo.
Trapianto di cuore:
-  Azienda ospedaliera OVE di Catania.
Trapianto di pancreas
-  Is.Me.T.T: di Palermo.
5.6.18. Le Aziende sanitarie e le strutture sanitarie accreditate
Sono riconosciute quali strutture idonee a svolgere attività di prelievo di organi a scopo di trapianto tutte le strutture sanitarie accreditate, sedi di reparti di rianimazione e di emergenza.
5.6.19. I medici di medicina generale.
Svolgono presso i propri assistiti attività di informazione per quanto attiene la donazione di organi. Concordano, altresì, nelle forme previste dalla convenzione vigente, attività di formazione permanente sulle problematiche dei soggetti trapiantati. Le aziende USL promuovono ogni anno l'iniziativa dei medici di medicina generale attraverso il coordinatore d'area alla donazione ed al prelievo, anche tramite l'istituzione di specifici gruppi di lavoro nonché specifici corsi di formazione.
5.6.20. Le associazioni di volontariato
Sviluppano la sensibilità della collettività in materia di donazioni di organo favorendo una scelta consapevole da parte dei cittadini. Le aziende USL promuovono l'iniziativa nei confronti delle associazioni di volontariato attraverso il coordinatore d'area.
5.6.21. Problemi culturali e formazione
Si è già detto che dall'esame delle attività di prelievo svolte nella Regione si è assistito da un lato ad un aumento delle procedure di osservazione di morte cerebrale su potenziali donatori d'organi, ma dall'altro un forte aumento dei dinieghi al prelievo da parte dei familiari con conseguente diminuzione del numero dei prelievi d'organi effettuati.
Tale diniego si è verificato circa nel 50% dei casi a fronte di un tasso europeo di opposizione al prelievo che è pari al 30%.
Al fine quindi di incrementare il consenso al prelievo è opportuno:
-  effettuare programmi di informazione presso le grandi comunità (scolastiche, operaie etc.);
-  varare un programma di accoglienza e di umanizzazione del rapporto nei confronti delle famiglie dei pazienti ricoverati presso le Rianimazioni e/o Terapie intensive;
-  avviare una efficace opera di informazione e di promozione nei confronti del personale sanitario dei reparti di Rianimazione e/o di Terapia intensiva che molto spesso non appare ben motivato ed orientato riguardo al problema trapianti.
-  sensibilizzare ed informare il medico di base che deve divenire egli stesso attore nel processo pubblico di informazione e sensibilizzazione;
-  istituire uno stretto e continuo collegamento con i media con la costituzione anche, se del caso, di un apposito Ufficio stampa.
Le Aziende ospedaliere e l'Istituto mediterraneo per i trapianti e terapie ad alta specializzazione (Is.Me.T.T.) dove hanno sede unità operative di prelievo e/o trapianto di organi dovranno raggiungere l'obiettivo di incrementare i prelievi tenendo conto delle esperienze maturate con l'attività di prelievo svolta fino ad oggi in Sicilia.
Le attività organizzative e di formazione del personale dovranno essere svolte dalle aziende ospedaliere sede di unità operative per i trapianti e dall'Is.Me.T.T..
5.6.22. Sanità pubblica veterinaria
Le innovazioni apportate dal Mercato unico europeo e dagli accordi internazionali nell'ambito dell'organizzazione mondiale del commercio hanno introdotto modifiche nel complesso delle procedure in materia di animali ed i relativi prodotti, fattori questi che comportano una integrazione dei sistemi di produzione e distribuzione e conseguentemente l'affidamento delle funzioni di tutela dei consumatori a strutture operanti secondo criteri a livello omogeneo di qualità.
I Servizi veterinari si avvalgono delle prestazioni e della collaborazione tecnico scientifica dell'Istituto zooprofilattico sperimentale della Sicilia.
Prioritariamente, quindi, occorre procedere all'accreditamento delle strutture e dei laboratori di sanità pubblica veterinaria (ivi compreso l'Istituto sperimentale zooprofilattico della Sicilia) per conferire agli stessi i necessari requisiti per il raggiungimento degli obiettivi prefissati per la tutela della salute dei consumatori.
Nell'ottica del raggiungimento degli obiettivi di salute e per la riduzione dei rischi, in relazione anche dell'attuale situazione epidemiologica siciliana, si identificano quali obiettivi del triennio:
-  potenziamento e qualificazione delle strutture organizzative del servizi veterinari dei Servizio sanitario regionale e dell'Istituto sperimentale zooprofilattico della Sicilia dando piena attuazione alle linee guida emanate in materia dal Ministero della sanità;
-  prevenzione delle malattie infettive del bestiame attraverso programmi di sorveglianza epidemiologica e di monitoraggio del territorio con particolare riguardo alle scaprie ovina e caprina e alla encefalopatia spongiforme bovina ed alle zoonosi prevalenti;
-  radicazione entro il triennio di vigenza del Piano dagli allevamenti ovicaprini della brucellosi e dagli allevamenti bovini della tubercolosi della brucellosi e della leucosi bovina enzootica, attraverso una programmazione articolata e specifica degli interventi diretta:
-  al censimento ed identificazione di tutti gli allevamenti bovini ed ovicaprini esistenti nel territorio regionale e dei relativi capi;
-  al ricontrollo di tutti gli allevamenti bovini ed ovicaprini in possesso della qualifica sanitaria ed effettuazione, nel rispetto delle procedure e dei tempi, dei controlli su tutto il patrimonio trattabile, onde pervenire nel triennio al raggiungimento degli obiettivi prefissati dalle leggi nazionali e comunitarie con l'eradicazione delle predette malattie infettive;
-  alla regolamentazione della movimentazione degli animali sul territorio onde evitare che gli spostamenti avvengano senza il rispetto della normativa vigente e con pericolo di propagazione delle infezioni;
-  al monitoraggio delle strutture di produzione, trasformazione e commercializzazione degli alimenti di origine animale, secondo un protocollo diretto a verificare le condizioni igienico sanitarie delle strutture, l'igiene del personale, la validità della documentazione autorizzativa, i sistemi di autocontrollo ed i loro risultati; ciò attraverso l'incremento quali quantitativo, secondo protocolli operativi della vigilanza sistematica ed omogenea degli alimenti di origine animale limitatamente alla filiera animale diretta anche a verificare la presenza di contaminanti chimici, fisici e biologici e di sostanze ormonali e antiormonali residue, diretta a diminuire o a eliminare i rischi anziché alla mera constatazione dell'infrazione o ad una semplice valutazione del danno;
-  al potenziamento del sistema informativo e attivazione di un sistema informativo integrato al livello regionale e nazionale anche allo scopo di una razionalizzazione dell'intero sistema;
-  all'attivazione e all'incremento di corsi di formazione del personale veterinario con particolare riguardo all'applicazione delle regole comunitarie e degli accordi con i Paesi terzi.
5.6.23. Sorveglianza delle patologie rare
Il numero di malattie rare attualmente conosciute è pari al 10 per cento delle patologie umane. La frequenza complessiva nella popolazione generale è di un caso ogni 1.000 abitanti. Poiché esse richiedono un'assistenza specialistica e continuativa il peso che ne risulta è molto elevato per la comunità.
Il Piano sanitario regionale 2000-2002 si propone di garantire:
-  la promozione di attività di prevenzione;
-  una diagnosi appropriata e tempestiva;
-  lo sviluppo di centri specialistici;
-  il sostegno alla ricerca scientifica.
Gli interventi prioritari da realizzare nel triennio di vigenza del piano sono:
-  identificazione di centri regionali di riferimento per la diagnosi ed il trattamento di singole (o gruppi di) patologie rare collegati con la rete dei presidi ospedalieri;
-  avvio di un programma di prevenzione, di diagnosi precoce, di assistenza e di ricerca;
-  interventi diretti al miglioramento della qualità di vita dei pazienti affetti da patologie rare;
-  realizzazione di programmi di informazioni ai pazienti affetti da patologie rare ed alle loro famiglie;
-  facilitazione nell'approvvigionamento di farmaci per i pazienti ed i loro familiari.
6. PROCESSI, STRUMENTI E MEZZI PER CONSOLIDARE IL SERVIZIO SANITARIO REGIONALE
6.1.  SISTEMA INFORMATIVO
Il sistema informativo quale strumento di conoscenza, collegamento e controllo indispensabile per tutta l'attività di governo del Servizio sanitario regionale, è delineato nell'art. 18 della legge regionale n. 30/93 che dà indicazioni di massima sulla costituzione dei sistema informativo locale (SIL) e regionale (SIR).
Tali indicazioni appaiono oggi datate in relazione all'organizzazione del Servizio sanitario nazionale e alla prossima modificazione dell'assetto organizzativo complessivo dell'Assessorato regionale della sanità.
L'acquisizione di informazioni sulla diffusione territoriale e l'evoluzione temporale delle malattie, di indicatori di efficacia di servizi, di controllo e verifica della gestione delle risorse, di valutazione del livello di attuazione dei programmi ai diversi livelli di responsabilità presuppone la realizzazione di un sistema informativo che, a tutt'oggi, si può considerare soddisfacente solo in qualche area di eccellenza; appare perciò prioritaria la realizzazione in sede aziendale di un sistema informativo prevedendo attraverso un sistema informatico integrato la possibilità dei collegamento in rete regionale. Il sistema Intranet, versione speculare di Internet, consente la gestione ottimale delle informazioni in termini di produzione, aggiornamento, diffusione, rapidità di ricerca. Tali aspetti sono di notevole rilevanza in una pubblica amministrazione come l'Assessorato regionale della sanità, che deve svolgere funzioni di programmazione. La Intranet è una risorsa messa a disposizione dalla tecnologia che ben si adatta alle esigenze di tale organizzazione. L'implementazione di una Intranet ha ripercussioni sull'assetto organizzativo e sui meccanismi operativi e deve, quindi, essere programmata e gestita con cura e dopo attenta valutazione. Il Ministero della sanità ha avviato il processo di implementazione di tale modello nel SSN per garantire la comunicazione con le Regioni e le Aziende sanitarie. Questa costituisce una opportunità preziosa per la Regione siciliana poiché, adottando il medesimo modello, si possono ridurre i costi di implementazione a livello delle aziende sanitarie in termini di tempo e risorse.
Nelle aziende sanitarie, sia ospedaliere che di USL, l'Unità operativa del sistema informativo e statistico è posta alle dirette dipendenze del Direttore generale, in posizione di staff .
Essa ha il compito di elaborare e valutare i dati provenienti dall'ambiente esterno e dai differenti livelli di produzione dell'ambiente interno e fornire informazioni alla direzione generale ed agli stessi produttori delle informazioni quali :
a) U.O., servizi e dipartimenti per le Aziende ospedaliere;
b) U.O., servizi dipartimenti e distretti per le Aziende USL.
Il SIL dovrà essere in grado di garantire l'utilizzo in tempi reali di dati correnti come informazioni di esercizio nel contesto di una rete informativa modulare al cui sviluppo, realizzazione ed utilizzo dovranno essere compartecipi tutti i soggetti istituzionali che vi giocano un ruolo: dovrà essere altresì garantito il ritorno tempestivo dei dati in tempo reale.
6.2.  FORMAZIONE PERMANENTE ED AGGIORNAMENTO
La formazione continua, ai sensi del decreto legislativo n. 229/99, comprende l'aggiornamento professionale e la formazione permanente del personale del Servizio sanitario regionale.
L'aggiornamento è diretto ad adeguare per tutto l'arco della vita professionale le conoscenze professionali.
La formazione permanente tende a migliorare le competenze cliniche, mediche e manageriali ed i comportamenti degli operatori sanitari con l'obiettivo di garantire efficacia, appropriatezza, sicurezza ed efficienza all'assistenza erogata dal SSR.
Anche la legge regionale n. 30/93 definisce le attività di formazione e di aggiornamento come "di importanza centrale per lo sviluppo dei servizio sanitario".
Tale affermazione recepisce l'acquisizione scientificamente documentata che la formazione permanente degli operatori è una esigenza assoluta dei sistemi sanitari.
Tale attività è rivolta al miglioramento della formazione di base allo sviluppo delle attività e al rispetto delle procedure (diagnostica terapeutiche, sanificazione ambientale, ecc.) e costituisce una leva fondamentale per il completamento del processo di aziendalizzazione. Le aziende dovranno predisporre i programmi di formazione e di aggiornamento sulla base degli obiettivi nazionali e regionali contestualmente ai programmi aziendali e con riferimento ai tre macrolivelli essenziali di assistenza avendo come riferimento il personale medico e non medico del Servizio sanitario regionale.
Si individuano nel triennio di vigenza del Piano le principali aree (oltre quelle indicate nei vari capitoli del presente Piano):
a) contabilità direzionale, gestionale budgetaria e centri di costo;
b) valutazioni e modalità dell'offerta dei servizi a pagamento;
c) contabilità economico-finanziaria delle Aziende sanitarie con particolare riferimento al nuovo sistema di finanziamento a tariffe e con analisi comparativa dei costi e dei risultati;
d) gestione per obiettivi e programmi con particolare riguardo al raggiungimento della qualità totale come individuato nel paragrafo 6.3 del presente Piano;
e) metodologia clinica;
f) formazione per le professionalità critiche;
g) formazione manageriale;
h) riabilitazione;
i) assistenza infermieristica;
l) tecnologie biomediche.
Particolare attenzione dovrà essere rivolta agli accordi con le Università degli studi per la programmazione delle specializzazioni e per l'attivazione dei corsi per il rilascio dei diplomi universitari. La programmazione va realizzata sulla base dei fabbisogni rilevati indirizzando le scelte con riferimento alle specializzazioni in tutte le discipline riconosciute a livello comunitario. Il raggiungimento di tali obiettivi deve avvenire con il coinvolgimento primario delle strutture e dei personale del servizio sanitario nazionale.
La formazione continua si sviluppa secondo le modalità indicate dalla Commissione nazionale per la formazione continua la cui composizione ed i cui compiti sono dettagliatamente previsti dal decreto legislativo n. 229/99.
La Regione siciliana, prevedendo forme di partecipazione degli organi dei collegi professionali, provvede alla programmazione ed alla organizzazione dei programmi regionali per la formazione continua, concorre alla individuazione degli obiettivi formativi di interesse nazionale, elabora gli obiettivi formativi di specifiche interesse regionale.
Le Aziende sanitarie devono definire annualmente attraverso l'Unità operativa di formazione, tendenzialmente utilizzando le figure professionali del medico, del pedagogista, del Dirigente assistenza infermieristica e altre competenze professionali, un piano aziendale di formazione permanente e di aggiornamento per tutto il personale e predisporre un rapporto annuale sulle attività formative svolte e sulla loro efficacia con riguardo anche all'utilizzo dei finanziamenti.
Nell'ambito della formazione permanente e dell'aggiornamento un ruolo centrale deve essere assunto dal CEFPAS, Centro della formazione permanente per l'aggiornamento del personale del Servizio sanitario, i cui compiti e funzioni sono individuati all'art. 19 e seguenti della legge regionale n. 30/93. Date le caratteristiche e le dimensioni del complesso, il CEFPAS deve costituire il centro privilegiato delle attività formative della Regione siciliana anche allo scopo di creare un insieme di conoscenze e di esperienze di altissima qualificazione anche in termini di personale che costituiranno patrimonio stabile della Regione.
Obiettivi prioritari del CEFPAS devono essere:
-  promuovere l'aggiornamento e la ricerca in linea con gli orientamenti del decreto legislativo n. 229/1999 e della programmazione regionale;
-  favorire lo sviluppo e la motivazione delle risorse umane in campo socios-anitario;
-  organizzare i corsi di formazione di cui all'art. 3 bis, comma 4, del decreto legislativo n. 229/99.
6.3.  SISTEMA QUALITA'
L'erogazione di servizi sanitari è una attività complessa che vede l'intervento di numerosi soggetti, costituita dall'intersecarsi di diversi processi strettamente interdipendenti che devono sinergicamente orientarsi alla determinazione di un risultato difficilmente quantificabile e misurabile quale è la "produzione di salute". La qualità in sanità presenta, infatti, diverse sfaccettature che vanno dall'aspetto propriamente clinico, all'appropriatezza delle cure, al servizio al paziente/cliente, alla valutazione del rapporto costo-efficacia, all'efficienza, alla sicurezza del paziente e degli operatori. La valutazione della qualità di un servizio sanitario dunque non può che essere multidimensionale e il perseguimento della qualità in sanità richiede un approccio sistemico, incisivo, scientifico se ci si prefigge obiettivi di successo.
Il miglioramento qualitativo dei servizi e delle prestazioni deve essere inoltre un processo continuo, dinamico e permanente, che coinvolga progressivamente tutti gli erogatori di assistenza sanitaria nella Regione e, all'interno di ciascuna realtà, tutti i livelli aziendali e professionali e gli utenti, e deve investire inoltre i diversi aspetti del programmare e dell'agire, dall'efficienza all'efficacia, all'umanizzazione.
La ricerca della qualità è, peraltro, oltre che obiettivo, strumento imprescindibile per affrontare la sfida della aziendalizzazione delle strutture pubbliche e per fronteggiare le necessità di rinnovamento delle modalità di erogazione dell'assistenza in un contesto di crescente complessità delle tecnologie e di ormai strutturale scarsità di risorse. La ricerca della qualità, infatti, lungi dall'essere antitetica alla ricerca di produttività, può viceversa creare efficaci ed insostituibili sinergie per il contenimento dei costi.
Un Sistema sanitario orientato a fornire un livello di prestazioni qualitativamente elevato deve essere in grado di orientare lo svolgimento delle attività al soddisfacimento dei bisogni degli utenti; deve integrare la ricerca della qualità nel comportamento degli operatori, quale parte integrante dell'attività di lavoro; deve creare una tensione positiva verso il miglioramento continuo dei servizi e delle prestazioni; deve, in sostanza, adottare logiche di Qualità totale (QT) dotandosi degli strumenti che consentano di presidiare, in modo continuativo e non episodico, tutte e ciascuna delle variabili che concorrono a determinare il risultato della attività dell'azienda sanitaria, affinché questa nuova filosofia di gestione pervada l'intera organizzazione.
Per ottenere lo sviluppo della Qualità totale e lo sviluppo continuo della qualità, oltre l'impegno degli operatori è necessaria anche una politica globale per la qualità dei servizi sanitari che faccia da base solida al progetto di sistema e che sia determinata coerentemente dal livello istituzionale, dai responsabili della gestione, dagli operatori sanitari e dalle loro associazioni professionali e scientifiche.
Il quadro normativo di riferimento nel cui contesto attualmente si esplica l'attività degli operatori del Sistema Sanitario ai diversi livelli di responsabilità (legge 8 giugno 1990, n. 142; legge 7 agosto 1990, n. 241; decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992, n. 352; decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29; direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 gennaio 1994; direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 ottobre 1994; decreto legge 12 maggio 1995, n. 163 convertito dalla legge 11 luglio 1995, n. 273; decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, come modificato dal decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517 e dal decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, artt. 10 e 14; decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 19 maggio 1995; legge regionale n. 30 gennaio 1991, n. 7, come modificata dalla legge regionale 3 novembre 1993, n. 30) comprende alcune norme e strumenti di grande carica innovativa per quanto riguarda i rapporti tra gli utenti e le Pubbliche amministrazioni (PA), elementi che costituiscono presupposti indispensabili per l'avvio nell'ambito del Servizio sanitario nazionale di un progetto che porti alla costruzione di un Sistema per la qualità. Le norme richiamate affermano infatti due principi fondamentali: la centralità dell'utente e la sua piena titolarità a partecipare alla attività della pubblica amministrazione, ivi compresi i Servizi sanitari, e la necessità inderogabile di adottare in via ordinaria strumenti per la valutazione continua della qualità delle prestazioni erogate.
Esistono dunque le condizioni favorevoli, ed anche una conseguente legittima e crescente aspettativa da parte degli utenti e degli operatori stessi, affinché la ricerca della qualità diventi un obiettivo prioritario ed una attività ordinaria nelle strutture che erogano, a qualsiasi titolo, assistenza sanitaria. Esistono dunque le condizioni, oltre che la necessità, affinché sia profuso ogni sforzo per la costruzione di un "Sistema qualità" nella sanità regionale.
L'adozione della filosofia e degli strumenti della QT per la costruzione di un "Sistema qualità" è dunque obiettivo prioritario del Piano sanitario regionale quale elemento qualificante ed irrinunciabile della attività di programmazione. L'azione dell'Assessorato sanità dovrà dunque essere orientata, attraverso le azioni strategiche di seguito individuate ed ogni altro atto di indirizzo, a dare concretezza al programma enunciato nel presente capitolo del Piano sanitario in modo che siano raggiunti i due obiettivi fondamentali che danno significato all'intero progetto:
1) che si riconosca e si affermi il principio che il cittadino/paziente è la parte più importante del sistema sanitario;
2) che l'attenzione alla qualità divenga parte integrante ed essenziale delle modalità di gestione delle strutture sanitarie.
6.3.1  Funzioni critiche per la realizzazione del Sistema qualità
Affinché si possa affermare che in una organizzazione, quale essa sia, opera un "Sistema qualità", deve esistere ed essere attivato un insieme di processi reali che presidiano l'obiettivo del miglioramento continuo della qualità. Devono esistere procedure per la qualità ben definite e validate da tutti gli operatori attraverso la formazione; devono essere individuati (e periodicamente aggiornati) standard riferiti alle tre aree chiave per la qualità: strutturale, professionale, gestionale; devono essere attivati gruppi per la qualità che agiscono sulle criticità ritenute di volta in volta prioritarie definendo obiettivi e responsabilità in modo chiaro ed esplicito; devono essere eseguiti processi reali di miglioramento continuo della qualità che rispettino il ciclo della qualità in tutti i suoi passaggi; devono essere periodicamente rilevati ed analizzati i bisogni ed il livello di soddisfazione degli utenti attraverso rilevazioni dirette (indagini mirate) ed indirette (reclami); devono essere attivi meccanismi di premio/sanzione collegati ad obiettivi di miglioramento della qualità.
Il Direttore generale di ciascuna Azienda sanitaria dovrà dunque presidiare ed assolvere le seguenti funzioni:
-  promuovere lo sviluppo di un contesto ricettivo e diffondere i processi di miglioramento ai settori aziendali, coinvolgendo progressivamente tutti gli operatori attraverso un intervento organico di informazione-sensibilizzazione-reclutamento. L'obiettivo è far sì che ogni operatore sanitario orienti la propria attenzione a cogliere ogni opportunità di miglioramento: tutti devono contribuire allo sforzo per il miglioramento continuo della qualità nella convinzione che prevenire i problemi è meglio che risolverli;
-  definire un programma di formazione degli operatori dell'Azienda affinché questi acquisiscano metodologie e strumenti indispensabili per il buon esito dei programmi di miglioramento qualitativo;
-  definire, unitamente agli operatori dei servizi aziendali, standard ed indicatori che possano supportare il processo di valutazione della qualità delle prestazioni e dei servizi in riferimento a tutti gli ambiti della qualità: strutture, processi ed esiti;
-  promuovere, supportare e verificare i programmi di miglioramento qualitativo e l'aggiornamento degli standard presi in carico dai diversi servizi aziendali;
-  promuovere, supportare e verificare i programmi di analisi e monitoraggio del livello di soddisfazione degli utenti, finalizzati alla attivazione di programmi di miglioramento continuo della qualità;
-  attivare forme concrete di partecipazione delle organizzazioni di rappresentanza degli utenti;
-  individuare modalità concrete per l'esercizio, da parte degli utenti, del diritto alla tutela, sempre finalizzate all'attivazione di programmi di miglioramento della qualità;
-  attivare sistemi premianti coerenti con i programmi aziendali di miglioramento continuo della qualità dei servizi e delle prestazioni.
6.3.2.  Le azioni strategiche
Creare la cultura della qualità all'interno di una organizzazione, e ancor più all'interno di un intero sistema, è un processo complesso che richiede tempo. E' necessario tempo perché il processo diventi una componente strutturale nelle organizzazioni, perché gli operatori apprendano ad applicare correttamente i principi della "Qualità totale", perché si manifestino gli effetti concreti ed i benefici del miglioramento della qualità. E' un processo complesso soprattutto perché richiede un profondo cambiamento culturale, conseguibile quindi solo attraverso una graduale maturazione. In un settore delicato come quello sanitario è un processo di tale difficoltà da essere soggetto a forti rischi di insuccesso e richiede, quindi, chiaro impegno e forte supporto e guida da parte dei livelli istituzionali di indirizzo, programmazione e controllo. Allo stesso tempo è obiettivo strategico per lo sviluppo del Sistema sanitario regionale. E' necessario dunque individuare strumenti concreti per l'attuazione del progetto e un monitoraggio continuo della fase di implementazione.
Le criticità per l'attuazione del progetto di sistema descritto in questo capitolo del Piano sono localizzate su due livelli di responsabilità: il livello regionale ed il livello aziendale. Su questi due livelli si collocano dunque le azioni strategiche sulle quali si appoggia la attuazione del progetto.
6.3.3. Livello di responsabilità regionale
Con provvedimenti da predisporsi da parte dell'Assessorato della sanità dovranno essere individuate idonee forme di partecipazione, a livello regionale, delle organizzazioni di rappresentanza e tutela dei diritti degli utenti quale strumento insostituibile per l'affermazione della centralità del cittadino/utente nel Sistema sanitario e per il superamento dell'autoreferenzialità delle istituzioni.
Con analoghi provvedimenti da predisporsi da parte dell'Assessorato della sanità dovranno essere altresì emanate norme che individuino i meccanismi per l'esercizio della funzione di tutela degli utenti del Servizio sanitario, armonizzando la normativa nazionale e quella regionale in materia.
Va inoltre potenziata l'attività dell'Assessorato regionale della sanità per favorire la conoscenza dei bisogni della popolazione ed accrescere la qualità degli interventi di programmazione.
Si deve provvedere alla pianificazione e attuazione di programmi di formazione specifici ed incentivazione della formazione a cura delle Aziende, nonché alla promozione dell'adozione, da parte delle Aziende sanitarie, della metodologia dello strumento ordinario per il confronto e per la ricerca di stimoli al miglioramento, anche attraverso l'identificazione di situazioni di eccellenza.
Si devono definire i criteri di allocazione delle risorse per renderle coerenti con gli obiettivi di cui al presente capitolo del PSR in attuazione di quanto disposto dall'art. 10 della legge regionale n. 7 agosto 1990, n. 33.
L'Assessorato regionale della sanità potrà emanare linee guida per l'attuazione del programma.
6.3.4. Livello di responsabilità aziendale
Il Direttore generale (legale rappresentante) di ciascuna Azienda sanitaria (pubblica, equiparata o accreditata) della Regione siciliana dovrà adottare con atto formale il programma per la creazione di un "Sistema qualità" come delineato nel presente capitolo del PSR, assumendo come obiettivo proprio l'adozione e l'implementazione delle logiche e degli strumenti della Qualità totale.
Ciascuna Azienda sanitaria dovrà dotarsi di un proprio "Piano aziendale per la qualità" che definisca gli obiettivi specifici e le azioni concrete per la realizzazione del presente capitolo del PSR. Il "Piano aziendale per la qualità", impostato con visione sistemica dell'azienda, dovrà prevedere il coinvolgimento di tutte le strutture aziendali nella realizzazione del progetto di sistema, secondo le modalità organizzative più adatte con riferimento alla realtà aziendale. Nel "Piano aziendale per la qualità" dovrà essere chiaramente individuata la struttura organizzativa che, con specifico mandato, sarà responsabile della creazione del "Sistema qualità aziendale", prevedendo, se necessario, l'istituzione di una unità operativa specificatamente dedicata a questa funzione. Nel "Piano aziendale per la qualità" dovranno altresì essere individuate le modalità con le quali l'Azienda realizza l'indispensabile integrazione tra l'attività della struttura che, con specifico mandato, si occupa all'interno dell'Azienda di attuare il progetto di Sistema qualità e le altre funzioni collocate a livello di staff del vertice aziendale (formazione, educazione alla salute, sistema informativo, ufficio budget, controllo di gestione, nucleo di valutazione), sia perché tutte queste funzioni sono diretta espressione della impostazione che il vertice dell'azienda intende dare alla attività di gestione, sia perché le funzioni di staff hanno rapporti ed influenzano ogni componente dell'azienda stessa e quindi possono creare intense sinergie per la rapida ed efficace attuazione del progetto.
Il "Piano aziendale per la qualità" dovrà prevedere le modalità di realizzazione nell'azienda delle "Funzioni critiche per la realizzazione del progetto" elencate nel corrispondente paragrafo del presente capitolo.
Tutte le Aziende sanitarie dovranno convocare, almeno una volta l'anno, la conferenza dei servizi con le organizzazioni rappresentative dei cittadini, con le organizzazioni di volontariato e di tutela dei diritti (ex art. 14, comma 4, decreto legislativo n. 502/92) per la valutazione della qualità dei servizi erogati; la conferenza dei servizi è infatti strumento essenziale per l'attuazione del diritto di partecipazione degli utenti e per il superamento della autoreferenzialità dell'azienda.
6.4.  L'INNOVAZIONE TECNOLOGICA E LA GESTIONE DELLE TECNOLOGIE BIOMEDICHE
In atto nelle strutture sanitarie del SSR si rileva un'elevata anzianità delle attrezzature ed una diseguale distribuzione delle stesse nell'ambito del territorio regionale.
In effetti, analizzando i dati relativi agli investimenti per acquisizione di attrezzature, si evince che le strutture sanitarie hanno subito nel recente passato due ondate di innovazione tecnologica.
La prima è stata di tipo quantitativo e legata al fatto che un po' dovunque le attività di diagnosi, sorveglianza e terapia medica, prima eseguite con metodiche manuali si sono evolute in maniera da richiedere un corredo di sistemi tecnologici.
La seconda invece è stata di tipo qualitativo nel senso che le precedenti generazioni di tecnologie di tipo elettromeccanico od elettronico sono state sostituite da sistemi automatizzati ad alto livello di integrazione. Questa seconda fase si è tuttavia dovuta misurare con l'intervenuta riduzione delle risorse a disposizione delle Aziende Sanitarie per gli investimenti nel settore.
Altra considerazione che necessariamente va fatta è che lo sviluppo tecnologico, nel passato, oltre che "impetuoso" è stato nella nostra Regione in un certo senso "spontaneo" cioè non regolato da una sufficiente attività di gestione e controllo sugli acquisti con conseguenziale duplicazione di attrezzature, mancato controllo sull'utilizzo delle stesse, erogazione "a pioggia" di risorse per la creazione di reti tecnologiche.
Studi effettuati a livello nazionale sul tema dell'anzianità delle apparecchiature dimostrano che in media la vita operativa massima di una attrezzatura di medio valore tecnologico dovrebbe essere di circa 8 anni. A fronte di questo dato vi è la realtà di attrezzature che, allo stato, possiedono un'età operativa effettiva anche di 13-15 anni e quindi sono soggette a frequenti guasti che ne limitano pesantemente l'operatività oltre ad avere gravi carenze dal punto di vista della sicurezza e dell'adeguamento alle norme comunitarie.
Si pone quindi come problema di prioritaria importanza la gestione del patrimonio tecnologico esistente con la adozione di strumenti di controllo in grado di garantire un sensibile miglioramento del rapporto "opportunità/costo" soprattutto nel settore della manutenzione e del rinnovo tecnologico condizionato dalla contrazione delle risorse finanziarie a disposizione. E' di tutta evidenza infatti il progressivo incremento dei costi per la manutenzione del parco attrezzature delle Aziende che, negli ultimi anni, ha addirittura superato in parecchi casi quello per l'acquisizione di nuove tecnologie.
Appare in questa sede indispensabile fare riferimento alle normative via via intervenute riguardanti la sicurezza degli impianti e delle attrezzature da intendersi sia come sicurezza dell'operatore che del paziente, nonché alle recenti disposizioni di recepimento delle direttive comunitarie in materia di dispositivi medici.
In particolare ci si riferisce al decreto legislativo n. 626/94 ed al decreto legislativo n. 230/95 per gli aspetti riguardanti la sicurezza degli operatori ed al DPR 14 gennaio 1997 ed al decreto legislativo n. 46/97 per gli aspetti riguardanti la sicurezza del paziente.
Risulta quindi improcrastinabile adottare tutti gli accorgimenti necessari, ivi compresa anche la dismissione di apparecchiature obsolete, per garantire adeguati livelli di sicurezza degli impianti tecnologici e delle attrezzature in genere.
Al riguardo il DPR 14 gennaio 1997 sui requisiti strutturali tecnologici ed organizzativi minimi per l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private dispone l'adozione di specifiche procedure di programmazione degli acquisti delle apparecchiature biomediche e dei dispositivi medici, l'esistenza di un inventario delle apparecchiature in dotazione e, soprattutto, di un piano per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle apparecchiature biomediche che deve essere documentato per ciascuna apparecchiatura e reso noto ai diversi livelli operativi. Viene inoltre fatto carico alla Direzione aziendale di provvedere affinché in ogni presidio sia garantito l'uso sicuro, appropriato ed economico delle apparecchiature biomediche.
In effetti anche a livello nazionale nell'ultimo decennio si è registrata una sempre crescente attenzione verso le attività di manutenzione che, senza alcun dubbio, costituiscono un nodo strategico nell'improcrastinabile passaggio verso il circolo virtuoso della qualità del prodotto e del servizio oltre che per la sicurezza e la tempestività della prestazione.
La manutenzione è senza dubbio una attività complessa che deve ottimizzare diversi parametri direttamente connessi con la funzionalità del servizio e la sua gestione in sicurezza. Ciò significa ottimizzazione dei costi, tempi e prestazioni ma anche una precisa politica gestionale.
Infatti una corretta politica manutentiva, oltre a salvaguardare l'investimento, riduce il rischio che insorgano situazioni incidentali con le relative implicazioni di responsabilità.
In dettaglio queste attività comprendono: la programmazione e la consulenza sugli acquisti delle tecnologie biomediche, la manutenzione preventiva e correttiva, le verifiche di sicurezza ed i controlli funzionali, il collaudo delle nuove apparecchiature, l'addestramento e l'aggiornamento del personale ed il supporto tecnico per la gestione di sistemi informatici avanzati con particolare riguardo all'integrazione delle apparecchiature biomediche con i sistemi telematici sanitari.
Pertanto il presente Piano sanitario regionale si pone i seguenti obiettivi generali sulla gestione delle apparecchiature biomediche:
-  individuazione delle priorità di sviluppo nel campo delle tecnologie tenendo conto delle necessità di un eventuale rinnovo della base tecnologica esistente con dismissione delle attrezzature obsolete e non riconducibili a norma e di una diffusione programmata delle alte tecnologie;
-  sviluppo sistematico delle procedure di valutazione delle tecnologie;
-  piena valorizzazione del parco tecnologico esistente attraverso l'impiego intensivo, in termini di orari e di personale, delle attrezzature disponibili;
-  miglioramento dei processi di gestione e di manutenzione delle apparecchiature biomediche con il coinvolgimento e responsabilizzazione degli operatori nei processi di introduzione e gestione delle nuove tecnologie.
Strumenti per il raggiungimento di tali obiettivi possono essere identificati in:
-  inventariazione e codifica mediante l'utilizzo della codifica nazionale CIVAB delle tecnologie esistenti con particolare riguardo alla verifica dello stato delle stesse e del loro utilizzo;
-  adozione di sistemi di incentivazione alla dismissione di apparecchiature obsolete e non adeguabili alle norme e responsabilizzazione economica delle Aziende sanitarie relativamente alla ricostituzione ed all'ammodernamento della base tecnologica in coerenza con il principio di aziendalizzazione dei servizi sanitari;
-  attivazione nelle aziende di riferimento nazionale di Servizi di ingegneria clinica ovvero di altri strumenti tipo "general contractor" per la gestione del parco attrezzature, la consulenza tecnica in fase di programmazione ed acquisto di nuove tecnologie, la manutenzione delle stesse.
6.5.  ACCREDITAMENTO
La normativa nazionale relativa all'accreditamento (decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modifiche ed integrazioni) attribuisce a questo istituto la valenza di strumento regolatore del mercato delle prestazioni erogate per conto del Servizio sanitario nazionale (SSN).
Tutti i soggetti, pubblici e privati, che intendono erogare prestazioni per conto del SSN devono infatti essere accreditati dalla Regione e, per esserlo, devono risultare funzionali rispetto agli indirizzi di programmazione regionale. Il compito di definire i requisiti per l'accreditamento (in conformità ai criteri generali uniformi previsti dall'atto di indirizzo e coordinamento da emanare ai sensi del comma 3 dell'articolo 8-quater del decreto legislativo n. 502/92) è affidato alla Regione, che devono inoltre individuare anche il procedimento per la verifica del possesso dei requisiti stessi. I soggetti accreditati sono abilitati ad erogare prestazioni per conto del servizio sanitario nazionale e, nell'ambito degli accordi contrattuali di cui all'articolo 8-quinquies del decreto legislativo n. 502/92, anche a carico del Servizio sanitario stesso.
Il modello di accreditamento introdotto nell'ordinamento italiano individua dunque nelle Regioni il livello di governo del processo e caratterizza il processo di accreditamento quale strumento di programmazione sotto il duplice aspetto della regolamentazione dell'accesso e della definizione del livello qualitativo necessario per erogare prestazioni nell'ambito del Servizio sanitario nazionale. Altro aspetto rilevante dell'istituto dell'accreditamento è altresì la caratteristica di processo orientato al miglioramento continuo della qualità. I requisiti di qualità, anche per effetto del miglioramento e dei mutamenti che il progresso tecnologico porta in tutte le aree, sono infatti destinati ad essere periodicamente aggiornati in un'ottica che punta al miglioramento continuo della qualità dei servizi e delle prestazioni. Tale aspetto è puntualmente ed esplicitamente ripreso anche nel piano sanitario nazionale 1998-2000, che definisce l'accreditamento: "strumento di assicurazione e miglioramento della qualità dell'assistenza..." ed afferma chiaramente che "i requisiti di qualità devono essere costantemente aggiornati in relazione alla evoluzione delle tecnologie e delle pratiche sanitarie...".
Condizioni indispensabili per la concessione dell'accreditamento da parte della Regione sono:
1) il possesso, da parte del soggetto richiedente, dell'autorizzazione all'esercizio delle attività sanitarie in base ai requisiti minimi che devono essere stabiliti dalla Regione nel rispetto del DPR 14 gennaio 1997 e successive modifiche e integrazioni;
2) la rispondenza delle funzioni e/o attività da accreditare al fabbisogno ed alla funzionalità rispetto sia agli obiettivi della programmazione regionale sia di quella nazionale;
3) il possesso di requisiti di qualificazione dei soggetti erogatori relativi alle loro caratteristiche organizzative e strutturali, in base ai criteri ulteriori e diversi rispetto a quelli previsti per l'autorizzazione al funzionamento che dovranno essere definiti dalla Regione;
4) la verifica di volumi minimi dell'attività svolta per ciascuna funzione accreditata e la valutazione positiva dei risultati finali dell'assistenza.
5) nel caso di richiesta di accreditamento da parte di nuove strutture o per l'avvio di nuove attività in strutture preesistenti, l'accreditamento può essere concesso, in via provvisoria, per il tempo necessario alla verifica del volume di attività svolto e della qualità dei suoi risultati. L'eventuale verifica negativa comporta la sospensione automatica dell'accreditamento temporaneamente concesso.
6.5.1. L'accreditamento nella Regione siciliana
La direttiva emanata con il D.A. 24 dicembre 1997, n° 24216, indica una direzione precisa verso la quale orientare lo sviluppo del Servizio Sanitario Regionale. L'obiettivo è di costruire un "Sistema" Sanitario che fornisca un livello di prestazioni qualitativamente elevato, che sia in grado di orientare lo svolgimento delle attività al soddisfacimento dei bisogni degli utenti, che integri la ricerca della qualità nel comportamento degli operatori quale parte integrante dell'attività di lavoro, creando una tensione positiva verso il miglioramento continuo dei servizi e delle prestazioni. Si tratta di creare le condizioni che consentano di presidiare, in modo continuativo e non episodico, tutte e ciascuna delle variabili che concorrono a determinare il risultato della attività dell'azienda sanitaria, affinché il monitoraggio costante evidenzi le possibilità di miglioramento.
Nella cornice delineata da questo documento programmatico, l'accreditamento si inserisce come strumento insostituibile per la realizzazione del progetto di sistema. Il processo per la definizione dei requisiti per l'accreditamento dovrà dunque svolgersi nel rispetto di due obiettivi fondamentali:
1) I requisiti per l'accreditamento, a qualsiasi struttura o servizio si riferiscano, dovranno definire un elevato livello di qualità del servizio/struttura, che corrisponda al livello più elevato che sia ragionevole ipotizzare in rapporto alla situazione regionale. Limitare l'obiettivo a livelli di qualità per così dire "intermedi" non è, infatti, coerente con l'obiettivo di creare un sistema regionale per la qualità fondato sulle logiche e gli strumenti della qualità totale, perché negherebbe nei fatti ldi principio. Non bisogna dimenticare, inoltre, che quanto più è ambizioso l'obiettivo prefissato, tanto maggiori saranno i risultati ottenuti anche se non si dovesse raggiungere la meta nel tempo stabilito. Un obiettivo "limitato", quand'anche fosse raggiunto in pieno, costituirebbe in ogni caso un risultato "limitato". E' ragionevole viceversa prevedere una gradualità per il raggiungimento dei livelli di qualità fissati per l'accreditamento al fine di consentire a strutture diverse, che partono da realtà differenti e si muovono con velocità differenti, di raggiungere la meta. Questa gradualità potrà trovare realizzazione nell'individuazione di diverse tipologie di accreditamento differenziate per la durata della validità del certificato.
2) I requisiti per l'accreditamento, a qualsiasi struttura o servizio si riferiscano, dovranno essere periodicamente aggiornati al fine di perseguire il miglioramento continuo della qualità dei servizi e delle prestazioni nel Servizio Sanitario Regionale richiamato dal citato decreto assessoriale n. 24216/97 e dal Piano sanitario nazionale 1998-2000.
6.5.2. Programma per l'accreditamento dei servizi sanitari
Il programma di accreditamento che la Regione siciliana si appresta ad avviare riveste dunque carattere strategico per la Regione e richiede il massimo sforzo e la massima coerenza di azione. L'Assessore regionale per la sanità provvederà con proprio decreto a definire i requisiti per l'accreditamento delle strutture sanitarie, nel rispetto degli obiettivi fondamentali indicati nel presente capitolo del Piano e secondo la metodologia di seguito indicata.
Il processo che condurrà alla definizione dei requisiti per l'accreditamento delle strutture sanitarie nella Regione siciliana si articolerà nelle seguenti fasi:
1. L'Assessorato regionale sanità curerà la costituzione di una "base dati" al fine di costruire la necessaria fonte di informazioni per supportare il processo di individuazione dei requisiti ulteriori e di "taratura" del livello qualitativo cui tendere con il meccanismo dell'accreditamento.
2. Con riferimento alle priorità individuate nel presente PSR ed alle informazioni della "base dati", ed in conformità a quanto stabilito dall'atto di indirizzo e coordinamento emanato ai sensi del comma 3 dell'articolo 8-quater del decreto legislativo n. 229/99 l'Assessorato regionale sanità predisporrà, previa consultazione con le organizzazioni di categoria e le società scientifiche, per ciascuna tipologia di struttura sanitaria, il manuale per l'accreditamento redatto in base alle conoscenze disponibili sulla situazione attuale riscontrabile nella Regione siciliana, tenendo anche presenti le pubblicazioni sull'argomento (documenti delle società scientifiche, manuali redatti da altre regioni, manuali redatti da organizzazioni di altri paesi, ecc.).
Il manuale conterrà:
_ requisiti indispensabili per l'accreditamento del servizio o struttura;
_ requisiti necessari il cui possesso può tuttavia essere differito nel tempo;
_ livelli di conformità per la formulazione del giudizio di accreditabilità che prevederà tre possibilità:
-  accreditato a pieno titolo (piena conformità ai requisiti);
-  accreditato con riserva (necessità di azioni concrete di adeguamento);
-  non accreditato (gravi carenze o insufficienti programmi di adeguamento).
Contestualmente all'approvazione del primo manuale di accreditamento, ai sensi del comma 5 dell'articolo 8-quater del decreto legislativo n. 502/92, saranno definite le modalità, che saranno valide per tutti i servizi sanitari, per la gestione dell'accreditamento (modalità di presentazione della domanda, istruttoria, concessione del certificato di accreditamento, rinnovo dell'accreditamento, revoca dell'accreditamento).
6.5.3. Priorità
I progressi nella definizione delle tecniche diagnostiche e delle terapie, unite ai nuovi meccanismi di finanziamento del SSN, tendono a ridurre sempre più la necessità di ricoveri ospedalieri. D'altro canto, si tende a spostare quanto più possibile l'assistenza sanitaria sul territorio sia per ridurre il disagio del paziente consentendogli di ricevere l'assistenza di cui necessita in un ambiente più familiare, sia perché ciò consente, a parità di risultato finale, di erogare l'assistenza con minori costi riducendo l'utilizzo improprio delle strutture di ricovero per acuti che così possono essere restituite ai compiti cui erano originariamente destinate. In questo modo, tra l'altro, si può governare meglio l'aspetto finanziario del sistema che costituisce ormai una variabile fortemente condizionante lo sviluppo del SSN. Tutto ciò è possibile nella misura in cui siano realmente disponibili le strutture alternative che rendono possibile l'attivazione di percorsi alternativi al ricovero ospedaliero. Vi è da tenere presente, infine, che l'integrazione ospedale/territorio, le cure domiciliari, la distrettualizzazione dell'assistenza, la prevenzione sono obiettivi qualificanti del Piano sanitario nazionale 1998-2000.
Considerata la vastità e la complessità del programma di accreditamento, si rende necessario individuare alcune priorità, sulle quali concentrare gli sforzi iniziali, che corrispondano ad aree in cui è maggiore l'esigenza di sviluppare l'offerta di servizi da parte del Servizio Sanitario Regionale. Si ritiene che tali priorità possano essere individuate nelle aree che consentono di dare risposte alle esigenze sopra delineate.
Tali aree sono le seguenti:
1) Le strutture di ricovero per non acuti: sono carenti nella Regione e la loro disponibilità consentirebbe di ridurre il peso che grava, anche impropriamente, sugli ospedali. Si ritiene necessario dunque definirne i requisiti di qualità al fine di rendere disponibili quanto prima nella Regione strutture di livello adeguato.
2) La medicina del territorio: è una priorità considerata la necessità di spostare il baricentro dell'assistenza sanitaria dall'ospedale al territorio.
Successivamente alla definizione dei requisiti per l'accreditamento degli erogatori afferenti alle aree sopra evidenziate, si procederà alla individuazione dei requisiti per le altre tipologie di erogatori di servizi sanitari.
Nella attesa che siano definiti i requisiti per l'accreditamento dei servizi sanitari, restano in vigore le direttive precedentemente emanate per l'accreditamento provvisorio, fermo restando che allo stato l'erogazione delle prestazioni rimane affidato alle strutture pubbliche nonché a quelle private già convenzionate ai sensi delle vigenti disposizioni; ciò nelle more dell'emanazione da parte dei competenti organi regionali amministrativi dei criteri per l'accreditamento e delle ulteriori disposizioni nel rispetto delle norme finanziarie e legislative vigenti. Rimangono altresì prorogate le disposizioni relative al personale già convenzionato di cui all'art. 3 della legge regionale n. 40/88 e ciò nelle more della vigenza dell'accreditamento provvisorio.
6.6. EDUCAZIONE ALLA SALUTE   

L'educazione alla salute è compito di tutti i segmenti del sistema sanitario regionale ed è strumento indispensabile:
-  per la promozione della salute e la prevenzione delle malattie;
-  per soddisfare il diritto dei cittadini all'informazione
-  per una più efficace utilizzazione dei servizi sanitari, anche con riferimento alla qualità delle prestazioni;
-  per sviluppare negli individui e nelle famiglie capacità di partecipare efficacemente alle proprie cure, sia ospedaliere che ambulatoriali o domiciliari.
Nell'attività di educazione alla salute il volontariato, secondo quanto stabilito dalla legge regionale n. 7 giugno 1994, n. 22, integra l'intervento pubblico.
L'approccio all'educazione a salute deve essere di carattere multidisciplinare, interessando varie professionalità sia del campo sociale, psicologico e pedagogico che di quello medico e sanitario, come indica l'art. 15 della legge regionale n.30/93. Si tratta infatti di un ambito nel quale confluiscono e al quale partecipano, tendenzialmente, tutte le figure presenti nel SSR.
L'attività di educazione alla salute costituisce pertanto funzione indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi del Piano sanitario regionale.
6.6.1. Assetto organizzativo
L'organizzazione dell'attività di educazione alla salute del territorio della Regione siciliana si articola in:
-  Unità operative dei distretti delle Aziende USL e delle aziende ospedaliere (U.O.E.S.);
-  Comitati di educazione alla salute delle Aziende USL e di Distretto;
-  Unità operative per l'educazione alla salute aziendali (U.O.E.S.A.).
1) Unità operative distrettuali e ospedaliere di educazione alla salute.
Le Unità operative di educazione alla salute corrispondono agli Uffici di educazione alla salute delle ex UU.SS.LL. e delle Unità operative ospedaliere di cui alla disposizioni assessoriali precedenti. Esse si configurano come strutture operative.
2) Comitati di educazione alla salute delle Aziende USL e di Distretto.
Entro sei mesi dall'approvazione del piano sanitario regionale i direttori generali delle aziende USL istituiscono i COES in tutto il territorio della regione, sia su base aziendale che su base distrettuale, ove non siano stati già istituiti.
3)  Unità operative aziendali
Presso ogni Azienda USL della Regione siciliana è istituita una Unità operativa per l'educazione alla salute aziendale (U.O.E.S.A.) che coincide, laddove già istituita, con l'attività per l'educazione alla salute provinciale o centrale istituita ai sensi dell'art. 15 della legge regionale n. 30/93. Tale attività aziendale è posta alle dirette dipendenze del Direttore sanitario ed è parte integrante dello staff aziendale; svolge le seguenti funzioni:
-  rapporti esterni con enti, istituzioni e aziende di livello provinciale, regionale ed extra regionale e, in particolare, con il mondo scolastico, pubblico e privato, e le comunità residenziali;
-  raccordo tecnico operativo tra i singoli distretti e la Direzione sanitaria;
-  individuazione, in raccordo con le U.O. di Distretto, delle iniziative di interesse comune a più distretti;
-  elaborazione, in raccordo con le U.O. di Distretto, di indirizzi programmatici e linee guida metodologiche in tema di educazione alla salute;
-  rapporti con gli uffici di staff della direzione aziendale.
Tra l'U.O.E.S.A. e le U.O.E.S. distrettuali non si instaura alcun rapporto gerarchico, poiché queste ultime dipendono dal Direttore di distretto.
Dal punto di vista operativo, sarà istituito presso l'Assessorato regionale della sanità un tavolo di concertazione tra Assessorato della sanità e rappresentanti delle Aziende sanitarie al fine di monitorare ed ottimizzare gli interventi di educazione alla salute sul territorio.
7.  LE RISORSE
7.1. LA SPESA SANITARIA NELLA REGIONE SICILIANA
7.1.1. Il finanziamento dei livelli di assistenza
Il Piano sanitario nazionale per il triennio 1998-2000 ha ridefinito i livelli uniformi di assistenza e la conseguente riclassificazione delle attività e delle prestazioni in esse comprese. La conferenza Stato-Regioni, nella seduta del 18 febbraio 2000, ha approvato il riparto del F.S.N. 2000 di parte corrente, attribuendo alle regioni per il finanziamento dei livelli di assistenza la somma di lire 114.600 miliardi che è stata ripartita tra i livelli di assistenza, come segue:
1. Assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro  5,0% L.  555.730  mld 
2. Assistenza distrettuale      49,0% L.  556.154  mld 
3. Assistenza ospedaliera      46,0% L.  552.716  mld 
Totale      100,0% L.  114.600  mld 

Il finanziamento tende anche a contenere la spesa ospedaliera, attribuendo maggiori risorse all'attività distrettuale. Il finanziamento per l'assistenza distrettuale viene ripartito per la spesa farmaceutica, per l'assistenza specialistica, per l'assistenza agli anziani per la medicina generale e altra assistenza e residuale. Nei paragrafi del presente PSR ad essi dedicati è stato già approfondito il contenuto di ciascun livello per l'assistenza sanitaria.
Contestualmente la conferenza Stato-Regioni ha approvato anche il riparto del F.S.N. 2000 di parte corrente, attribuendo alla Regione siciliana la seguente quota:
Importo complessivo quota      L.  9.717,327  mld  
-  Mobilità sanitaria      L.  374,384  mld 
-  Entrate proprie stimate delle Aziende sanitarie      L.  240,307  mld  
  L.  9.614,691  mld 
Quota netta assegnata       L.  9.102,636  mld 

Il contributo della Regione al finanziamento della quota di cui sopra è stato determinato dal comma 143 della legge 23 dicembre 1996, n.662 nella misura del 42,50%, conseguentemente la quota netta per l'esercizio 2000 a carico della nostra Regione è di lire 3.970,759 miliardi (42,50% di 9.717,327 - 374,384).
Inoltre applicando alla quota di Fondo sanitario la percentuale di incremento annuale prevista dal PSN, pari al 3%, può desumersi la quota di Fondo che sarà attribuita alla Regione nel triennio di vigenza del Piano.
      2000 2001 2002 
Quota attribuita      9.717,237 10.008,847 10.309,112 
   -  Mobilità sanitaria      -    374,384 -    374,384 -    374,384 
   -  Entrate proprie stimate      -    240,307 -    240,307 -    240,307 
Quota netta attribuita      9.102,636 9.394,156 9.694,421 

Si sono mantenuti costanti i valori relativi alla mobilità sanitaria poiché uno degli obiettivi che si intende perseguire riguarda il contenimento della spesa per prestazioni sanitarie erogate a cittadini rese in strutture extra-Regione.
Nel 1999 la Regione ha ripartito le risorse con l'obiettivo di raggiungere, con gradualità ed equilibrio, comunque, entro il 2002, le percentuali di riparto sopra indicate. Nella tabella 1 si sintetizzano i dati percentuali.
Tabella 1
Livelli di assistenza sanitaria 2000-2002 per la Regione siciliana e percentuali di riparto della quota di Fondo

Descrizione Livello       2000 2001 2002 
Assistenza sanit. collettiva in ambienti di vita e di lavoro      5% 5% 5% 
Assistenza distrettuale       44% 46% 48% 
Assistenza ospedaliera      51% 49% 47% 

Nel corso del triennio 2000-2002 nella distribuzione delle risorse per i livelli di assistenza, bisognerà tenere conto dei risultati che questa Regione dovrà conseguire, a seguito della politica sanitaria. Ad esempio, premesso che uno degli obiettivi che si intende perseguire è la riduzione della mobilità sanitaria verso altre Regioni, questo Assessorato dovrà tenere conto degli eventuali recuperi di risorse che si possono realizzare e reinvestire in quei settori ritenuti strategici.
Pertanto i dati di cui sopra devono essere intesi come il livello di partenza. Per dotare la programmazione sanitaria regionale di estrema concretezza si ritiene di fondamentale importanza che l'Assessorato della sanità predisponga, entro la fine di ogni anno, previa verifica dei risultati raggiunti, il piano di azione per il periodo successivo. In termini più specifici si dovrà procedere a:
1. Rilevare gli indicatori che evidenziano le risorse impiegate e i risultati ottenuti;
2. Valutare i risultati ottenuti;
3. Predisporre le eventuali azioni correttive per:
-  la verifica dei programmi;
-  la modificazione delle azioni strategiche;
-  la revisione dei budget.
Tali meccanismi tuttavia potranno essere attivati a condizione che si pervenga ad un efficace sistema informativo così come esplicitato nell'apposito paragrafo 6.1 del presente Piano sanitario.
Per quanto riguarda le modalità di riparto alle Aziende dei fondi, il P.S.N. 1998-2000 stabilisce che le "Regioni provvedono a ripartire fra le Aziende unità sanitarie locali il fondo sanitario regionale (al netto delle quote accantonate allo scopo di finanziarie programmi speciali e progetti di rilievo regionale e al netto delle somme destinate al funzionamento di attività gestite direttamente dall'Assessorato regionale ai sensi della normativa regionale vigente) sulla base di criteri congruenti con quelli utilizzati per l'allocazione delle risorse a livello nazionale".
Il piano di riparto del Fondo sanitario nazionale, già menzionato nella premessa di questo capitolo, prevede il finanziamento delle Aziende UU.SS.LL. sulla base della quota capitaria (fondo disponibile per abitante).
L'articolo 8-quinquies del decreto legislativo n. 502/92, così come modificato dal citato decreto legislativo n. 229/99 recante norme in ordine agli "accordi contrattuali", prevede che le Aziende UU.SS.LL. definiscano accordi contrattuali con le strutture pubbliche o private erogatrici di prestazioni sanitarie, prevedendo altresì i contenuti dei suddetti atti.
Da tutta la normativa sopra richiamata discende che la Regione assegnerà direttamente l'intera quota capitaria alle Aziende UU.SS.LL., le quali attiveranno tutte le procedure necessarie per pervenire entro l'inizio di ciascun anno alla definizione della contrattazione con tutte le strutture sanitarie pubbliche e/o private, comprese quindi anche le Aziende ospedaliere e le Aziende ospedaliero-universitarie.
Tuttavia l'attuale struttura della Rete ospedaliera siciliana non permette l'applicazione immediata di tale modello di finanziamento senza alcuni correttivi.
Infatti l'attività ospedaliera è rilevante nelle 17 Aziende ospedaliera e nelle Aziende ospedaliero-universitarie. In tali strutture è stato prodotto il 58% circa del fatturato per le attività di ricovero nel 1998 eseguite in Sicilia (corrispondente al 58,31% dei ricoveri ovvero 641.348 ricoveri su un totale di 1.099.721).
La numerosità delle Aziende ospedaliere da un lato e la concentrazione in esse dell'attività ospedaliera, dall'altro, impongono che nel primo anno di vigenza del presente Piano debba essere riproposto il modello di finanziamento attuale.
Sarà cura della Regione costituire le basi, nel primo anno di vigenza del PSR, affinché nel periodo successivo possa transitarsi ad un sistema di finanziamento basato esclusivamente sulla quota capitaria assegnate alle Aziende UU.SS.LL..
Da quanto sopra discende che solo per l'anno 2000 la quota di finanziamento calcolata sulla base della quota capitaria venga assegnata alle Aziende UU.SS.LL. decurtando alle stesse la quota da assegnare, tenuto conto della programmazione regionale e dell'attività sanitaria erogata, alle Aziende ospedaliere, alle Aziende ospedaliero-universitarie. All'Ospedale classificato "Buccheri La Ferla" di Palermo, all'I.R.C.C.S. "Oasi Maria S.ma" di Troina (EN) ed alle case di cura che svolgono alta specialità e che hanno erogato nell'anno precedente prestazioni in favore di assistiti residenti, per almeno il 30% fuori dalla provincia in cui la stessa struttura è ubicata, ferme restando le competenze, nei confronti dei predetti enti, da parte delle Aziende UU.SS.LL., competenti per territorio, relativamente ai controlli sanitari e finanziari.
Dal 2001, la quota di finanziamento sarà calcolata sulla base della quota capitaria, pesata tenendo conto delle previsioni del presente Piano e delle disposizioni legislative nazionali e regionali, e sarà assegnata interamente alle Aziende UUSSLL che attiveranno la contrattazione di cui sopra.
La Regione sarà la "stanza di compensazione" delle Aziende Sanitarie e degli enti sopra individuati, pertanto effettuerà i finanziamenti, mensilmente per cassa, sulla base della politica sanitaria che le Aziende Unità Sanitarie Locali effettueranno e sulla base degli atti programmatori delle Regione siciliana.
7.1.2. La trasformazione del sistema sanitario: gli strumenti per la gestione e il controllo della spesa sanitaria.
L'attività di programmazione non può prescindere da una valutazione dei risultati raggiunti nel corso dell'ultimo biennio. In altri termini i criteri, in ordine ai nuovi strumenti per la gestione e controllo della spesa sanitaria, previsti dalla legge delega n. 421/92 e fissati con i decreti legislativi n. 502/92 e n. 517/93 e successivamente dal decreto legislativo n. 229/99, sono stati attuati da questa Regione attraverso l'adozione di alcuni provvedimenti che hanno realizzato i profili ordinamentali su cui basare le scelte strategiche per il triennio di vigenza del Piano.
Tuttavia ancora lungo è il percorso da compiere per il completamento della trasformazione gestionale del sistema. Infatti a fronte delle attività che si sono realizzate occorre portare a termine le attività avviate e stimolare l'adozione dei nuovi strumenti gestionali trattati nei seguenti paragrafi. Non appare superfluo sottolineare che l'introduzione a regime dei nuovi strumenti di gestione, ma ancor di più della diffusione della cultura che sottende a tali strumenti, deve essere intesa come indispensabile o meglio strumentale al raggiungimento degli obiettivi strategici del presente Piano sanitario regionale.
Come sopra detto il finanziamento della spesa sanitaria ha subito una svolta con l'introduzione dei meccanismi del decreto l.vo n. 502/92 già citato. Si ritiene che l'individuazione dei meccanismi operativi per il controllo della spesa sanitaria non possano prescindere dall'analisi della composizione dinamica della stessa.
Infatti l'evoluzione quali-quantitativa della spesa è fortemente influenzata dalle scelte delle modalità di finanziamento operate dalla Regione. In altri termini si è riscontrata nelle Aziende sanitarie l'esistenza di comportamenti reattivi che hanno provocato effetti non desiderati.
Per le considerazioni sopra espresse si ritiene che il controllo della spesa debba essere effettuato tenendo presente che l'adozione dei meccanismi di controllo provocherà senz'altro la modificazione dei comportamenti che, se ispirati alla logica di massimizzazione del risultato finanziario senza alcuna identificazione degli obiettivi di salute, potrebbero provocare a loro volta il fallimento degli obiettivi di programmazione.
Per quanto sopra esposto si sintetizzano i modelli di finanziamento utilizzati dalla Regione e si individuano i relativi meccanismi di controllo più opportuni.
I modelli di finanziamento fino ad ora utilizzati dalla Regione possono ricondursi a due modalità in relazione al tipo di attività sanitaria (ospedaliera o non ospedaliera) che si è inteso finanziare, come di seguito specificato:
-  Il finanziamento per le attività extra-ospedaliere è stato determinato sulla base della quota capitaria per il numero di abitanti.
Tale modello di finanziamento dovrebbe orientare l'A.U.S.L. a massimizzare il rapporto costo efficacia delle prestazioni erogate.
Conseguentemente è necessario individuare meccanismi di orientamento dell'utenza verso servizi alternativi al ricovero.
-  Per l'attività ospedaliera il finanziamento è stato assegnato prevalentemente sulla base della quantificazione finanziaria dell'attività svolta (DRG o altre tariffe).
Tale modello di finanziamento è finalizzato ad orientare l'Azienda sanitaria a fornire nell'ambito di un insieme predeterminato di prestazioni, opportunamente contrattate con la Regione, la migliore offerta di service. In altri termini, per mera astrazione teorica, attraverso la libera scelta del paziente, sarà lo stesso mercato a selezionare le strutture qualitativamente di grado più elevato.
Tuttavia tale modello di finanziamento, attuato senza la contrattazione delle prestazioni ed a tariffe uguali per tutte le strutture, ha provocato la proliferazione delle prestazioni (più si produce più si fattura alla Regione).
Conseguentemente diventa indispensabile:
-  individuare i bisogni sanitari che si devono soddisfare e conseguentemente l'insieme di prestazioni che occorre erogare;
-  definire i tetti di spesa per le singole strutture pubbliche e private;
-  definire il mix delle prestazioni a livello regionale.
Operando nei modi sopra detti si eviterà il proliferare delle prestazioni e si orienterà l'utenza verso modi di cura con rapporto efficacia /costo quanto più alto possibile.
Invero la logica di finanziamento del Servizio sanitario individuato nel nuovo Piano sanitario nazionale prevede l'attribuzione di una quota capitaria "pesata" alle Aziende UU.SS.LL, conseguentemente il Direttore generale dell'Azienda unità sanitaria locale contratterà con tutti gli erogatori di sanità pubblici e privati (quindi comprendendo anche le Aziende ospedaliere) le prestazioni sanitarie da acquisire.
Dalle considerazioni sopra espresse appare evidente che gli obiettivi della programmazione regionale potranno essere realizzati superando le attuali problematiche in ordine alla limitata efficacia del sistema informativo regionale già rilevate nel paragrafo 6.1.
Infatti gli strumenti attualmente disponibili per effettuare le scelte di politica sanitaria sono di per se stessi insufficienti a rappresentare in maniera chiara la dinamica della spesa e conseguentemente non utili per la predispozione dei meccanismi di controllo.
Da quanto sopra discende l'imprescindibilità della creazione di un sistema informativo efficace. Operando in tal senso si potranno ottenere le informazioni attualmente mancanti per il governo della spesa sanitaria.
In conclusione il ruolo strategicamente rilevante per la politica sanitaria è assunto da:
-  l'efficacia del sistema informativo;
-  la diffusione della cultura che sottende ai nuovi strumenti gestionali.
Le considerazioni preliminari sopra espresse intendono definire gli ambiti entro i quali occorre predisporre i meccanismi di controllo e riqualificazione della spesa sanitaria. Pertanto i meccanismi di controllo devono essere differenziati in ordine al tipo di spesa che si intende monitorare.
In particolare esclusivamente sotto il profilo degli strumenti di gestione è opportuno realizzare:
1. Lo sviluppo di una forte azione formativa su tutti i livelli con particolare riferimento a:
-  acquisizione da parte di tutto il personale della "Cultura aziendale" e dei nuovi strumenti introdotti nella gestione delle Aziende sanitarie (controllo di gestione, centri di costo, budget, DRGs etc.);
-  creazione e sviluppo delle unità operative dipartimentali ospedaliere e territoriali;
-  creazione e sviluppo delle unità di assistenza per la ospedalizzazione a domicilio;
-  creazione e sviluppo delle unità diagnostico-terapeutiche integrate ospedale-territorio;
-  condivisione di protocolli diagnostico-terapeutici concordati.
2. Lo sviluppo dei nuovi strumenti per un efficace sistema di pianificazione e controllo di gestione delle Aziende sanitarie con particolare riferimento a:
-  l'introduzione della metodica del budget sia nella gestione delle spese ospedaliere sia nella gestione delle spese del territorio (con particolare attenzione all'introduzione del budget ai medici prescrittori come previsto dalla nuova Convenzione di medicina generale);
-  avvio della contabilità economica-patrimoniale;
-  l'attivazione in tutte le Aziende sanitarie della contabilità per centri di costo;
-  lo sviluppo dell'osservatorio prezzi;
-  l'attivazione dell'osservatorio delle tecnologie.
3. La modifica del sistema di remunerazione degli episodi di ricovero secondo la tariffa regionale con particolare riferimento a:
-  differenziare la remunerazione delle prestazioni in relazione alla complessità della struttura ospitante;
-  incentivare il ricorso al Day hospital e al ricovero breve attraverso la modifica delle tariffe previste;
-  ridefinire la remunerazione delle prestazioni di riabilitazione e lungodegenza.
4. La programmazione contrattata con i direttori generali delle Aziende sanitarie. La pianificazione: I piani triennali.
5. Lo sviluppo del ruolo strategico dell'attività sanitaria di base con particolare riferimento a:
-  Il rispetto di tetti di spesa programmati;
-  la trattativa decentrata a livello regionale e aziendale;
-  la gestione della convenzione a livello aziendale;
-  la sperimentazione di forme di associativismo medico;
-  budget e incentivi;
-  orientamento e qualificazione della spesa.
I predetti punti saranno approfonditi nei paragrafi successivi.
7.1.3. Lo sviluppo di una forte azione formativa su tutti i livelli
E' stato già rilevato il ruolo fondamentale che la formazione assume in questa fase della programmazione regionale. Infatti un'adeguata azione formativa permetterà il superamento delle resistenze culturali all'utilizzo dei nuovi strumenti gestionali.
Inoltre attraverso percorsi di formazione potranno essere realizzate le integrazioni tra figure professionali diverse per l'ottenimento di maggiori sinergie.
La formazione deve essere permanentemente rivolta alla integrazione delle differenti figure professionali nell'ambito di tutte le attività.
7.1.4. Lo sviluppo dei nuovi strumenti per un efficace sistema di pianificazione e controllo di gestione delle aziende sanitarie
Nelle considerazioni preliminari di questo capitolo si è rilevato che la Regione ha già iniziato il processo di adeguamento degli strumenti previsti dalla riforma per il controllo e per la gestione delle risorse nel settore della sanità.
Si è rilevata inoltre l'esigenza di portare a termine le attività avviate e stimolare l'adozione dei nuovi meccanismi operativi per il controllo di gestione a livello aziendale. In altri termini si ritiene di dover realizzare nel corso del triennio di vigenza del Piano sanitario regionale una forte opera di formazione che crei l'integrazione tra figure professionali diverse e favorisca l'introduzione dei nuovi strumenti di gestione.
La formazione e la struttura del sistema informativo dovrà essere in grado di supportare la progettazione/gestione dei meccanismi operativi di:
-  pianificazione strategica;
-  controllo di gestione.
Non appare superfluo sottolineare come i due sistemi risultano interconnessi, nel senso che il controllo di gestione definito sulla base degli obiettivi della pianificazione ne costituisce il momento di verifica in corso di svolgimento. Invero una volta definiti gli obiettivi della pianificazione essi tendono ad assumersi come immodificabili nel breve periodo e il controllo di gestione tende a verificare che le linee di azione strategica siano compatibili e quindi idonee al raggiungimento degli obiettivi fissati. Naturalmente ciò non esclude che gli obiettivi della pianificazione possano essere modificati, ma tale modifica, proprio per la natura peculiare delle Aziende sanitarie profondamente diverse dalle Aziende di produzione, deve essere riferita al medio lungo periodo (3/5 anni).
Da quanto sopra discende che il controllo di gestione non deve essere inteso come un meccanismo a posteriori, bensì come meccanismo che fornisce verifiche periodiche sul raggiungimento degli obiettivi attraverso il confronto con determinati standards di controllo.
Non appare superfluo ricordare che detti standards non devono essere confusi con gli obiettivi della pianificazione strategica, ma trattasi di indicatori (in gran parte di processo) che documentano il raggiungimento degli obiettivi intermedi.
Nei paragrafi che seguono verranno descritte le azioni da realizzare nel triennio di vigenza del P.S.R., avendo cura di fissare per ogni strumento gestionale il sistema di obiettivi intermedi e finali che si intendono perseguire.
Inoltre il controllo di gestione si avvale di strumenti e tecniche che dovranno essere standardizzate, con apposite linee guida a livello regionale per consentire una uniformità di indirizzo. La standardizzazione sarà effettuata per agevolare l'approccio metodologico e il confronto dei risultati, rispettando la peculiare realtà organizzativa di ogni singola azienda.
In questa sede si individuano come strumenti minimi da dover attuare per il controllo di gestione: il budget, la contabilità analitica per centri di costo, l'osservatorio prezzi e l'osservatorio delle tecnologie.
7.1.5. Metodica del budget per il controllo di gestione
Questa Regione, nell'intento di razionalizzare l'impiego delle risorse e accrescere l'efficacia e l'efficienza della gestione aziendale, ha individuato nel sistema del budget un valido strumento per il controllo della gestione aziendale. Il budget deve essere inteso come un insieme di obiettivi da perseguire a fronte di determinate risorse assegnate; alle risorse e agli obiettivi corrispondono responsabilità chiaramente assegnate.
La scelta si è ritenuta opportuna poichè si è rilevata la diffusa condivisione a livello regionale di tale metodica. Tuttavia si ribadisce, ancora una volta, che importanti sforzi devono essere ancora compiuti per la formazione del personale per una maggiore condivisione degli strumenti gestionali. Si ritiene infatti che il successo dell'applicazione della metodica dipende proprio dalla condivisone che la stessa riscontra.
Il budget generale di Azienda deve consentire di poter valutare ed interpretare con anticipo le cause dei risultati d'esercizio per porre in essere gli interventi correttivi e/o integrativi. Tale valutazione deve essere supportata da un'analisi degli scostamenti tra i valori dei parametri obiettivi (standard di controllo) e i corrispondenti valori programmati.   

Nelle Aziende unità sanitarie locali il budget generale dovrà essere articolato in più budget in relazione alle strutture fondamentali che compongono la stessa Azienda, e quindi, in relazione alle responsabilità delle stesse di erogare/produrre le prestazioni ricomprese nei livelli di assistenza.
Per quanto riguarda il budget delle Aziende ospedaliere il punto di riferimento fondamentale è costituito dal piano annuale delle prestazioni. A tal proposito occorre richiamare gli sforzi che devono ancora essere compiuti per la regolamentazione, a livello regionale, della programmazione dei volumi di attività di ricovero e di attività specialistica e diagnostica. I volumi programmati di attività dovranno essere coerenti con il piano annuale delle prestazioni concordato.
Con successive linee guida dell'Assessorato regionale della sanità verranno definite le tappe metodologiche per pervenire alla costruzione di un efficace sistema di budget. In questa sede appare sufficiente anticipare alcune considerazioni di carattere generale.
Il sistema del budget si compone come segue:
1) Budget generale che è articolato in:
-  budget economico, che indica in analisi le attività e i costi;
-  budget finanziario che indica in analisi i flussi di entrata e di spesa;
-  budget patrimoniale che indica in analisi le fonti di finanziamento e gli impieghi.
2) Budget delle strutture che, articolato come il budget generale, individua per ogni struttura fondamentale dell'Azienda il volume di attività e le modalità d'impiego dei fattori di produzione.
3) Budget dei centri di responsabilità che, articolato come il budget generale, individua per ogni centro di responsabilità i risultati da conseguire, le attività da svolgere e le risorse assegnate.
Ogni centro di responsabilità sarà responsabilizzato in relazione alle leve da esso direttamente controllabili ponendo attenzione altresì alle interdipendenze e corresponsabilità gestionali. Ad esempio la responsabilizzazione del Distretto sanitario sarà fondamentalmente incentrata sui volumi di attività e prestazioni da assicurare ai cittadini ed erogate dallo stesso Distretto, dagli altri centri produttivi interni e dalle strutture accreditate.
Da quanto sopra consegue che la metodica proposta non può che essere quella del budget contrattato dal centro di responsabilità, fondato su programmi di attività formulati considerando espliciti obiettivi d'intervento relativi a variabili critiche controllabili da centri di responsabilità nel quale vengono attuate azioni di miglioramento dell'efficienza e/o dell'efficacia aziendale.
Da quanto sopra consegue che, considerate le peculiari realtà organizzative di ogni singola azienda sanitaria, nella costruzione del budget deve ottenersi il massimo coordinamento e la convergenza degli obiettivi perseguiti per il mantenimento della unitarietà gestionale. Per i livelli di contrattazione si fa riferimento a quanto contenuto nei precedenti capitoli.
Si sottolinea che da parte dell'organo centrale non può e non deve essere definito rigidamente il contenuto degli schemi di budget sia a causa del rischio di scarsa aderenza agli schemi organizzativi dell'azienda e alle conseguenti effettive responsabilità gestionali sia perchè gli interventi migliorativi posti in essere non sempre possono essere definiti puntualmente e altrettanto precisamente misurabili se non calati nello specifico contesto organizzativo.
7.1.6. L'attivazione in tutte le Aziende sanitarie della contabilità per centri di costo
Com'è noto il decreto legislativo n. 502 del 30 dicembre 1992, così come modificato dal decreto legislativo n. 517/93 e dal decreto legislativo n. 229/99, definisce il nuovo assetto normativo del Sistema sanitario nazionale. Le norme che riguardano il patrimonio e la contabilità vengono ridefinite all'art. 5. Tale articolo prevede in particolare: "l'adozione della contabilità analitica, avente la finalità di supportare le attività di controllo di gestione, con separata rilevazione delle attività degli eventuali presidi ospedalieri."
In altri termini, si è voluto introdurre nelle aziende sanitarie una metodologia e uno strumento tecnico di rilevazione delle informazioni economiche in grado di quantificare e di qualificare le risorse produttive utilizzate dalle diverse unità operative all'interno delle stesse aziende.
Invero, il sistema di rilevazione dei centri di costo è stato sperimentato già con il vecchio (e ancora utilizzato) sistema di contabilità finanziaria. In questo contesto il sistema di rilevazione, in grado di fornire informazioni di tipo economico, costituiva il necessario completamento alle informazioni finanziarie disponibili grazie al sistema di contabilità pubblica per una più articolata azione di "indirizzo e di governo" della gestione aziendale.
La legge regionale n. 8 del 17 marzo 2000, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana del 20 marzo 2000, prevede dal 1° gennaio 2001 l'introduzione nelle Aziende sanitarie della contabilità economico patrimoniale e il controllo di gestione. Nel nuovo contesto, appena definito, il sistema di contabilità per centri di costo assume pertanto carattere essenziale e imprescindibile.
Infatti l'adozione di un efficace sistema di controllo di gestione può effettuarsi a condizione che sia concretamente possibile rilevare e misurare economicamente le risorse che vengono utilizzate nel processo di produzione dei servizi erogati dalle Aziende sanitarie.
L'Assessorato regionale della sanità ha ormai concluso la fase sperimentale avviata nel 1996 con l'emanazione delle prime linee guida. Successivamente con provvedimento del 20 febbraio 1997 sono stati comunicati ai Direttori generali delle Aziende sanitarie i primi risultati della fase sperimentale.
Con decreto assessoriale n. 24469 del 28 gennaio 1998 sono stati emanate, tra l'altro, linee guida sulla contabilità analitica per centri di costo.
Pertanto alla luce delle nuove norme che regolamenteranno i sistemi di rilevazione dei fatti aziendali e considerato che oggi l'attivazione dei centri di costo nelle Aziende Sanitarie non è più rinviabile, nel corso del triennio di vigenza del presente PSR si dovrà procedere per ogni Azienda a:
1. Strutturare il piano dei centri di costo sulla base di:
-  criteri individuati dall'Assessorato;
-  caratteristiche organizzative dell'Azienda.
2. Individuare gli elementi di costo (fattori della produzione).
3. Riprogettare le procedure gestionali di rilevazione.
4. Definire il sistema di reporting.
In considerazione che con il citato decreto assessoriale del 28 gennaio 1998 sono state emanate, tra l'altro, linee guida sui principi contabili e criteri di valutazione delle voci di bilancio dovranno essere definite, inoltre:
-  le norme per l'adozione del nuovo sistema contabile con esplicito riferimento ai principi del Codice civile così come modificati dal decreto legislativo 9 aprile 1991, n. 127;
-  le norme per l'adozione del sistema di rilevazione per centri di costo.
7.1.7. Lo sviluppo dell'Osservatorio regionale sui prezzi dei beni e dei servizi e l'attivazione dell'Osservatorio regionale delle tecnologie
Le leggi finanziare nazionali succedutesi negli ultimi anni hanno previsto l'attivazione da parte delle Regioni di Osservatori di controllo dei prezzi dei beni e servizi con particolare attenzione al materiale diagnostico, ai farmaci e alle attrezzature. In particolare la legge n. 662/96 ha previsto all'art. 1, comma 30, l'attivazione dell'Osservatorio centrale degli acquisti e dei prezzi per l'analisi, la programmazione e il controllo.
Con circolare n. 100/SCPS/09.5661 del 6 maggio 1997 il Ministero della sanità ha comunicato di aver individuato un programma operativo per la realizzazione dell'Osservatorio. In sintesi il Ministero individua due modelli e ne propone, in questa fase di avvio, l'utilizzo integrato. I due modelli individuati sono:
-  l'Osservatorio dei prezzi e delle tecnologie realizzato e gestito dalla Regione Friuli Venezia Giulia;
-  l'Osservatorio regionale prezzi della Regione Emilia Romagna,
Nel documento si evincono, altresì, i principi con cui dovranno essere formulate le linee strategiche per l'istituzione dell'Osservatorio:
-  percezione dei vantaggi conseguibili dall'istituzione dell'osservatorio su tutti i Livelli: Aziendale - Regionale - Statale.
-  approccio di tipo processuale: definizione degli obiettivi - sviluppo della metodologia - monitoraggio e valutazione dei risultati.
Invero l'Assessorato regionale della sanità ha già emanato le Direttive per la realizzazione dell'Osservatorio Regionale sui prezzi dei beni e dei servizi. In detto documento si evince che gli obiettivi del sistema sono:
-  mettere a disposizione della funzione acquisti dell'Azienda sanitaria uno strumento per governare adeguatamente l'aggregato di spesa per beni e servizi che rappresenta senza dubbio un'entità economica rilevante;
-  disporre a livello regionale di una visione globale dell'andamento della spesa per le tipologie più critiche di beni e servizi;
-  fornire, alle stesse aziende, un quadro completo sull'orientamento della spesa per le tipologie di beni e servizi monitorate.
Inoltre il citato documento della Regione mette in evidenza come il sistema dell'Osservatorio regionale dei prezzi, adattandosi perfettamente al nuovo assetto istituzionale del Servizio Sanitario caratterizzato dalla costituzione delle Aziende Sanitarie dotate di autonomia gestionale e funzionale correlata alla responsabilità sui risultati ottenuti, mette a disposizione tutte le informazioni che concorrono alla formazione dei prezzi.
La metodologia adottata, già da allora, è quella contenuta nel modello della Regione Emilia Romagna, a cui fa riferimento la nota del Ministero. Il modello dell'Emilia Romagna, regione capofila tra le sei che si sono consorziate per la realizzazione di un Osservatorio prezzi con spettro di monitoraggio ultraregionale, prevede il controllo di 720 unità su un totale di oltre 26.000 unità di prodotti generalmente acquistati dalle Aziende sanitarie. Infatti si è rilevato che questi 720 prodotti costituiscono il 60% della spesa.
Attualmente la Banca dati nazionale è in grado di monitorare 14 prodotti. Tuttavia questa Regione, oltre ai suddetti prodotti, ha ottenuto la rilevazione dei dati per altri 16 unità, portando la Banca dati regionale ad un totale di 30 prodotti monitorati.
Dalle considerazioni espresse in ordine al ruolo strategico dell'Osservatorio dei prezzi per la gestione della spesa sanitaria, il raggiungimento, nel corso del triennio di vigenza del Piano, della completa rilevazione dei 720 prodotti diviene risultato imprenscindibile.
La Regione, pertanto, dovrà attivare tutte le procedure necessarie, non escluso un sistema di sanzioni amministrative per le Aziende inadempienti, per:
1) definire entro il 31 dicembre 2000 il monitoraggio completo di 120 prodotti sul campione totale dei 720 sopracitati;
2) definire entro il 31 giugno 2001 il monitoraggio completo di 470 prodotti sul campione totale;
3) definire entro il 31 giugno 2002 il monitoraggio completo dei 720 prodotti del campione totale;
4) attivare un informatore periodico che consenta la divulgazione dei dati rilevati.
Per quanto riguarda l'Osservatorio delle tecnologie la Regione sta partecipando al programma speciale di sperimentazione ex art. 12, comma 2, lettera B, decreto legislativo n. 502/92 avviato nel corso del 1997 dal Ministero della sanità.
Questo programma prevede una stretta collaborazione con la Regione Friuli Venezia Giulia che è stata individuata quale Regione capofila per tale sperimentazione e potrà portare alla realizzazione di una rete di acquisizione di informazioni che consentirà di aggiornare e rendere disponibili a tutte le strutture sanitarie informazioni tecnico-economiche dettagliate sulle tecnologie biomediche disponibili sul mercato nazionale.
I risultati attesi del progetto sono:
-  razionalizzare le procedure per l'inventariazione delle apparecchiature biomediche;
-  rendere disponibili strumenti per la determinazione dei costi connessi con l'utilizzo delle tecnologie;
-  rendere disponibili strumenti per il calcolo degli ammortamenti delle apparecchiature biomediche e la corretta imputazione a bilancio;
-  rendere disponibili strumenti uniformi per la predisposizione di capitolati speciali per l'acquisizione di tecnologie biomediche;
-  rendere disponibili riferimenti di prezzo per una corretta pianificazione della spesa;
-  rendere disponibili strumenti di codifica per l'avvio di meccanismi di monitoraggio della spesa in materiale di consumo.
La disponibilità di un meccanismo uniforme per la raccolta ed il confronto dei dati sulla presenza di tecnologie, nonchè la possibilità di avvio di programmi per il monitoraggio degli investimenti e della spesa corrente in tecnologie unitamente alla disponibilità di strumenti per la pianificazione e la ripartizione sugli investimenti attivando anche meccanismi di acquisizione di tecnologie su scala più ampia costituiscono gli obiettivi della Regione da raggiungere nel corso della sperimentazione.
7.1.8. La modifica del sistema di remunerazione degli episodi di ricovero secondo la tariffa regionale
La quantificazione del finanziamento viene effettuata, dal 1° gennaio 1995, secondo il sistema "a tariffazione delle prestazioni di ricovero". Tale sistema prevede per le strutture accreditate al S.S.N. la remunerazione degli episodi di ricoveri secondo una tariffa predeterminata. In altri termini ad ogni singolo episodio di ricovero, rilevabile dalle Scheda di Dimissione Ospedaliera (SDO), viene attribuito un peso economico per la propria valorizzazione.
La Regione siciliana con decreto assessoriale n. 17273 del 7 novembre 1995, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n.69 del 2 dicembre 1995, ha determinato il valore da attribuire ad ogni singolo episodio di ricovero (peso 1 uguale a lire 4.403.000) utilizzando i pesi relativi pubblicati con il D.M. Sanità 15 aprile 1994, che evidenziano il rapporto fra il costo medio dello specifico D.R.G. ed il costo medio del caso medio.
Il nuovo sistema di finanziamento, ispirato a meccanismi premianti i livelli, i volumi e la qualità delle prestazioni erogate nei confronti dell'utenza, deve essere riconsiderato alla luce dei risultati verificati.
A tale riguardo giova rammentare come nella determinazione della tariffa isorisorse ROD (Raggruppamento omogeneo di diagnosi) sia implicita una iniquità di fondo e ciò in quanto la tariffa individuata rappresenta la mediana dei costi riscontrabili nel trattamento di patologie fra loro apparentate giacché non tutti i casi ricadenti nel medesimo raggruppamento si posizionano nel medesimo versante della curva gaussiana di distribuzione.
Risulta intuitivo sulla base della precedente premessa che la posizione nella rete regionale di un ospedale può portare la struttura ad assorbire sistematicamente un particolare livello di patologie a maggiore criticità nell'ambito dello stesso raggruppamento.
Di converso le strutture ospedaliere di maggiore richiamo si troveranno ad operare frequentemente con patologie il cui trattamento risulterà più oneroso rispetto alla tariffa fissata che rappresenta la media di un ampio ventaglio.
Tale evenienza in realtà si riscontra anche nelle categorie isorisorse per DRG classificati con complicanze con sorprendenti risvolti risultanti dall'utilizzo del "software Grouper" che traduce obiettivamente le codifiche SDO ICD9 CM in DRG.
E' opportuno inoltre sottolineare come il Ministero della sanità nella definizione delle linee guida per la determinazione delle tariffe a livello regionale abbia affrontato la problematica della misurazione della complessità della casistica trattata e della valutazione della complessità funzionale dei Presidi ospedalieri. Le considerazioni espresse nel sopraddetto documento, infatti, lasciano intendere che per ogni singolo istituto di cura la complessità della casistica trattata e sensibilmente correlata con la presenza ed il rilievo di Reparti e servizi di alta specializzazione nonché con la disponibilità e con l'utilizzo di grandi apparecchiature.
Appare palese come dal complessivo "service-mix" di cui è dotata una Azienda ospedaliera dipende gran parte del volume complessivo di risorse economiche impiegate nel trattamento di episodi di ricovero per patologie uguali, e pertanto si riconosceranno diversi costi a seconda del Presidio ospitante.
A tale ultimo riguardo occorre rammentare come tale aspetto era stato già evidenziato in precedenza dal D.M. 15 Aprile 94 che, "a fronte di comprovate attività istituzionali di ricerca e di didattica o di servizi obbligatori individuati dalla programmazione sanitaria, consentiva alle regioni l'incremento del "Costo standard di produzione di una quota percentuale proporzionale ai costi attribuiti a tali attività".
E' evidente che due differenti tipologie di Presidio esprimono una differente offerta di prestazioni sanitarie cui corrispondono esigenze e bisogni sanitari differenti.
Il sistema di classificazione non valuta direttamente la severità dell'episodio. Di conseguenza può accadere che due pazienti con eguale DRG possano di fatto comportare differente assorbimento di risorse.
Esiste una sorta di "selezione naturale" dei pazienti che afferiscono verso il Presidio ospedaliero che risponde meglio alla esigenza assistenziale e ciò comporta, confrontando un ospedale con un altro, una non uniforme complessità dei casi da trattare all'interno dello stesso DRG.
Tali considerazioni sono state confermate con il citato D.M. Sanità 30 giugno 1997 "Aggiornamento delle tariffe delle prestazioni di assistenza ospedaliera" nella misura in cui prevede la differenziazione delle tariffe in relazione alle tipologie di erogatori individuati sulla base della complessità della casistica trattata, della complessità funzionale ed organizzativa, nonché in funzione dei volumi di prestazioni erogate.
Dalle superiori considerazioni discende la conseguenza di sostenere ulteriormente lo sviluppo delle attività e/o strutture come segue:
-  strutture ove sono attive specialità rilevanti e strategicamente importanti in relazione ai contenuti del presente Piano sanitario;
-  ospedali volti ad assorbire patologie significativamente più impegnative nell'ambito degli stessi raggruppamenti omogenei;
-  ospedali con livello di service-mix particolarmente alto e che pertanto erogando un maggior numero di servizi diagnostico-terapeutici nei confronti delle medesime patologie sopportano più elevati costi di conduzione;
-  presenza di funzioni peculiari in rapporto all'assorbimento di risorse.
Per le considerazioni sopra espresse occorre ridefinire il sistema delle tariffe regionali come segue:
1) differenziare la remunerazione delle prestazioni in relazione alla complessità della struttura ospitante;
2) incentivare il ricorso al Day Hospital attraverso la modifica delle tariffe previste (day hospital oncologici, talassemici etc.);
3) ridefinire la remunerazione delle prestazioni di riabilitazione e lungodegenza.
7.1.9. Lo sviluppo del ruolo strategico dell'attività sanitaria di base
In questo contesto, un ruolo strategico in tale processo di contenimento e riqualificazione della spesa è senz'altro da attribuirsi alla funzione del medico di medicina generale e al pediatria di libera scelta. Si ritiene in particolare che bisogna superare l'attuale situazione di isolamento che ha caratterizzato il ruolo del medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta. Occorre, quindi, recuperare la funzione della medicina di base di prevenzione, diagnosi e cura facendo leva sulla professionalità di tali medici, agevolando la diffusione dei nuovi meccanismi, formazione e organizzazione che la nuova convenzione prevede.
Per la realizzazione di quanto appena affermato, ed alla luce delle considerazioni espresse nel relativo paragrafo 2.6 del presente Piano, sarà necessaria l'introduzione di nuovi strumenti per la gestione del rapporto tra le Aziende sanitarie/Medici di base/utenti del S.S.R. come:
1) Il budget: l'applicazione del sistema del Budget ai medici di medicina generale non limita l'attenzione al problema finanziario, bensì stimola verso la negoziazione e la condivisione degli obiettivi, la responsabilizzazione sui risultati etc.
2) L'associativismo medico: nell'arco del triennio si dovranno attivare modelli organizzativi che propendono verso l'associativismo che siano in grado di realizzare:
-  collaborazione tra medici specialisti e medici generici ;
-  ottimizzare il rapporto costo/efficacia delle prestazioni;
-  continuità assistenziale.
3) Gli incentivi: gli incentivi in particolare dovranno essere individuati sulla base del modello organizzativo con il quale vorrà organizzarsi il sistema dei medici di medicina generale. In particolare si ritiene che incentivi potranno essere erogati sotto forma di:
-  formazione e qualificazione professionale;
-  tecnologie e attrezzature.
Gli incentivi, qualunque sia la natura, dovranno essere condivisibili, accettabili e correlati con raggiungimento di livelli superiori di efficacia sanitaria.
7.1.10. La spesa ospedaliera: contenimento e riqualificazione
Gli obiettivi della Regione in tale ambito sono duplici, ma non antitetici: riqualificazione e contenimento.
La riqualificazione potrà effettuarsi attraverso il potenziamento di quelle strutture che erogano prestazioni di maggiore complessità e che possono garantire le prestazioni di maggiore rilevanza. In altri termini sarà necessario finanziare le attività e/o strutture strategicamente rilevanti.
Inoltre il processo di contenimento e riqualificazione della spesa sanitaria nei modi sopra detti è attuabile attraverso il potenziamento delle strutture sanitarie di base e lo sviluppo dei nuovi strumenti di gestione. Tali obiettivi, per le considerazioni espresse in ordine all'assistenza sanitaria territoriale, divengono obiettivi strategici per agevolare il raggiungimento degli obiettivi posti sul versante ospedaliero.
In altri termini attraverso il potenziamento e la valorizzazione delle strutture sanitarie del territorio, nonchè con lo sviluppo delle attività ospedaliera rivolte all'assistenza domiciliare, si potranno ridurre i ricoveri e gli accessi alle strutture definiti presumibilmente impropri nel presente PSR.
Il contenimento, altresì, potrà effettuarsi attraverso l'adozione e lo sviluppo degli strumenti e delle tecniche gestionali sviluppate nel precedente paragrafo. Si ritiene comunque che l'opera di contenimento della spesa non deve penalizzare le strutture sanitarie sia pubbliche che private che effettuano prestazioni con un certo livello di complessità.
Si ritiene pertanto che nel corso del triennio 2000-2002 si dovrà procedere ad attivare meccanismi volti a:
1) potenziare le strutture che erogano prestazioni sanitarie di maggiore complessità e le strutture che nel triennio di vigenza della delibera di Giunta regionale n. 446 del 30 dicembre 1996 abbiano registrato volumi di attività, rapporti costi beneficio e/o indicatori di utilizzo più vantaggiosi rispetto ad analoghi presidi o che siano ubicate in comuni classificati zona sismica di prima categoria.
2) ridurre i ricoveri impropri attraverso il potenziamento delle strutture sanitarie di base e l'assistenza domiciliare;
3) incentivare il ricorso al day hospital;
4) razionalizzare il ricorso alle strutture di pronto soccorso e alle strutture sanitarie in genere ai sensi del decreto legislativo n. 124/98;
5) incentivare il "One day surgery" (ricovero per non più di 24 ore compreso il pernottamento) mediante remunerazione secondo tariffa intera.
7.1.11.  La spesa del territorio: contenimento e riqualificazione
Si è rilevata, dai dati desunti dall'analisi dell'attività sanitaria ospedaliera, la notevole incidenza dei ricoveri verosimilmente "impropri", ossia di quei ricoveri trattabili con un'adeguata assistenza domiciliare e/o territoriale. Appare evidente che la causa del fenomeno è proprio la bassa efficacia di una rete assistenziale domiciliare e semidomiciliare integrata.
Inoltre l'attuale legislazione impone il mantenimento entro i limiti di spesa stabiliti dalla legge finanziaria la spesa farmaceutica, la specialistica ambulatoriale e altre prestazioni sanitarie in convenzione. Tale tendenza al contenimento sarà presumibilmente ribadita nei prossimi anni (cfr. gli obiettivi di politica economica del Documento di programmazione economico finanziaria e della relazione del Governatore della Banca d'Italia del 31 maggio 1999).
Pertanto, occorrerà individuare meccanismi di controllo e di relativo contenimento delle spese sopra citate, anche ai sensi delle disposizioni contenute in ordine alla "contrattazione" e delle varie norme contenute nelle leggi finanziarie dello Stato.   

In termini più specifici questa Regione individuerà meccanismi per l'attribuzione dei tetti di spesa per singola struttura sanitaria pubblica e privata erogatrice delle prestazioni, tenendo anche conto delle prestazioni che si intendono acquistare.
Occorrerà attivare, nel rispetto dei limiti di spesa stabiliti, la "contrattazione" dei piani annuali preventivi delle prestazioni sanitarie erogabili nelle strutture pubbliche e private determinandone le quantità e la tipologia delle stesse.
7.1.12.  Il finanziamento degli obiettivi strategici del Piano sanitario regionale 2000-2002
In conformità a quanto stabilito dall'art. 66 della legge regionale 1 settembre 1993, n. 25, così come sostituito dall'art. 54 della legge regionale 3 novembre 1993, n. 30, una quota pari all'uno per cento del FSR di parte corrente deve essere assegnata alle attività a destinazione vincolata individuate dal presente Piano, che costituiscono gli obiettivi strategici della programmazione sanitaria regionale.
Dalle considerazioni espresse nei precedenti capitoli del presente PSR si possono rilevare le attività che si ritengono strategicamente rilevanti e pertanto necessitano di particolari forme di finanziamento aggiuntivo. Nella tabella seguente vengono sintetizzate dette attività.
7.1.13.  Fondo di riserva
Ai sensi del punto 9 dell'art. 66 della legge regionale n. 30/93 è previsto un accantonamento del 2% del F.S.R. disponibile per spese impreviste e per la compensazione dovuta per la mobilità finanziaria relativa alle prestazioni sanitarie erogate a cittadini residenti in altre province o in altre aziende sanitarie.
Assegnazione e priorità per la ripartizione fondi ex art. 54, legge regionale n. 30/93

N.  DESCRIZIONE OBIETTIVO Priorità 
SISTEMA INFORMATIVO E SISTEMA DI VALUTAZIONE DELL'EFFICACIA DELLE PRESTAZIONI
FORMAZIONE:
2.1.  Acquisizione della "Cultura aziendale" da parte di tutto il personale ai nuovi strumenti introdotti nella gestione delle Aziende sanitarie (Centri di costo, Budget, DRGs etc.)  
2.2.  Creazione e sviluppo delle unità operative dipartimentali ospedaliere e territoriali e di prevenzione  
2.3.  Creazione e sviluppo delle unità di assistenza per la ospedalizzazione a domicilio  
2.4.  Creazione e sviluppo delle unità diagnostico terapeutiche integrate ospedale-territorio;  
2.5   Condivisione di protocolli diagnostico-terapeutici concordati  
2.6  Formazione addetti Servizio 118  
ALTRI INTERVENTI:
3.1  Interventi per pazienti affetti dal morbo di Alzheimer  
3.2  Interventi di carattere socio sanitario  
3.2.1  Interventi per anziani  
3.2.2  Promozione dell'A.D.I.  
3.2.3  Attivazione delle R.S.A. (anche attraverso l'utilizzo delle risorse di cui all'art. 20, legge n. 67/88)  
3.2.4  Attivazione di strutture Hospice  
3.2.5  Interventi in favore dell'handicap e dei disabili  
3.3.  Lotta alle malattie neoplastiche:  
3.3.1.  Promozione attivazione della ospedalizzazione domiciliare e dell'assistenza domiciliare integrata ai malati in fase avanzata e terminale  
3.3.2.  Attività di prevenzione indirizzata alla diagnosi precoce del tumore della mammella e dell'utero  
3.3.3  Prevenzione indirizzata ai "gruppi a rischio" 
3.4.  Potenziamento della donazione degli organi 
3.5.  Prevenzione ed educazione alla salute:  
3.5.1.  Profilassi delle malattie infettive e diffusive secondo quanto individuato nel presente PSR, e prevenzione delle malattie metaboliche congenite  
3.5.2.  Lotta alle infenzioni da H.I.V.  
3.5.3.  Profilassi veterinaria delle zoonosi  
3.5.4.  Tutela della salute dei lavoratori  
3.6  Lotta alle malattie cardiovascolari congenite ed acquisite  
3.7  Riabilitazione e handicap:  
3.7.1  Creazioni centri per gravi  
3.7.2.  Riorganizzazione ospedaliera dei servizi e delle degenze di riabilitazione alla luce degli standard della legge n. 626/94 e succ. modificazioni.  
3.8  Razionalizzazione della spesa farmaceutica  

Dalla tabella precedente si evincono altresì le priorità che questa Regione ha attribuito per il raggiungimento degli obiettivi. Le tre priorità (A, B, C) assegnate intendono definire, altresì, la proporzionalità che occorrerà realizzare nella attribuzione dei relativi fondi.
Si sottolinea, inoltre, che per gli obiettivi riguardanti "altre attività" indicate con lettera "C" la priorità delle sottoripartizioni sarà stabilita in funzione della tipologia dell'Azienda, del territorio afferente e della concreta realizzabilità.
Per la realizzazione di quanto sopra i Direttori generali delle Aziende sanitarie dovranno predisporre entro il 30 novembre 2000, piani triennali a verifica annuale che:
-  tengano conto degli obiettivi sopra definiti;
-  definiscano le azioni strategiche da attuare per il raggiungimento degli obiettivi;
-  individuino le fasi attraverso le quali si svilupperanno le azioni strategiche;
-  individuino per ogni fase gli obiettivi che si dovranno raggiungere, anche ai fini del monitoraggio dell'intero progetto;
-  individuino dettagliatamente le risorse da utilizzare per il finanziamento del progetto.
La Regione, sulla base delle iniziative pervenute, procederà a:
-  esaminare le iniziative pervenute;
-  valutare quali progetti realizzare sulla base del rapporto costo/efficacia;
-  monitorare il raggiungimento degli obiettivi parziali sopra definiti;
-  individuare meccanismi di riorientamento in ipotesi di non raggiungimento degli obiettivi.
8. I PERCORSI DI AVVICINAMENTO AL MODELLO ORGANIZZATIVO DEFINITO DAL PSR
Al fine di dare concreta attuazione alle linee programmatiche del presente Piano si individuano di seguito, in relazione ad alcune problematiche particolarmente rilevanti, i percorsi utili per la più immediata realizzazione degli obiettivi delineati.
8.1. OSSERVATORIO EPIDEMIOLOGICO REGIONALE
Nel quadro complessivo degli obiettivi da perseguire, ai fini di una corretta programmazione delle attività sanitarie e del miglioramento delle condizioni di salute dei cittadini, è propedeutica ed imprescindibile l'attività di rilevazione ed elaborazione dei dati epidemiologici. L'Osservatorio epidemiologico regionale deve pertanto essere potenziato con personale dipendente dalla Regione affinché venga tempestivamente garantito il monitoraggio delle patologie. In tale ottica, nel triennio di vigenza del presente Piano, si deve incrementare adeguatamente il livello di informatizzazione e di innovazione tecnologica di tutto il Servizio sanitario regionale.
8.2. ISOLE MINORI E ZONE SVANTAGGIATE
Per le isole minori e per le zone svantaggiate (da individuare con decreto assessoriale) si programmano le seguenti iniziative atte a migliorare l'assistenza sanitaria:
a) attivazione di aree subdistrettuali coincidenti con tali realtà geografiche;
b) il programma delle attività territoriali dei distretti che comprendono le zone di cui sopra dovrà prevedere specifiche indicazioni al fine di dare pratica attuazione a quanto previsto dal presente PSR con particolare riferimento all'assistenza sanitaria di base e specialistica;
c) destinazione, da parte della Regione, di fondi aggiuntivi per la realizzazione degli obiettivi del PSR riguardo alle isole minori ed alle zone svantaggiate;
d) la Rete di emergenza del servizio 118 dovrà prevedere specifiche modalità per la gestione dell'emergenza urgenza nelle zone di cui in premessa;
e) potenziamento del personale del SSR operante in tali aree geografiche;
f) in sede di ripartizione del Fondo sanitario regionale l'Assessorato regionale della sanità attribuirà alle Aziende USL, per gli abitanti residenti nelle zone sopra indicate, un peso maggiore.
8.3. CENTRO PER LA DIAGNOSI, CURA E RIABILITAZIONE "VILLA DELLE GINESTRE"
Nell'ambito di una razionalizzazione dell'assistenza per medullolesi, con particolare riguardo all'utilizzazione della struttura sanitaria "Villa delle Ginestre" di Palermo, l'Assessore per la sanità provvederà, entro trenta giorni dall'entrata in vigore del presente PSR., ad istituire un gruppo di lavoro all'interno del quale sia assicurata un'adeguata rappresentanza all'associazione dei pazienti e dei familiari, alla società scientifica di medicina fisica e riabilitativa, nonché all'AUSL n. 6. Tale gruppo di lavoro dovrà esitare una proposta operativa entro sessanta giorni dall'insediamento.
8.4. BISOGNI FORMATIVI
Al fine di ottimizzare la formazione di base (diploma universitario) del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione, sarà istituito presso l'Assessorato regionale della sanità un gruppo di lavoro tecnico incaricato di rilevare i bisogni formativi in ambito regionale. L'Assessorato regionale della sanità individuerà, ove necessario, le nuove sedi formative ubicate nei bacini definiti dalla legge regionale n. 30/93 e anche nelle aziende territoriali e sempre che siano in possesso dei requisiti previsti dal decreto assessoraile 11 luglio 1997 (Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana del 31 ottobre 1997) e dal D.M. 24 luglio 1996.
8.5. CONFERENZA PERMANENTE PER LA PROGRAMMAZIONE SANITARIA REGIONALE
Nelle more che venga dato corso a quanto previsto dal decreto legislativo n. 229/99, è istituita la Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale. Essa avrà il compito di fornire contributi propositivi ed esprimere valutazioni sugli atti della programmazione regionale, nonché sulle esigenze e sull'andamento della attività sanitaria. Tale Conferenza è presieduta dall'Assessore regionale per la sanità ed è composta almeno da un rappresentante dell'Unione province siciliane, dai presidenti delle conferenze dei sindaci o, in mancanza, dai sindaci dei capoluogo, da nove direttori generali, di cui almeno sei direttori generali di Aziende USL dal vice presidente del Consiglio regionale della sanità e dai direttori dell'Assessorato regionale della sanità e dal presidente dell'ANCI Sicilia.
8.6. INTEGRAZIONE TRA POLITICHE AMBIENTALI E SANITARIE
La Regione siciliana individua le modalità ed i livelli di integrazione tra politiche sanitarie e politiche ambientali, prevedendo la stipula di accordi di programma e convenzioni tra le Aziende USL, le Aziende ospedaliere e l'istituenda ARPA, con particolare riguardo all'attività di sorveglianza epidemiologica e di sorveglianza del rischio.
8.7. PRESIDIO RIABILITATIVO "E. ALBANESE"
1. Con riferimento a quanto indicato nel paragrafo 5.6.1 per quanto riguarda la riabilitazione per patologie ortopediche, neurologiche, polimalformative e cronico degenerative, nell'area metropolitana di Palermo il presidio ospedaliero Enrico Albanese, già identificato come polo riabilitativo (delibera di Giunta di Governo n. 446/96) è deputato a svolgere tali attività dotandosi degli strumenti necessari. L'Azienda USL di competenza provvederà all'eventuale formazione del personale in considerazione della peculiarità dell'assistenza da erogare.
8.8. OSSERVATORIO REGIONALE SUI LIVELLI DI ASSISTENZA
L'Assessore regionale per la sanità provvederà ad attivare, entro 180 giorni dall'emanazione del presente Piano, un Osservatorio regionale al fine di monitorare l'applicazione dei livelli essenziali di assistenza nelle strutture sanitarie.
8.9. CENTRO UNIFICATO DELLE PRENOTAZIONI
Per facilitare l'accesso dell'utenza, con particolare riferimento all'esecuzione di esami altamente innovativi o per i quali vi siano lunghe liste di attesa, l'Assessorato regionale della sanità, entro 12 mesi dall'emanazione del presente Piano, predisporrà, nei quattro bacini di utenza un Centro unificato delle prenotazioni. Tale sistema centralizzato, attivabile telefonicamente o telematicamente, assicura un notevole miglioramento dei servizi consentendo una notevole riduzione del disagio per l'utenza.
8.10. TESSERA SANITARIA INFORMATICA
Al fine di semplificare l'accesso dei cittadini ai servizi sanitari e per razionalizzare i flussi informativi e di spesa, l'Assessorato regionale della sanità si impegna a realizzare, entro 12 mesi dall'emanazione del presente Piano, la "Tessera sanitaria informatica" (vedi decreto legislativo 29 aprile 1998 n. 124 e legge 27 dicembre 1997, n. 449) e l'automazione del pagamento del ticket.
8.11. TELEMEDICINA
La telemedicina rappresenta la nuova frontiera tecnologica della medicina.
Le sperimentazioni e le applicazioni effettuate in questi ultimi anni hanno rafforzato la consapevolezza che essa può fornire un utile sostegno alla medicina, anche specialistica ed emergenziale, innalzando il livello qualitativo dell'assistenza sanitaria nei confronti del cittadino.
Tuttavia è necessario colmare il gap esistente, ancora oggi, tra il livello della ricerca-sperimentazione e quello organizzativo-gestionale ed applicativo, di competenza, quest'ultimo, più strettamente istituzionale.
Le aree tematiche su cui indirizzare prioritariamente l'elaborazione di proposte applicative riguardano:
1) il supporto alle attività di urgenza ed emergenza sanitaria;
2) il supporto agli interventi di assistenza domiciliare ed ospedalizzazione domiciliare;
3) il supporto alle attività dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta;
4) il supporto alle attività di rete indispensabili per garantire tempestività ed appropriatezza nella diagnosi e terapia delle malattie rare;
5) il supporto alle attività di teleconsulto e di emergenza per le isole minori.
Al fine di superare l'approccio sperimentale e consentire una rapida adozione su scala ordinaria degli strumenti della telemedicina, si ritiene prioritaria la definizione della:
a) Regolazione, normazione e standardizzazione delle procedure e degli strumenti.
b) Aspetti medico-legali.
c) Formazione degli operatori e delle conoscenze già disponibili.
d) Nuovi modelli di organizzazione del lavoro.
e) Nuovi approcci alla relazione medico-paziente e operatori-utenti.
8.12. MEDICI DI GUARDIA MEDICA E MEDICINA DEI SERVIZI
I medici in servizio alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 229/99 addetti alle attività di guardia medica e medicina dei servizi, i quali alla data del 31/12/1998 risultavano titolari di incarico a tempo indeterminato da almeno cinque anni o comunque al compimento del quinto anno di incarico a tempo indeterminato, sono inquadrati, a domanda, nel ruolo sanitario nei limiti dei posti delle dotazioni organiche e previo giudizio di idoneità. A tal fine le Aziende USL, entro 90 giorni dall'emanazione del presente Piano, dovranno rideterminare le dotazioni organiche sulla scorta dei carichi di lavoro, considerando anche i posti in atto ricoperti dai medici della medicina dei servizi. La Regione siciliana deve altresì individuare, entro 180 giorni dall'emanazione del presente Piano, le aree dell'emergenza e della medicina dei servizi che, al fine del miglioramento dei servizi stessi, richiedano l'instaurarsi di un rapporto di impiego.
8.13. COMMISSIONE REGIONALE PER LA FORMAZIONE CONTINUA
Entro 180 giorni dall'emanazione del presente Piano l'Assessorato regionale della sanità istituisce la Commissione regionale per la formazione continua prevedendo la presenza di rappresentanti della Federazione regionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, di rappresentati delle tre Università della Regione e delle Società scientifiche e di due rappresentanti dell'Assessorato regionale della sanità nonché di rappresentanti delle categorie professionali interessate in ordine alle materie di competenza della Commissione. Essa è presieduta dall'Assessore regionale della sanità o suo delegato. La commissione recepisce le indicazioni della Commissione nazionale per la formazione continua, elabora gli obiettivi di formazione di specifico rilievo regionale e garantisce il monitoraggio dello stato di attuazione dei programmi regionali di formazione continua.
8.14. RUOLI NOMINATIVI REGIONALI DEL PERSONALE DEL SERVIZIO SANITARIO REGIONALE
Il decreto legislativo n. 502/92 e successive modificazioni ha portato a compimento il processo di aziendalizzazione, attribuendo "autonomia imprenditoriale" alle aziende sanitarie ponendo in capo al Direttore generale la loro organizzazione interna, inclusa la gestione delle risorse umane.
Questo comporta la necessità di rivedere la normativa afferente ai ruoli nominativi regionali, che in base alla nuova legislazione assumono mero carattere ricognitivo, ai fini programmatori, per l'analisi del fabbisogno per specifiche figure professionali e specializzazioni mediche, nonché per la definizione dei programmi di formazione permanente e di aggiornamento.
A questi fini, i Direttori generali delle Aziende sanitarie dovranno trasmettere annualmente all'Assessorato regionale della sanità gli elenchi nominativi del personale inquadrato o comunque formalmente in carico all'Azienda, secondo le specificazioni e le modalità che saranno precisate con separato atto.
8.15. UFFICIO DI COORDINAMENTO DELL'ATTIVITÀ DISTRETTUALE
Entro 180 giorni dall'emanazione del presente PSR, l'Assessorato regionale della sanità disciplinerà con circolare attuativa la composizione dell'Ufficio di coordinamento dell'attività distrettuale, prevedendo la presenza di rappresentanti dei medici di base, dei pediatri di libera scelta e degli specialisti convenzionati interni e degli specialisti in atto provvisoriamente accreditati.
8.16. IMPEGNO A RIDETERMINARE LA RETE OSPEDALIERA
Entro 90 giorni dall'emanazione del presente Piano il Governo della Regione è impegnato a rivedere la delibera n. 446/96 al fine di rideterminare la Rete ospedaliera regionale tenendo conto delle prescrizioni contenute nella legislazione vigente e, in particolare, del decreto legislativo n. 229/99, prevedendo l'adeguata programmazione dei posti letto nella Regione.
8.17. DETERMINAZIONE DEI CARICHI DI LAVORO DEL PERSONALE DEL SERVIZIO SANITARIO REGIONALE
Appare prioritario assicurare un corretto equilibrio tra il soddisfacimento delle attese dell'utenza in tema di qualità delle prestazioni sanitarie erogate ed il contenimento della spesa sanitaria. Si rende pertanto opportuna l'individuazione di un'adeguata metodologia per la determinazione delle piante organiche delle unità operative ospedaliere e territoriali al fine di assicurare l'omogeneità assistenziale nell'intera Regione ed evitare inutili sprechi. La rilevazione dei carichi di lavoro deve essere realizzata per unità operative ed avverrà nel rispetto della legislazione nazionale vigente attraverso l'utilizzo di una metodologia unica per tutto il territorio regionale.
L'Assessorato regionale della sanità, entro 180 giorni dall'entrata in vigore del presente Piano, stabilirà criteri uniformi per la rilevazione dei carichi di lavoro nelle strutture ospedaliere su tutto il territorio regionale.
Qualora l'unità operativa partecipi per almeno il 20 o il 40 per cento su base annua all'attività di emergenza, l'organico per il ruolo sanitario viene incrementato rispettivamente del 30 o 60 per cento. Gli standards di personale previsti per le U.O.. dalla vigente normativa saranno modificati sulla scorta della rilevazione dei carichi funzionali di lavoro.
Il modello di erogazione dell'assistenza territoriale attraverso settori e servizi è stato superato dall'introduzione dei distretti e dei dipartimenti previsti dal D. Lvo 229/99. In considerazione di ciò l'Assessorato regionale della sanità entro 180 giorni dall'entrata in vigore del presente Piano stabilirà criteri e parametri uniformi per la rilevazione dei carichi di lavoro delle strutture territoriali.
8.18. IMPEGNO AD INTEGRARE LA LEGISLAZIONE SANITARIA VIGENTE
Entro 180 giorni dall'emanazione del presente Piano, il Governo della Regione è impegnato a predisporre tutti i disegni di legge necessari per integrare la legislazione regionale vigente rispetto ai contenuti del presente Piano.

(2000.21.1120)


Torna al Sommariohome


FRANCESCO CASTALDI: Direttore responsabile                               MARIA LA MARTINA: Redattore

Ufficio legislativo e legale della Regione Siciliana
Gazzetta Ufficiale della Regione
Stampa della Tipografia Pezzino & F.-Palermo
Ideazione grafica e programmi di
Michele Arcadipane

Torna al menu- 25 -  56 -  68 -  10 -  76 -  13 -