REPUBBLICA ITALIANA
GAZZETTA UFFICIALE
DELLA REGIONE SICILIANA

PARTE PRIMA
PALERMO - SABATO 7 NOVEMBRE 1998 - N. 57
SI PUBBLICA DI REGOLA IL SABATO

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SUPPLEMENTO ORDINARIO

SOMMARIO

ASSESSORATO DELL'AGRICOLTURA E DELLE FORESTE

DECRETO 26 gennaio 1998.
Approvazione del piano regionale di settore per la zootecnia.



ASSESSORATO
DELL'AGRICOLTURA E DELLE FORESTE

DECRETO 26 gennaio 1998.
Approvazione del piano regionale di settore per la zootecnia.
L'ASSESSORE
PER L'AGRICOLTURA E LE FORESTE

Visto lo Statuto della Regione;
Visto l'art. 15 della legge regionale 23 maggio 1991, n. 32;
Visto il programma regionale per il settore per la zootecnia, redatto dall'Assessorato regionale dell'agricoltura e delle foreste;
Visto il parere espresso dal Consiglio regionale dell'agricoltura in data 26 maggio 1997;
Vista la delibera di Giunta regionale n. 355 del 17 settembre 1997, con la quale si approva il piano di settore per la zootecnia ed il relativo D.P. n. 258 del 21 settembre 1992 di approvazione della citata deliberazione, registrato alla Corte dei conti il 17 ottobre 1997, registro n. 2, foglio n. 44;
Visto l'art. 3, lett. c), della legge 14 gennaio 1994, n. 20;
Considerata l'opportunità di attuare le azioni previste dal suddetto piano regionale in materia di investimenti aziendali e di interventi nei settori della trasformazione, lavorazione, promozione e commercializzazione nell'ambito della normativa recata dalle leggi regionali 25 marzo 1986, n. 13, 23 maggio 1991, n. 32, 9 agosto 1988, n. 26, 6 giugno 1968, n. 14, 3 gennaio 1985, n. 7 e dai regolamenti C.E.E. n. 2052/88, obiettivo n. 1, n. 2078/92, n. 2081/92, n. 2082/92, n. 2328/91, n. 950/97, n. 866/90 e successive aggiunte modificazioni e relative disposizioni applicative;
Considerato che le restanti azioni previste dal piano potranno essere realizzate sulla base della normativa comunitaria, nazionale e regionale vigente;
Considerato che per tutti gli interventi summenzionati potranno essere utilizzati sia gli stanziamenti specifici di bilancio previsti dalle normative applicabili, che la dotazione del fondo previsto dall'art. 15 della legge regionale 23 maggio 1991, n. 32;

Decreta:


Art. 1

E' approvato il piano regionale per il settore per la zootecnia che fa parte integrante del presente decreto.

Art. 2

Le azioni previste dal piano saranno attuate in base alle disposizioni recate dalle leggi regionali 25 marzo 1986, n. 13, 23 maggio 1991, n. 32, 9 agosto 1988, n. 26, 6 giugno 1968, n. 14, 3 gennaio 1985, n. 7 e dai regolamenti C.E.E. n. 2052/88, obiettivo n. 1, n. 2078/92, n. 2081/92, n. 2082/92, n. 2092/92, n. 2328/91 e n. 866/90 e dalla normativa comunitaria, nazionale e regionale vigente.

Art. 3

Con successivo provvedimento si procederà alla determinazione delle fonti di finanziamento del presente programma nell'esercizio finanziario 1998, utilizzando parte degli ordinari stanziamenti di bilancio per le relative normative di attuazione, nonché la dotazione per l'anno 1998 del fondo di cui all'art. 15 della legge regionale 23 maggio 1991, n. 32, rimodulate con l'art. 9 della legge regionale 15 marzo 1994, n. 6. Analogamente si provvederà negli esercizi finanziari successivi.
Il presente decreto sarà trasmesso alla Corte dei conti per la registrazione e successivamente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana.
Palermo, 26 gennaio 1998.
  CUFFARO 



Registrato alla Corte dei conti, Sezione controllo per la Regione siciliana, addì 26 gennaio 1998.
Reg. n. 1, Assessorato dell'agricoltura e delle foreste, fg. n. 298.

Allegato "A"
PIANO DI SETTORE PER LA ZOOTECNIA

1.  PREMESSA
La zootecnia siciliana si trova tuttora in una situazione di allarmante ritardo, che investe gli aspetti strutturali, tecnici ed organizzativi delle aziende e i loro rapporti con il mercato, pur in presenza di significativi processi di sviluppo che ne hanno segnato l'evoluzione nel corso di questi anni.
La compressione della situazione in atto e ancor più l'indicazione di prospettive evolutive del settore richiedono di affrontare le problematiche propriamente agro-zootecniche in un quadro più ampio di interconnessione con i diversi segmenti produttivi che si collegano a monte e a valle, risultando essenziale un'adeguata organizzazione di filiera per dare risposta alle esigenze di competitività del settore.
Per la diffusa localizzazione dell'attività zootecnica in aree naturalmente meno favorite, caratterizzate da scarse opportunità di utilizzazione alternativa dei fattori produttivi (terra e lavoro), nonché da carenze più o meno gravi nella dotazione di infrastrutture, assumono particolare rilievo le componenti economico-sociali ed ambientali, in rapporto alle quali essa assolve una serie di funzioni connesse sia con l'utilizzazione di fattori produttivi a basso costo opportunità, sia con la tutela dell'ambiente e la salvaguardia del territorio.
Allo scopo di definire gli obiettivi e le linee di intervento per il settore zootecnico è importante tener conto dell'evoluzione di una serie di variabili, tra cui principalmente la domanda dei beni alimentari, connotata da un crescente interesse verso gli aspetti qualitativi dei prodotti, e le politiche comunitarie, orientate al contenimento dell'offerta. E' pertanto cruciale procedere all'individuazione di alcuni scenari prospettici che permettano di esprimere valutazioni sui margini di compatibilità con i vincoli del mercato e dell'offerta nei prossimi anni.
Il piano, muovendo dall'esigenza di promuovere una politica regionale finalizzata al consolidamento della zootecnia siciliana, precisa obiettivi e criteri di intervento validi con riferimento ai diversi comparti, tenendo conto delle complesse interdipendenze dell'attività di allevamento con il contesto ambientale ed economico-sociale.
In definitiva il piano fornisce delle linee guida sullo sviluppo della politica zootecnica regionale, che necessitano di interventi di carattere amministrativo e legislativo.
Per l'attuazione degli stessi si ritiene di estrema importanza che l'Amministrazione regionale coinvolga tutti gli organismi e gli enti operanti nel settore, in relazione a nuove esigenze che potrebbero emergere, in conformità agli indirizzi di politica nazionale e comunitaria e nell'ambito delle disponibilità finanziarie, secondo un approccio dinamico delle attività programmatorie. Inoltre, per il complesso delle azioni delineate nel piano, occorre predisporre strumenti di controllo e di monitoraggio a carattere decentrato per consentire di valutare la capacità di risposta delle strutture produttive e procedere agli aggiustamenti e alle correzioni che si renderanno necessarie.
2.  IL SETTORE ZOOTECNICO IN SICILIA
2.1.  GENERALITA'
L'analisi della struttura degli allevamenti zootecnici, a livello aggregato e per comparto, incontra – com'è noto – non poche difficoltà per le carenze e le contraddizioni della documentazione statistica in questo settore. Tuttavia, scontata la larga approssimazione dei dati statistici, del tutto insufficienti a fungere da supporto conoscitivo al fine di predisporre un piano di intervento per il settore, appare utile coglierne le indicazioni sia pure criticamente, integrandole, ove possibile, con alcune stime e verifiche sulla base degli studi disponibili e dei confronti effettuati con i tecnici e gli operatori del settore.
La struttura degli allevamenti zootecnici in Sicilia presenta significative evoluzioni, nelle quali si possono cogliere, pur con le necessarie differenziazioni, alcuni elementi comuni ai diversi comparti. In primo luogo è possibile osservare un notevole aumento della dimensione media degli stessi per tutte le specie esaminate. Tale evoluzione, evidenziata da raffronto delle risultanze del IV censimento generale dell'agricoltura (1991) con quelle del III censimento (1982), prosegue un trend già manifestatosi nei decenni precedenti, con riduzioni più o meno consistenti del numero delle aziende e incrementi anche notevoli di quello dei capi, almeno per quegli allevamenti, quali quelli bovini, ovini e caprini, che rivestono maggiore importanza economica nella regione.
Cresce peraltro il contributo dei suddetti allevamenti al patrimonio zootecnico nazionale, passando dal 4,9% al 6,0% per i bovini, dal 7,9% al 14,8% per gli ovini, dal 9,3% al 15,7% per i caprini.
Altro aspetto evolutivo di carattere generale riguarda la distribuzione e localizzazione del patrimonio zootecnico, che mostra una tendenza alla concentrazione sia a livello aziendale che territoriale.
Cresce inoltre l'ampiezza media della base aziendale, come pure aumenta il carico di bestiame per ettaro di superficie foraggera, indicativo di una maggiore intensità produttiva zootecnica.
Riesce tuttavia difficile, dall'evoluzione delle diverse componenti strutturali, trarre delle conclusioni generalizzabili per l'intero aggregato.
Si consideri comunque, in termini generali, che nelle zone interne montane e svantaggiate, laddove la formazione del reddito si deve all'uso di risorse marginali e, conseguentemente, è scarsa l'integrazione dell'attività zootecnica con il mercato, non esiste una tangibile pressione verso la riorganizzazione strutturale del settore. L'adattamento delle strutture produttive, inoltre, risulta possibile soltanto con una riorganizzazione tecnico-gestionale dell'allevamento, che comporta livelli professionali più evoluti, scelte mercantili appropriate, ecc., senza dei quali esso difficilmente si traduce, dal punto di vista dei risultati tecnico-economici, in un effettivo incremento di reddito per gli allevatori, cioè in una maggiore efficienza economica.
Va ricordato che l'attività zootecnica in Sicilia viene supportata dalle Facoltà di agraria di Palermo e Catania e da quella di medicina veterinaria di Messina, dall'Istituto sperimentale zootecnico di Palermo, dall'Istituto zooprofilattico sperimentale di Palermo, dal Consorzio per la ricerca sulla filiera lattiero-casearia, dall'Istituto di incremento ippico di Catania, nonché dai centri di assistenza tecnica dell'Assessorato agricoltura e foreste e dell'ESA. Vi contribuiscono inoltre le organizzazioni professionali di categoria.
Essenziali sono i servizi veterinari delle aziende unità sanitarie locali che dovranno garantire la gestione dell'anagrafe zootecnica in collaborazione con l'Assessorato agricoltura e foreste, l'ARA e gli organismi interessati. I suddetti servizi veterinari dovranno inoltre moltiplicare i propri sforzi per risanare il patrimonio zootecnico della tubercolosi (TBC), brucellosi e leucosi enzootica bovina (LEB) operare per evitare la comparsa e la diffusione delle malattie infettive come previsto dal regolamento di polizia veterinaria, effettuare i dovuti controlli sui prodotti di origine animale sia per garantire la salute pubblica che per assicurare il consumatore sulla loro salubrità (vedi caso recente BSE).
Un ruolo specifico è svolto dall'Associazione regionale allevatori, per la sua presenza capillare nel territorio regionale e per le azioni relative alla tenuta dei libri genealogici, ai controlli funzionali, al riconoscimento delle principali razze siciliane, nonché all'assistenza tecnica finalizzata al miglioramento della produttività degli allevamenti.
Nel campo della ricerca applicata opera infine il Consorzio per la ricerca sulla filiera lattiero-casearia.
2.2.  ALLEVAMENTI BOVINI
Gli allevamenti bovini in Sicilia trovano caratteristica localizzazione nelle aree collinari e montane, in ambienti pedoclimatici poco favorevoli, quali sono quelli mediterranei, dove risultano per lo più diffusi sistemi di allevamento tradizionali di tipo semiestensivo ed estensivo, mentre quelli a carattere intensivo hanno minore peso e interessano le aziende ad indirizzo specializzato, situate soprattutto nelle aree di pianura.
Essi risultano presenti in tutta l'isola, anche se in alcune aree si osserva un'elevata concentrazione in termini sia di capi allevati che di unità produttive. Gli areali più rappresentativi sono quelli dei Nebrodi, in provincia di Messina, delle Madonie, in provincia di Palermo, dell'altopiano Ibleo, in provincia di Ragusa; largamente interessate sono anche le aree collinari e montane dell'ennese e del catanese.
Nelle suddette province si concentra oltre l'85% del patrimonio bovino isolano. Questo, secondo i dati dell'ultimo censimento (1991), ammonta in complesso a 466.402 capi. La sua consistenza si è accresciuta rispetto a quella rilevata dal precedente censimento (1982) di circa il 10%, contrariamente a quanto è avvenuto mediamente in Italia, dove si registra una riduzione dell'11%; fatto, questo, indicativo di una minore reattività degli allevamenti siciliani alla situazione di crisi che, negli anni '80, ha investito il comparto a livello nazionale.
Nell'ambito della Sicilia, tuttavia, è possibile osservare tendenze evolutive non uniformi con riferimento alle diverse provincie, riscontrandosi incrementi più o meno marcati in provincia di Enna (+ 51%), di Messina (+ 36%), di Catania (+ 34%) e di Ragusa (+ 9%), a fronte di riduzioni, anch'esse più o meno marcate in tutte le altre provincie.
Sembra evidenziarsi pertanto un processo evolutivo, in termini di allocazione delle risorse, per cui l'attività zootecnica tende a localizzarsi laddove si realizzano condizioni più favorevoli, siano esse connesse ad una vocazione naturale dell'area legata alle particolari ca-
ratteristiche pedoclimatiche, o alla presenza di attività di valorizzazione del prodotto, o ancora alle scarse opportunità di utilizzazione alternativa dei fattori produttivi.
Tale evoluzione si accompagna alla riduzione degli allevamenti di piccole dimensioni e all'aumento di quelli di maggiori dimensioni. La consistenza media degli allevamenti, infatti, nello stesso periodo, è notevolmente aumentata, da 18,7 a 28,9 capi per azienda, per effetto non solo della crescita, in termini assoluti, del patrimonio bovino, ma anche della riduzione del numero delle aziende (– 29%), potendosi osservare tra l'altro un maggiore dinamismo delle classi di ampiezza superiore a 49 capi.
Risulta evidente, infine, un processo di concentrazione della capacità produttiva negli allevamenti di maggiori dimensioni, registrandosi aumenti da 2/3 ad oltre 4/5 del patrimonio bovino in corrispondenza delle classi di ampiezza con più di 19 capi, e da 1/3 ad oltre la metà in quelle con ampiezza superiore a 49 capi.
Permane, tuttavia, ancora molto ampio il numero degli allevamenti di modeste dimensioni (il 55,1% delle unità produttive ha un'ampiezza che non supera i 19 capi), insufficienti per consentire adattamenti in vista di una maggiore efficienza economica.
L'indirizzo prevalente nelle aree interne è di tipo misto, nel quale, accanto alla produzione di carne, secondo il classico schema "vacca-vitello", si affianca quella casearia. La diffusione di aziende scarsamente specializzate è dettata dalle condizioni ambientali, in genere carenti di risorse foraggere, ove il ricorso al pascolamento rappresenta spesso l'unica fonte di alimentazione.
Le razze allevate sono costituite per lo più dalla popolazione indigena – derivante da incroci di modicana e di cinsara, le cui caratteristiche di rusticità consentono loro di adattarsi a situazioni ambientali ed alimentari difficili.
Si tratta però di incroci spesso indiscriminanti e non controllati che hanno portato gravissimo nocumento al mantenimento e alla salvaguardia del patrimonio autoctono, che si è progressivamente ridotto.
Nelle aree di pianura e in quelle di collina maggiormente favorite trova più ampia diffusione l'allevamento bovino nelle sue forme specializzate ed intensive, con riferimento sia alla bovina da latte di razza frisona, ma anche bruno alpina e modicana, sia al vitellone da ristallo per lo più di razza ed origine esotica.
In definitiva i processi sinteticamente delineati, ancorché rispondenti a quelli di una realtà in sviluppo, sottendono ancora, sotto diversi aspetti, una situazione di ritardo la cui persistenza è di fatto condizionata dalla sottoremunerazione dei fattori produttivi immessi dall'imprenditore e dalle complesse interdipendenze in cui gli aspetti sociali hanno un peso notevole.
2.3.  ALLEVAMENTI OVI-CAPRINI
Dal consuntivo dell'Assessorato alla sanità al 31 dicembre 1996 risultano n. 9.484 allevamenti ovi-caprini per totali n. 1.026.486 capi.
Questi sono localizzati essenzialmente nelle aree collinari e montane, trovando peraltro valida espressione, specie in termini di intensività, anche nelle aree costiere e di pianura.
Il tipo di allevamento più diffuso è quello nomade su terreni in affitto o, addirittura, occasionali.
Per gli ovini e i caprini, l'aumento della consistenza dei capi allevati in Sicilia (rispettivamente + 143% e + 111%) segue, sia pure in misura assai più accentuata, quella media nazionale (+ 30% e + 25%). Tale evoluzione, connessa in gran parte alla favorevole situazione di mercato, si accompagna, con particolare riferimento agli allevamenti ovini della Sicilia, all'incremento delle relative unità produttive (+ 30%), mentre per gli allevamenti caprini si osserva una loro riduzione (– 11%), sia pure di modesta entità. Anche per essi, inoltre, si evidenzia la crescita della dimensione media degli allevamenti in termini di capi (da 57 a 106 unità per gli ovini e da 13 a 31 unità per i caprini).
Nonostante i cambiamenti strutturali rilevati per questi allevamenti si mostrino così ampi e significativi, si può fondatamente ritenere che le sollecitazioni del mercato solo limitatamente operino nei loro confronti in direzione di adattamenti organizzativi e strutturali.
Tenuto conto che di tale comparto si occupa uno specifico piano di intervento regionale, già operante, in questa sede serve richiamare alcuni fatti nuovi che ne hanno caratterizzato la più recente evoluzione, successivamente alla redazione del suddetto piano, e che possono ricondursi alle azioni di miglioramento genetico ivi previste.
Il primo fatto, di grande interesse, riguarda l'avvio delle procedure per l'istituzione di un centro genetico per la razza ovina comisana. Tale centro rappresenterà certamente un volano per avviare un serio programma di miglioramento genetico della razza comisana. Esso, inoltre, potrà affrontare nel futuro il problema del miglioramento genetico delle altre razze ovine e delle razze caprine siciliane.
Altro fatto di grande rilievo è relativo al riconoscimento a rango di razza – avvenuto nel 1993 – della popolazione fino ad allora definita "pinzirita" o "siciliana" propriamente detta, costituendo, questa, dopo quella "sarda", la popolazione ovina più rappresentata in Italia, con circa 200 mila capi individuati come soggetti rispondenti su un totale di oltre 700 mila capi.
Tra le altre azioni, sempre nel campo del miglioramento genetico, vanno infine ricordati i controlli in atto della produzione lattea, oltre a quelli della produzione carnea, degli ovini di razza barbaresca, finalizzati al riconoscimento della duplice attitudine di tale razza, capace di fornire, accanto a carcasse di pregio, anche una consistente produzione lattea.
Infine, nel corso degli ultimi anni, sono stati intensificati i controlli sulla pecora della Valle del Belice, che sembra potersi caratterizzare per una produzione lattea più che interessante in termini sia quantitativi che qualitativi.
L'indisponibilità di quote latte ha costretto molte aziende bovine a variare l'indirizzo produttivo verso gli ovini e i caprini. In particolare la grande richiesta di capretti dal mercato e la rivalutazione del latte caprino stanno ridestando l'interesse degli allevatori per questa specie.
Le azioni intraprese costituiscono certamente importanti strumenti di stimolo per la rivitilizzazione del comparto, esse tuttavia per produrre effetti concreti necessitano di ulteriori interventi coordinati di orientamento e di sostegno, così come previsto nel piano di intervento regionale.
Infine si devono salvaguardare tutte le razze o semplici popolazioni ovi-caprine in via di estinzione dando mandato all'Istituto sperimentale zootecnico, al Consorzio per la ricerca sulla filiera lattiero-casearia ed alle Facoltà di agraria dell'università di Catania e di medicina veterinaria dell'università di Messina, di attivare studi specifici su queste popolazioni per meglio conoscerne le caratteristiche produttive.
2.4.  ALLEVAMENTI SUINI
Gli allevamenti suini, nel periodo 1982-91, manifestano una situazione di crisi, evidenziata dalla diminuzione del relativo patrimonio da 114.893 a 100.108 capi (– 13%). Essa, tuttavia, sembra sottendere un processo di riorganizzazione del comparto, connesso alla drastica riduzione delle aziende (– 43%) e alla conseguente concentrazione della capacità produttiva.
La distribuzione degli allevamenti suini per classe di ampiezza conferma un accentuato bipolarismo strutturale, caratterizzato da dimensioni aziendali o molto piccole o molto grandi. Le aziende con 1-2 capi rappresentano il 54% del totale, ma intercettano solo il 4% del totale dei capi allevati, mentre quelle con oltre 500 capi, pur incidendo per lo 0,5% sul totale, assorbono oltre il 40% della capacità produttiva
La distribuzione geografica degli allevamenti suini in Sicilia si concentra nelle provincie di Messina, Enna e Ragusa, che insieme interessano l'83% circa delle unità produttive. Diversamente distribuito risulta il patrimonio suino, in ragione della forte variabilità tra le dimensioni medie degli allevamenti nelle diverse provincie. Le discordanze maggiori si riscontrano in provincia di Catania e di Messina: nella prima, dove la struttura dell'allevamento presenta la più elevata concentrazione (in media 95 capi per azienda), si localizza il 21,1% dei capi, ma solo il 3,9% delle aziende; nella seconda, al contrario, ove la struttura è fortemente polverizzata (in media 9 capi per azienda) ricadono il 24,7% dei capi ed il 46,5% delle aziende.
Altro aspetto strutturale di notevole rilevanza riguarda la limitata incidenza di aziende con scrofe sul totale delle aziende con suini (27,6%), fatto, questo, che evidenzia la diffusione di allevamenti cosiddetti "a ciclo aperto", nei quali si effettua la sola fase di ingrasso di suinetti acquistati da altri allevamenti.
La suinicoltura siciliana, al pari di quella italiana, si è sviluppata attraverso forme di allevamento intensivo, in cui la produzione zootecnica si realizza senza l'utilizzazione di terreno agrario. Le possibilità di evoluzione del comparto in questa direzione, tenuto conto dei vincoli di compatibilità ambientale, appaiono soprattutto collegate all'introduzione di innovazioni tecnologiche, nonché agli adattamenti organizzativi e gestionali capaci di migliorarne la produttività.
Nell'ambito delle politiche di salvaguardia del patrimonio autoctono, dovrà trovare posto il suino nero dei Nebrodi, per il quale è opportuno comunque verificare le condizioni che ne consentono l'allevamento senza alterare i delicati equilibri ambientali.
2.5.  ALLEVAMENTI EQUINI
Quanto agli equini, dai dati rilevati emerge un forte caldo della consistenza dei capi (– 57%) e delle aziende (– 65%). Tale trend negativo, evidenziato dal confronto dei dati censuari, si riallaccia, com'è noto, alla situazione di difficoltà che da lungo tempo ha investito l'allevamento di questa specie. Tali dati, tuttavia, sembrano penalizzare eccessivamente la reale consistenza del patrimonio equino siciliano, potendo esso contare attualmente, sulla base delle verifiche effettuate, su un patrimonio di circa 30.000 capi, con riferimento alla popolazione cavallina, e a 1.000-1.500 capi, per l'insieme di asini, muli e bardotti.
Stime prudenziali indicano in 1.500-2.000 unità i cavalli della razza-popolazione "sanfratellina", in 60-70 i soggetti di razza "puro sangue orientale" e 800-1.000 quelli di razza "franches montagnes". Crescente anche se ancora limitata è la presenza di cavalli sportivi (sella italiano, sella francese) e da corsa.
Tutto il resto della popolazione cavallina siciliana è da considerare di tipo comune, non selezionata né da organismi regionali (Istituto di incremento ippico), né da altri enti; essa tuttavia affluisce per la monta nelle stazioni di fecondazione sia del suddetto istituto sia di privati.
Tale popolazione è costituita da soggetti allevati allo stato semibrado e brado anche in mandrie di una certa consistenza, ma più frequentemente in piccoli gruppi o singoli individui.
La produzione di carne assume un ruolo primario, benché il contributo delle razze specializzate (franche-montagnes e incroci con popolazioni indigene) sia alquanto modesto e la popolazione cavallina siciliana sia poco qualificata per tali finalità produttive, causa questa del basso livello di produttività e della insoddisfacente qualità del prodotto.
L'allevamento equino brado e semibrado di tipo promiscuo, finalizzato alla produzione di carne, va opportunamente incoraggiato, in quanto può trovare convenienza economica accanto e ad integrazione di allevamenti di altre specie, ubicati nelle zone a pascolo di collina e di montagna.
Al fine di incrementare e migliorare la produzione di carne equina, occorre puntare alla selezione dei soggetti allevati particolarmente attraverso la realizzazione di incroci con la razza franche-montagne.
Per quanto attiene al cavallo distinto da sella, il manifestarsi di un crescente interesse verso il turismo equestre ed i centri di equitazione suggerisce di prestare maggiore attenzione verso questo indirizzo, seppur ancora poco diffuso. Anche in questo caso, occorre migliorare il lavoro di selezione per ottenere soggetti da utilizzare per il completo di equitazione e per il dressage.
Un discorso a parte merita il cavallo sanfratellano, il cui ruolo principale dovrebbe essere quello di migliorare il parco fattrici negli allevamenti finalizzati sia alla produzione di carne sia del cavallo distinto da sella.
La presenza di asini in Sicilia, estremamente ridotta, meriterebbe maggiore attenzione anche per la qualità del latte fornito da queste specie animali particolarmente adatto per i bambini intolleranti al latte vaccino.
Inoltre la salvaguardia delle razze asinine pantesca e ragusana potrebbe essere sfruttato sia nelle aziende agrituristiche sia per la visita guidata dei parchi naturali o quale immagine da abbinare a particolari bellezze ambientali, per attrarre il turista dimostrando una diversa qualità della vita in alcune piccole isole, tipo Pantelleria e Linosa.
2.6.  ALTRI ALLEVAMENTI
La specie bufalina rappresenta oggi più che mai per gli allevamenti siciliani un'alternativa ai bovini da latte, giacché sembra adattarsi perfettamente alle condizioni pedoclimatiche isolane e ancor più perché la produzione del latte e dei derivati non risulta in atto contingentata dal sistema delle quote.
Per questo allevamento si introducono ampi spazi sia per incrementare la produzione del latte che per migliorarne la qualità, considerato che ad oggi il lavoro di selezione sui soggetti in produzione è da considerarsi pressocché inesistente.
Per gli avicoli è noto il processo di riorganizzazione che ha segnato il ridimensionamento dei relativi allevamenti, in termini sia di capi (– 11%) che di aziende (– 32%), contestualmente all'affermarsi di impianti di grandi dimensioni.
Nonostante si assista alla drastica riduzione degli allevamenti avicoli e l'avanzato processo di ristrutturazione del comparto, vanno comunque perseguiti ulteriori obbiettivi quali il miglioramento della qualità e la differenziazione della produzione che tengano conto delle preferenze dei consumatori. Potrebbe essere quindi potenziata la produzione di polli pesanti, allevati con sistemi più "naturali", che ne avvicinino le caratteristiche a quelle dei polli ruspanti.
Anche per gli allevamenti cunicoli, per i quali si rileva una crescita apprezzabile in termini di capi (+ 20%), vale quanto si è detto per gli avicoli, riguardo al processo di organizzazione che ha interessato il comparto in direzione di una concentrazione della capacità produttiva in impianti di grandi dimensioni, con drastico ridimensionamento numerico delle unità produttive (47%).
Nell'ambito di questo tipo di allevamento si intravvedono spazi sia per incrementare la produzione che per migliorarne la qualità, potendo trovare la carne di coniglio un ulteriore apprezzamento da parte dei consumatori per le sue caratteristiche dietetiche. Per il perseguimento di tale obiettivo risulta comunque cruciale il miglioramento della gestione dei sistemi di alimentazione, riducendo l'apporto dei mangimi e ricorrendo ai fieni ed a taluni sottoprodotti.
Tra gli allevamenti minori, quello apistico versa ormai da oltre un decennio in una situazione di crisi, connessa, oltre che alle croniche carenze di natura strutturale ed organizzativa alle gravi infestazioni da Varroa ed alle altre patologie che hanno determinato un'elevata mortalità delle famiglie di api, con conseguente calo della consistenza delle aziende e degli alveari.
L'apicoltura siciliana è svolta per lo più in forma nomade nelle aree dove sono in fioritura piante d'interesse per questo allevamento (agrumi, eucalipto, timo, sulla, ecc.); solo in limitate aree della Sicilia occidentale, degli Iblei e dell'Etna, sono presenti alcuni impianti adeguatamente attrezzati e razionalmente gestiti.
E' pertanto necessario dare piena attuazione al Piano regionale per l'apicoltura – al quale si rinvia – al fine di rilanciare questo comparto.
Quanto all'acquacoltura, essa è attualmente rappresentata in Sicilia da cinque impianti di media dimensione, alcuni dei quali gestiti da cooperative giovanili. Anche se il livello tecnologico di detti impianti risulta generalmente buono, essi necessitano di miglioramenti che consentano di conseguire adeguate economie di scala. Tuttavia, le possibilità di consolidamento di questo comparto appaiono soprattutto legate alle scelte riguardanti il mercato (con particolare attenzione alle possibilità di collocamento del prodotto nei mercati extraregionali), per gli importanti riflessi che esse hanno sulla redditività delle suddette imprese.
Negli ultimi tempi cresce l'interesse verso gli allevamenti di struzzi. Lo struzzo si rileva infatti un interessante animale da reddito, vista la possibilità di utilizzarne tutte le parti: la carne per le peculiari caratteristiche nutritive, basso contenuto di colesterolo e grassi, la pelle per la concia e le piume per ornamento.
Sebbene di origine africana, la spiccata capacità di adattamento ai diversi ambienti, in particolare a quello mediterraneo, lo hanno posto all'attenzione di giovani imprenditori anche siciliani che ne hanno con successo promosso l'allevamento.
3.  LE PRODUZIONI ZOOTECNICHE: FLUSSI, DESTINAZIONE E TRASFORMAZIONE
3.1.  LA PRODUZIONE LORDA VENDIBILE
Nell'ambito dell'agricoltura siciliana le produzioni zootecniche mantengono una discreta rilevanza economica, contribuendo per circa il 15% alla formazione della produzione lorda vendibile regionale. A tale quota fornisce il maggiore contributo il comparto bovino nel suo complesso, che, nel periodo 1981-92, ha realizzato un notevole sviluppo: il valore della PLV della carne e di quella del latte bovino, calcolato in lire costanti, è aumentato rispettivamente del 55% e del 52%, accrescendo, la prima il suo peso sulla PLV degli allevamenti dal 26% al 37,3% e la seconda, dal 13,9% al 19,1%.
Quanto alle produzioni ovine e caprine sembra evidenziarsi, nello stesso periodo, un aumento modesto per la PLV della carne (+ 10%, ancor più ridotto per quella del latte (+ 2%), mantenendo la prima il suo peso relativo sulla complessiva PLV degli allevamenti, pari al 7,0%, e arretrando il secondo dall'8,4% al 7,9%. Di conseguenza si ritiene fondata una sottovalutazione dell'entità delle corrispondenti produzioni che appaiono più che dimezzate rispetto al loro valore reale.
Per la carne suina, si registra un sensibile decremento della PLV, pari, in lire costanti, al 48% e un forte ridimensionamento del suo contributo alla formazione di quella complessiva degli allevamenti (dal 13,2% al 6,1%).
Lo stesso dicasi per pollame e conigli, la cui PLV è diminuita del 35%, mentre il suo peso su quella degli allevamenti è passato dal 16,1% al 9,5%.
La produzione di uova mostra un lieve arretramento, sia in termini quantitativi che di valore (– 4%), riducendo il suo peso sulla PLV del settore dal 13,0% all'11,4%.
Le produzioni minori conseguono tutte risultati positivi, in termini quantitativi, ma poco soddisfacenti in termini di valore, ad eccezione del miele che registra invece un notevole sviluppo della PLV (+ 128%). Nel complesso dette produzioni, nel periodo considerato, mantengono invariata la loro aliquota, pari allo 0,4%.
Per affrontare correttamente le problematiche del settore zootecnico non si può prescindere sia a livello di analisi che a livello politico e strategico da un approccio integrato delle filiere produttive che compongono il sistema delle produzioni animali. I ritardi accumulati a questo riguardo hanno certamente influito negativamente sullo sviluppo del settore zootecnico in Sicilia, stante la progressiva integrazione dei diversi segmenti delle filiere agro-alimentari, dove le fasi della commercializzazione assumono un ruolo crescente anche in rapporto alla progressiva globalizzazione dei mercati.
Un elemento di questo ritardo è rappresentato dalle notevoli difficoltà che si prospettano nell'acquisire un'adeguata documentazione statistica, che, oltre ad essere lacunosa, risulta scarsamente funzionale alle analisi a carattere verticale, essendo organizzata secondo criteri orizzontali di distinzione fra settori di attività economica (agricoltura, industria commercio).
Ciò premesso, appare comunque utile tracciare nelle linee generali le principali problematiche connesse alla filiera lattiero-casearia e a quelle che compongono il sistema carne, ritenendosi peraltro oltremodo urgente promuovere studi ed iniziative volti ad affrontare i diversi aspetti economici ed organizzativi, anche al fine di definire adeguate strategie per stimolare e valorizzare le produzioni di qualità.
3.2.  LA FILIERA LATTIERO-CASEARIA
La produzione siciliana di latte bovino ammonta, con riferimento alla media del triennio 1990-92, a circa 2,5 milioni di ettolitri, di questi, secondo recenti stime, circa il 40% è destinato al consumo diretto e la restante parte alla trasformazione casearia.
Il mercato di destinazione del latte per consumo diretto è rappresentato esclusivamente da quello regionale, risultando peraltro largamente insufficiente a coprire la relativa domanda, che viene soddisfatta con importazioni da altre regioni e dall'estero in una misura che si valuta pari a circa 4/5 del relativo fabbisogno.
Per quanto riguarda la lavorazione e la trasformazione del latte bovino, essa viene effettuata in misura prevalente (il 55-60% della produzione) direttamente nelle aziende, con tecniche tradizionali, spesso con strutture inadeguate a garantire quei requisiti igienico-sanitari e di omogeneità qualitativa dei prodotti, indispensabili per consentirne la valorizzazione.
Risultano, al momento, riconosciuti quali acquirenti di latte bovino, ai sensi dell'art. 7, lett. A del regolamento della Comunità economica europea n. 536/93 del 9 marzo 1993, n. 70 ditte acquirenti, opportunamente iscritte all'albo regionale all'uopo istituito nell'ambito dell'applicazione del regime quote latte.
Si precisa in merito che per acquirente di latte bovino, così come definito dal regolamento della Comunità economica europea n. 3950/92 del 28 dicembre 1992, art.9 deve intendersi:
—  «un'impresa o un'associazione che acquista latte o altri prodotti lattiero-caseari presso il produttore:
–  per procedere al loro trattamento o alla loro trasformazione;
–  per cederli a una o più imprese dedite al trattamento o alla trasformazione del latte o di altri prodotti lattiero-caseari».
In particolare si precisa che dei 70 acquirenti riconosciuti, n.11 effettuano la sola attività di raccolta, n. 42 trasformano, e dei restanti 17, ad alcuni è già stato predisposto il provvedimento di revoca a seguito di cessata attività mentre ad altri è pervenuta comunicazione di "non lavorazione".
Ancora più precisamente, dei 44 acquirenti che hanno operato nella campagna lattiera 1995-96, soltanto 19 hanno raccolto e/o trasformato una quantità di latte superiore a 10 mila tonnellate (dati riferiti al solo latte vaccino prodotto nel rispetto delle quote a ciascuno assegnate).
Le suddette imprese associano generalmente alla lavorazione del latte l'attività di commercializzazione dei prodotti lavorati, destinati quasi esclusivamente al mercato regionale, riuscendo a coprire, secondo alcune stime il 30-35% circa del corrispondente consumo.
Nonostante i limiti e le carenze delle statistiche ufficiali, è evidente che l'industria lattiero-casearia siciliana è attualmente insufficiente sia per far fronte, in termini di capacità produttiva, ad una domanda in espansione, sia per rispondere in termini strutturali ed organizzativi, alle esigenze di coordinamento e di valorizzazione dell'offerta, che presenta caratteri di dispersione e di polverizzazione.
Le stesse imprese cooperative stentano a decollare: la numerosità degli operatori agricoli, la scarsa capacità di influenzarne l'attività produttiva, la presenza di variazioni stagionali, ecc. rappresentano alcuni dei principali problemi che in genere le imprese appartenenti a questo gruppo incontrano nel programmare la loro produzione e che si riflettono negativamente sulla loro capacità di definire adeguate strategie di mercato. Esse potrebbero comunque occupare spazi interessanti particolarmente nella produzione di formaggi tipici della nostra tradizione casearia.
Attualmente, in Sicilia, solo per due formaggi, il "ragusano" ed il "pecorino siciliano" sono state realizzate in questo senso concrete iniziative, che ne hanno consentito il riconoscimento, anche da parte della Comunità europea, della "denominazione di origine protetta". Sono state inoltre avanzate al M.R.A.A.F., da parte della A.R.A.S., le richieste per il riconoscimento della denominazione di origine per i formaggi "palermitano" e "canestrato siciliano".
Le prospettive di successo di questi e di altri prodotti caseari siciliani, che meritano un riconoscimento ed un'adeguata tutela, risultano comunque strettamente legale ad azioni nel campo della ricerca e dell'assistenza tecnica, finalizzate all'ottenimento di produzioni con standard qualitativi omogenei, nonché a politiche di marchio e di comunicazione che ne consentano la valorizzazione commerciale.
Alcune positive evoluzioni si segnalano infine nel mercato del latte alimentare, dello yogurt e della mozzarella, mercati nei quali la marca industriale assume un ruolo importante, venendo percepita dal consumatore come garanzia di qualità, ed il prodotto industriale venendo preferito a quello artigianale privo di marca.
In definitiva, anche tenuto conto di alcune dinamiche positive, numerosi sono ancora i punti di debolezza che mortificano le potenzialità della filiera lattiero-casearia, tra cui principalmente:
—  la scarsa standardizzazione dei prodotti (relativa alle peculiarità qualitative omogenee riferibili anche a zone di produzione definite) imputabile sia alla materia prima che alle tecnologie di caseificazione, condizione che frena la loro diffusione sul mercato;
—  la limitata integrazione fra produzione e commercializzazione, con conseguenti diseconomie che pesano sui costi di commercializzazione e sulla gestione degli impianti;
—  l'inadeguatezza di impianti ed attrezzature, particolarmente sotto il profilo igienico-sanitario, a fronte di una domanda che si orienta sempre più verso livelli qualitativi elevati;
—  l'insufficiente e spesso assente azione di valorizzazione delle produzioni tipiche, per le quali vanno adottate opportune strategie di marketing.
Sul quadro non certamente positivo, grava la necessità di adeguamento e di ammodernamento degli impianti, alla nuova normativa comunitaria in materia sanitaria per la produzione e commercializzazione del latte crudo e lavorato (direttiva n. 92/46 della Comunità economica europea) a cui è stata data esecuzione col D.P.R. n.54 del 14 gennaio 1997 e che impone alle strutture produttive un impegno in termini di investimenti al fine di assicurare il mantenimento ed il conseguimento dei requisiti igienico-sanitari richiesti.
Quanto alla produzione di latte ovicaprino, esso viene quasi esclusivamente destinato alla trasformazione, effettuata nell'ambito aziendale.
Per i prodotti caseari ovicaprini si pongono in modo ancor più accentuato i problemi evidenziati per quelli bovini e già richiamati nello specifico documento di piano, al quale pertanto si rinvia.
Occorre infine tenere presente che la filiera lattiero-casearia opera in un contesto sempre più complesso, per effetto del processo di globalizzazione dei mercati nel quale si afferma il ruolo progressivamente crescente della grande distribuzione. Se per l'insieme dei prodotti alimentari la quota di mercato detenuta da questa si situa intorno al 50%, per la maggior parte dei lattiero-caseari essa raggiunge il 70%.
Nell'ultimo decennio si è assistito in Italia a notevoli cambiamenti della struttura distributiva alimentare: netto calo dei punti di vendita e sostitutiva dei negozi tradizionali con superfici di vendita sempre più estese (superette, supermercati, ipermercati, discount ed hard discount).
Essa tuttavia non si configura ancora in modo omogeneo in tutto il Paese: nel sud, il dettaglio tradizionale è ancora nettamente predominante, mentre nel nord, la distribuzione alimentare sta assumendo sempre più un profilo europeo.
In considerazione di tale scenario e della veloce evoluzione della distribuzione commerciale, le preoccupazioni in merito al destino dei prodotti lattiero-caseari siciliani, ed in modo particolare per i prodotti tipici e tradizionali, diventano estremamente serie. Quanto più il mercato si orienterà verso la grande distribuzione organizzata, tanto più esso sarà dominato da prodotti con standard qualitativo medio e con prezzi tendenzialmente bassi. Questa prospettiva potrebbe anche modificarsi per effetto della crescente consapevolezza dei consumatori e dei problemi collegati alla salvaguardia dell'ambiente, per cui la grande distribuzione potrebbe in futuro perseguire strategie di differenziazione dei prodotti, non necessariamente alternative a quelle di prezzo; ad esempio, le catene distributive potranno differenziarsi per fasce diverse di rapporto prezzo/qualità. Tuttavia i prodotti zootecnici siciliani, caratterizzati da una forte polverizzazione dell'offerta difficilmente potranno inserirsi nella grande distribuzione, sia perché il loro volume di produzione probabilmente non raggiunge la massa critica necessaria per entrarvi, sia perché non sono in grado di sostenere una competizione di prezzo.
Si prospetta dunque una situazione progressivamente più pesante, se la filiera nei suoi diversi segmenti non sarà in grado di organizzarsi per conquistare spazi di mercato alternativi, senza mortificare la valenza storico-culturale dei propri prodotti. Ciò vale in particolare per i formaggi tipici per i quali occorre un'adeguata programmazione delle relative produzioni in termini quantitativi che qualitativi.
3.3.  LA FILIERA DELLE CARNI
Per esaminare la produzione interna di carne occorre rifarsi ai dati sulle macellazioni; essi riguardano tutti i capi macellati nel territorio, compresi quelli importati. Detta produzione, con riferimento al triennio 1990-92, ammonta in complesso a circa 593.231 quintali di peso morto. I bovini vi contribuiscono, con 424.003 quintali, seguiti, in ordine d'importanza, dai suini (108.687 quintali), dagli ovini e caprini (43.303 quintali) e dagli equini (17.238 quintali). A questa occorre aggiungere la produzione macellata di pollame e conigli, non compresa nelle rilevazioni ISTAT sulle macellazioni, e valutata in 165.000 quintali.
La produzione interna di carne riesce a coprire solo in parte il fabbisogno della Sicilia, in una misura che si stima intorno al 25-30%.
La composizione interna al deficit del sistema carne è peraltro differenziata in rapporto ai diversi comparti. Il contributo nettamente preponderante ai flussi importativi, in rapporto ai maggiori consumi totali e procapite, è imputabile ai due principali comparti: quello bovino e quello suino.
Riguardo alla consistenza e alle caratteristiche delle imprese di macellazione e lavorazione delle carni, la Sicilia è caratterizzata dalla diffusa presenza di strutture pubbliche, secondo un vecchio modello organizzativo di tipo approvvigionale, finalizzato cioè a garantire i rifornimenti alimentari nei centri abitati.
In base alle informazioni desumibili dalle rilevazioni sulle macellazioni, gli impianti pubblici assorbono il 79% circa dei quantitativi di carne complessivamente macellata, con incidenze diverse a seconda delle specie di bestiame: maggiormente elevate per gli ovini e i caprini (91,2%), ridotte invece per gli equini (37,9%).
Accanto alle strutture pubbliche operano le imprese private, di dimensioni molto variabili: quelle di tipo industriale stentano ad affermarsi ed interessano tuttora il 10,5% delle carni complessivamente macellate, i mattatoi di tipo artigianale, compresi i locali annessi alle macellerie intercettano i restanti quantitativi.
Il settore dei trasformati è praticamente marginale, rappresentando peraltro la branca dove si realizzano i flussi d'importazione relativamente più forti. Motivi strutturali ed igienici inducono infatti la distribuzione a selezionare grandi operatori adeguatamente attrezzati e che possono dare congrue garanzie.
La filiera delle carni si trova ad affrontare, com'è noto, una situazione critica in rapporto all'entrata in vigore del D.L. n. 286/94, che recepisce le direttive n. 91/497 e 91/498, che disciplinano la produzione e commercializzazione delle carni fresche. La mancanza dei requisiti prescritti per i macelli siciliani, costituiti principalmente da macelli comunali di piccole dimensioni, ha determinato una situazione di emergenza, cui hanno fatto seguito diverse iniziative dell'Assessore regionale alla sanità e del Ministro della sanità volti a differire i termini per l'adeguamento strutturale dei macelli di ridotta capacità, evitandone in tal modo la chiusura.
Le modifiche ultimamente apportate dal Consiglio dell'Unione europea alle suddette direttive dettano condizioni meno restrittive per i macelli di ridotta capacità operativa in regioni che presentano particolari condizioni geografiche, o di approvvigionamento, com'è il caso della Sicilia, per quanto riguarda sia il numero di capi da macellare per anno, innalzato da 1.000 a 2.000 UGB, sia il computo delle UGB, con l'innalzamento dei relativi tassi di conversione, sia infine le procedure di autorizzazione, per le quali non si richiede l'assenso della Commissione dell'Unione europea.
Pur tenendo conto della necessità di riformulare in modo meno rigido i criteri di adeguamento delle strutture di macellazione in ragione delle sue specifiche condizioni, al fine di evitare eccessive penalizzazioni per il settore zootecnico e per gli stessi consumatori, occorre comunque puntare alla riduzione, concentrazione e specializzazione degli impianti su standard europei; e ciò anche in rapporto agli obiettivi di risanamento e ristrutturazione della produzione e commercializzazione del settore zootecnico ed il suo adeguamento secondo criteri di economicità alle esigenze di mercato, come previsto dal piano carni di cui alla legge n. 87/90;
Anche per la filiera delle carni vale quanto osservato per la filiera lattiero-casearia a proposito dello sviluppo della grande distribuzione, la quale commercializza quote crescenti dei consumi di carne distribuita al dettaglio. Il nodo di una sfavorevole concorrenza di prezzo con la grande distribuzione può essere fronteggiato soltanto se si riesce a trasferire al consumatore prodotti riconoscibili che possono essere garantiti nei confronti dei requisiti desiderati e modulati a vari regimi qualitativi.
In definitiva, le possibilità di sviluppo della produzione di carne, in particolare di quella bovina, sono sfavorevolmente condizionate, a monte, da sistemi produttivi spesso poco adeguati per l'ottenimento di un prodotto di qualità, così come viene percepita dal consumatore (colore, sapore, tenerezza), a valle, dalla debolezza delle strutture di macellazione, conservazione e trasformazione.
La produzione di carne bovina in Sicilia, fatta eccezione per i pochi centri di ingrasso che producono un vitellone da ristallo, spesso con criteri intensivi e quindi macellato precocemente, nella maggior parte dei casi riguarda l'ottenimento di un bovino che può raggiungere anche i 2 anni di età, con grave pregiudizio, quindi, delle caratteristiche qualitative delle carni nel senso anzidetto.
Per la caratterizzazione qualitativa delle produzioni zootecniche risulta pertanto centrale favorire l'integrazione delle diverse linee produttive (fra centri di riproduzione costituiti dagli allevamenti estensivi situati nelle aree interne ed i centri di ingrasso a carattere intensivo) nonché dei vari segmenti produttivi, attraverso diverse modalità organizzative, come consorzi di qualità o associazioni di imprese a carattere cooperativo, purché vincolate alla definizione di un sistema di qualità (marchio di qualità e di origine).
4.  LINEE STRATEGICHE PER LO SVILUPPO DEL SETTORE
4.1.  I VINCOLI
Allo scopo di definire le scelte strategiche e in relazione agli obiettivi di sviluppo del settore zootecnico, occorre tener conto di una serie di problemi che assumono carattere vincolante rispetto alla possibilità di conseguire gli obiettivi di zootecnia siciliana. Essi possono ricondursi a tre principali fattori: le risorse naturali e l'ambiente, la domanda dei prodotti zootecnici, il quadro normativo.
4.1.1.  Le risorse naturali e l'ambiente
L'attività zootecnica, principalmente localizzata in aree con scarse utilizzazioni alternative, assolve una serie di funzioni connesse con l'utilizzazione di fattori produttivi a basso costo opportunità, esercitando di conseguenza una funzione di tutela e salvaguardia di territori che, altrimenti, verrebbero facilmente abbandonati e resi suscettibili a fenomeni di erosione e dilavamento.
L'esigenza largamente sentita per un ambiente più equilibrato, è destinata ad acquistare nel tempo sempre più peso, spostando i vantaggi relativi di produzioni ed aree e stimolando la ricerca verso tecniche compatibili con tale domanda.
La riforma della PAC nel settore delle carni bovine riflette, d'altro canto, questo nuovo orientamento in materia di ambiente. Essa, infatti, condiziona la concessione dei premi alla densità di carico di bestiame (max 2 UBA per Ha. di superficie foraggera, allorché la PAC entrerà a regime, cioè nel 1996) e introduce un premio all'allevamento estensivo (max 1,4 UBA per Ha.), incoraggiando in tal modo il ricorso a metodi di produzione di tipo estensivo, come quelli generalmente adottati nelle zone interne della Sicilia.
Va tenuto presente pertanto che il nuovo regime dei premi insieme alla riduzione dei prezzi al produttore (il prezzo d'intervento per le operazioni di sostegno del mercato della carne bovina è stato nel frattempo ridotto del 15%) tendono a rendere maggiormente competitive le carni bovine prodotte in maniera estensiva.
Si dovrebbero stimolare le produzioni di carni prodotte in allevamenti estensivi locali, con precisi marchi di riconoscimento per il consumatore, in modo da aprire nuovi spazi di mercato per tali prodotti.
Agli imprenditori agricoli che operano nelle zone montane e svantaggiate, l'Unione europea concede inoltre una sovvenzione per ettaro o per unità di bestiame (UBA), cosiddetta "indennità compensativa", quale compensazione appunto degli ostacoli naturali e strutturali alla loro produzione, riconoscendone allo stesso tempo il ruolo essenziale nella salvaguardia dell'ambiente.
L'indennità compensativa (attualmente disciplinata dalle di sposizioni dell'art. 19 del regolamento della Comunità economica europea n. 2328/91, successivamente integrato dal regolamento della Comunità economica europea n. 870/93) ha trovato finalmente applicazione in Sicilia.
La sua piena applicazione consentirebbe di mettere in atto nella nostra Regione, alla stregua di altri Paesi, uno strumento essenziale per sostenere il reddito degli agricoltori nelle zone meno favorite.
Uno dei problemi maggiormente condizionanti lo sviluppo del settore zootecnico, particolarmente nelle aree svantaggiate, è rappresentato dalla possibilità di assicurare la continuità del rifornimento produttivo delle risorse foraggere.
Stime recenti hanno consentito di accertare come gli allevamenti zootecnici della Sicilia abbiano un fabbisogno annuo complessivo di circa 1,5 miliardi di unità foraggere. Di contro, i dati statistici relativi alla produzione foraggera mostrano che le attuali disponibilità coprono meno del 50% del fabbisogno. Questo enorme divario tra fabbisogni e disponibilità esprime compiutamente le gravi difficoltà in cui versa la zootecnia siciliana.
La produzione foraggera isolana si basa su produzioni di pascoli, erbai, e prati avvicendati che, nel complesso, presentano una serie di problemi, quali: bassa produttività, stagionalità delle produzioni, scadente qualità del foraggio.
La quantità e la qualità delle produzioni, nonché la durata del periodo produttivo sono condizionate dalle caratteristiche climatiche, tipicamente mediterranee della Sicilia. La presenza di foraggio fresco risulta infatti, fortemente limitata a causa di periodi più o meno prolungati di stasi vegetativa, dovuti alle basse temperature durante l'inverno ed alla carenza idrica che, unitamente alle elevate temperature nel periodo estivo, ne comportano l'assenza di foraggio fresco per almeno 6-7 mesi all'anno.
Alla crisi della produzione foraggera ha contribuito inoltre la progressiva semplificazione dei sistemi colturali (successione biennale "frumento-maggese" o monosuccessione del frumento), con conseguente riduzione delle specie foraggere negli avvicendamenti.
Lo stesso equilibrio dell'agroecosistema risulta poi turbato dall'assenza di colture miglioratrici, dalle arature meccaniche profonde e dall'uso di concimi minerali che hanno concorso alla progressiva riduzione della dotazione di sostanza organica dei terreni.
Lo squilibrio dell'agroecosistema risulta inoltre accentuato dall'eccessivo utilizzo dei pascoli esistenti, con conseguente degrado della cotica erbosa. Il mantenimento dell'attività pastorale, necessaria proprio in funzione della difesa del pascolo, che, in caso di mancata utilizzazione, finisce per degradarsi alla stessa stregua di quando è sottoposto a sovraccarico, va reso pertanto compatibile con le risorse pascolative, riportando la situazione verso equilibri meno precari.
In particolare, laddove la risorsa pascolo si collega con l'ambiente forestale, l'attività pastorale dovrà venire esercitata con criteri di rispetto ambientale, nel quadro di una gestione dei sistemi silvo-pastorali appositamente organizzati che valorizzino la diversità del territorio, assicurando la conservazione delle risorse.
4.1.2.  La domanda dei prodotti zootecnici
L'immissione di nuove tecnologie è improbabile che possa mettere in grado la nostra zootecnia di competere con quella delle altre regioni del centro e del nord Europa. La strategia vincente non può che essere quella di conquistare delle nicchie di mercato, puntando anche ai mercati extraregionali, battendo la strada della qualità.
Le analisi sul comportamento nel consumo dei prodotti alimentari in genere e di quelli di origine animale in particolare indicano che, al crescere del reddito pro-capite, si manifestano sempre maggiori attese qualitative, al cui riconoscimento e soddisfacimento è legata la definizione stessa di qualità.
L'aspetto qualitativo predominante è sicuramente quello igienico-sanitario. Le garanzie sanitarie, indispensabili per ripristinare un rapporto di fiducia con il consumatore, costituiscono un requisito essenziale sia nella produzione che nella commercializzazione delle carni come dei prodotti lattiero-caseari. Ciò comporta l'attuazione delle misure previste dalle normative vigenti, che interessano l'intero processo produttivo: norme per la produzione, l'alimentazione ed i trattamenti sanitari, forme di controllo alla trasformazione e nella fase di collocamento nel mercato.
L'evoluzione della domanda delle produzioni di origine animale mostra, a livello nazionale, un'attenuazione della crescita dei relativi consumi, stimandosi che i livelli di consumo raggiunti siano abbastanza prossimi a quelli di saturazione.
La domanda di carni da parte del consumatore siciliano, non è dissimile, sia pure con una certa sfasatura temporale, da quella del consumatore italiano: in termini quantitativi, dopo il crescente incremento realizzato in passato, in rapporto all'aumentata disponibilità di reddito della popolazione, essa tende a stabilizzarsi, collocandosi attualmente a un livello di poco inferiore a quello medio nazionale: con riferimento ai consumi delle famiglie, nel 1990-92, i quantitativi medi per componente raggiungono 3,66 kg. mensili in Sicilia e 3,86 kg. in Italia.
Si evidenziano inoltre tendenze disomogenee nei consumi dei diversi tipi di carne, in rapporto alle modifiche intervenute nella dieta dei consumatori, con la conseguente espansione delle quote di mercato di alcuni prodotti, quali, ad esempio la carne avicola e, di recente, la carne suina fresca.
Considerato che, in termini quantitativi, i consumi di carne tendono a raggiungere un livello di saturazione, ogni azione di sostegno e di promozione dei relativi consumi dovrà necessariamente fondarsi sull'esaltazione dei caratteri edonistici e sui servizi incorporati: sempre più infatti sulla componente quantitativa fa premio la componente qualitativa del prodotto, ossia il complesso di beni e servizi in esso incorporati dai processi di trasformazione.
Riguardo ai consumi di latte, la situazione della Sicilia si discosta poco da quella nazionale (la media mensile per componente è rispettivamente di 5,9 e di 6,5 litri). A fronte di una certa stabilità dei relativi consumi, si constata comunque un orientamento crescente verso il latte pastorizzato, benché quello sterile, per le sue caratteristiche (prolungata conservazione, facilità di trasporto), risulti ancora maggiormente diffuso in Sicilia come nel resto delle regioni meridionali.
Per quanto attiene ai formaggi, si evidenzia invece uno scarto consistente fra il quantitativo medio consumato in Sicilia (0,84 kg. mensili per componente) e quello medio nazionale (1,20 kg.). Riguardo alle tendenze della relativa domanda, valgono comunque per il consumatore siciliano quelle osservate a livello nazionale: consumo fortemente orientato verso i formaggi freschi, principalmente la mozzarella, concordemente all'affermarsi di stili alimentari più attenti agli aspetti dietetici. A tale atteggiamento va ricondotta inoltre la continua espansione dei consumi di yogurt.
Per i formaggi tradizionali, le preferenze dei consumatori vengono accordate a quei prodotti che presentano caratteristiche di immagine e di standardizzazione, fattori che fanno premio sulla tipicità, spesso scarsamente percepita dal consumatore. Da qui, l'importanza del ruolo che possono svolgere i consorzi di tutela a garanzia delle produzioni con "denominazione d'origine" e di quelle "tipiche".
4.1.3.  Il quadro normativo
Il quadro normativo comunitario nel settore lattiero-caseario non ha subito sostanziali modifiche con la riforma del 1992 (regolamento n. 3950/92 e successivi regolamenti applicativi), che ha riproposto la proroga del regime delle quote fino al 1998-99. Nell'ambito nazionale, l'applicazione delle disposizioni comunitarie, con la legge n. 468/92, ha sancito l'impegno dell'Italia a rientrare nei limiti di produzione definiti, impegno cui era subordinata la concessione di un aumento del 10% della quota di produzione ad essa attribuita. Tale quota, fissata a 9,9 milioni di tonnellate, risulta comunque al di sotto delle effettive esigenze produttive del nostro Paese, in una misura pari a circa il 14%, e lo obbliga a mantenere una posizione deficitaria nel grado di autoapprovvigionamento.
L'Italia è stata infatti penalizzata dalla Comunità economica europea nell'iniziale assegnazione dei quantitativi globali garantiti, nell'ambito dei regolamenti nn. 856/84 e 857/84, basati sui dati ISTAT che sottostimavano i quantitativi di latte commercializzato nel 1983, come in più occasioni è stato denunciato e come ha confermato uno studio prodotto dal MIRAAF (ex MAF) nel 1991.
Nonostante ciò, e malgrado gli errori che hanno segnato l'operato della nostra rappresentanza in sede comunitaria a questo riguardo, non può ritenersi giustificata una posizione di irregolarità, pena la perdita di credibilità del nostro Paese.
Date queste premesse, particolare rilievo assume la definizione dei criteri e degli strumenti che si vorranno adottare al fine di riportare la produzione di latte nei limiti consentiti. Le scelte che si intendono fare sul piano di rientro condizionano, infatti, in modo rilevante la definitiva assegnazione della quota e pertanto possono avere dei riflessi sull'efficienza e sullo sviluppo del settore.
Tali problemi sono risultati evidenti con l'assegnazione delle quote latte, per la campagna 1994-95, pubblicata nel bollettino AIMA n. 2 del 15 dicembre 1994, che ha comportato per la Sicilia l'esclusione di numerosi produttori (il 56% circa di quelli presenti nel precedente bollettino AIMA) e la riduzione della quota assegnata a 1.325.182 quintali (oltre il 50% in meno).
In seguito alle forti contestazioni delle categorie interessate, è stato successivamente approvato con modifiche il D.L. n. 727/94, convertito nella legge n. 46/95, che ha consentito agli allevatori esclusi dal bollettino AIMA n. 2 di presentare un'autocertificazione con la quale attestare la propria produzione di latte valevole nei confronti degli acquirenti. Inoltre, ai fini dell'assegnazione della quota sono stati ritenuti validi i piani di sviluppo o di miglioramento zootecnico approvati dalle regioni fino al 19 dicembre 1992, cioè alla data della legge n. 468/92. In ultimo, ai fini dell'applicazione del prelievo supplementare sul latte bovino, nel periodo 1994-95, resta valida l'assegnazione di quota disposta con il bollettino AIMA del 29 aprile 1994, per tutti i produttori nei confronti dei quali la quota sia stata soppressa o ridotta successivamente all'1 dicembre 1994.
La Sicilia e le altre isole, equiparate alle zone montane e svantaggiate, sono escluse dalla riduzione della "quota B". Risolta così la situazione di emergenza, pesantemente punitiva particolarmente nei confronti di quelle aree e regioni che hanno un peso alquanto limitato nella creazione di eccedenze produttive e nelle quali occorre peraltro tutelare la funzione sociale ed ambientale dell'attività di allevamento, resta comunque da affrontare la questione del rientro nei limiti prefissati dall'Unione europea, attraverso soluzioni definitive.
Si rende pertanto indispensabile una nuova normativa che introduca ulteriori correttivi alla legge n. 468/92, in rapporto a tre importanti questioni:
—  conferma dell'indirizzo espresso a favore delle produzioni delle zone montane e svantaggiate;
—  abbandono programmato della produzione;
—  revisione del sistema della gestione delle quote latte nella sua globalità in direzione di una sua semplificazione.
Altro aspetto di rilievo è connesso al sistema di vincoli introdotti dalla suddetta normativa alla trasferibilità delle quote.
Un primo tipo di vincoli riguarda il trasferimento territoriale delle quote, ammesso esclusivamente tra produttori che operano nell'ambito di ciascuna regione e senza comportare spostamenti dalle aree montane o svantaggiate alle altre aree o viceversa, e, per i primi due anni, tra produttori appartenenti alla stessa associazione di produttori. Tali vincoli rappresentano un riconoscimento delle esternalità positivelegate alla produzione di latte nelle zone svantaggiate; essi, tuttavia, non sono strumenti sufficienti ad ostacolare un eventuale processo di abbandono della produzione in dette aree.
Altri vincoli riguardano l'intensificazioneproduttiva. La possibilità di acquisire quote è limitata alle aziende con un carico di produzione per ettaro di SAU non superiore a 30 tonnellate, intendendosi con ciò salvaguardare la compatibilità ambientale dell'allevamento.
Infine, sono da ricordare i vincoli che comportano un aumento del costo di transazione: su ogni trasferimento di quota, le regioni trattengono il 15% della quantità oggetto di scambio, allo scopo di formare una riserva che può essere riassegnata a favore di categorie di produttori che si ritengano prioritarie in funzione degli obiettivi di sviluppo della zootecnia regionale. Essi hanno lo scopo di affiancare alla trasferibilità delle quote attuata dal mercato, interventi amministrativi che orientino il processo di riorganizzazione strutturale nel rispetto di determinate finalità.
Particolarmente impegnativi per la nostra produzione lattiero-casearia sono poi i vincoli imposti in materia sanitaria dalla direttiva n. 92/46 della Comunità economica europea, recepita recentemente.
La suddetta normativa punta tra l'altro a standardizzare il livello qualitativo del latte e dei derivati, secondo strategie d'azione che mal si adattano alla zootecnia da latte mediterranea e poco si conciliano con le strategie di valorizzazione dei prodotti tipici (di qualità).
L'autorizzazione infine a produrre derivati (yogurt, formaggi, ecc.), mediante creme di latte, latte concentrato e latte in polvere, spingerà le industrie di trasformazione ad approvvigionarsi di materia prima a prezzi sicuramente più competitivi, ma con caratteristiche più scadenti.
Per quanto riguarda la carne bovina, il nuovo regime previsto dal regolamento n. 2066/92, ha apportato notevoli modifiche ed innovazioni nell'organizzazione comune dei mercati di questo comparto, fissando nuove discipline e limitazioni ai regimi di premio speciale e premio vacche nutrici.
Nel quadro della limitazione delle garanzie ai produttori agricoli, decisa dalla riforma della PAC al fine di controllare la produzione e riequilibrare il mercato, è prevista la riduzione del 15% in tre anni (dal 1993 al 1995) del prezzo di intervento fissato per le operazioni di sostegno del mercato, nonché la limitazione progressiva (dal 1993 al 1997) dei quantitativi conferibili all'intervento da 750.000 a 350.000 tonnellate. Tale riduzione è compensata da premi per capo per gli allevamenti che dispongono di una base foraggera aziendale.
La nuova gestione del mercato interno, tenuto conto delle preoccupazioni in materia ambientale, accorda il sostegno per mezzo dei premi limitandolo però ad un carico massimo di bestiame per ettaro di terra a colture foraggere. Tale limitazione ha portato attualmente il carico a 2,0 UBA/Ha. foraggere.
Possono beneficiare dei premi per capo per gli allevamenti i responsabili di azienda, così come definiti dal D.P.R. n. 317/96 del 30 aprile 1996, i cui animali sono assoggettati ai controlli dei piani ufficiali di profilassi ed eradicazione delle malattie infettive previste dalle norme vigenti. Il bestiame per il quale vengono richiesti i premi deve risultare identificato e registrato nelle forme prescritte dal D.P.R. n. 317/96.
I premi di cui possono beneficiare i produttori nel settore bovino (responsabili di azienda) sono:
—  un premio speciale. L'acquisizione del diritto al premio interviene una sola volta nella vita dell'animale (al raggiungimento del 10° mese di età). Possono formare oggetto della domanda i bovini che hanno non meno di 8 mesi e non più di 20 mesi di età e siano detenuti in azienda per almeno 2 mesi dalla data di presentazione della domanda. Gli animali debbono essere accompagnati dal documento amministrativo (passaporto). Le due principali novità per il regime dei premi speciali a favore dei produttori di carne bovina sono:
–  un premio unico pari a 135 ECU per capo bovino e un plafond massimo assegnato all'Italia di 598.746 capi;
–  premio (pari a 144,90 ECU) e premio nazionale complementare (pari a 30,19 ECU per vacca) per il mantenimento di vacche nutrici;
–  premio complementare di 36 ECU per capo qualora la densità di bestiame (determinata tenuto conto dei bovini maschi, delle vacche nutrici, degli ovini e caprini, nonché delle vacche necessarie per produrre il quantitativo di riferimento di latte assegnato al produttore) risulti inferiore a 1,4 UBA per Ha. foraggero e di 52 ECU per capo qualora detta densità risulti inferiore a 1 UBA per Ha. foraggero. La presentazione della domanda per usufruire dei premi del settore bovino è subordinato alla presentazione da parte del produttore, della domanda di compensazione al reddito.
Nel settore ovino e caprino sono invece previsti:
—  premio per pecore e capre che abbiano partorito almeno 1 volta o che abbiano almeno 12 mesi di età;
—  premio supplementare ai sensi del regolamento della Comunità economica europea n. 1323/90.
Coloro che intendono richiedere il premio supplementare le cui aziende ricadono parzialmente e comunque per almeno il 50% in zone svantaggiate (così come definite dalla direttiva della Comunità economica europea n. 72/268, artt. 3, 4, 5), debbono presentare domanda di compensazione al reddito.
Il pagamento dei premi è sottoposto quindi a limitazioni individuali (premi pagati nell'anno di riferimento per le vacche nutrici) ed al plafond massimo assegnato all'Italia (pari a 598.746 capi a cui corrispondere il premio per i bovini maschi).
Nel complesso, le nuove misure, favorendo gli allevamenti estensivi e despecializzati di piccola e media dimensione con disponibilità di pascoli, risultano abbastanza rispondenti ai sistemi produttivi zootecnici prevalentemente presenti in Sicilia.
Tuttavia, accanto al riconoscimento del ruolo strategico dei suddetti sistemi nella tutela dell'ambiente e quindi all'esigenza di mantenere le risorse umane che ne sono l'indispensabile supporto occorre sostenere e guidare la valorizzazione delle potenzialità che essi esprimono. Si tratta evidentemente di operare delle scelte ed adottare conseguentemente strumenti di politica economica orientati verso il raggiungimento di questo obiettivo.
4.2.  GLI OBIETTIVI DEL PIANO
4.2.1.  Obiettivo generale
La linea direttrice del piano di settore per la zootecnia muove dalla consapevolezza che il mutare degli orizzonti del mercato, che si è ampliato enormente, e l'imporsi di nuovi vincoli accanto e/o in sostituzione di quelli che condizionavano nel passato i processi economici, aprono una nuova frontiera della competizione, basata sulla qualità. Questa può offrire sbocchi positivi non solo alle singole imprese o a limitate aree, ma all'intero sistema agricolo ed agroindustriale regionale.
In tale contesto possono inserirsi validamente le potenzialità produttive della zootecnia siciliana, che, se opportunamente indirizzata e sostenuta, può trovare interessanti prospettive di sviluppo.
Il piano di settore per la zootecnia assume pertanto come obiettivo generale la qualificazione dell'offerta e la valorizzazione delle produzioni zootecniche siciliane di qualità.
In termini generali occorre sottolineare che la qualità dei prodotti agroalimentari dipende da tutta la filiera produttiva, per cui è indispensabile promuovere l'integrazione dei diversi segmenti, tenuto conto della maggiore complessità organizzativa di un sistema di qualità.
Lo strumento essenziale di tale integrazione è costituito dalla combinazione di politiche di marchio e politiche di comunicazione.
Da qui l'importanza di rilanciare sul piano organizzativo il comparto, attivando la contrattazione e gli accordi interprofessionali di filiera che potranno muoversi sia nell'ambito della normativa che costituisce la cosiddetta "regolamentazione della qualità", sia di norme volontariamente stabilite dagli operatori e contenute in appositi disciplinari riguardanti specifiche caratteristiche tecniche di un prodotto, oppure modalità di produzione definite da standard che garantiscono la conformità a requisiti essenziali volti a migliorare la soddisfazione del consumatore.
I marchi collettivi rappresentano, ad esempio, uno strumento specifico della caratterizzazione della qualità in rapporto a prodotti tipici, relativi all'origine geografica ed a specifiche caratteristiche qualitative.
Gli strumenti istituzionali per la certificazione ed il controllo di qualità dei prodotti – necessaria premessa per una politica di qualità – hanno una lunga tradizione nel nostro Paese, e la stessa normativa comunitaria (regolamenti n. 2081 e n. 2082 del 1992) offre ulteriori opportunità in questa direzione. Perché essi possano operare efficacemente sarà necessario sviluppare opportuni programmi di sostegno e di promozione, nonché impegnare adeguate risorse finanziarie.
Oltre a favorire l'utilizzo da parte delle imprese della certificazione di qualità, occorre sviluppare la valorizzazione commerciale delle produzioni certificate attraverso opportune "strategie di comunicazione". Queste rappresentano infatti un requisito essenziale per fare valere il vantaggio competitivo dei prodotti di qualità e consentire per questa via di ottenere maggiore facilità nel collocamento dei prodotti e ricavi più elevati.
La valorizzazione commerciale dei prodotti zootecnici isolani potrà realizzarsi solo all'interno di un sistema che consenta di programmare l'offerta dei prodotti. Per il latte, ad esempio, occorre programmare le produzioni in rapporto alle differenti destinazioni: latte alimentare (nelle diverse elaborazioni: fresco pastorizzato di alta qualità, fresco pastorizzato, pastorizzato, UHT), formaggi duri, formaggi freschi, ecc.
Si dovrà infine agevolare lo sviluppo di strumenti istituzionali per riconoscere, garantire e controllare la qualità dei prodotti, nonché quello di strutture e servizi che consentano ai prodotti di qualità di godere di vantaggi competitivi sul mercato.
Date le caratteristiche strutturali delle imprese agricole ed industriali della filiera zootecnica, l'esistenza di vere e proprie barriere di accesso al mercato (quali, tra l'altro, la scarsa conoscenza del sistema di preferenze e le modeste disponibilità d'investimento) ed il problema di adeguate politiche di valorizzazione commerciale richiederanno la messa a punto di strumenti, sostenuti dall'intervento pubblico, operanti nelle attività di ricerca e sviluppo, nella formazione e riqualificazione del personale tecnico, nell'informazione sui mercati e quant'altro rientra nei compiti di un moderno sistema di servizi alle imprese.
Le strategie di valorizzazione dovranno essere adattate alle piccole e medie imprese agricole e/o industriali che operano su mercati di nicchia ed in ragione della scelta del canale distributivo. Come si è detto, la grande distribuzione appare per diversi motivi un canale inidoneo, anche se non si esclude che a certe condizioni possa offrire nel futuro nuove opportunità, mentre il dettaglio tradizionale (e quello specializzato), la ristorazione, la vendita diretta collegata alle attività agrituristiche e di turismo rurale, appaiono in atto gli sbocchi di maggiore interesse.
La politica di valorizzazione dei prodotti zootecnici di qualità è principalmente destinata ai prodotti che sono espressione del patrimonio storico-culturale siciliano. Benché le produzioni interessate abbiano in alcuni casi dimensioni economiche relativamente modeste, esse vanno sostenute sia per salvaguardare risorse che hanno un ruolo strategico nel mantenimento degli equilibri ambientali e sociali, sia per garantire ai consumatori un bene superiore quale è la qualità, intesa qui nell'accezione di unicità delle caratteristiche possedute da un bene.
A tal fine occorre potenziare la ricerca istituendo le figure regionali di ricercatore e sperimentatore nel settore zootecnico.
4.2.2.  Obiettivi specifici
Nel quadro dell'obiettivo generale indicato e degli stessi vincoli precedentemente richiamati, gli obiettivi specifici di più immediato e prioritario interesse possono essere individuati nei seguenti punti:
a)  risanamento degli allevamenti dalle principali malattie infettive e diffusive, con particolare riguardo alla zoonosi;
b)  tutela dell'ambiente ed incentivazione dei sistemi di produzione estensivi delle aree collinari e montane;
c)  tutela e salvaguardia delle razze e popolazioni autoctone siciliane;
d)  razionalizzazione del processo produttivo.
a)  Risanamento degli allevamenti zootecnici dalle principali malattie infettive e diffusive con particolare riguardo alle zoonosi
Tra gli obiettivi specifici del piano di settore, prioritaria importanza assume la realizzazione di un Piano regionale di risanamento degli allevamenti zootecnici per la lotta alle principali malattie infettive diffusive con particolare riguardo alle principali zoonosi (brucellosi, tubercolosi, ecc.), pena il fallimento degli obiettivi generali. Compito, questo, spettante istituzionalmente all'Assessorato alla sanità, ma per il quale sia opportuno attivare e/o migliorare una fattiva sinergia di azione con l'Assessorato agricoltura e foreste, potendo intervenire quest'ultimo, anche con mezzi, strutture, personale e competenze, per garantire il successo degli interventi che dovranno essere programmati e coordinati.
Serve richiamare che l'Assemblea regionale ha già legiferato in materia (legge regionale n. 12 del 5 giugno 1989 e successive modifiche, di cui l'ultima del 22 marzo 1995) e che importanti risultati sono stati raggiunti soprattutto in alcune provincie e nel settore bovino in particolare. La situazione comunque, nel suo complesso, resta difficile ed incerta e ben lontana dall'essere definitivamente risolta, nonostante l'impegno dell'Assessorato regionale della sanità.
Le motivazioni del parziale insuccesso sono molteplici, complesse e sicuramente non ascrivibili ad una sola componente professionale e/o istituzionale.
La mancanza di un'anagrafe zootecnica e di una individuazione certa ed inamovibile degli animali, la non tempestività delle macellazioni dopo gli accertamenti sanitari per motivi vari, la sfiducia degli allevatori nei confronti delle istituzioni, determinata dai tempi lunghi, a volte lunghissimi, necessari per l'erogazione delle indennità previste, sono tra le principali cause della mancata risoluzione del problema.
E' sempre più diffusa l'opinione che in realtà le istituzioni sanitarie si siano preoccupate di fare rispettare le normative vigenti più che affrontare il problema nel suo complesso e sviluppare una strategia di prevenzione e di intervento per un risanamento organico e mirato.
Occorre inoltre considerare che il comparto zootecnico siciliano si caratterizza, nella sua globalità, per alcune peculiarità specifiche che rendono il processo di risanamento meno semplice. Tra queste, particolare importanza rivestono:
—  il fenomeno della transumanza, abbastanza diffuso nei sistemi di allevamento brado e semibrado;
—  i forti flussi importativi di animali vivi dalle altre regioni d'Italia e da alcuni Paesi dell'Unione europea, specialmente dalla Francia; animali che attraversano tutta la penisola prima di arrivare in Sicilia e per i quali, spesso, non viene rispettata la destinazione. In altri termini animali da macello vengono utilizzati come riproduttori da carne;
—  il sistema di commercializzazione del bestiame vivo, diffusamente rappresentato dai "classici mercati zootecnici rionali e/o territoriali", che spesso costituiscono il maggiore rischio di diffusione delle zoonosi;
—  l'intervento spesso "a pelle di leopardo" dei piani di risanamento.
In questo contesto esistono dei segnali positivi. Le iniziative approvate con legge regionale n. 264 del 22 marzo 1995, indicano già degli interventi di rilevante importanza, quali l'istituzione dell'anagrafe zootecnica, in sintonia con gli indirizzi comunitari, recepiti successivamente dallo Stato italiano tramite il D.P.R. n. 317/96 cui si è data recentemente attuazione in Sicilia.
In termini propositivi riteniamo comunque importante attivare le azioni di seguito riportate:
1)  sistemi di controllo a garanzia dell'avvenuta macellazione dei capi infetti.
Condizione indispensabile per l'eradicazione delle zoonosi, in un serio piano di risanamento, risulta essere, considerata l'esperienza di campo, l'attivazione di sistemi di controllo che diano certezza sull'avvenuta macellazione di tutti i capi infetti e sulla tempestività della stessa.
Le strutture sanitarie devono quindi poter disporre di maggiori mezzi umani e tecnici, ma soprattutto devono poter utilizzare strumenti legislativi efficaci, che in tempi rapidi inducano l'allevatore a macellare gli animali. In termini operativi, raggiunta cer tezza sulle diagnosi dovranno essere strutture parallele, quali ad esempio le associazioni dei produttori, ovvero le stesse strutture pubbliche, a garantire l'immediata macellazione dei capi infetti, inviando uomini e mezzi di trasporto idonei alla consegna "per direttissima" degli stessi al macello, e preposti al ritiro dei certificati di avvenuta macellazione.
Sono necessarie quindi modifiche legislative che permettano il ritiro dei capi infetti vivi, direttamente in azienda al momento della notifica dei risultati, previa liquidazione all'allevatore dell'indennizzo spettante anche direttamente in azienda da parte del responsabile del servizio veterinario del distretto dell'Azienda unità sanitaria locale. Detti animali finirebbero solo in pochi specifici macelli all'uopo autorizzati per il ritiro agevolato delle carcasse;
2)  tempestività degli interventi relativi alla legge regionale n. 12 del 5 maggio 1989 e successive modifiche ed integrazioni al fine di poter corrispondere ai proprietari degli animali abbattuti, contestualmente alla presentazione dei certificati di macellazione, l'indennità relativa. In ogni caso la tempestività nei pagamenti è veramente condizione indispensabile per il successo del piano. E' auspicabile inoltre che in futuro vengano riconsiderati i criteri di definizione dell'indennità dei capi abbattuti, valutando l'opportunità di finalizzarli al raggiungimento dell'obiettivo del piano quale è la qualifica di "stalla ufficialmente indenne" o semplicemente "indenne", secondo quanto previsto dalle normative vigenti;
3)  attuazione dell'anagrafe zootecnica finalizzata identificazione dell'intero patrimonio zootecnico siciliano;
4)  coordinamento regionale dei piani di risanamento che prevedano un unico criterio d'intervento, senza soluzione di continuità territoriale, ed inoltre razionalizzino i flussi di animali nell'ambito dell'intero territorio isolano.
Potrebbe risultare di rilevante incisività effettuare degli accertamenti sanitari (a random, con prelievi ematici) in tutti i mercati zootecnici ed in particolare in corrispondenza dei principali canali d'importazione.
Altrettanta attenzione meritano le verifiche sugli animali in transito anche nell'ambito interno dello stesso territorio di provenienza;
5)  disponibilità di centri di commercializzazione interprovinciali e/o regionali, in grado di ospitare il mercato degli animali sia vivi sia macellati, dotati quindi di celle-frigo per le carni di produzione locale e per quelle d'importazione, anche per una migliore organizzazione dell'offerta;
6)  progetti per la formazione professionale "obbligatoria" degli operatori agricoli – si potrebbe prevedere il rilascio di "patentini sanitari" a testimonianza della formazione ricevuta sulla sanità degli allevamenti – con l'obiettivo di far emergere il ruolo e l'importanza anche economica delle condizioni igienico-sanitarie dell'allevamento.
L'azione delle istituzioni pubbliche (Azienda unità sanitaria locale) non deve riguardare quindi esclusivamente i controlli, ma deve avere così come l'assistenza tecnica dell'ARA anche l'obiettivo di indirizzare ed aggiornare l'allevatore. Per quanto sopra esposto appare indispensabile potenziare l'attuale detenzione di uomini e mezzi dell'Azienda unità sanitaria locale.
L'obiettivo di lungo termine resta comunque quello dell'autocontrollo sanitario degli allevamenti, mediante il quale l'operatore agricolo possa svolgere un ruolo attivo nel garantire la salubrità dei prodotti ottenuti, degli animali allevati, quindi dell'intero sistema produttivo aziendale, nel rispetto assoluto delle norme sanitarie in atto vigenti.
b)  Tutela dell'ambiente ed incentivazione dei sistemi di produzione estensivi delle aree collinari e montane
I sistemi di produzione estensivi svolgono, come si è in precedenza evidenziato, una funzione centrale nel quadro dei nuovi orientamenti della politica agricola comune, per la realizzazione di un migliore equilibrio tra l'offerta e la domanda dei prodotti agricoli, la tutela dell'ambiente e la conservazione dello spazio rurale.
Considerato che, in Sicilia, larga parte dell'attività zootecnica è caratterizzata da sistemi di allevamento estensivi diffusamente localizzati nelle aree montane e svantaggiate e che essa svolge funzioni diverse, oltre a quella produttiva, risulta indispensabile incoraggiarne la prosecuzione attraverso la piena applicazione del sistema di incentivi previsti dall'Unione europea (regolamento n. 2328/91, titolo VI, per le zone montane e svantaggiate; regolamento n. 2078/92 sui metodi di produzione agricola compatibili con la tutela dell'ambiente).
Il sistema di incentivi dovrà essere affiancato dagli iterventi previsti dalla legge regionale n. 26/88 a favore delle aree interne, nonché da programmi di intervento con la partecipazione finanziara dell'Unione europea.
Alla politica di sviluppo delle aree interne, infine, contribuisce validamente la legge regionale n. 25 del 9 giugno 1994, relativa allo sviluppo delle attività agrituristiche, le cui finalità ben si integrano con gli obiettivi perseguiti dal presente piano: agevolare la permanenza dei produttori agricoli nelle aree rurali; migliorare la qualità della vita; valorizzare e recuperare il patrimonio rurale naturale ed edilizio; promuovere la conoscenza e l'offerta dei prodotti tipici; recuperare le tradizioni culturali del mondo rurale; favorire il rapporto tra città e campagna.
Oltre alle azioni necessarie ad assicurare la continuità degli insediamenti umani e migliorare le condizioni di vita degli allevatori, in sintonia con gli obiettivi di sviluppo rurale e di piena valorizzazione delle risorse umane e naturali, indicate dall'Unione europea, dovranno prevedersi programmi di riqualificazione produttiva, in accordo con il principale obiettivo del piano di settore «tutela e valorizzazione dei prodotti zootecnici espressione del patrimonio storico-culturale e siciliano». A tale scopo dovranno prevedersi azioni dirette al recupero della produttività aziendale ed al consolidamento dell'attività agricola zootecnica. Politica, quindi, di prodotto con interventi integrati in funzione del prodotto stesso, nel rispetto delle tradizioni zootecniche isolane (vedi scheda 1).
Le azioni finalizzate al miglioramento della qualità dei prodotti dovranno principalmente essere mirate al soddisfacimento delle norme sanitarie vigenti previste dalle direttive comunitarie precedentemente richiamate. A questo riguardo, tuttavia, occorre prevedere un impegno preciso per la richiesta delle deroghe, volute dall'art. 8 della direttiva n. 92/46/CEE, soprattutto per i prodotti caseari tradizionali, che mal si adattano alle specifiche normative comunitarie e che, qualora si adattassero completamente, rischierebbero di perdere le particolari caratteristiche organolettiche che li rendono attualmente prodotti cosiddetti tipici.
L'Assessorato agricoltura e foreste deve inoltre sviluppare una strategia d'intervento, coinvolgendo in prima linea le organizzazioni professionali di categoria e le associazioni dei produttori relativamente alla produzione di latte ovino e caprino.
Considerata importanza di questo comparto per l'economia isolana, va scongiurato infatti, il pericolo che l'Unione europea trovi la Sicilia impreparata nell'eventualità dell'introduzione del sistema delle quote-latte. L'esperienza maturata riguardo alle quote-latte per i bovini rende oltremodo opportuno un'estesa attività di informazione degli allevatori interessati perché venga documentata la produzione reale di latte nella prospettiva di un regime controllato.
c)  Tutela e salvaguardia delle razze e popolazioni autoctone siciliane
In Sicilia viene allevato un significativo numero di specie e razze autoctone, per le quali si dispone di poche informazioni. Anche per dei soggetti iscritti ai libri genealogici e sottoposti ai controlli funzionali, si conoscono solamente gli aspetti fenotipici e la genealogia, mentre occorrono informazioni sul valore genetico dei riproduttori.
E' opportuno attivare programmi di miglioramento genetico per le razze e popolazioni autoctone siciliane, tra le quali ricordiamo per la specie bovina, la razza modicana e la popolazione cinisara e, per quella ovina, le razze comisana, pinzirita e barberesca e della Valle del Belice. Per la razza comisana, invero, nel 1994, è stato avviato dall'Istituto sperimentale zootecnico per la Sicilia un centro genetico che è auspicabile possa finalmente svolgere una seria azione per la valutazione genetica dei riproduttori ed effettuare un programma di miglioramento genetico di questa razza.
Nell'ambito della specie caprina, sono presenti in Sicilia le razze girgentana, rossa mediterranea, maltese e argentata dell'Etna. La prima è in via di estinzione, le altre si allevano affidandone il destino genetico alle scelte di allevatori e tecnici.
Le stesse condizioni si riscontrano per il suino nero dei Nebrodi, per il cavallo sanfratellano, per gli asini ragusano e pantesco e per le specie minori.
Lo studio e l'indicizzazione genetica dei soggetti migliori delle innumerevoli razze menzionate consentirebbe, oltre che il miglioramento della produttività aziendale, la salvaguardia delle produzioni tradizionali nelle aree interne svantagiate oltre che l'eventuale inserimento di queste razze nelle aree mediterranee.
L'Istituto sperimentale zootecnico e l'Istituto per l'incremento ippico, hanno, fra i propri compiti, quello di ottemperare alla tutela e salvaguardia delle razze e popolazioni autoctone siciliane. Per assolvere a questa funzione strategica per l'intero comparto zootecnico, queste istituzioni devono intensificare la collaborazione con le facoltà siciliane di agraria e di medicina veterinaria, con l'Istituto zooprofilattico sperimentale i centri di ricerca nazionali ed esteri e l'ARA.
Preso atto comunque dell'impossibilità di avviare nel breve periodo e contemporaneamente programmi di miglioramento genetico per tutte le razze menzionate, sarebbe opportuno intanto sostenere il centro genetico per la razza comisana ed avviare gradualmente ulteriori programmi di miglioramento genetico.
Si ritiene necessario, inoltre, effettuare – sia pure per un limitato numero di soggetti da definire caso per caso, in funzione della consistenza della popolazione – dei controlli funzionali mirati, soggetto per soggetto, che prevedano anche le analisi qualitative del latte.
Per alcune razze, come le capre girgentane, le bovine modicane, gli asini ragusano e pantesco e le pecore barbaresche, probabilmente si dovranno decidere incisive azioni di salvaguardia per evitarne l'estinzione quali nuclei allevati in purezza all'Istituto sperimentale zootecnico e nei parchi naturali, banca del materiale seminale ed embrionale per la conservazione cautelativa del germoplasma in oggetto.
In particolare per le capre girgentane e altre razze o popolazioni autoctone in via di estinzione si potrebbe stimolare l'Assessorato regionale ai beni culturali ad un reinserimento di alcuni nuclei all'interno del carco archeologico della Valle dei Templi di Agrigento.
d)  Razionalizzazione del processo produttivo
La razionalizzazione del processo produttivo deve essere ancorata al corretto uso dei mezzi di produzione e quindi alla individuazione dei sistemi e delle tecniche di allevamento più rispondenti. Ciò al fine di recuperare il ritardo tecnico rilevabile nell'ambito del settore in esame, legato sia alla polverizzazione dell'attività produttiva sia alla difficoltà ed alla lentezza con cui alcune innovazioni vengono portate a conoscenza degli allevatori. La disponibilità di tecnologie non è infatti garanzia di corretta valorizzazione tecnica ed economica delle stesse.
Le maggiori possibilità di intervento sono riconducibili quindi ad una più incisiva e continua attività di formazione, informazione ed assistenza tecnica.
La razionalizzazione dovrà essere perseguita in funzione di uno sviluppo comprensoriale oltre che aziendale, in modo da rendere ciascuna zona di produzione in grado di migliorare gli standard qualitativi nella loro globalità.
In questo contesto vanno considerate con attenzione anche le aree maggiormente caratterizzate da sistemi di produzione intensivi, il cui contributo all'autoapprovvigionamento, principalmente per il settore lattiero-caseario, resta essenziale.
Programmi di sviluppo specifici dovranno prevedersi per le aree con allevamenti indirizzati alla produzione di latte, la cui destinazione principale è quella del latte alimentare e della consegna alle industrie di trasformazione e solo marginalmente alla trasformazione aziendale.
Per queste aree produttive, l'intervento del piano dovrebbe focalizare l'attenzione sui seguenti aspetti:
—  valorizzazione delle carni provenienti da animali nati in Sicilia ed allevati estensivamente, caratterizzando questi prodotti con adeguati marchi di qualità;
—  valorizzazione del latte fresco pastorizzato e del latte pastorizzato di alta qualità di origine controllata. Si vuole in altri termini anche per il latte alimentare legare il prodotto al territorio di produzione nel rispetto della filosofia generale del piano;
—  incentivazione delle attività di miglioramento genetico suggerite dalle associazioni nazionali di razza frisona e bruna alpina, prevedendo contributi sia per l'acquisto di materiale seminale ed embrionale di elevato pregio che per l'introduzione delle nuove biotecnologie, quali la pratica dell'embrio transfer, della fecondazione in vitro e delle inanipolazioni embronali, teoriche, queste ultime, che consentono di velocizzare e migliorare il progresso genetico in termini di qualità delle produzioni di latte e di carne degli allevamenti;
—  introduzione di innovazioni tecnologiche, finalizzate sia al miglioramento qualitativo delle produzioni sia alla più efficiente gestione degli allevamenti.
Non vanno tuttavia ignorate produzioni quali quelle del latte a lunga conservazione, oppure quelle casearie di tipo industriale, come pure le produzioni intensive di vitelloni. La programmazione delle produzioni con riferimento alle diverse utilizzazioni, infine, risulta uno strumento indispensabile al fine di prevenire crisi di mercato ed eccedenze produttive con enormi riflessi negativi per l'intero settore.
4.3.  LE AZIONI DEL PIANO
Le azioni da porre in essere per perseguire gli obiettivi individuati fanno riferimento sia ad aspetti di carattere specifico ed operativo, correlati a precisi obierttivi, sia ad iniziative a carattere orizzontale, concernenti servizi che dovranno contribuire a migliorare l'efficienza delle imprese, nonché le condizioni sociali e professionali degli allevatori, intesi come soggetti attivi dello sviluppo agricolo e rurale.
4.3.1.  Censimento delle filiere zootecniche
Considerata la carenza e la scarsa attendibilità delle informazioni sui diversi segmenti della filiera (consistenza degli animali allevati, produzioni, impianti di trasformazione, ecc.), problemi, questi, che ostacolano una seria programmazione degli interventi, si ritiene opportuno indicare come prima azione del piano di settore il censimento delle filiere zootecniche nell'ambito del territorio regionale.
Il censimento deve prevedere la rilevazione di: allevamenti differenziati per specie e razza; allevamenti ufficialmente indenni, indenni e in corso di risanamento; produzioni per specie e per razza; produzione di latte differenziata per vendita diretta e consegna, in funzione di una verifica delle quote assegnate; mercati zootecnici; macelli e frigo-macelli con relativo stato di adeguamento alle normative vigenti; impianti lattiero-caseari; mangimifici; industrie per la valorizzazione dei sottoprodotti dell'agricoltura; centri commerciali.
4.3.2.  Individuazione e caratterizzazione dei prodottii zootecnici
Benché le produzioni zootecniche siciliane rappresentino attività di antiche tradizioni, è difficile definire in modo univoco i singoli prodotti, che spesso non sono facilmente individuabili, quindi sono "poco visibili" sul mercato. Nel comparto lattiero-caseario, in particolare, la produzione dei formaggi effettuata per lo più direttamente in azienda, costituisce una vera e propria attività "sommersa", di dimensioni non indifferenti e che incide in modo determinante nell'economia del comparto.
Occorre pertanto prevedere appositi programmi di studio e di ricerca finalizzati alla corretta individuazione dei prodotti zootecnici siciliani e dei relativi sistemi produttivi, nonché alla definizione delle caratteristiche e relativa qualità attribuibili o derivanti dall'ambiente geografico considerato. Di seguito sono riportati a titolo indicativo, i principali prodotti siciliani, vettori dal punto di vista del significato storico-culturale delle tradizioni zootecniche isolane.

* Prodotti caseari ottenuti con metodi


di trasformazione tradizionale

Prodotti caseari ottenuti con latte vaccino
—  palermitano;
—  ragusano;
—  provola ragusana;
—  provola dei Nebrodi;
—  ricotta siciliana vaccina.
Prodotti caseari ottenuti con latte di pecora
—  pecorino siciliano e pepato;
—  vastedda;
—  piacentino;
—  ricotta di pecora;
—  ricotta infornata, salata e canestrata;
—  maiorchino.
Prodotti caseari ottenuti con latte di vacca e di pecora
—  canestrato siciliano (latte misto);
—  vacchino siciliano (latte misto);
—  tuma siciliana (latte di vacca o di pecora).
* Prodotti lattiero-caseari di tipo industriale
—  latte alimentare pastorizzato fresco e fresco di alta qualità, con certificato di origine;
—  latte di qualità per produzioni lattiero-casearie industriali siciliane;
—  prodotti caseari ottenuti con processi industriali (mozza relle, caciotte, etc.).
* Prodotti carnei
—  agnello/capretto da latte;
—  carni rosse mediterranee;
—  castragnello siciliano;
—  suino nero dei Nebrodi;
—  salame di Sant'Angelo;
—  salame di Chiaramonte.
4.3.3.  Ricerca applicata e sperimentazione nel comparto zootecnico
Devono essere azioni mirate alle reali problematiche del settore zootecnico al fine di ottenere dei prodotti di qualità che soddisfino le esigenze del consumatore e che esprimano le peculiari caratteristiche del territorio di produzione.
La ricerca applicata e la sperimentazione dovranno assumere un ruolo trainante in stretto rapporto con gli obiettivi e le azioni prospettate dal piano di settore.
Esse pertanto dovranno essere finalizzate principalmente a:
—  analisi e monitoraggio dei processi produttivi delle filiere zootecniche;
—  caratterizzazione dei prodotti zootecnici;
—  salvaguardia e valorizzazione del germoplasma delle razze autoctone siciliane;
—  sviluppo di nuove biotecnologie di interesse zootecnico (FA, embrio transfert, ecc.);
—  razionalizzazione dei sistemi di produzione estensivi ed intensivi nel rispetto degli equilibri ambientali;
—  sviluppo delle produzioni ottenute con processi naturali e biologici;
—  efficienza delle strutture e delle arrezzature nel contesto ambientale e territoriale, con particolare riferimento alle condizioni pedoclimatiche caratterizzanti il territorio siciliano;
—  organizzazione economico commerciale delle filiere e svi-luppo di strategie di valorizzazione e promozione dei prodotti zootecnici;
—  sistemazione dei suoli e razionale utilizzo delle risorse idriche;
—  studi socio-economici sulle condizioni di vita e di lavoro degli allevatori siciliani e sul ruolo delle donne nel mondo agri colo-zootecnico.
Lo svolgimento delle suddette ricerche va affidato alle Università, al Consorzio per la ricerca sulla filiera lattierio-casearia, agli Istituti sperimentali e ai Centri di ricerca, che potranno avvalersi della collaborazione dei Centri di assistenza tecnica dell'Assessorato agricoltura e foreste, dell'ESA, dell'ARA e delle associazioni ed organizzazioni di produttori.
4.3.4.  Interventi sulle strutture produttive
Le azioni da prevedere devono essere atte a favorire un tempestivo adeguamento tecnologico e consentire un'adeguata acquisizione dei mezzi di produzione al fine di razionalizzare l'organizzazione e la gestione delle unità produttive e di adottare soluzioni che consentano il miglioramento della qualità dei prodotti. Pertanto, va data priorità alla realizzazione di strutture ed attrezzature che permettano di migliorare le condizioni igienico-sanitarie aziendali, secondo le normative dell'Unione europea.
In quest'ottica vanno previste:
—  sale di mungitura e relativi impianti ed attrezzature;
—  locali per la raccolta, conservazione e lavorazione del latte e per la trasformazione casearia, nonché impianti di caseificazione per produttori singoli o associati (minicaseifici aziendali);
—  stalle aperte in materiali leggeri, dove sia possibile effettuare le operazioni con mezzi meccanici;
—  sistemi di frangivento a supporto delle stalle aperte.
Considerato che rientra fra gli obiettivi principali il miglioramento del management aziendale e delle condizioni di lavoro degli addetti, è opportuno prevedere:
—  corsia di alimentazione centrale per la distribuzione meccanica degli alimenti;
—  rastrelliere auto-catturanti per facilitare qualsiasi tipo di trattamento sugli animali;
—  impianti per la pulizia meccanica delle stalle;
—  impianti e strutture per la raccolta del letame e relativi sistemi di trattamento per il controllo dell'inquinamento ambientale;
—  attrezzature per la distribuzione meccanica delle razioni alimentari ad esempio: carri miscelatori per la preparazione e la distribuzione di un "piatto unico";
—  attrezzature e/o sistemi per una semplice e più frequente pulizia della stalla (lettiera permanente) per la produzione di letame, la cui preziosa qualità contribuisce al miglioramento agronomico dei suoli, oltre ad essere uno dei punti di partenza dell'agricoltura biologica;
—  attrezzature mobili (rastrelliere, mangiatoie semoventi) per la distribuzione dei foraggi e/o qualsiasi altra integrazione alimentare nei pascoli al fine di ottimizzare l'utilizzazione;
—  attrezzature per la sistemazione dei suoli, per la coltivazione dei foraggi e per la raccolta degli stessi in funzione della qualità e della digeribilità; (per la fienagione, ad esempio, risulta di grande importanza la falciacondizionatrice e non semplicemente la falciatrice, in quanto la prima permette di dimezzare i tempi della fienagione, specialmente per le graminacee).
Con riferimento alla razionalizzazione dell'utilizzazione delle risorse territoriali e al fine di poter migliorare le produzioni foraggere in termini sia quantitativi, aumentandone la disponibilità temporale e le rese per ettaro, sia qualitativi, introducendo essenze foraggere particolarmente idonee all'alimentazione animale, meritano particolare attenzione:
—  le strutture per la conservazione dei foraggi (silos, fienili, ecc.);
—  i sistemi di recinzione mobili per la razionalizzazione dell'utilizzazione del pascolo;
—  i bacini artificiali (invasi e/o laghetti collinari) e relativi sistemi di utilizzazione.
Gli interventi strutturali dovrebbero essere indicati all'interno di un progetto di miglioramento materiale dell'azienda, ancorché la sua attuazione venga cadenzata nel tempo, in relazione alle risorse finanziarie occorrenti.
Gli strumenti normativi ai quali fare riferimento per l'ottenimento di incentivi si rivengono nella legislazione regionale (legge regionale n. 13/86 e successive modificazioni; legge regionale n. 25/93) ed in quella dell'Unione europea (regolamento n. 2328/91).
4.3.5.  Interventi per l'adeguamento delle infrastrutture produttive
La strategia degli interventi va finalizzata alla realizzazione di infrastrutture produttive in grado di migliorare l'organizzazione delle filiere. Tali infrastrutture condizionano infatti il grado di competitività del settore. La possibilità di fruirne consente, oltre alla riduzione dei costi di produzione, la migliore programmazione delle produzioni e la qualificazione del prodotto.
Nei comprensori maggiormente interessati alle produzioni lattiero-casearie dovranno pertanto attivarsi se esistenti, strutture di enti, pubblici e privati, singoli o associati e realizzarsi centri di raccolta del latte, centrali del latte, caseifici extra-aziendali e centri di stagionatura dei prodotti caseari.
Per quanto riguarda la filiera delle carni dovranno attivarsi se esistenti, strutture di enti pubblici e privati, singoli o associati e realizzarsi frigo-macelli, con annessi laboratori di sezionamento e centri di stoccaggio, adeguatamente dimensionati al bacino di utenza. Interventi questi che permetterebbero una presentazione degli animali in mezzene e/o quarti, con ovvi vantaggi per i commercianti al dettaglio. Consentirebbero inoltre di ridurre i rischi cui vanno incontro questi ultimi (sottostima del peso vivo, della resa al macello, ecc.), e che li spingono ad acquistare carni d'importazione. Altro vantaggio sarebbe comunque la valorizzazione, al momento della compravendita, dei soggetti delle razze autoctone, le cui carni andrebbero conservate in apposite celle-frigo differenziate dai prodotti d'importazione (adeguati marchi di qualità). E' auspicabile che si realizzi – dove economicamente sostenibile – l'integrazione delle attività dei frigo-macelli con i maggiori centri commerciali, a garanzia di una migliore programmazione dell'offerta.
Sarebbe opportuno, infine, prevedere la realizzazione di impianti per la valorizzazione dei sottoprodotti ai fini di una loro utilizzazione zootecnica (pastazzi di agrumi, sottoprodotti della vinificazione, sottoprodotti della macellazione, sottoprodotti della trasformazione casearia, sottoprodotti della lavorazione delle carrubbe).
Va rimarcato che gli interventi infrastrutturali devono rappresentare uno strumento di supporto commisurato alle reali esigenze delle attività produttive, che devono essere tali da giustificare le infrastrutture ipotizzate.
Le iniziative dovrebbero preferibilmente riguardare operatori singoli ed associati che diano reali garanzie in merito alla continuità ed alla piena utilizzazione delle strutture.
4.3.6.  Sviluppo dei servizi di supporto alle imprese
L'attivazione di alcuni servizi di supporto alle imprese, oltre a quelli tradizionali (ricerca applicata e sperimentazione, assistenza tecnica, formazione professioale), assume oggi valore strategico in rapporto alle accresciute esigenze di competitività dell'agricoltura nel suo complesso e del settore zootecnico in particolare, rendendo più agevole e rapido il processo di adattamento delle imprese (vedi scheda 2).
A questo fine si dovranno prevedere:
—  servizi alla commercializzazione;
—  servizi per la formazione e l'educazione dei consumatori;
—  servizi di informazione sulle politiche agricole comunitarie nazionali e regionali.
Per quanto riguarda i servizi alla commercializzazione, essi potrebbero venire apprestati da un osservatorio sul mercato dei prodotti eootecnici che funga da strumento consultivo per gli operatori del settore, per l'acquisizione di informazioni sull'andamento dei mercati regionali, nazionali ed internazionali.
Questo servizio consentirebbe di sostenere gli sforzi delle imprese singole ed associative sia in fase di programmazione delle produzioni che di commercializzazione dei prodotti.
Nelle aree di maggiore diffusione delle attività zootecniche si dovrà, inoltre, realizzare un numero limitato di centri di commercializzazione, da sviluppare in rapporto all'entità della produzione e alle caratteristiche dell'offerta.
Tali strutture vanno configurate anche come centri direzionali di servizio e quindi dovranno offrire agli operatori, sia produttori che commercianti, una molteplicità di servizi relativi alla programmazione ed alla gestione delle fasi di produzione e di valorizzazione mercantile dei prodotti.
Nei centri di commercializzazione dovrà essere data particolare importanza ad una servizio di controllo della qualità.
Essi inoltre dovranno presentare caratteristiche di flessibilità ed adattabilità alla continua evoluzione della produzuione e del commercio.
La gestione e l'organizzazione degli stessi dovrà essere affidata in via preferenziale ad associazioni di produttori, con il coinvolgimento delle organizzazioni professionali.
Di fondamentale importanza risulta l'istituzione di un Centro servizi per l'informazione e l'educazione del consumatore che svolga azioni di informazione degli utenti (consumatore diretto, chef, ristoratore etc.), mediante i principali mezzi di comunicazione. In termini operativi, si ritiene necessario attivare delle convenzioni con le principali testate giornalistiche, quotidiani, settimanali e riviste specializzate, nonché televisioni locali, regionali e nazionali, al fine di garantire un'adeguata informazione sui prodotti zootecnici siciliani.
L'intervento non dovrà identificarsi esclusivamente con un'azione pubblicitaria, ma dovrà configurarsi come messaggio mirato a considerare il prodotto specifico come "testimonial" di un patrimonio storico-culturale di valore.
E' necessario che il centro servizi sia supportato da un gruppo di esperti che operino in stretta collaborazione con i Consorzi di tutela e di valorizzazione e che curino nei dettagli tutta la preparazione degli interventi da inviare alle varie redazioni convenzionate.
Il centro potrebbe essere promosso dalla Regione siciliana ed in particolare dall'Assessorato agricoltura e foreste in collaborazione con l'Assessorato al turismo ed alla cooperazione.
Si ritiene infine di grande interesse sviluppare servizi di informazione sulle normative comunitarie, nazionali e regionali e sugli interventi interessanti le attività agricole e zootecniche.
Tali servizi dovrebbero essere forniti dalle organizzazioni professionali, dai centri periferici dell'assistenza tecnica, dagli Ispettorati agrari provinciali, dagli uffici periferici dell'Associazione regionale allevatori, ecc., mediante appositi sportelli.
Le informazioni dovranno essere finalizzate a:
—  sensibilizzare le imprese e i produttori zootecnici sulla PAC e sui relativi programmi operativi, al fine di scongiurare interventi e/o piani di sviluppo che non siano contemplati o addirittura in contrapposizione ad essi;
—  fornire informazioni sulla legislazione e la giurisprudenza comunitaria;
—  fornire documentazione informativa generale sugli aspetti tecnici, doganali, fiscali dell'integrazione del mercato europeo dal '93;
—  informare sugli interventi finanziari attuati dai vari fondi comunitari, e sui sistemi di accesso;
—  fornire assistenza sulle possibilità di cooperazione internazionale sia per scambi culturali che per la ricerca di partners commerciali;
—  fornire assistenza nella preparazione delle pratiche attinenti i finanziamenti comunitari, nazionali e regionali.
In definitiva si dovranno sensibilizzare le istituzioni periferiche perché trasferiscano le suddette informazioni. Il principale risultano atteso è quello di una maggiore trasparenza sulle opportunità offerte agli operatori.
Un discorso a parte meritano i servizi in materia di credito agrario, che risultano vitali per una efficiente gestione delle imprese agricole. Com'è noto la legge n. 13/86, sia pure innovativa, per diverse ragioni non ha sortito gli effetti sperati.
La mancata attuazione delle operazioni di credito agrario agevolato da parte della Regione, mediante il concorso nel pagamento degli interessi e le difficoltà incontrate nell'accedere a forme di aiuto in conto interessi, sono dovute principalmente all'incapacità delle imprese agricole (soprattutto le piccole e medie) a prestare adeguate garanzie agli Istituti di credito per la relativa contrazione. Ciò è anche causato dal grave stato di indebitamento che le stesse imprese hanno accumulato negli ultimi anni per far fronte alle crescenti necessità derivanti dalle normali attività di conduzione aziendale e per i mancati redditi causati dagli eventi calamitosi verificatisi negli ultimi anni.
Si lamenta inoltre la mancata attuazione dell'art. 8 della legge regionale n. 13/86, che prevede per gli operatori agricoli, impossibilitati a prestare adeguate garanzie per la contrazione di mutui e prestiti agevolati, la concessione da parte della Regione di fidejussioni per coprire la differenza tra l'ammontare del finanziamento richiesto ed il valore delle garanzie offerte.
Su questi due punti potrebbe essere in qualche modo portatrice di grosse innovazioni la legge regionale che ha ridefinito il ruolo dei consorzi fidi aprendo l'accesso anche al comparto agricolo.
Si ritiene doveroso raccomandare, pertanto, agli organi competenti di porre la massima attenzione alla reale funzionalità di questo servizio, data l'importanza che esso riveste per una effettiva modernizzazione dell'agricoltura.
4.3.7.  Assistenza tecnica e formazione professionale
Il ruolo dell'assistenza tecnica è di cruciale importanza nella visione della politica agricola comunitaria. E' essenziale, pertanto, che essa sia organizzata in modo incisivo e dia risultati tangibili.
L'attività di assistenza tecnica, purtroppo, presenta gravi carenze che ne vanificano sostanzialmente il ruolo. Tali carenze possono ricondursi a insufficienze organizzative e metodologiche dei servizi di consulenza alle imprese; alla quilibrata distribuzione territoriale del personale impiegato; a scarsi o nulli collegamenti con l'attività di ricerca e sperimentazione, ecc.
In primo luogo occorre rivalutare e riqualificare la funzione del tecnico, in rapporto all'importante funzione che esso svolge, introducendo modalità di valutazione degli interventi e dei risultati conseguiti, in base ai quali definire l'assegnazione dei compiti nell'ambito del servizio stesso. Perché l'assistente tecnico possa svolgere con responsabilità i compiti assegnatigli è necessario attivare un sistema a sostegno della sua attività, ed in particolare:
—  una più specifica qualificazione in rapporto ai compiiti assegnatigli;
—  lo sviluppo della ricerca applicata, mirata alle reali esigenze territoriali;
—  facile accesso ai risultati della ricerca applicata, delle prove sperimentali, nonché un migliore collegamento tra le attività di campo svolte nell'ambito del territorio regionale.
E' necessario quindi organizzare un sistema di formazione ed aggiornamento, mirato a creare tre diversi livelli funzionali differenziati:
1)  tecnici specialisti in specifici settori e/o in particolari problematiche, in grado di fornire un servizio di consulenza ai tecnici impegnati nelle sedi periferiche;
2)  tecnici formatori dei divulgatori e degli assistenti tecnici (responsabili dei corsi di aggiornamento periodici dei tecnici di base che operano in periferia);
3)  tecnici di base, con i compiti degli attuali assistenti tecnici e divulgatori.
Si auspica, in questo contesto, l'istituzionalizzazione di corsi di preparazione dei tecnici specialisti e formatori, gestiti amministrativamente dall'Assessorato regionale agricoltura e foreste ed affidati, per la responsabilità tecnico-scientifica, direttamente alle università siciliane.
Le prime due figure professionali dovrebbero operare in un centro permanente di formazione ed essere "comandati" part-time direttamente presso i centri di ricerca e di sperimentazione (università, istituti sperimentali etc.) (vedi scheda 3).
I tecnici di base troverebbero nel predetto centro un riferimento costante per l'aggiornamento ed il confronto dei risultati ottenuti.
Il centro permanente di formazione, anche d'intesa con il Consorzio interregionale per la formazione dei divulgatori agricoli, dovrebbe inoltre organizzare e gestire, coordinandosi con i servizi veterinari delle Aziende unità sanitarie locali le organizzazioni professionali di categoria e la formazione professionale degli allevatori.
Gli interventi principali su cui sviluppare l'attività dell'assistenza tecnica, con particolare riferimento al settore zootecnico, dovrebbero essere i seguenti:
—  sistemazione dei suoli, miglioramento agronomico delle coltivazioni con particolare attenzione ai pascoli naturali, miglioramento delle produzioni foraggere, piani di concimazione etc.;
—  management degli allevamenti;
—  alimentazione;
—  ginecologia e mortalità neonatale;
—  fecondazione artificiale ed embrio-transfer;
—  applicazione dei programmi di miglioramento genetico;
—  gestione e programmazione delle principali profilassi di stalla;
—  qualità del latte, dei prodotti lattiero-caseari e della carne ;
—  approvvigionamenti;
—  contabilità aziendale;
—  normative comunitarie, nazionali e regionali.
In rapporto all'importante valenza che la professionalità dei lavoratori assume per la competitività dei sistemi produttivi, occorre un'adeguata organizzazione degli interventi nel campo della formazione professionale, il cui livello qualitativo risulta in atto insoddisfacente sotto diversi profili, tra cui principalmente la precarietà dei supporti organizzativi e la mancanza di collegamento con gli altri servizi (divulgazione, sperimentazione, ecc).
La formazione professionale degli allevatori dovrà pertanto trovare attenta definizione nell'ambito degli interventi di competenza dell'Assessorato agricoltura e foreste, così come indicato dal regolamento della Comunità economica europea n. 2328/91, che prevede specifici finanziamenti per la "riqualificazione professionale agricola" da attuarsi attraverso corsi e tirocini e mediante la creazione di centri permanenti di formazione.
Il centro permanente di formazione regionale precedentemente richiamato accanto alla formazione dei quadri tecnici, potrebbe svolgere compiti di coordinamento ed organizzazione dell'attività di formazione professionale, in collegamento con i servizi veterinari delle Aziende unità sanitarie locali, le Organizzazioni agricole e l'Associazione regionale allevatori.
4.3.8.  Concentrazione dell'offerta e qualificazione della produzione
Il potenziamento delle strutture associative rappresenta un fattore opportunità indispensabile per potere attuare le necessarie economie di scale e conseguire una maggiore efficienza nella fruizione dei servizi, mezzi di produzione e nella commercializzazione.
L'obiettivo della tutela e valorizzazione dei prodotti zootecnici siciliani può essere perseguito, a condizione che si realizzi una efficace organizzazione dei produttori e possa avviarsi un processo di concentrazione dell'offerta.
I soggetti istituzionali chiamati in primo luogo a promuovere tale processo sono le associazioni dei produttori, i Consorzi di tutela e di valorizzazione.
Occorre far sì che le associazioni dei produttori svolgano quei compiti per cui sono state costituite e garantire una funzione di vigilanza che freni le iniziative più dinamiche, in sintonia, con le esigenze del mercato.
Le associazioni dovrebbero essere investite, conformamente al dettato comunitario, dei compiti di controllo delle norme di qualità e del potere sanzionatorio nei confronti dei soci che ne violassero gli obblighi.
L'integrazione dei segmenti delle diverse filiere, attraverso forme associative e accordi contrattuali, rappresentano inoltre condizioni indispensabili per migliorarele perfomance dei prodotti e garantire prezzi remunerativi ai produttori.
Un esempio è rappresentato dalla gestione associata dei centri di stagionatura dei formaggi che, oltre ad assolvere alla funzione di concentrazione dell'offerta, consentirebbe d'incrementare il valore aggiunto e di migliorare la qualità del prodotto.
Un altro esempio potrebbe riguardare la creazione di punti vendita gestiti da cooperative di produttori, facenti parte di una catena di distribuzione di prodotti tipici e di origine, "negozi di prodotti fatti in casa" che gli anglosassoni definiscono "home made traditional store".
La qualificazione dell'offerta rappresenta uno dei punti chiave del presente piano di settore. Alla realizzazione di questo obiettivo potranno contribuire, in primo luogo, le azioni di valorizzazione previste dall'Unione europea in materia di indicazione geografica protetta (IGP), denominazione di origine protetta (DOP) e attestazioni di specificità (AS).
Ad oggi, solo il pecorino siciliano ed il ragusano hanno ottenuto il riconoscimento della denominazione di origine, (per il palermitano ed il canestrato la richiesta è in corso) ma è opportuno avviare le procedure rivolte ad ottenere i sopracitati riconoscimenti per un più ampio numero di prodotti, alcuni dei quali, sono stati indicati nel piano. La politica di valorizzazione dovrà comunque puntare alla diffusione dei sistemi di certificazione, con lo scopo di ottenere, in prima battuta, la caratterizzazione dei diversi prodotti; prodotti che, successivamente, potranno essere riconosciuti meritevoli dell'IGP, DOP e AS.
La politica di marchio e di certificazione potrà interessare i prodotti che fanno riferimento ad un determinato ambiente geografico (ad esempio, "prodotti di montagna"), ovvero a categorie di prodotti caratterizzabili come "prodotti tradizionali" o "prodotti tipici" della Sicilia (ad esempio, la ricotta di pecora, l'agnello da latte, ecc.) (vedi scheda 4).
La certificazione, oltre a rappresentare uno strumento di valorizzazione dei prodotti zootecnici, svolge un'importante funzione di informazione e garanzia dei consumatori sull'origine, sui sistemi di produzione e sulle caratteristiche specifiche dei prodotti stessi.
Tra i soggetti istituzionali che potrebbero operare nell'ambito delle politiche di valorizzazione vanno indicati:
—  le associazioni di produttori che dovrebbero facilitare, attraverso la costituzione di specifici consorzi di valorizzazione, la gestione dell'utilizzazione dei marchi di qualità, assolvendo alla funzione di garante del prodotto nel rispetto dei regolamenti interni;
—  i consorzi di tutela, nel caso in cui il prodotto ottiene riconoscimenti ufficiali (I.G.P., D.O.P., A.S.), con la funzione di controllo e garanzia della qualità dei prodotti.
Andrebbe, infine previsto un Istituto regionale dei marchi di qualità, con funzioni di stimolo per la costituzione di Consorzi di valorizzazione e tutela e di coordinamento delle politiche di marchio.
4.3.9.  Promozione dei prodotti, informazione ed educazione del consumatore
Il consumatore assume un ruolo chiave per il successo di un prodotto.
I mass media svolgono un fortissimo condizionamento nelle scelte del consumatore, suscitando mode ed enfatizzando bisogni ed aspettative.
Le strategie di intervento per la promozione dei prodotti storici siciliani dovranno quindi prevedere un'adeguata informazione del consumatore.
Le azioni promozionali devono avere come obiettivo lo sviluppo delle capacità critiche del consumatore, che va appunto informato sul valore, non solo organolettico, dei prodotti zootecnici siciliani, ottenuti con sistemi tradizionali e naturali, perché ne possa conoscere le caratteristiche qualitative intese come "unicità" e quindi apprezzarle in quanto tali.
Nell'attivazione degli interventi di promozione, un ruolo centrale potrà svolgere il Centro servizi per l'informazione ed educazione del consumatore, come pure gli enti locali e l'Assessorato agricoltura e foreste, di concerto con l'Assessorato al turismo, alla cooperazione ed all'Istituto per il commercio estero, i Consorzi di tutela e di valorizzazione: quest'ultimi avranno soprattutto il compito di definire le azioni promozionali con riferimento ai diversi prodotti.
(SI OMETTONO TUTTE LE TAVOLE ALLEGATE)
(98.37.1906)


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FRANCESCO CASTALDI: Direttore responsabile                               MARIA LA MARTINA: Redattore

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